Commissione parlamentare per l'infanzia

RELAZIONE SULL'ATTIVITÀ SVOLTA DALLA COMMISSIONE
ai sensi dell'art. 1, comma 5 della legge 451/97,
approvata nella seduta del
13 febbraio 2001

I. L’istituzione della Commissione parlamentare per l’infanzia: lavori preparatori

La Commissione parlamentare per l’infanzia è stata istituita dall’articolo 1, comma 1, della legge 451 del 23 dicembre 1997, con "compiti di indirizzo e di controllo sulla concreta attuazione degli accordi internazionali e della legislazione relativi ai diritti e allo sviluppo dei soggetti in età evolutiva".
L’iter di approvazione della legge ha preso le mosse dalla proposta di legge Calzolaio ed altri, n. 417 che, presentata alla Camera dei Deputati all’indomani dell’inizio della XIII legislatura, il 9 maggio 1996, con il titolo "Piano nazionale d’azione per l’infanzia", fu assegnata alla Commissione affari sociali, dove se ne iniziò l’esame il 10 luglio seguente.
La proposta di legge si riallaccia all’esperienza della precedente legislatura che vide l’istituzione presso la Camera dei Deputati, nel luglio del 1995, di una Commissione speciale per l’esame in sede referente dei progetti di legge inerenti all’infanzia, a carattere pluridisciplinare, in seguito all’approvazione quasi unanime di un’apposita risoluzione presentata dall’on. Valerio Calzolaio (6-00008 dell’8 febbraio 1995). In tale sede, infatti, al di là delle funzioni tipicamente referenti della Commissione speciale, si colse l’occasione per affrontare in modo organico questioni relative alle politiche per l’infanzia e per l’adolescenza nonché problematiche di carattere istituzionale e culturale, grazie alla fattiva collaborazione di tutti i gruppi parlamentari.
La proposta di legge Calzolaio, composta di cinque articoli, prevedeva non solo l’istituzione della Commissione parlamentare per l’infanzia, ma anche di due importanti organismi, l’Osservatorio nazionale per l’infanzia (già istituito con diversa denominazione con decreto 20 marzo 1995, presso il dipartimento degli affari sociali) e, in funzione servente di questo, il Centro nazionale di documentazione e di analisi per l’infanzia, già esistente presso l’Istituto degli Innocenti di Firenze e convenzionato con lo stesso dipartimento dal 16 ottobre 1995.
La proposta, sintetizzando la relazione illustrativa dell’onorevole Chiavacci, intendeva da un lato, attraverso l’istituzione di tali organismi a livello parlamentare e amministrativo, dare l’avvio alla risoluzione dei problemi legati ai soggetti in età evolutiva in modo organico, uscendo dalla logica dell’emergenza, programmando, anche con la predisposizione di un apposito piano, procedure, obbiettivi e risorse; dall’altro, assicurare l’integrale rispetto delle convenzioni internazionali, in particolar modo la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo ratificata dall’Italia nel 1991 e ritenuta fino ad allora troppo poco conosciuta dalle istituzioni e dal paese reale, pur contenendo importanti prescrizioni in ordine ai diritti che debbono essere garantiti alle bambine e ai bambini e che si aggiungono a quelli già previsti dalla nostra Costituzione.
Dopo approfondito dibattito in sede referente, la Commissione accolse il 1° ottobre 1996 la proposta della Presidente Bolognesi di trasferire il progetto alla sede legislativa dove fu approvato all’unanimità nella seduta del 18 dicembre.
Trasmesso al Senato il 21 dicembre, il progetto, assunto il numero 1912, fu assegnato in Commissione affari costituzionali, relatrice la senatrice Bucciarelli, e approvato in sede deliberante, con modificazioni, nella seduta del 16 luglio 1997. Tornato alla Camera, il provvedimento fu definitivamente approvato dalla Commissione affari sociali in sede legislativa all’unanimità il 16 dicembre 1997 con il titolo "Istituzione della Commissione parlamentare per l’infanzia e dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia".
Nel frattempo, il Senato, con delibera del 2 ottobre 1996, approvò alcune mozioni che avevano per oggetto, tra l’altro, l’istituzione di una Commissione speciale in materia di infanzia, ai sensi dell’articolo 24 del suo regolamento.
Ciò comportò inizialmente dubbi interpretativi sulle sue funzioni, sui suoi rapporti con l’istituenda Commissione bicamerale e sulla stessa opportunità di istituirla. In realtà, le due commissioni svolgono funzioni affatto diverse, perché la Commissione speciale del Senato ha competenze essenzialmente legislative. La sua istituzione è stata infatti motivata dalla mancanza, in quel ramo del Parlamento, di un organo collegiale omologo, quanto a sfera di competenza, alla Commissione affari sociali della Camera dei Deputati. Si sarebbe così evitato che i progetti di legge concernenti l’infanzia e l’adolescenza fossero deferiti a collegi non specializzati. La Commissione parlamentare infanzia, invece, come espressamente enunciato dalla legge istitutiva, ha funzioni di indirizzo e di controllo (articolo 1, comma 1, legge 451/97) e ha carattere permanente.

II. Compiti istituzionali e organizzazione della Commissione parlamentare per l’infanzia

La Commissione si è potuta costituire solo il 17 dicembre del 1998, esattamente un anno dopo la pubblicazione della legge istitutiva, con l’elezione dell’Ufficio di Presidenza composto, a norma del comma 3 dell’articolo 1 della legge, da un presidente, due vicepresidenti e due segretari.
La Commissione parlamentare per l'infanzia, secondo il comma 2 dell’articolo 1 della legge, è composta da venti deputati e da venti senatori nominati dai Presidenti dei rispettivi rami del Parlamento in proporzione alla consistenza numerica dei gruppi parlamentari garantendo la rappresentanza di almeno un componente per ciascun gruppo.
Il combinato disposto dei commi 1 - istitutivo della Commissione - e dei commi 2, 4 e 5 dell’articolo 1 della legge 451/97, permette di definirne i compiti e l’ampiezza dei poteri che possono schematicamente sintetizzarsi in poteri di controllo, di indirizzo e, tra questi, di proposta alle Camere circa l’opportunità di modifiche della legislazione vigente, e consultivi.
Per quanto concerne i poteri di indirizzo e di controllo, la Commissione parlamentare per l'infanzia li esercita sulla concreta attuazione sia degli accordi internazionali sia della legislazione interna, relativi ai diritti e allo sviluppo dei soggetti in età evolutiva (bambini e adolescenti), chiedendo informazioni, dati e documenti sui risultati delle attività svolte da pubbliche amministrazioni e da organismi che si occupano di questioni attinenti ai diritti o allo sviluppo dei soggetti in età evolutiva. Per l’esercizio del potere di indirizzo si è utilizzato lo strumento della risoluzione ai sensi degli articoli 117 del Regolamento della Camera e 50 del Regolamento del Senato. Sulla base degli elementi conoscitivi acquisiti, si è giunti all’approvazione di cinque risoluzioni, (7-00842 Pozza Tasca e Valpiana: mutilazioni genitali femminili; 7-00879 Cavanna Scirea: forme di violenza di gruppo da parte dei minori, le cosiddette baby-gang; 7-00815 Pozza Tasca: divieto di utilizzare bambini-soldato; 7-00024 Athos De Luca: rapporto tv minori; 7-01024 Cavanna Scirea ed altri, 7-00032 Montagnino ed altri: iniziative in materia di pedofilia). Complessivamente risultano assegnate ma non ancora esaminate cinque risoluzioni: 7-00022 Athos De Luca: baby calciatori; 7-00727 Pozza Tasca: coinvolgimento dei minori nella guerra del Kosovo; 7-00939 Burani Procaccini: partecipazione dei minori nei conflitti armati; 7-00941 Pozza Tasca: sottrazione internazionale dei minori; 7-00976 Valpiana: allattamento materno.
Recentemente la Commissione è stata impegnata in una serie di audizioni concernenti il fenomeno della pedofilia e della pedopornografia, in relazione al quale sono state presentate numerose risoluzioni poi accorpate in un unico documento, che è stato l'esito di una lunga attività svolta da un gruppo di lavoro che si è costituito ad hoc, con la partecipazione e l'assenso di tutti i gruppi parlamentari.
In seno alla Commissione furono inizialmente costituiti, peraltro, sei gruppi di lavoro i cui ambiti di competenza riguardavano, rispettivamente, le seguenti materie:

I gruppi di lavoro avevano prevalentemente funzioni istruttorie, di proposta di audizioni, di missioni o di atti parlamentari che investissero la competenza della Commissione.
Il 23 settembre 1999, la Commissione ha deliberato l’avvio di una indagine conoscitiva sull'attuazione della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (su cui è imminente la presentazione del documento conclusivo). I temi oggetto della Convenzione sono stati ripartiti in sei diversi capitoli di riferimento, riguardanti ciascuno uno specifico profilo della tutela dei diritti dell'infanzia, al fine di affidare gli stessi alla competenza, quanto ad istruttoria e programmazione delle audizioni, dei corrispondenti gruppi di lavoro.
Inoltre, la Commissione ha proceduto anche ad altre audizioni, su diversi problemi concernenti i soggetti in età evolutiva, invitando ad illustrarli 13 tra membri del governo, responsabili di strutture sociosanitarie e rappresentanti delle istituzioni.
Il comma 5, dell’articolo 1 della legge istitutiva stabilisce che la Commissione riferisca alle Camere con cadenza almeno annuale i risultati della propria attività, cosa che consente alla Commissione anche l’esercizio di un potere di osservazione sugli effetti e sui limiti della legislazione vigente e di proposta sull’eventuale necessità di un suo adeguamento, in particolare per assicurarne la rispondenza alla normativa della Unione europea e in riferimento ai diritti previsti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176.
Quanto ai poteri consultivi ai sensi dell’articolo 2 della legge istitutiva, la Commissione parlamentare per l’infanzia esprime un parere obbligatorio sul Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, che il Governo deve adottare ogni due anni e che costituisce il documento programmatico che traduce in obbiettivi e in azioni concrete gli impegni assunti relativamente ai diversi articoli della Convenzione di New York.
Per l’espressione del parere sul Piano di azione per il biennio 2000-2001 - reso il 20 marzo 2000 - la Commissione infanzia ha svolto un approfondito esame assegnando a singoli commissari l’illustrazione di gruppi omogenei di problematiche, a conclusione del quale è stato approvato un documento in cui si esprime parere favorevole sul Piano, accompagnato dalla formulazione molto articolata di indirizzi specifici (sull’argomento vedi capitolo IV).
Allo scopo di acquisire conoscenza in loco dei diversi problemi concernenti il suo ambito di competenza, la Commissione ha effettuato tra il febbraio 1999 e il febbraio 2001 undici missioni fuori sede (in Puglia, 17 e 18 febbraio 1999, per la verifica dell’accoglienza dei minori clandestini; a Firenze, 3 marzo 1999, in visita al centro nazionale di documentazione per l’infanzia; a Torino, 25 marzo 1999, per la verifica dell’accoglienza dei minori clandestini; a Comiso, 1 giugno 1999, per la verifica dell’accoglienza dei minori profughi dal Kosovo; a Parigi, 14 e 15 ottobre 1999 in visita presso gli organi parlamenti competenti in materia di infanzia e il Conseil supérior de l’audiovisuel; a Torino, 15 novembre 1999, in visita presso il carcere minorile "Ferrante Aporti" e per l’inaugurazione del "treno per l’infanzia"; a Milano, 15 novembre 1999, per la partecipazione a due tavole rotonde in materia di tossicodipendenza e maltrattamento; a Gela, 17 novembre 1999, per la partecipazione a una tavola rotonda sulla devianza minorile; a Ginevra, 3 e 4 luglio 2000, per un incontro con i rappresentanti dell’OIL; a Palermo, 24 e 25 novembre 2000, per un incontro con il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica e con il Presidente e il Procuratore del Tribunale per i minorenni di Palermo in ordine alle vicende di pedofilia che hanno interessato il quartiere di Albergheria; a Stoccolma, 12 e 13 febbraio 2001, per partecipare a un convegno internazionale in materia di rapporti tra minori e nuovi mezzi di comunicazione).
L’articolo 1 della legge 451/1997 istituisce la giornata italiana per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, da celebrare il 20 novembre di ogni anno, nella ricorrenza della firma della Convenzione di New York. Le modalità di svolgimento della giornata sono determinate dal Governo d’intesa con la Commissione parlamentare per l’infanzia, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato. Inoltre, l’articolo 5 del regolamento di organizzazione del 5 ottobre 1998, n. 369, emanato a norma dell’articolo 4, comma 1, della legge 451/1997, stabilisce, per quanto concerne la parte di esclusiva competenza governativa, che il Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva definisca un programma di iniziative di promozione e di comunicazione da realizzarsi in occasione della giornata.
Finora due sono state le iniziative per la celebrazione della giornata nazionale dell’infanzia e dell’adolescenza: la prima, il 20 novembre 1999, nella sala della Lupa di Palazzo Montecitorio, alla presenza delle più alte cariche dello Stato. La seconda, il 20 novembre 2000, è avvenuta fuori del "Palazzo", nell’ambito del processo di avvicinamento delle Istituzioni ai cittadini, anche più piccoli, particolarmente intenso negli ultimi anni. Più di 2500 bambini e ragazzi provenienti da scuole di Firenze, Roma e Napoli si sono ritrovati al Palazzetto dello sport di Roma a conversare direttamente con le più alte cariche dello Stato in un’atmosfera di gioia e di speranza.

III. Convenzione sui diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1989)

L’Italia ha ratificato e reso interamente esecutiva la Convenzione delle Nazioni Unite del 1989 con la legge 27 maggio 1991, n. 176.
Questo atto internazionale costituisce il principale parametro di riferimento che la legge 451 del 1997 ha indicato per lo svolgimento dell'attività della Commissione parlamentare per l’infanzia che, in particolare, ha il compito di verificare se gli apparati pubblici e gli organismi privati coinvolti in vario modo nella tutela dell’infanzia conformino il loro operato alle prescrizioni enunciate dalla Convenzione.
Allo scopo di acquisire i necessari elementi informativi funzionali all’esercizio del controllo, la Commissione ha svolto una indagine conoscitiva sull’applicazione della Convenzione.
La ratifica e piena esecuzione della Convenzione ha comportato l’abrogazione delle eventuali norme interne con essa incompatibili, l’immediata applicazione nel nostro ordinamento delle sue norme con valore precettivo e una tutela rafforzata delle norme interne conformi ai principi della Convenzione che diventano immodificabili in senso contrario ai principi stessi, parte integrante, anche per il loro valore interpretativo, dei principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.
Compendio della filosofia dell’intero provvedimento è rappresentato dal comma 1 dell’articolo 3 in cui si recita solennemente che "in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche che private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente".
Eloquente segno della diffusione concreta della Convenzione, che a tutti gli effetti, in virtù del recepimento, costituisce legge dello Stato, è il sempre più frequente richiamo della giurisprudenza alle sue disposizioni.
Al di là della sua operatività giuridica, tuttavia, la piena applicazione della Convenzione richiede l’approntamento di strutture adeguate, una rete integrata di servizi territoriali, una cultura politica che ponga al centro dell’attenzione e delle cure dei Governi il soggetto in età evolutiva. Infatti, la Convenzione di New York non consiste solo nell’affermazione teorica dei diritti delle giovani generazioni, ma indica gli strumenti e le misure concrete che gli Stati debbono adottare per fare fronte ai bisogni dei minori.
La Convenzione, composta di 54 articoli, è divisa in tre parti. La prima, di 41 articoli, contiene le prescrizioni relative ai diritti dei fanciulli ed ai corrispondenti obblighi gravanti sulle pubbliche autorità di ogni Paese e concernono tutti gli aspetti (sanitari, educativi, affettivi, familiari e sociali) che concorrono a una crescita sana, sicura e serena. In particolare, si ricordano il diritto alla vita e al completo sviluppo della personalità; il diritto al ricongiungimento familiare nel caso di residenza all’estero dei genitori o nel caso si tratti di bambini rifugiati; il diritto di esprimere le proprie opinioni, di essere adeguatamente informato e di esprimersi liberamente; il diritto di cura, di istruzione adeguata, di avviamento professionale, di spazi di socialità uguali agli altri, per i bambini affetti da problemi fisici o mentali; il diritto a ricevere un’adeguata educazione che sviluppi le capacità del minore e gli insegni la pace, l’amicizia, l’uguaglianza e il rispetto per l’ambiente naturale; il divieto di sfruttamento sotto tutti gli aspetti, specie sessuali; il rispetto della lingua, delle tradizioni e dei costumi dei bambini appartenenti a minoranze etniche; il divieto di arruolamento nell’esercito per i minori di 15 anni; il diritto a trattamenti penali adeguati alla sua età, per il minore riconosciuto colpevole di un reato.
La seconda parte, di 4 articoli, prevede, tra l’altro, l’impegno degli Stati a diffondere la conoscenza della Convenzione con i mezzi più adeguati nonché l’obbligo di sottoporre rapporti periodici sui provvedimenti che essi avranno adottato per dare effetto ai diritti riconosciuti nella Convenzione stessa e sui progressi realizzati per il godimento di tali diritti, ad un Comitato delle Nazioni Unite per i diritti dell’infanzia, organismo elettivo formato da dieci esperti in problemi dell’infanzia.
La terza parte, infine, contiene prescrizioni relative alla ratifica e all’entrata in vigore della Convenzione e al procedimento per la sua eventuale modifica.

IV. Esame del Piano di azione nazionale 2000-2001 per l’infanzia e l’adolescenza.

La legge 23 dicembre 1997, n. 451 prevede all’articolo 2 che la Commissione esprima un parere sul piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, con l’obbiettivo di conferire priorità ai programmi riferiti ai minori e di rafforzare la cooperazione per lo sviluppo dell’infanzia nel mondo. Il Piano individua, altresì, le modalità di finanziamento degli interventi da esso previsti nonché le forme di potenziamento e di coordinamento delle azioni svolte dalle pubbliche amministrazioni, dalle regioni e dagli enti locali.
Il Piano è stato assegnato alla Commissione il 20 gennaio 2000 ed è stato esaminato nelle sedute del 1°, del 14, del 15, del 22 e del 28 marzo precedute da un’illustrazione da parte del Ministro per la solidarietà sociale Livia Turco (audizione del 23 febbraio 2000).
Il Piano, dopo una parte generale, prevedeva tematiche specifiche. Per questo si è affidato a vari commissari il compito di approfondire i diversi argomenti.
In particolare, all’on. Dino Scantamburlo è stata affidata l’illustrazione della parte del piano relativa alla giustizia minorile, all’on. Valentina Aprea, la parte relativa ai percorsi formativi dell’adolescenza e al rapporto scuola famiglia, all’on. Piera Capitelli, la parte relativa alla solidarietà e alle problematiche internazionali, all’on. Tiziana Valpiana, la parte concernente la riqualificazione ambientale e i tempi e gli spazi della città.
A conclusione dell’esame, la Commissione ha espresso il 28 marzo 2000 un parere molto articolato con indirizzi specifici, che per comodità di lettura, è riportato in allegato.
Il piano è stato approvato definitivamente con decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2000. Esso, così come era stato richiesto nel testo del parere, definisce in modo dettagliato "le indicazioni metodologiche, gli aspetti operativi e i tempi degli interventi". In particolare, oltre a contenere una parte generale, definisce azioni mirate per il periodo maggio 2000 - giugno 2001.
Definisce altresì, le modalità di finanziamento degli interventi previsti, individuando per il 2000 uno stanziamento di 320 miliardi da erogare con la legge 285 del 1997.
Raccoglie inoltre l'invito a provvedere urgentemente alla redazione di un testo unico dei diritti dei minori, proposte formulate tra le priorità nell'ambito del parere stesso.
Il Piano di azione ha in particolare recepito i seguenti punti contenuti nel testo del parere:

In relazione ai punti da 29 a 35 del parere relativi al rapporto tra TV e minori, il Piano di azione si limita "a raccogliere le indicazioni più specifiche della Commissione parlamentare per l'infanzia " in sede di attuazione.
Si osserva infine che il Piano d'azione non recepisce soltanto gli indirizzi contenuti nel parere espresso dalla Commissione ai sensi dell'art. 2 della legge 451/97, bensì tiene conto anche dell'attività svolta dalla Commissione ed in particolare dalle risoluzioni approvate in materia di baby gang e di mutilazioni genitali femminili.

V. Tematiche specifiche

Premessa

Il 29 settembre 1999, la Commissione Bicamerale per l’infanzia ha deliberato, col voto unanime di tutti i gruppi parlamentari, un’indagine conoscitiva sull’applicazione della Convenzione di New York. In tale ambito si sono affrontate diverse tematiche, tra cui in particolare la giustizia minorile, il rapporto tra tv e minori, il lavoro minorile, le adozioni e la pedofilia.
A latere dell'indagine conoscitiva si sono poi votate alcune risoluzioni, che, traendo spunto dall'approfondimento svolto in sede di indagine conoscitiva, hanno inteso focalizzare alcuni aspetti e definire alcuni impegni per il Governo.

  1. Lavoro minorile e sfruttamento minori

La Commissione ha svolto su questo argomento alcune audizioni nell’ambito del gruppo di lavoro "Lavoro minorile e sfruttamento dei minori" (prima ancora che fosse deliberata l’indagine conoscitiva), e numerose altre nel corso dell’indagine conoscitiva sull’attuazione della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo; una delegazione della Commissione si è inoltre recata a Ginevra (3 e 4 luglio 2000), per incontrare l’Alto Commissario aggiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani ed alcuni responsabili dell’Organizzazione internazionale per il Lavoro, tra cui in particolare i dirigenti del programma IPEC, il programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile. In particolare, nell’ambito del gruppo di lavoro sono state svolte le seguenti audizioni:

Nell’ambito dell’indagine conoscitiva è stato invece audito il Ministro pro-tempore per il commercio con l’estero Piero Fassino.
Nello specifico, l’audizione del Prof. Raffaele Ferrara, ha posto gli accenti sugli elementi più rilevanti emersi dalla Conferenza internazionale dell’OIL, svoltasi a Ginevra nel giugno 1999, sede di stipula della Convenzione 182 (di cui si parlerà più avanti), dal divieto di arruolamento dei minori nei conflitti (oggetto di una apposita legge approvata dal Parlamento italiano l'8 gennaio 2001 "Abrogazione dell'articolo 3 della legge 31 maggio 1975, n. 191 in materia di arruolamento dei minorenni"), all’essenzialità dell’istruzione dei minori come elemento forte di lotta alla povertà, vista come substrato del lavoro minorile.
L’audizione della Prof.ssa Albertina Soliani ha fatto il punto sull’impegno del Governo contro il lavoro minorile ad un anno dalla firma della Carta di impegni, sottoscritta tra Governo e parti sociali. Tra gli elementi emersi con chiarezza nel corso dell’audizione, si è evidenziata la complessità del fenomeno e le forme nuove che esso assume in connessione con la realtà del lavoro sommerso, con le crescenti povertà materiali e culturali, con gli eventi migratori e con il dramma della guerra. Nel corso dell’audizione la Prof.ssa Soliani, sottolineando la necessità di istituire un difensore civico per l’infanzia, ha altresì rimarcato la necessità di promuovere una maggiore educazione dei consumatori sul tema.
Con l’audizione del Dott. Maurizio Sacconi sono emersi i settori maggiormente a rischio nel nostro Paese; dalla prostituzione diretta al concorso indiretto attraverso il turismo sessuale, dal coinvolgimento dei minori nella criminalità organizzata all’accattonaggio dei bambini.
Dall’analisi della relazione conclusiva del Gruppo di lavoro si evince come gli Stati nel loro insieme percepiscano il lavoro minorile come un disvalore da rimuovere, il che consente di attivare politiche istituzionali, ma anche di dare nuova linfa ad importanti iniziative nel settore privato.
La Commissione ha poi dedicato particolare attenzione all’ultima Convenzione stipulata dall’OIL nel giugno 1999, la n. 182 sulle forme peggiori di sfruttamento del lavoro minorile, che reca in allegato una raccomandazione, la n. 190, assai rilevante.
Preme sottolineare la tempestività con cui l’Italia ha proceduto alla ratifica della Convenzione stessa (Legge 25 maggio 2000, n. 148), che ha in sé le potenzialità se non di debellare, quanto meno di recare un significativo contributo alla lotta contro fenomeni aberranti, tra cui in particolare lo sfruttamento sessuale dei minori (tale Convenzione, al novembre 2000, risulta essere stata ratificata da 51 Paesi sui 175 che fanno parte dell’OIL).
L’articolo 3 della Convenzione include infatti tra le forme peggiori di lavoro minorile "l’impiego, l’ingaggio e l’offerta del minore a fini di prostituzione, di produzione di materiale pornografico o di spettacoli pornografici" e nell’allegata raccomandazione si prevedono, all’articolo 15, una serie di provvedimenti specifici volti alla proibizione e alla eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile.
Tali strumenti sono in parte già previsti dalla legislazione italiana, in particolare dalla legge 269/98, che reca norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù: si può anzi notare come la legislazione italiana possa considerarsi all’avanguardia, visto che lo sfruttamento sessuale del minore è considerato non semplicemente una "forma peggiore" di lavoro minorile bensì una forma di "riduzione in schiavitù".
D’altra parte, anche in Commissione, è stato più volte rilevato come il lavoro minorile si traduca spesso in una vera e propria forma di riduzione in schiavitù, se è vero, come risulta da stime prodotte dall’Unicef, che circa 120 milioni di bambini in età compresa tra i 5 e i 14 anni sono impegnati in attività lavorative a tempo pieno. Questo significa che sono privati del diritto ad una crescita sana ed equilibrata, fatta quindi di frequenza scolastica, di momenti di gioco ricreativo, in un ambiente familiare il più possibile funzionale a tale crescita.
Indubbiamente le cause economiche, quindi la povertà, rappresentano il principale fattore che induce ad impiegare i minori in attività lavorative di vario genere: in famiglia, per conto terzi, al posto della scuola, dopo la scuola, ecc. Tuttavia non si deve sottovalutare l’elemento culturale tra le cause che spingono a ritenere preferibile che il minore sia impegnato in attività lavorative piuttosto che di studio e di crescita personale. Solo così, infatti, si può comprendere come la piaga del lavoro minorile riguardi non solo i paesi poveri del mondo, ma anche quelli industrializzati, senza lasciare esente neanche l’Italia.
La Commissione ha quindi auspicato, in occasione dell'audizione svolta il 10 febbraio scorso dal ministro pro-tempore del commercio con l'estero Piero Fassino, l'approvazione entro la fine della legislatura del progetto di legge concernente la certificazione di conformità sociale dei prodotti realizzati senza l'utilizzo di lavoro minorile, che costituirebbe un segnale molto forte, impegnativo e concreto, proprio sotto il profilo culturale, verso l'eliminazione di questa piaga sociale. Pur trattandosi solo di un primo importante passo, questo provvedimento intraprende la strada per improntare l’attività di impresa ad un principio di "qualità sociale" oltre che di "qualità economica", se è vero che il lavoro minorile è indotto da un giro d’affari che spinge soprattutto le imprese occidentali ad importare dai paesi del terzo mondo prodotti a bassissimo costo, perché realizzati con il lavoro minorile e a localizzare altresì attività produttive nei paesi del terzi mondo, in particolare in Asia, per usufruire dei vantaggi di legislazioni meno attente ai diritti dei minori o, anche se attente, come quella dell’India, spesso scarsamente attuate per le condizioni di oggettiva povertà ed indigenza della popolazione.
Con riferimento ai temi oggetto del vertice di Seattle, si è discusso in particolare del problema dell'abolizione dei dazi applicati alle importazioni che provengono dai paesi più poveri del mondo e dell'eliminazione del debito pubblico, da collegare ad una effettiva politica, da parte degli Stati interessati, di rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini e dei minori in particolare.
Anche sotto questo profilo, l’atto Camera 6126 ed abb. promuove incentivi ed agevolazioni ai paesi in via di sviluppo che si impegnino ad impedire l’impiego del lavoro minorile da parte delle imprese ubicate nel proprio territorio. L’auspicio è dunque che prosegua questo impegno economico e culturale da parte dei paesi più ricchi verso quelli più poveri, sempre con un’attenzione particolare ai problemi nazionali che sono da riferire sia a minori italiani sia soprattutto, a minori stranieri. Per quanto concerne i primi, l’invito è a tenere sempre sotto controllo i fenomeni della dispersione e dell’evasione scolastica, sempre indice di disagio da monitorare con costanza; per quanto concerne i secondi, si tratta di un fenomeno più complesso che la Commissione auspica possa essere affrontato nella prossima legislatura, nel suo complesso ed in tutti i suoi risvolti, visto che non c’è minore che chieda l’elemosina che non abbia alle spalle una storia di sfruttamento e di emarginazione, senza arrivare ai casi ancor più aberranti di sfruttamento del lavoro minorile. Il problema, infatti, è in questo caso legato ai flussi migratori clandestini e alla tratta di esseri umani che le organizzazioni criminali hanno posto in essere: dovrà quindi essere effettuato uno studio accurato per avere una percezione ed una ricognizione anche quantitativa del fenomeno, al fine di predisporre adeguati strumenti di prevenzione e di contrasto.

  1. Divieto di utilizzare i bambini nei conflitti armati

Si deve infine ricordare che la Convenzione di New York prevede, oltre a specifiche disposizioni contro l'utilizzo del lavoro minorile, in particolare l'articolo 32, che vieta lo sfruttamento economico e lavorativo del fanciullo, cui non si deve pregiudicare il diritto ad una crescita sana ed equilibrata, il divieto di utilizzare "bambini soldato". L'art. 38, infatti, vieta l'utilizzo dei bambini nei conflitti armati al di sotto dei 15 anni, limite al di sotto del quale gli Stati si impegnano a non effettuare alcuna coscrizione obbligatoria.
Su questo tema, come si è ricordato sopra, la Commissione ha votato, il 28 ottobre 1999, una risoluzione (7-00815 Pozza Tasca), finalizzata in particolare ad impegnare il Governo a svolgere un ruolo propulsivo ed una campagna di sensibilizzazione per vietare il reclutamento e la partecipazione ai conflitti armati di minori di anni 18. L’arruolamento obbligatorio al di sotto dei 15 anni di età rappresenta infatti ormai un crimine contro l‘umanità, anche se in base a statistiche dell’Unicef, più di 300.000 bambini partecipano ai conflitti del mondo e vi è ragione di ritenere che molti di essi siano davvero poco più che bambini.
Si deve tuttavia constatare il permanere di alcune delicate questioni tra Stati, riguardanti in particolare la differenza tra coscrizione obbligatoria e coscrizione volontaria, in quanto per la prima esiste a livello internazionale un divieto assoluto, almeno per i minori di quindici anni, ma la possibilità che si ricorra alla seconda consente di fatto di eludere il divieto.

Mass media, dichiarazioni giudiziali e minori

La Commissione ha dedicato particolare attenzione a questo tema, istituendo un apposito gruppo di lavoro dedicato all'argomento, svolgendo molte audizioni in materia e una specifica missione a Parigi per studiare un sistema, quello francese, che per molti aspetti appare più avanzato del nostro, sia sotto il profilo del controllo sulle trasmissioni, sia sull’eventuale applicazione di sanzioni alle emittenti in caso di non ottemperanza delle regole per la messa in onda delle trasmissioni. In particolare, nell’ambito del gruppo di lavoro, sono state svolte le seguenti audizioni:

Sono state inoltre svolte, nell’ambito della Commissione plenaria, le seguenti audizioni:

L'attività che è stata svolta ha trovato poi una definizione organica nel testo di una risoluzione (7-00024 Athos De Luca) approvata, come si è ricordato sopra, dalla Commissione il 19 luglio 2000, dopo un lungo e approfondito esame.
La portata innovativa di questa tematica costituisce un dato di fatto: soprattutto i giovani hanno un rapporto continuo con i mezzi di comunicazione e con le nuove tecnologie la cui rilevanza deve quindi essere considerata non solo sotto un profilo quantitativo, ma anche e soprattutto qualitativo.
La televisione ha infatti ormai acquisito un ruolo formativo per i giovani, sia per la funzione mediatica che ha assunto, sia anche per la diffusione stessa del mezzo, ormai presente in tutte le case; inoltre i giovani si trovano spesso a passare un gran numero di ore davanti alla televisione per le mutate abitudini di vita della famiglia e, soprattutto nelle grandi città, per la carenza di adeguati spazi ricreativi che mancano per ragioni di sicurezza e di scarsa promozione di opportunità.
E’ bene ricordare che l’articolo 17 della Convenzione di New York prevede che " Gli Stati parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass-media e vigilano affinchè il fanciullo possa accedere a una informazione e a materiali provenienti da fonti nazionali e internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale. A tal fine, gli Stati parti:

  1. incoraggiano i mass-media a divulgare informazioni e materiali che hanno una utilità sociale e culturale per il fanciullo e corrispondono allo spirito dell’art. 29 (diritto ad una corretta educazione);
  2. incoraggiano la cooperazione internazionale in vista di produrre, di scambiare e di divulgare informazioni e materiali di questo tipo provenienti da varie fonti culturali, nazionali ed internazionali;
  3. incoraggiano la produzione e la diffusione di libri per l’infanzia;
  4. incoraggiano i mass-media a tenere conto in particolar modo delle esigenze linguistiche dei fanciulli autoctoni o appartenenti ad un gruppo minoritario;
  5. favoriscono l’elaborazione di principi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere in considerazione delle disposizioni degli articoli 13 e 18."

La Commissione intende quindi riproporre in questa sede alcune soluzioni, che, come si è detto, sono state l'esito di convincimenti maturati a conclusione del lavoro svolto e sono stati tradotti anche in precisi impegni al Governo con l’approvazione della menzionata risoluzione, nella convinzione che si debba seguire da vicino un fenomeno, quello del rapporto tra Tv e minori, che incide da vicino sulla coscienza e sulla formazione dei giovani.
In particolare, mutuando l'esperienza francese, la Commissione ha ritenuto importante che si proceda ad una classificazione dei programmi televisivi che sia comune a tutte le emittenti, prevedendo l'obbligo contestuale di informare preventivamente i telespettatori di come sia stata classificata l'opera trasmessa ed agendo in sede di Unione europea per ottenere in tempi brevi la predisposizione di adeguati sistemi di classificazione comuni a tutti i paesi membri, come previsto dalla direttiva 97/36/CE . Si è visto, infatti, come la classificazione dei programmi, cui deve corrispondere un’apposita segnaletica, svolga una funzione importante anche in termini di comunicazione e responsabilizzazione dei genitori, considerando anche che in base alla classificazione dovrebbe poi essere stabilita una fascia oraria di trasmissione, creandosi così una cultura di attenzione alla programmazione televisiva. La classificazione, che risponde evidentemente ad esigenze di controllo, si applica in Francia anche alla pubblicità che, in base al contenuto, può essere trasmessa solo in determinati orari o non può essere trasmessa affatto.
L’aspetto inoltre del sistema francese che è apparso più convincente del nostro, è che il rispetto dei codici di condotta, compreso quello di autodisciplina pubblicitaria, è compreso tra le condizioni per il rilascio ed il rinnovo delle concessioni televisive, elemento questo che, senza arrivare a dover applicare sanzioni economiche alle emittenti che violano il divieto, risulta un deterrente efficace.
Per questo la Commissione ritiene importante inserire il rispetto dei codici e di altre carte similari, compreso il codice di autodisciplina pubblicitaria, fra le condizioni per il rilascio ed il rinnovo delle concessioni televisive, richiedendo altresì il rispetto delle fasce orarie di programmazione protetta per i minori.
Anche il tema della pubblicità televisiva rivolta ai minori ha rappresentato un momento di approfondimento da parte della Commissione che ritiene in particolare opportuno vigilare con attenzione sulle forme di pubblicità ingannevole e occulta, vietando comunque le interruzioni pubblicitarie nei programmi destinati ai minori aventi durata inferiore ai 30 minuti, divieto questo che già esiste, ma che può essere "aggirato" dalle emittenti attraverso la messa in onda di appositi "programmi contenitori" di durata superiore ai 30 minuti. A questo proposito va ricordato che, nel caso della missione di Stoccolma (12-13 febbraio 2001) la Commissione ha potuto verificare come la legislazione svedese sia particolarmente avanzata in materia di pubblicità televisiva, sancendo il divieto di "spot" aventi la finalità di attrarre l'attenzione dei bambini sotto i 12 anni, il divieto di trasmettere spot immediatamente prima o dopo i programmi per bambini nonché il divieto per presentatori di programmi per bambini di apparire negli spot.
La Commissione ritiene inoltre importante valorizzare la cultura italiana incentivando ad esempio la produzione nazionale di cartoni animati di qualità, mentre ragioni di carattere economico e di minor costo dei programmi inducono ad importare dall’estero prodotti spesso di bassa qualità e soprattutto estranei alla nostra tradizione e cultura.
Su questi temi la Commissione auspica che si possa promuovere, ormai nella prossima legislatura, un convegno ed un Osservatorio a livello istituzionale al fine di confrontare le normative nazionali e di sintetizzare la pluralità di codici di autoregolamentazione esistenti in un unico codice di disciplina europeo corredato da un sistema sanzionatorio univoco, rapido ed efficace.
Questi sono i principali impegni che la Commissione ha ritenuto di rivolgere al Governo nell'ambito della risoluzione sul rapporto tra Tv e minori e che riconferma in questa sede, nell’ambito dei poteri di proposta che le competono ai sensi dell'art. 1, comma 5, della legge 451/97.
Preme sottolineare che si tratta di impegni riconosciuti in linea di principio anche nel Piano d'azione per l'infanzia e l'adolescenza (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21/08/00 n. 194), su cui la Commissione ha espresso il previsto parere (ex art. 2 della legge 451/97) e che, come è noto, ha come obiettivo proprio quello di "conferire priorità ai programmi riferiti ai minori" e di prevedere "forme di potenziamento e di coordinamento delle azioni svolte dalle pubbliche amministrazioni, dalle regioni e dagli enti locali".
L'auspicio è che queste valutazioni possano costituire nella prossima legislatura una base di partenza dalla quale l'Italia possa farsi Paese promotore di un più ampio e innovativo orientamento a livello comunitario, visto che l'Europa ha dimostrato di essere particolarmente attenta a queste tematiche ed in particolare alle norme sulla pubblicità televisiva.

1. Libertà del fanciullo e giustizia minorile

3.1 Devianza e giustizia minorile

Su questo tema, nelle sue diverse articolazioni, si sono tenute le seguenti audizioni:

Quanto al fenomeno della devianza minorile, si è inteso avviare uno studio che, partendo dalla comprensione del fenomeno, avesse come obiettivo quello di evidenziare le cause che portano alla formazione di una criminalità che vede come soggetti attivi i minori stessi. Dalla considerazione di fondo che il fenomeno della devianza e della criminalità minorile è una problematica che investe tutto il territorio italiano e dalla contestuale scelta di non privilegiare le emergenze contingenti, si è proceduto ad una serie di audizioni, che hanno visto alternarsi presidenti di tribunali dei minori, direttori di carceri minorili, procuratori della Repubblica, il direttore centrale per la giustizia minorile, pedagogisti ed esperti in comunicazione minorile, i quali hanno riportato le loro esperienze e le loro preoccupazioni. Tante voci che hanno parlato in coro, giacché il quadro delle problematiche e delle auspicate riforme atte a dirimerle hanno tracciato il medesimo disegno generale.
Innanzitutto si è evidenziata la necessità di operare un distinguo tra devianza e criminalità, che non sono sinonimi. La prima si può ricondurre a una sintomatologia patologica del minore nei confronti dell’ambiente circostante, che lo porta ad adottare comportamenti non convenzionali: solo quando questi raggiungono, per la coincidenza di altri fattori esterni, un’intensità particolare, il minore arriva a delinquere passando nel circuito della criminalità.
Sin dall'inizio è emersa la causa a monte del disagio accusato dal minore: "l’ambiente che lo circonda". Un ambiente che è composto dalla famiglia, dalla scuola, dal territorio in cui vive. E’ emersa quindi la necessità di agire su questi elementi soprattutto in termini di prevenzione. Soffermarsi da subito sulla prevenzione significa aver ben presente che nel momento in cui il minore comincia a delinquere ed entra nel sistema penale, anche se nella migliore delle ipotesi dovesse uscirne, ne rimarrà sempre segnato.
Evitare che un minore passi attraverso il sistema penale significa dunque: togliere i bambini e i ragazzi dalla strada e da un "isolamento culturale".
Un gran numero di bambini e adolescenti che vivono nel Sud del Paese crescono in strade fatte di fango, senza una famiglia che li segua, senza andare a scuola, senza assistenza da parte dei servizi sociali, "facili prede" della criminalità organizzata che li arruola in vere e proprie "scuole criminali" dove vengono indirizzati a commettere reati.
Ma non bisogna dimenticare né sottovalutare la solitudine e a volte l’emarginazione sociale in cui vivono molti ragazzi specialmente del Nord dell’Italia, in città come Milano o Torino, dove la mancanza di luoghi idonei e l’assenza quotidiana della famiglia, li pone davanti alla scelta di passare la giornata davanti alla Tv o in una sala giochi, dove lo scarto tra aspettative e opportunità che il mondo offre cresce in senso esponenziale e tutto questo, unito all’esigenza di autoaffermazione e di "uscire dal mucchio", crea comportamenti prevaricatori e violenti; difatti l’incidenza maggiore di casi quali il cosiddetto bullismo o le baby-gang dedite alla piccola delinquenza, si riscontrano proprio nelle regioni del Nord.
La logica conseguenza di questo problema, evidenzia altre considerazioni importantissime e dalle quali non si può prescindere:

  1. I bambini ed i ragazzi devono andare a scuola.
  2. E' necessario avviare un'intensa azione sul territorio.

Quanto al primo aspetto, occorre dire che il fenomeno della "dispersione scolastica" è uno dei mali che incide più degli altri sull’aumento del disagio psichico del minore e non a caso è stata definita come l’anticamera della devianza. Ci si è chiesti, durante il corso delle varie audizioni, di "chi siano figli" i ragazzi che non vanno a scuola ma, soprattutto, è stato segnalato un comportamento talvolta omissivo da parte degli educatori scolastici, che non segnalano i casi in cui lo studente si assenta spesso o manca completamente da scuola. Una maggiore attenzione probabilmente permetterebbe ai servizi sociali o ai tribunali per i minori di intervenire subito in caso di situazioni a rischio.
Quanto al secondo aspetto, una zona degradata produce degrado sociale, per questo occorrono una serie di provvedimenti che rendano più vivibile l’ambiente da parte della comunità minorile e adolescenziale. Proprio quest’ultima fascia di ragazzi tra i 14 e i 17 anni, nonostante siano state assunte numerose iniziative per migliorare le strutture a favore dei minori, è stata spesso dimenticata. Rendere un territorio vivibile significa pensare anche a spazi idonei, fornendo servizi degli enti territoriali per la comunità o luoghi d’incontro, anche autogestiti, per i ragazzi.
Al riguardo appare doveroso segnalare un problema che è stato posto in Commissione, quello cioè della diversità delle strutture territoriali. In effetti con il DPR 616/77 sono state decentrate alle regioni e ai comuni le competenze per creare strutture territoriali socio-educative per i minori. Tuttavia, mentre alcuni enti territoriali hanno ottemperato alle carenze strutturali del loro territorio, molti altri, (ed ancora una volta bisogna purtroppo segnalare la difficile situazione di gran parte del Mezzogiorno), si trovano assai indietro rispetto alle esigenze della comunità. Sulla base delle considerazioni esposte, la Commissione ha definito alcuni "fattori di rischio", che possono causare la devianza minorile, in particolare la dispersione scolastica, la mancanza di strutture territoriali, il fenomeno dell’infanzia abbandonata.
Un aspetto su cui bisogna impegnarsi, perché fondamentale per la crescita del ragazzo, è quindi la scuola, che deve essere ripensata non solo come luogo dove lo studente riceve educazione; l’insegnante, soprattutto in contesti sociali particolarmente delicati, non dovrebbe essere solo un educatore, ma dovrebbe cercare di essere anche e soprattutto una guida che sappia rilevare le eventuali situazioni di rischio. La scuola deve essere in grado di creare nuovi spazi che stimolino la mente del ragazzo, che occupino il suo tempo oltre il normale svolgimento dell’orario scolastico, eventualmente coinvolgendo anche altre professionalità, in modo da sopperire all’eventuale assenza delle famiglie, cercando di evitare che minori ed adolescenti che vivono un disagio familiare finiscano sulla strada.
Per questo gli istituti scolastici, pur nell'ambito dell'autonomia che ne caratterizza l'organizzazione, dovrebbero forse valutare con attenzione l’opportunità di sperimentare un percorso di scuola a tempo pieno, con attività integrative che possano andare dallo sport, al teatro, ad attività formative nonché al "volontariato", per insegnare al giovane a vivere in società con spirito di solidarietà verso il prossimo.
E’ naturale che questo sforzo non si possa chiedere soltanto agli insegnanti, ed emerge allora l’opportunità di creare figure specializzate che siano di supporto a queste attività.
L’azione territoriale è l'aspetto che secondo la Commissione necessita di interventi più incisivi perché è forse l'elemento principale da cui nascono patologie devianti; si è ritenuto che gli enti territoriali debbano farsi promotori d’iniziative volte alla creazione di strutture e servizi, sia per il minore sia per la famiglia.
Al riguardo, è bene ricordare che la L. 285/97 consente agli enti privati e in particolare alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) di avere un ruolo attivo nella definizione dei piani di intervento elaborati dagli enti locali.
La Commissione è convinta, quindi, che un’azione di promozione da parte dello Stato stesso sul territorio possa stimolare la creazione di nuove strutture e sia di aiuto ad un corretto uso della legge e dei finanziamenti.
E' stato anche osservato che, pur rispettando le competenze delle regioni e degli enti territoriali, questi non vengano lasciati soli nella valutazione delle scelte.
La Commissione auspica pertanto la creazione di osservatori sulle problematiche dell'infanzia articolati anche a livello provinciale, che costituiscano una rete integrata tra gli operatori sociali (prefettura, ASL, provveditorato agli studi, tribunale dei minori, organizzazioni no-profit), che intervengono sui problemi sull'infanzia ai fini di un migliore e più efficace coordinamento tra i vari soggetti istituzionali.
In questo modo, sarebbe possibile avere un quadro complessivo dell’assetto territoriale, sotto il profilo dei servizi, di tutte le regioni, si potrebbe monitorare l’applicazione e la realizzazione delle opere create per mezzo della legge 285/97, stimolare eventualmente la presentazione di nuovi piani d’intervento, e, nel caso, intervenire centralmente ove si riscontri una inerzia da parte delle autonomie locali.
Per quel che attiene in particolare alla tipologia degli interventi, registrata la carenza dei presidi territoriali e di strutture sanitarie, si riterrebbe importante la creazione, specialmente in quelle regioni del sud colpite da degrado ambientale e dove la delinquenza minorile sul territorio risulta una componente costante, di centri di risocializzazione nei quartieri a rischio e di centri di accoglienza per i minori. Questo anche per ovviare al grande problema costituito da quei 45 mila minori che delinquono ma che non sono punibili dalla giustizia perché al di sotto della soglia dei quattordici anni; se i giovani non vengono aiutati a reinserirsi nella società, prima o poi entreranno di nuovo nel circuito penale.
I centri di risocializzazione e di accoglienza dei minori devono essere diretti da personale qualificato, mediante corsi di specializzazione e di aggiornamento professionale.

 3.2 Dalla devianza alla criminalità

Più complesso è il discorso che riguarda la giustizia minorile, con particolare riferimento all’ipotesi dei minori imputabili, cioè maggiori di quattordici anni, che commettono un reato e ne siano perciò penalmente responsabili. Prima di affrontare questo complesso discorso, è opportuno ricordare alcuni brani della Convenzione sui diritti del Fanciullo del 1989, che all’art. 3 recita: "In tutte le decisioni relative al fanciullo, di competenza dell’autorità giudiziaria, amministrativa o legislativa, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente"; e all’art. 37 lettera b) recita: "L’arresto, la detenzione o l’imprigionamento di un fanciullo devono essere effettuati in conformità della legge, costituire un provvedimento di ultima risorsa ed avere durata più breve possibile", che in altre parole significa non solo che la detenzione deve essere l'extrema ratio, ma che ogni provvedimento inflitto al minore deve tendere alla sua rieducazione e al reinserimento nella società.
Il sistema penale relativo ai minori in Italia è assai complesso in quanto non esiste una normativa omogenea, bensì provvedimenti legislativi diversi e disorganici che ne rendono spesso difficile un’applicazione uniforme.
Visti i principi fondamentali, la residualità della detenzione, la rieducazione e la risocializzazione del reo, che in base alla Convenzione di New York devono ispirare la legislazione giudiziaria indirizzata ai minori, si può dire, riguardo al primo punto, che l’ordinamento italiano ha compiuto notevoli passi avanti ancor prima che venisse approvata la Convenzione di New York, con l’approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni (DPR 448/88) per cui si può senz'altro sostenere che la residualità della detenzione è nel nostro ordinamento un fatto già esistente.
Difatti, seguendo le misure stabilite dal citato decreto legislativo, al minore che entra nel registro degli indagati si applicano:

se si trova nella fase istruttoria del processo, una serie di peculiari misure cautelari, e cioè:

se si trova, invece, nella fase esecutiva del processo, si applicano misure sostitutive alla pena detentiva e cioè:

Un'altra misura che si è rivelata uno strumento idoneo per il recupero del minore, nel senso di evitargli il travaglio di un processo penale, è la "messa alla prova". L’art. 28, primo comma, del DPR 448/88, stabilisce che il giudice, quando ritiene di dover applicare tale procedura, può disporre la sospensione del processo con ordinanza, con la quale affida altresì il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con la medesima ordinanza, il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato. In base a questa procedura, al minore, normalmente sin dalla fase istruttoria, viene evitata la sottoposizione al processo penale, in base ad un progetto messo a punto dai servizi sociali: decorso il periodo di sospensione, il giudice, se ritiene che la prova abbia dato esito positivo, tenuto conto del comportamento del minore e della evoluzione della sua personalità, dichiara con sentenza estinto il reato.
Sul piano amministrativo, inoltre, i giudici sovente utilizzano una misura prevista dall’art. 25 del RDL del 1934, (istitutivo dei Tribunali dei minori) finalizzata a monitorare la vita del minore a rischio quando su di esso non si può procedere penalmente. In base a quest’articolo, il giudice può affidare il minore o ai servizi sociali o prevederne il ricovero in una casa di cura, ma visto che queste ultime sono state chiuse nel 1978, residua solo l’opportunità dei servizi sociali che, come si è detto, sono spesso territorialmente carenti.
Questo è un problema che molti procuratori della repubblica auditi hanno sollevato in commissione, in quanto l’art. 25 è uno strumento che ben si adatta ad essere applicato ai minori non imputabili, ovvero quando il fatto, pur irrilevante penalmente è indice di una situazione a rischio.
In base alla vigenza di queste norme, si è rilevato statisticamente che la popolazione minorile presente nelle nostre carceri è scesa dal 1991 ad oggi da 6.000 ingressi giornalieri a 430/450 in tutto il territorio italiano.
Tuttavia, è necessario svolgere al riguardo alcune considerazioni. Dai dati che sono stati esposti in Commissione, il numero dei reati commessi da minori non sembra cresciuto notevolmente negli ultimi anni, ma ne è senza dubbio peggiorata la qualità, nel senso che è più elevato il numero dei reati gravi e delle recidive, segno, quindi, che non hanno ben funzionato i sistemi per la rieducazione.
Inoltre, le presenze negli istituti di detenzione minorile sono notevolmente scese negli ultimi anni grazie ad una serie di strumenti che evitano al minore di scontare la pena in detenzione; secondo stime della Direzione Centrale per la giustizia minorile sono 25.000 in Italia i minori condannati o in corso di essere giudicati da un tribunale che si trovano fuori dal carcere.
Si tratta però di valutare come questi minori che hanno commesso reati, ma ai quali è permesso di scontare la pena fuori dal carcere, vengono poi seguiti. Si deve quindi nuovamente parlare della carenza o almeno della non omogeneità delle strutture territoriali presenti nel paese per la rieducazione del reo.
D'altra parte, solo il 30-40% dei minori delinque per debolezza o trascuratezza, mentre il restante 60% commette reati su istigazione del maggiorenne, o, meglio, sono le organizzazioni criminali che li arruolano perché è ben noto che un minore è punito in maniera diversa per il reato commesso e inoltre costituisce una "manovalanza" a costi più bassi.
La situazione tra il nord e il sud del Paese è comunque molto differenziata. Al sud si è registrata una forte componente minorile all’interno delle organizzazioni criminali, si sta parlando di minori imputati per concorso in associazione mafiosa o per pluriomicidio, mentre al nord è più grave il coinvolgimento dei minori nello spaccio di sostanze stupefacenti: a Milano un ragazzo guadagna 2-3 milioni a settimana spacciando droga, a Gela un ragazzo per 500 mila lire può uccidere una persona. Si deve tuttavia riflettere sul fatto che rinchiudere in un istituto penitenziario un minore che si è macchiato di certi reati non fa altro che aumentare la sua aggressività. Egli ben presto diverrà, come è stato detto da autorevoli psicologi in Commissione, un leader all’interno della stessa struttura carceraria; ma quale misura alternativa gli si può applicare sperando nel buon esito della stessa, se mancano strutture e personale? E come si fa a pensare di rimandare il minore nello stesso ambiente familiare, se è da lì che parte l’impulso a delinquere?
Il modo di pensare la detenzione carceraria dei minori in Italia, peraltro, è molto all’avanguardia rispetto anche a paesi come la Francia o l’Inghilterra perché le strutture improntano la loro attività sulla rieducazione.
Il minore soggiorna nelle celle solo per dormire, mentre dalla mattina alla sera è occupato con una serie di attività di recupero, di svago e di preparazione professionale. Degno di citazione l’esempio che ha portato in Commissione il direttore del carcere di Airola (NA), ove si sta per creare, in un’ala esterna della struttura carceraria, una sezione della scuola alberghiera di Stato di Benevento, per permettere ai giovani detenuti d’imparare una vera professione da poter esercitare una volta scontata la pena.
Enormi sforzi, perché il personale all’interno delle carceri, tra tecnici, educatori, assistenti sociali solo per citarne alcuni, è molto carente: dovrebbero essere, secondo il centro di giustizia minorile, 1.249, mentre ne sono operativi 684, senza poi parlare del personale amministrativo e direttivo.
Un altro problema presente con incidenza al nord è quello della forte presenza dei minori stranieri.
Il fatto che in strutture come quelle di Torino o Milano la percentuale di stranieri sia superiore al 50% non vuol dire, però, che questi stranieri delinquono di più di quelli italiani, significa al contrario che ad un minore straniero entrato clandestinamente e del quale si ignorano le esatte generalità, non si possono applicare le misure alternative alla detenzione in carcere.
Purtroppo sembra che le strutture italiane si siano trovate impreparate ad affrontare questo afflusso di minori stranieri. Mancano strumenti di supporto per una loro rieducazione, personale specializzato che conosca la loro cultura (ed infatti la reiterazione del reato da parte degli stranieri è molto diffusa) e che sappia comprendere le realtà da dove provengono.
Cosciente che il quadro delineato non ricomprende tutta la problematica della giustizia minorile, la Commissione ritiene di poter avanzare alcune proposte, auspicando se non per questa, per la prossima legislatura, l’approvazione di provvedimenti di grande importanza.
In particolare, la Commissione auspica che:

I contenuti dell’analisi e delle proposte sviluppate sopra possono essere sintetizzati nello schema allegato.

Tabella 1.

Schema delle proposte conclusive in materia di giustizia minorile

FATTORI DI RISCHIO
DELLA DEVIANZA MINORILE
PROPOSTE DI PREVENZIONE
DEL FENOMENO DELLA DEVIANZA MINORILE
Dispersione scolastica Introduzione nella scuola di figure specializzate che integrino il ruolo dell’insegnante
Scuola a tempo pieno con attività integrative
Degrado territoriale Promozione degli interventi proposti dalla legge n. 285/97
Creazione di Osservatori sulle problematiche dell’infanzia , di centri di risocializzazione nei quartieri a rischio e di centri di accoglienza per i minori
Ampli amento del personale qualificato sul territorio
Abbandono familiare Azione di supporto alle famiglie tramite i servizi sociali e le scuole

 

PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA CRIMINALITÀ MINORILE

PROVVEDIMENTI DI RECUPERO
DELLA CRIMINALITA’ MINORILE

Legislazione per i minori disorganica Approvazione di un testo unico comprensivo di tutta la materia relativa alla giustizia minorile
Approvazione dell’ordinamento per i servizi minorili
Aumento dei reati gravi commessi da minori Istituzione di un Tribunale per la famiglia in sostituzione dell’attuale tribunale per i minori
Esistenza di vere e proprie scuole criminali per minori Inserimento di un magistrato competente in giustizia minorile nelle organizzazioni antimafia ed anticamorra
Forte presenza di minori stranieri nelle carceri minorili Potenziamento del personale degli istituti penitenziari minorili e massima specializzazione per far fronte alle esigenze dei minori stranieri

4. Affidamento, affido e adozioni

Su questo tema si sono svolte le seguenti audizioni:

Nel corso dell’indagine conoscitiva sull’attuazione della Convenzione di New York, la Commissione bicamerale per l’infanzia ha ritenuto di approfondire la materia delle adozioni e degli affidi. In particolare la legge di ratifica della Convenzione fatta a L’Aja il 29 maggio 1993 (legge n. 476/98) ha sostanzialmente modificato il quadro precedente e ha imposto alcune riflessioni.
La prima normativa italiana sulle adozioni risale alla legge n. 431 del 1967 perfezionata in seguito dalla legge n .184 del 1983 attualmente in vigore, che ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’adozione legittimante, rivoluzionando il concetto di adozione esistente sino a quel momento, in quanto l’adozione è stata concepita come strumento a totale interesse del minore e non degli adulti, che fino a quel momento avevano addirittura potuto "scegliere" il minore in istituto.
"Il minore ha diritto ad essere educato nell’ambito della propria famiglia": con questa citazione si apre tutto il lungo iter della legge n. 184, che ha riguardato la disciplina dell’affidamento dei minori, l’affidamento preadottivo, l’adozione internazionale.
Pur riconoscendo la legge n.184 come un valido e buono strumento normativo, il legislatore in questi ultimi anni ha compiuto una positiva riflessione per introdurre alcuni accorgimenti dettati dall’esperienza del poi. Difatti, non solo tutta la delicata normativa sulle adozioni internazionali è stata rivista, ma un lungo lavoro si sta compiendo anche per novellare il restante testo della legge n..184, in special modo per l’innalzamento della differenza d’età tra adottato ed adottanti, per quanto riguarda le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici, e al fine di perfezionare lo strumento dell’affidamento familiare.
La Commissione, nel rispetto dei suoi poteri d’indirizzo e controllo, ha dato luogo, nel corso del suo mandato, ad alcune audizioni specificatamente sul tema dell’applicazione della nuova normativa sulle adozioni internazionali. Si è ritenuto opportuno, infatti, non esprimere valutazioni sulla riforma della legge n. 184 nella sua globalità, in quanto il suo iter legislativo era già in corso nelle aule del Senato.
Il 31 dicembre 1998, è dunque entrata in vigore nel nostro Paese la legge n. 476 di ratifica della Convenzione in materia di adozioni internazionali fatta a L’Aja il 29 maggio 1993, novellando così la precedente legge n.184/83.
Con questa legge di ratifica l’Italia ha assolto un importante dovere di adattamento della propria legislazione sui minori ai principi sanciti a livello internazionale, creando forti aspettative verso un sistema incentrato su una maggiore facilitazione e legalità, nell'interesse superiore del minore.

La modifica sostanziale al precedente sistema riguarda:

Il vecchio art. 38 della legge n.184/83 disciplinava in poche righe che "Il Ministro per gli Affari Esteri, di concerto con il Ministro di Grazia e Giustizia, può autorizzare enti pubblici o altre organizzazioni idonee allo svolgimento delle pratiche inerenti alle adozioni internazionali", mentre solo nel giugno del 1985 si è giunti ad un regolamento di attuazione con il decreto interministeriale intitolato appunto "Principi e criteri per il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento delle pratiche inerenti all’adozione di minori stranieri da parti di enti ed organizzazioni". I requisiti per ottenere l’autorizzazione erano precisati nell’avere personalità giuridica, e nel fatto che vi fosse mancanza di ogni finalità di lucro e un’adeguata struttura organizzativa ed operativa.
Il fatto che il citato art. 38 della legge n. 184 non prevedesse l’obbligatorietà dell’autorizzazione per procedere all’attività d’intermediazione e considerando che lo stesso decreto interministeriale del 1985, pur buono nell’individuazione dei principi che poneva come requisiti per gli enti, comportava una eccessiva lunghezza di tempi e di procedure (specialmente per il riconoscimento della personalità giuridica) è una premessa importante per comprendere quanto è avvenuto in seguito.
Alla fine del 1986 solo quattro enti avevano chiesto ed ottenuto l’autorizzazione per l’intero territorio internazionale e nel 1995 , anno in cui l’Italia firmò la Convenzione dell’Aja, gli enti che avevano un riconoscimento formale all’adozione internazionale erano solamente 10.
Un dato ancora da segnalare è che dall’entrata in vigore della legge n.476, quindi dal 31 dicembre 1998 fino al 2 maggio di quest’anno, quando cioè la Commissione per le adozioni internazionali è divenuta operativa, gli enti sono aumentati a 31.
Una crescita esponenziale di richieste di autorizzazioni, probabilmente da addursi al timore degli enti, che fino a quel momento avevano operato liberamente, di vedersi negata l’iscrizione all’albo.
Se si pensa che nel quinquennio 1995/1999 il numero delle adozioni internazionali realizzate nel nostro Paese è stato di 12.479, delle quali per la quasi totalità rimangono sconosciute le procedure utilizzate, è comprensibile l’allarmismo che ha spinto il legislatore alla ratifica della Convenzione dell’Aja.
In effetti la nuova normativa prevista dalla legge n. 476/98 ruota intorno alla figura di questa commissione centrale che non solo procede a controlli periodici sugli enti autorizzati per riscontrarne la capacità strutturale e tecnica, ma effettua anche un non facile monitoraggio su tutte le adozioni da questi enti effettuate.
Se il principio della Convenzione è stato, infatti, quello di trasformare l’atto dell’adozione in uno strumento di solidarietà e di sostegno ad un minore in stato di abbandono e povertà, e non in un mezzo per il soddisfacimento dei bisogni di una coppia di adulti, allora, prima di sradicare un minore dalla propria terra è necessario sapere con esattezza da dove provenga il bambino, se sia stato adottato nei suoi confronti un decreto di adottabilità dal Paese d’origine e se le eventuali condizioni di indigenza e povertà in cui vivono le famiglie di questi bambini siano condizione sufficiente per affidarli ad una famiglia "benestante".
Per anni infatti è esistito un "mercato di bambini", come giustamente è stato definito, mentre la nuova normativa opera affinché questa dizione venga dimenticata per sempre.
Al riguardo sembra che ancora oggi le adozioni avvengano in Paesi che non hanno né firmato né ratificato la Convenzione dell’Aja, e purtroppo si deve constatare che spesso i minori vengono ricercati in questi Paesi perché le procedure sono più facili. Se questo è vero la Commissione auspica che l’organo centrale di controllo eserciti tutta la sua autorità per controllare che l’adozione si perfezioni secondo regole certe e conformi ai principi della Convenzione.
Il 1° dicembre 1999, è stato emanato, col D.P.R. n. 492, il Regolamento recante le norme per la costituzione, l’organizzazione ed il funzionamento della Commissione per le adozioni Internazionali, che di fatto ha reso operativa la legge n. 476.
Occorre ricordare che i requisiti richiesti dall’art. 39-ter della legge n. 476/98 per considerare un ente autorizzato a svolgere le adozioni internazionali sono i seguenti:

E’ subito evidente che con la nuova normativa è scomparso il requisito della personalità giuridica.
Altro elemento da sottolineare è che l’art. 39-bis evidenzia un ruolo importante per le Province e per le Regioni.
Questi Enti, infatti, con la nuova legge dovranno svolgere, oltre ad interventi di formazione, una funzione di rete tra i servizi territoriali sociosanitari, gli enti autorizzati ed i tribunali dei minori, privilegiando lo strumento dei "protocolli operativi". In effetti, risulta che, alla data del 5 novembre 1999, già dieci regioni o Province autonome si erano attivate per dare applicazione alla legge 476/98 e garantire "livelli adeguati d’intervento".
Un altro organo che entra a far parte del circuito per il perfezionamento dell’adozione internazionale è il Tribunale dei minori, al quale gli aspiranti genitori adottivi presentano la "dichiarazione di disponibilità" ad "accogliere" un minore straniero; il tribunale stesso, avvalendosi delle relazioni fornite dagli esperti dei servizi socioassistenziali non solo rilascia il decreto d’idoneità o non idoneità all’adozione, ma verifica e valuta, nel corso dei procedimenti successivi, la documentazione italiana e estera, la regolarità degli stessi procedimenti ed ordina la trascrizione del provvedimento di adozione nei registri di stato civile.
Sono stati così individuati tutti gli organi preposti dalla legge al concorso dell’avviamento e del perfezionamento dell’adozione internazionale:

Ricostruito il momento procedurale dell’adozione internazionale secondo la nuova normativa, la Commissione bicamerale per l’infanzia, nel corso delle audizioni dei rappresentanti degli enti autorizzati e non, di Presidenti dei tribunali per i minori, dei rappresentanti degli enti locali e del Presidente della Commissione per le adozioni internazionali, ha rilevato alcuni aspetti problematici che i rappresentanti delle varie categorie hanno evidenziato nel corso delle loro relazioni alla commissione.
Appare in questa sede doveroso segnalare che il collegamento territoriale che la legge ha voluto fortemente valorizzare è lontano nella maggior parte del Paese dall’essere una realtà concreta: manca spesso, in altri termini, un coordinamento soprattutto tra i servizi territoriali e gli enti autorizzati che si sentono entrambi detentori delle medesime competenze e restii ad una seria collaborazione. A farne le spese sono purtroppo le famiglie costrette a volte a dover ripetere gli esami ed i colloqui con gli psicologi sia per i servizi territoriali che per l’ente, con un incremento di spese, ma soprattutto di complicazioni a livello emotivo.
E’ pur vero che in molte regioni, specialmente nei comuni più piccoli, è stata registrata una forte carenza di servizi che non solo incide in senso negativo riguardo alla cooperazione con gli enti, ma rallenta notevolmente anche le procedure per ottenere il decreto d’idoneità da parte del Tribunale: è infatti in base alla relazione stipulata dai servizi che il tribunale decide l’idoneità o la non idoneità all’adozione.
Per ovviare a questi inconvenienti, appare necessario un intervento tempestivo delle regioni, che stimolino tavole rotonde tra enti, servizi e rappresentanti del tribunali per stilare protocolli operativi, ed intervenire là dove le carenze strutturali siano maggiormente evidenti.
Inoltre sarebbe opportuno che le Regioni facessero una scelta di partecipazione o di compartecipazione alle spese sostenute dalle famiglie necessarie per la stesura della documentazione che va al tribunale, secondo un principio di sussidiarietà che si evince dalla Convenzione stessa. Attualmente solo 5 Regioni hanno disposto la partecipazione alle spese per le prestazioni sostenute dalle famiglie.
Con la nuova normativa, l’intervento delle regioni è divenuto quasi un obbligo nei confronti della comunità , in quanto la legge n. 476/98 impone alle famiglie che intendono avanzare una richiesta di adozione di avvalersi soltanto degli enti e delle strutture della loro regione: un comportamento omissivo rischia quindi di creare delle discriminazioni territoriali riguardo alle opportunità offerte alle famiglie.
Sempre con riferimento alle Regioni, si è riscontrato, con la pubblicazione dell’albo degli enti autorizzati, (deliberazione 18 ottobre 2000 della Commissione per le adozioni internazionali, pubblicata nel S.O., n. 179 alla G.U n. 255 del 31 ottobre 2000) che purtroppo due regioni, il Molise e la Valle d’Aosta non dispongono di enti, perché nel primo caso è stata negata l’autorizzazione ad un ente e nell’altro non sono state presentate richieste. Dato che l’art. 39-bis dà facoltà alle regioni di istituire un proprio servizio che abbia le stesse caratteristiche e svolga la medesima attività degli enti autorizzati, sarebbe auspicabile che le regioni in questione attivassero il menzionato articolo.
Per il momento la nuova realtà delle adozioni internazionali e dell’albo degli enti autorizzati è ancora in divenire, sta crescendo ed ha bisogno di crescere.
Si tratterà, allora, di creare quella rete di servizi di cui prima si è accennato, assicurando che in tutte le regioni sia possibile disporre di almeno un ente che permetta adozioni internazionali in tutti i paesi stranieri; sarà altresì necessario procedere ad accordi bilaterali con quei Paesi che non hanno sottoscritto né ratificato la Convenzione dell’Aja, e aiutare e sostenere la famiglia che ha effettuato un’adozione a costruire una nuova identità familiare con un bambino di un paese diverso.
A conclusione di questa breve panoramica sulle adozioni internazionali, è bene ricordare nuovamente che l’art.1 della legge n.184 stabilisce che "Ogni bambino ha diritto di essere educato nell’ambito della propria famiglia".
Così un bambino straniero ha diritto di crescere nell’ambito della propria terra e del proprio Paese d’origine; così all’adozione internazionale è giusto ricorrere unicamente quando nel paese d’origine tutto si è cercato di fare affinché il bambino in abbandono trovi nella sua patria la famiglia sostitutiva che gli è venuta a mancare.

5. Il fenomeno della pedofilia

Su questo tema sono state svolte le seguenti audizioni:

Gli eventi bellici che hanno scosso i Balcani e le conseguenti ripercussioni sulle migliaia di profughi, in particolare minori, sono stati occasione di dibattito anche all’interno della Commissione bicamerale per l’infanzia, che ha effettuato una missione nel giugno 1999 presso il campo profughi di Comiso, al fine di conoscere più da vicino le problematiche connesse ai flussi migratori sul nostro territorio, verificando altresì quali fossero le condizioni di permanenza nei campi di accoglienza.
Si è quindi avuto modo di riflettere sul legame purtroppo esistente tra immigrazione e tratta delle persone, con particolare riferimento a donne e minori, destinati al mercato dello sfruttamento sessuale e della prostituzione. In questo delicato quadro, anche il fenomeno dei minori scomparsi è apparso strettamente correlato a queste tematiche.
A conclusione di un lavoro di approfondimento effettuato soprattutto con audizioni di esperti, tra cui anche i responsabili della polizia postale e delle comunicazioni, che è il corpo di polizia specializzato nella lotta alla pedofilia via internet, la Commissione ha messo a punto una risoluzione in materia di pedofilia il cui testo è stato concordato tra tutti i gruppi parlamentari.
Il percorso si è svolto lungo le seguenti linee direttrici:

Per ciò che concerne il sistema dei minori scomparsi, i dati forniti dal Ministero dell’Interno parlano di 6.870 denunce di scomparsa di minori tra il 1998/1999, di cui 3380 nel 1998 e 3.490 nel 1999; 5202 sono stati rintracciati o sono ritornati spontaneamente a casa (circa l’80%), mentre 1668 sono ancora irreperibili.
Rispetto a questi dati, occorre svolgere alcune considerazioni.
La grande maggioranza dei minori scomparsi sono stranieri entrati nella quasi totalità dei casi in Italia clandestinamente che si allontanano dai centri di accoglienza.
Dei 1668 minori ancora da rintracciare, infatti, 1448 sono minori stranieri per lo più albanesi e marocchini, mentre solo 240 sono rappresentati da minori italiani; inoltre, l’80% degli scomparsi italiani si sono volontariamente allontanati dal proprio domicilio e alcuni sono stati sottratti da uno dei coniugi durante il procedimento di separazione.
L’attività di contrasto del Ministero dell’Interno italiano per i minori scomparsi prevede:

Quando arriva una segnalazione di scomparsa, le generalità anche somatiche del minore vengono inserite in una banca dati disponibile a tutte le forze di polizia, dopo di che viene data comunicazione della scomparsa a tutti gli uffici territoriali tramite telex (se occorre anche su territorio internazionale mediante l’Interpol); le sezioni specializzate si attivano invece solo in un secondo momento in azioni di ricerca ed investigazione.
Secondo il Ministero dell’Interno (cfr. audizione del Ministro Bianco del 25 ottobre 2000), dagli attuali riscontri operativi non si sono evidenziati sul territorio nazionale casi di sottrazione di minori da parte delle organizzazioni criminali per il successivo sfruttamento sessuale, escludendosi altresì l’esistenza di un traffico di minori finalizzato al commercio di organi umani.
Riguardo al contrasto alla pedofilia on-line, esiste nella sede centrale della Direzione del Servizio di polizia postale e delle comunicazioni, una sede operativa per il solo contrasto della pedofilia on-line, e più di 19 compartimenti territoriali, quasi uno per ogni Regione.
Alla data del 10 ottobre 2000 sono stati monitorati 3.363 siti che hanno portato a 19 arresti, 28 persone sottoposte a provvedimenti restrittivi, 281 persone sottoposte ad indagini e 177 a perquisizioni, 465 segnalazioni a servizi investigativi stranieri per un totale di 791 fascicoli trattati.
Questi risultati sono stati ottenuti anche grazie all’attività di copertura prevista dalla L.269/98, che permette, su delega del magistrato, di ricorrere, ad alcuni "agenti provocatori" per ottenere scambi di materiale.
Attualmente non sono stati registrati siti italiani che vendono materiale a contenuto pedopornografico, per questo le ricerche della sezione antipedofilia su Internet vengono concentrate
sull’individuazione dei soggetti che comprano il materiale e sul monitoraggio di chat e newsgroup create per l’adescamento di minori.
Attività che, sempre dalle informazioni fornite dal ministro, consistono prevalentemente nell’intercettazione dell’utenza telefonica che ha effettuato la chiamata per il collegamento per poi arrivare all’identificazione della persona. A questo proposito è stato segnalata la necessità del coinvolgimento in queste attività delle grandi aziende di provider, in quanto sono loro che conservano nei cosiddetti file di log il CALLER ID (identificatore del chiamante) per identificare l’utenza telefonica nonché delle grandi aziende di software ed hardware per cercare di inserire attività di filtro.
Nel corso delle audizioni, tuttavia, pur avendo avuto conferma del fenomeno crescente della pedofilia su Internet e del commercio di bambini che vi è dietro per la creazione di materiale da inserire nella rete, ci si è resi conto che in realtà la pedofilia su Internet non è che una piccola parte di un fenomeno più complesso.
In effetti, un’analisi più attenta, mette in luce due aspetti che bisogna tenere ben distinti:

In particolare, per quanto riguarda il secondo aspetto, sono stati evidenziate in Commissione alcune difficoltà che ostano al raggiungimento di un buon sistema di prevenzione:

  1. il vincolo del legame di sangue può essere d’ostacolo per la tutela del minore. Nel nostro sistema infatti, solo in casi particolarmente gravi ed eclatanti i giudici decidono la decadenza dalla patria potestà, perché il principio di fondo è che il minore debba rimanere per quanto possibile nella sua famiglia naturale. Al riguardo, sono tuttavia da segnalare alcune anomalie, visto che in molti casi il permanere nell'ambito delle mura domestiche o del proprio contesto familiare è di per sé elemento di pregiudizio per il minore.
  2. Si dovrebbe, inoltre, valorizzare la figura del medico scolastico per favorire l’individuazione di violenze o maltrattamenti: promuovere quindi una "cultura della segnalazione" rivolta ai docenti, e dagli insegnanti alle autorità competenti, per identificare sin da subito situazioni di disagio.
  3. Appare infine necessario potenziare i servizi territoriali: una volta presentata un'eventuale denuncia, il tribunale infatti dà incarico ai servizi territoriali di svolgere i dovuti accertamenti e di preparare una relazione. Purtroppo la carenza di personale ritarda naturalmente i tempi per queste relazioni, rallentando tutto il corso del procedimento e aggravando il disagio del minore.

Quanto alle cause che inducono a comportamenti pedofili, mentre per alcuni studiosi si tratta di una psicopatologia ossessiva legata a disturbi di natura sessuale, altri la spiegano in riferimento ad eventi e relazioni traumatiche vissute dal soggetto soprattutto in età infantile, o a gravi carenze nella formazione della propria identità.
La distinzione più comune è quella fra:

In Italia ancora non si è iniziato a prevedere una cura specifica per i pedofili anche se, come il ministro della Sanità ha ben spiegato in Commissione, si sta cercando di avviare uno studio che, partendo dalla considerazione di base per cui la gran parte dei pedofili detenuti in Italia presentano una psicopatologia ossessiva con una forte carica di aggressività puramente sessuale, sperimenti una cura che inibisca questi stimoli agendo a livello subcerebrale. D’altro canto l’art. 17 della L. 269/98 prevede programmi di recupero per coloro che, riconosciuti responsabili dei delitti di pedofilia, ne facciano apposita richiesta.
A conclusione degli approfondimenti svolti, la Commissione ha ritenuto di formulare le seguenti proposte, tradotte anche in specifici impegni al Governo (risoluzioni n. 7-01024 Cavanna Scirea ed altri e 7-00032 Montagnino ed altri: iniziative in materia di pedofilia):

CONCLUSIONI

I temi concernenti l'infanzia sono molteplici, la Commissione non ha avuto la possibilità di affrontarli tutti e, del resto, come emerge dalla tabella allegata, sono ancora molti i provvedimenti all'esame delle Commissioni di merito, il cui iter probabilmente non si concluderà entro la fine della legislatura.
L'auspicio è che le misure contenute in tali progetti di legge possano essere esaminate con la massima urgenza dalle nuove Camere.
L'auspicio è altresì che si addivenga alla costituzione della Commissione parlamentare per l'infanzia sin dall'inizio della legislatura, senza ritardi che mal si conciliano con le esigenze dell'infanzia e dell'adolescenza, una materia che ha visto tutti i gruppi parlamentari lavorare sostanzialmente in sintonia con impegno costante e con l'obiettivo comune di rendere la Commissione un osservatorio parlamentare specifico e un punto di riferimento rispetto ad una materia che davvero necessita di un'attenzione particolare e specializzata.

Allegato 1

TABELLA RIASSUNTIVA DEI PROGETTI DI RILIEVO IN ITINERE

 Adozione ed affidamento dei minori (C. 79 Bolognesi, C. 187 Guidi, C. 1781 Melandri, C. 2379 Gambato, C. 3142 Storace, C. 3573 Dalla Rosa, C. 4636 Scoca, C. 4993 Gambato, C. 6056 Galletti, C. 6343 Grimaldi, C. 6423 Cè e C. 7487 – relatore on. Serafini), approvato dal Senato e approvato, con modificazioni, dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati, in sede redigente, il 20 febbraio 2001.

Difensore civico per l'infanzia (C. 4344 Pozza Tasca, C. 5411 Biricotti, C. 7158 Paissan e C. 7388 Governo - relatore on. Scoca), in discussione, in prima lettura, presso la Commissione affari costituzionali, in sede referente, costituito un comitato ristretto.

Violenza nelle relazioni familiari (S. 2675/B Governo), approvato dal Senato il 29 aprile 1999, approvato, con modificazioni, dalla Camera, nella seduta del 30 gennaio 2001, assegnato in Commissione giustizia del Senato, ove non è ancora iniziato l’esame.

Certificazione di conformità sociale (C. 6126 e abbinate C. 3269 Paissan, C. 5436 Rizza, C. 5823 Valetto Bitelli, C. 5984 Leccese, C. 6135 Labate, C. 6152 Gardiol – relatore on. Ruggeri), approvato dal Senato, in discussione presso la Camera dei Deputati in Assemblea.

Misure contro la pornografia minorile (C. 5103 Butti, C. 7321 Volonté, C. 7343 Mussolini e C. 7499 Simeone - relatore on Serafini), in discussione, in prima lettura, presso la Commissione giustizia della Camera, in sede referente.

Tratta di persone (C. 5350 Pozza Tasca, C. 5839 Governo, C. 5881 Albanese al 12 febbraio 2001 - relatore on. Finocchiaro), in discussione, in prima lettura, alla Camera in Assemblea (esame degli emendamenti).

Interventi di contrasto alla criminalità minorile (C. 7224 Governo) presentato il 17 luglio 2000, non ancora esaminato.

Applicazione ai minorenni delle sanzioni penali (C. 7225 Governo) presentato il 17 luglio 2000, non ancora esaminato.

Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli (C. 7411), approvato dal Senato il 2 novembre 2000, non ancora esaminato alla Camera.

Asili nido (Testo unificato C. 888 Giacco, C. 2803 Dedoni, C. 3893 Schmid, C. 4383 Valpiana, C. 5847 Burani Procaccini e C. 5838 Governo - relatore on. Chiavacci) approvato un testo unificato da parte della Commissione affari sociali della Camera e affidato mandato al relatore a riferire favorevolmente all’Assemblea.

Norme per la prevenzione degli abusi sui minori e contro la pedofilia (S. 3045 Mazzuca Poggiolini, S. 4823 Rescaglio e altri, S. 4847 Carla Castellani e altri, S. 4871 Bruno Ganeri, S. 4898 Athos De Luca - relatore sen. Bruno Ganeri), in corso di esame, in prima lettura, presso la Commissione speciale in materia d’infanzia del Senato.

Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori (C. 4426/B Governo, C. 5722 Buffo), approvato dalla Camera il 27 luglio 2000, trasmesso dal Senato con modificazioni il 7 febbraio 2001, non ancora iniziato l’esame in Commissione giustizia della Camera.

Norme per l'inserimento di messaggi pubblicitari durante la programmazione radiotelevisiva dedicata ai minori (S. 3694 Athos DE LUCA - relatore sen. Petruccioli) in corso di esame presso la Commissione lavori pubblici e comunicazioni del Senato in sede referente.

Psicologo scolastico (S. 2967 Salvato e Capaldi, S. 2888 Scopelliti e Pera, S. 1829 Florino e altri, S. 3345 Athos De Luca e altri, S. 3620 Lo Curzio e altri, S. 3866 Monticone e Rescaglio - relatore sen. Daniele Galdi), in stato di relazione presso il Senato, approvata la richiesta della sede deliberante.

Allegato 2

Testo del parere della Commissione parlamentare per l’infanzia sul Piano d’azione nazionale 2000-2001 per l’infanzia e l’adolescenza, ai sensi dell’art. 2, della legge 23 dicembre 1997, n. 451, espresso nella seduta del 28 marzo 2000.

La Commissione parlamentare per l’infanzia premesso che il Piano:

  1. è stato per la prima volta predisposto dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza ai sensi dell’art. 2 della legge 451/97;
  2. è il documento programmatico che traduce in azioni concrete gli impegni assunti dai Governi relativamente ai diversi articoli della Convenzione di New York;
  3. enuncia il programma nazionale formulato per favorire il raggiungimento dei diritti dell'infanzia in Italia: assieme all'impegno per armonizzare la legislazione nazionale ai principi stabiliti dalla Convenzione di New York, si ispira, infatti, ai diversi articoli della Convenzione stessa, ma, ancor più, allo spirito di questa;
  4. ha positivamente scelto l'approccio dei "diritti" del bambino come persona, ridefinendo una cultura e un’etica della convivenza tra generazioni;
  5. è uno strumento che indica nella concertazione un’essenziale metodo di lavoro; esso stesso infatti nasce dal confronto e dalla interpretazione delle indicazioni preziose delle associazioni di volontariato, del mondo della cooperazione sociale, delle categorie professionali, dei cittadini: è inoltre il frutto del confronto di tutti i Ministeri, e del proficuo lavoro dell’Osservatorio, che ha tenuto conto di tutte le istanze istituzionali e della società civile;
  6. può diventare un mezzo di mobilitazione dell'intera comunità, creando una grande alleanza tra istituzioni e società per il riconoscimento e la garanzia dei diritti dei bambini che nessuno da solo è in grado di assicurare;
  7. ha il merito di andare oltre la cultura della emergenza fine a se stessa, che ha caratterizzato per decenni l’attenzione delle istituzioni pubbliche nei confronti dell’infanzia e dell’adolescenza;

rivolge

  1. apprezzamento per l’ampio ed encomiabile lavoro svolto, che rappresenta un importante contributo sotto il profilo della conoscenza e delle informazioni, nella condivisione peraltro degli indirizzi e delle valutazioni prospettate;

  2. rileva

  3. la necessità di definire in modo più preciso e dettagliato le indicazioni metodologiche, gli aspetti operativi e i tempi degli interventi. Ciò potrà superare la presente difficoltà di tradurre le ampie linee di indirizzo del Piano in politiche ed obiettivi di programma che siano sinergici con il territorio ed efficaci per i soggetti destinatari;
  4. la necessità di rendere esplicita la meta cui gli impegni programmati intendono pervenire in relazione alle risorse finanziarie e umane da destinare, ai risultati attesi e alla valutazione degli stessi;

osserva

  1. che l'elencazione dei settori di impegno e dei singoli interventi caratterizza, il Piano più come una carta di intenti che come uno strumento tecnico privilegiato per rendere pratica quotidiana i principi enunciati nella Convenzione e nelle leggi nazionali. Sarebbe quindi necessario l'inserimento di una breve relazione di analisi del sistema dei servizi che il Piano intende trasformare, esplicitando maggiormente i processi tramite cui si prevede di trasformare i servizi nelle direzioni individuate;
  2. che è importante l’esatta indicazione, come del resto prevede l’art. 2 della legge 451/97, delle modalità di finanziamento degli interventi previsti nel Piano stesso; mancando questa previsione, ma restando tuttavia il Governo titolare di tutte quelle eventuali correzioni e integrazioni che si riterrà necessario apportare al Piano in corso d’opera, sarà opportuno prevedere un successivo momento di confronto, nell’ambito del quale il Governo renda conto alla Commissione delle modifiche da realizzare. Sarebbe efficace far coincidere questo momento di confronto con l’esame in Parlamento della legge finanziaria;
  3. sottolinea

  4. l’urgenza della redazione di un testo unico dei diritti dei minori e delle norme protettive a loro favore, sistematizzando una legislazione oggi spesso disorganica e non omogenea, contenuta in provvedimenti legislativi molto diversi anche temporalmente, talora destinati anche agli adulti

ESPRIME PARERE FAVOREVOLE FORMULANDO I SEGUENTI INDIRIZZI:

In tema di servizi per l’infanzia, riqualificazione dell’ambiente, degli spazi e dei tempi della città:

  1. rendere disponibili così come ha già fatto per l'applicazione della legge 285/97, materiali di supporto (circolari, documenti, schede, dati, sito internet, manuali, banca dati, consulenti per progettazione, formazione, promozione), al fine di accompagnare i processi e chiarire tipologie e natura dei servizi, affidando al Centro nazionale di documentazione lo svolgimento di una indagine e di un censimento aggiornato sulla presenza dei servizi per l’infanzia sul territorio nazionale;
  2. prevedere, all'interno della già programmata campagna informativa di responsabilizzazione sui diritti dell'infanzia rivolta a tutta la popolazione, una particolare attenzione all'eradicazione dell'accattonaggio infantile, fornendo alle comunità locali strumenti concreti di contrasto (telefono per segnalazioni, nuclei di operatori per la presa in carico di ogni segnalazione);
  3. orientare politiche dei servizi che favoriscano la crescita del minore nel proprio nucleo familiare, anche attraverso il sostegno educativo-economico delle famiglie in difficoltà;
  4. valorizzare il progetto città dei bambini e delle bambine, promosso unitamente al Ministero dell’ambiente e approfondire maggiormente il rapporto tra pianificazione territoriale-urbanistica-ambientale e l’inserimento dei progetti di qualificazione degli spazi urbani per i bambini;
  5. coinvolgere il Ministero dei Trasporti per tutto il tema della viabilità (per esempio, incentivi agli enti locali per rendere gratuiti i servizi di trasporto pubblico per i minori, diminuzione del trasporto privato e del traffico nei centri storici e nelle vicinanze dei luoghi dell'infanzia, eccetera);
  6. coinvolgere il Ministero dei beni culturali nella realizzazione di percorsi museali prevedendo, altresì, la gratuità dell'ingresso a musei e monumenti per tutti i minori, fino all’età prevista per la scuola dell’obbligo, come presa in carico collettiva della loro educazione al bello e all'appropriazione del territorio. Tale gratuità dovrebbe essere assicurata per tutte le iniziative culturali che hanno il patrocinio degli soggetti pubblici;
  7. rivolgere la dovuta attenzione al benessere materno-infantile, con l’emanazione delle attese linee guida per l'assistenza ostetrica e neonatologica appropriata e, nel quadro della più generale opera di deospedalizzazione, promuovere la creazione di case di maternità e di équipes ostetriche sul territorio per la continuità dell'assistenza nel periodo della gravidanza-parto-puerperio, l’assistenza al parto domiciliare, la dimissione precoce e l'assistenza domiciliare nel puerperio, il sostegno all'allattamento al seno;
  8. promuovere, tramite i consultori e le altre agenzie educative, campagne di informazione circa la consapevolezza dei bisogni dei neonati e dei bambini nei primissimi anni di vita, il sostegno psicologico e relazionale nei primi mesi come attività di prevenzione delle depressioni post-partum, la creazione di relazioni precoci per la prevenzione di patologie psichiche in età evolutiva;
  9. prevedere una corretta ospedalizzazione dei bambini, nei casi in cui essa debba ritenersi indispensabile, con la creazione di appositi reparti per ogni specializzazione, personale appositamente formato, il mantenimento del diritto all’istruzione, momenti ludici, possibilità per i familiari di assistenza continuata nei reparti stessi;
  10. considerare interventi formativi, oltre che per i genitori, per i nonni e per tutte le persone della comunità che sono coinvolte nel processo di crescita delle nuove generazioni;
  11. integrare il contenuto della legge n. 448/98 (che agli articoli 65-66 ha escluso i nuclei familiari immigrati, anche se regolarmente residenti nel nostro paese dalle prestazioni economiche per le famiglie con almeno 3 figli e gli assegni di maternità così come corretti dalla Finanziaria 2000 che ne prevede l'estensione alle madri straniere in possesso di carta di soggiorno), prevedendo provvidenze economiche e servizi sociali qualificati di sostegno alla maternità, nel percorso dalla nascita e alla genitorialità per tutti i nuovi nati sul territorio italiano, anche da madri in attesa del permesso di soggiorno, rifugiate e profughe, per le quali potrebbero divenire veicolo di miglioramento delle condizioni di vita e di emancipazione, con un utilizzo ottimale delle risorse impiegate rispetto all'impatto sociale e alla ricaduta degli effetti e dei vantaggi a lungo termine;
  12. un più forte impegno per rendere consapevoli i bambini sui loro diritti (per esempio, inviando il testo della Convenzione ONU alla famiglia di ogni nuovo nato, prevedendo discussioni e diffusione della conoscenza della Carta nelle scuole ad ogni livello);
  13. prevedere un coordinamento nazionale tra tutti i soggetti istituzionalmente preposti e le agenzie di supporto addette all'attuazione del Piano;
  14. tenere nella debita considerazione il problema dei bambini portatori di handicap prevedendo forme di sostegno e di integrazione;

in tema di percorsi formativi dell’adolescenza e rapporto scuola famiglia:

  1. inserire nel rilancio delle funzioni sociali dei consultori la previsione di servizi specifici per le e gli adolescenti e i preadolescenti, anche stranieri con l’inserimento di mediatori culturali;
  2. ampliare le finalità e la metodologia degli interventi relativi all’educazione alla salute;
  3. considerare con maggiore attenzione gli atteggiamenti estremi di alcuni adolescenti, spesso molto complessi, non solo legati a fenomeni di criminalità organizzata, bensì a difficili dinamiche sociali e di gruppo le cui motivazioni non sono neanche riconducibili solo alla marginalità sociale, ma anzi, come è stato detto da alcuni studiosi della materia "disagio dell’agio";
  4. prevedere approfonditi corsi di formazione per i docenti e per i genitori, specifici percorsi di crescita per gli adolescenti anche valutando le possibilità terapeutiche ed educative rappresentate dalle attività sportive, valorizzando, altresì, la loro creatività;
  5. monitorare il disagio giovanile nelle sue varie sfaccettature e non solo come riferimento di criminalità organizzata, anche istituendo appositi coordinamenti interistituzionali ("patti territoriali educativi") tali da promuovere e da favorire l’integrazione e l’apertura della scuola al territorio;
  6. introdurre nei corsi di studio e i programmi scolastici la conoscenza delle dinamiche economiche e sociali che il mercato del lavoro sottende;
  7. prevedere l’educazione alla multiculturalità che si rende sempre più necessaria a fronte del crescente numero di bambini immigrati che frequentano le classi delle scuole italiane;

in tema solidarietà internazionale e adozione internazionale:

  1. regolamentare il sostegno a distanza, comunemente ed impropriamente detto adozione a distanza, che presenta molte possibilità ma anche rischi e necessita di una specifica integrazione dell’attuale normativa, questo a garanzia della continuità degli interventi e della massima trasparenza nel gestire fondi e progetti. A questo riguardo, appare opportuno che il sostegno si indirizzi soprattutto in favore delle comunità, favorendo il principio informativo di privilegiare la crescita del minore in seno al nucleo familiare, quindi la particolare attenzione riservata alla fascia generazionale che ha più bisogno di sostegno, l’adolescenza, più facilmente assoggettata ai pericoli della strada, allo sfruttamento, al coinvolgimento degli adulti in attività illecite. Sarebbe inoltre opportuno creare un elenco degli enti autorizzati ad agire in materia ai fini di una maggiore trasparenza di questa forma di solidarietà internazionale. Fino alla costituzione di questo elenco, il Governo individuerà le modalità per operare in stretto collegamento con i soggetti della società civile (organizzazioni non profit) che hanno sviluppato iniziative di sostegno a distanza, e che rispondono a criteri di affidabilità serietà e trasparenza, per favorire la collaborazione con gli interventi di cooperazione internazionale e governativa;
  2. prevedere con forza, nel contesto di programmi di cooperazione, anche il problema della lotta al lavoro minorile, con strategie di incentivazione a favore dei paesi in via di sviluppo. In tal senso la cancellazione del debito estero dovrebbe essere accompagnata a specifici interventi di cooperazione e a progetti di recupero per l’infanzia nei territori interessati;
  3. contrastare, altresì, lo sfruttamento del lavoro minorile in Italia;
  4. considerare con la dovuta attenzione il fenomeno dei minori non accompagnati presenti sul territorio italiano, troppo spesso vittime di abusi, sfruttamento e maltrattamenti. A tale riguardo il Comitato per la tutela dei minori stranieri, recentemente istituito, dovrebbe monitorare le modalità di soggiorno dei minori presenti sul territorio nel massimo raccordo e coordinamento con tutti i servizi sociali, con le associazioni di volontariato e con tutti i soggetti comunque coinvolti nell’assistenza. A tal fine la composizione stessa del Comitato così prevista dall’art. 3, del DPCM 9 dicembre 1999, n. 535, dovrebbe essere riconsiderata nel senso di ampliarne la rappresentatività;
  5. considerare, altresì, con la dovuta attenzione il "fenomeno" del cosiddetto affidamento internazionale, che se non regolamentato nelle dovute forme, rischia di diventare un percorso parallelo e succedaneo a quello adozionale. A tal fine le competenze del Comitato per la tutela dei minori istituito con DPCM 9 dicembre 1999, n. 535, dovrebbero essere scrupolosamente attuate e osservate;
  6. tenere nella debita considerazione il problema dei bambini appartenenti alle comunità nomadi;
  7. individuare strumenti per tutelare i bambini e garantire loro i diritti di cui sono portatori, qualora intervengano situazioni di conflitto tra genitori appartenenti a nazionalità, etnie, religioni e culture diverse;

in tema di rapporto fra minori, tv e mass media:

  1. monitorare in modo permanente la programmazione televisiva. A tal fine ben ci si può avvalere della rete dei CORERT, anche se spesso si sottolinea la necessità di dare ad essi un nuovo impulso, recidendo le pastoie burocratiche e semplificandone il funzionamento. Il monitoraggio resta comunque un punto essenziale se si pensa che esistono 853 televisioni locali;
  2. adottare un segnale unico per la classificazione dei programmi;
  3. adottare un segnale unico per l’interruzione pubblicitaria;
  4. prevedere un sistema sanzionatorio più cogente delle eventuali violazioni poste in essere dalle emittenti televisive da applicare ad opera dell’Autorità garante per le comunicazioni. A tale riguardo la violazione dei codici di autoregolamentazione dovrebbe essere parificata alla violazione delle condizioni per la concessione o autorizzazione a trasmettere. L’inserimento del codice tra i capitolati di oneri per la concessione o, per la tv pubblica, tra gli oneri collegati al Contratto di Servizio con lo Stato, sarebbe lo strumento più efficace per garantire l’impegno assunto e rendere effettive le sanzioni. A ciò si può giungere anche prevedendo che qualsiasi convenzione, licenza, o autorizzazione contenga un disciplinare sulla tutela dei diritti dell'infanzia;
  5. prevedere l’obbligo di messa in onda di un messaggio di scusa in caso di violazione dei codici di autoregolamentazione, agendo sulla concessione a trasmettere come leva per reprimere i casi di violazione recidiva (si potrebbe andare dalla sospensione alla riduzione dei termini della concessione);
  6. incentivare campagne di informazione scolastica utilizzando il Fondo nazionale per l’infanzia istituito presso il Dipartimento affari Sociali della Presidenza del Consiglio per finanziare anche attività e progetti innovativi;
  7. promuovere un indice di gradimento qualitativo, in modo da superare l’attuale modello di rilevazione quantitativa del pubblico, spesso responsabile dei programmi scadenti o della corsa all’audience a scapito della qualità;

in tema di giustizia minorile:

  1. assicurare il miglior funzionamento degli uffici per minori da costituire in tutte le Questure, meglio definendo i requisiti attitudinali del personale e le attività di formazione dello stesso;
  2. realizzare strumenti concreti di comunicazione tra servizi sociali degli enti locali e organi giudiziari (anche attraverso la creazione di reti informatiche comuni ed uffici di coordinamento),
  3. adottare urgenti provvedimenti atti a semplificare e velocizzare le procedure e a rispondere all'importante obiettivo, per cui di tutti i problemi giudiziari riguardanti i minori si occupi un unico giudice. A tale scopo e affinché lo stesso giudice abbia competenze sia in materia minorile che familiare, giacché ogni difficoltà del minore si riversa sulla famiglia e ogni difficoltà di questa su di lui, appare non più rinviabile l'istituzione di un apposito Tribunale per minorenni e per la famiglia o, almeno, di una sezione per minori e famiglia presso ciascun tribunale ordinario. Al medesimo giudice è bene che spettino le competenze sia in materia civile che in quella penale riguardante i minori, sia che essi siano autori o vittime di reati;
  4. prevedere l'applicazione piena e continuativa della L. 216/91, mediante il rifinanziamento della legge e la creazione di più numerosi centri di accoglienza per minori e di centri di socializzazione nei quartieri a rischio. La situazione dei minorenni, specialmente in alcune realtà territoriali, è priva, infatti, di aiuto e di sostegno;
  5. prevedere équipes mobili che seguano i ragazzi all'esterno degli istituti penitenziari, riuscendo a collegarli ai servizi sociali, là dove questi esistono, per continuare quell'approccio che era iniziato dentro gli istituti stessi. Si dovrebbe trattare di équipes territoriali locali, adeguatamente potenziate anche per ciò che si riferisce al personale di polizia penitenziaria: a tale riguardo si potrebbero adottare provvedimenti urgenti e operativi atti a potenziare il personale e ad assicurare una sua ulteriore qualificazione, superando il provvedimento generale di blocco delle assunzioni, a fronte di concorsi banditi ed espletati, con graduatorie di idonei pronte;
  6. provvedere con urgenza all’approvazione dell'ordinamento per i servizi minorili, al fine di superare le presenti limitazioni dovute alla necessità da parte degli operatori di adattare in continuazione progetti e interventi pensati per gli adulti, a situazioni completamente diverse, quali sono quelle dei minori
  7. tenere conto anche sulla base dell'esperienza e dei suggerimenti offerti da responsabili e operatori, del valore e dell'efficacia per i ragazzi di età da 18 a 21 anni che devono scontare una condanna che va oltre il ventunesimo anno di età, di poter proseguire il percorso intrapreso nella struttura che li ha seguiti e che li sta seguendo, senza passare per il carcere degli adulti, dove la prosecuzione del trattamento diviene, di fatto, pressoché impossibile, con la conseguenza di vedere annullato il recupero e il reinserimento sociale. A tale scopo è da modificare l’art. 24 del decreto legislativo 272/89, aggiungendo uno specifico comma;
  8. procedere a una organica riforma delle strutture di attuazione dei diritti dei minori, da realizzare mediante l'istituzione di un ufficio di difesa del minore, con funzioni di promozione e di tutela, con particolare attenzione affinché in tutte le materie trattate dal giudice dei minorenni e della famiglia, la procedura sia eguale e improntata ai principi di rispetto dei diritti di difesa di tutte le parti in causa;
  9. dare urgente attuazione, attraverso la definizione dell’apposito decreto legislativo, all’art. 12 della legge 266/99, allo scopo di adeguare e di integrare la dotazione organica della giustizia minorile, provvedendo ad una straordinaria dotazione di risorse economiche in favore delle necessità strutturali, professionali e strumentali che il neo Dipartimento richiede, per riempire di contenuti operativi il nuovo corso.

       

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