Commissione Parlamentare Consultiva
in materia di riforma fiscale

RELAZIONE AL DECRETO LEGISLATIVO DI ATTUAZIONE DELLE DELEGHE PREVISTE DALL’ARTICOLO 3, COMMI DA 143 A 149 E 151, DELLA LEGGE 23 DICEMBRE 1996, N. 662, IN MATERIA DI IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE, SULL’IMPOSTA REGIONALE SULLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE E SULLA FINANZA LOCALE.

1. Premessa

Il presente decreto legislativo, che da attuazione a deleghe contenute nel collegato alla finanziaria per il 1997 (legge n. 662 del 23 dicembre 1996), concerne l’istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, la modifica dell’Irpef e il riordino della tassazione locale. Queste materie, unitamente alla revisione delle imposte sul reddito di impresa (oggetto di altro decreto legislativo, già inviato all’esame dell’apposita Commissione parlamentare), rappresentano un passaggio estremamente significativo e centrale del processo di riforma fiscale avviato dal Governo.

Vengono infatti introdotte profonde modifiche strutturali del sistema tributario vigente: si attua un significativo decentramento del prelievo dallo Stato alle regioni e agli enti locali, dotando questi livelli di governo dell’autonomia finanziaria necessaria per svolgere un’autonoma e responsabile politica di bilancio, presupposto di una evoluzione in senso federalista dell’assetto istituzionale dello Stato; si attua una drastica semplificazione del sistema tributario e contributivo; si rivede in profondità la tassazione sulle imprese; si modificano aliquote, scaglioni e ammontari delle detrazioni dell’Irpef promuovendo una maggiore equità nel trattamento fiscale delle famiglie, con particolare attenzione per quelle con figli.

La riforma cui si da attuazione con il presente decreto è disegnata a parità di gettito, con conseguente invarianza della pressione fiscale complessiva, e a parità di risorse finanziarie per i diversi livelli di governo. Le revisione dell’Irpef è finalizzata a compensare gli effetti di gettito e redistributivi connessi all’introduzione dell’Irap. Il ridisegno degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni, in conformità con i principi della legge delega, minimizza le variazioni del reddito disponibile per i percettori di redditi di lavoro dipendente (e di pensione), di lavoro autonomo e d’impresa, con particolare attenzione a non recare pregiudizio alle classi di reddito più basse. I livelli di esenzione oggi vigenti sono salvaguardati.

2. La riforma connessa all’istituzione dell’Irap

In particolare, la riforma abolisce:

Contestualmente, entro il vincolo dell’invarianza del gettito complessivo, viene introdotta la nuova imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Come ricordato, si avvia così il decentramento fiscale, inteso anche a riallineare in capo ai medesimi centri decisionali la responsabilità della spesa con quella del prelievo, e si attua una drastica semplificazione del sistema fiscale e contributivo. Riguardo agli effetti sul sistema economico, si persegue una maggiore neutralità a regime del sistema di prelievo in ordine alla scelta dei fattori produttivi da impiegare nei processi produttivi; una diminuzione del costo del lavoro per il complesso dell’economia; una riduzione delle imposte dirette gravanti sugli utili e sul patrimonio delle imprese; una diminuzione del vantaggio fiscale all’indebitamento; quindi, una maggiore neutralità del sistema tributario in ordine alla scelta dei mezzi di finanziamento per le imprese.

In generale, la soppressione di una pluralità di prelievi con basi imponibili ristrette e aliquote differenziate e l’istituzione di un’unica nuova imposta, con base imponibile larga e aliquota uniforme, comportano di per sè un miglioramento dell’efficienza economica del sistema, riducendo gli effetti distorsivi sulle scelte allocative degli operatori. D’altro canto, la scelta di allargare le basi imponibili e ridurre le aliquote è una caratteristica comune alle riforme fiscali realizzate nei principali paesi nel corso degli ultimi decenni.

L’Irap assoggetta a tassazione il valore della produzione netta (valore aggiunto), al netto degli ammortamenti, in capo ai soggetti che abitualmente producono beni o servizi, ancorchè non destinabili alla vendita, nel territorio regionale. Sono quindi soggetti passivi le società, gli enti e gli individui che esercitano attività d’impresa, gli esercenti arti e professioni, gli enti non commerciali, le amministrazioni pubbliche. La ripartizione della base imponibile, nei casi in cui il contribuente operi in diverse regioni, avviene applicando alla base imponibile complessiva la distribuzione interregionale del monte retributivo; per le aziende di credito si fa riferimento alla ripartizione regionale dei depositi bancari; per le assicurazioni alla ripartizione dei premi incassati.

La base imponibile della nuova imposta regionale è assai ampia e supera (escludendo le amministrazioni pubbliche) il milione di miliardi. L’aliquota di base è fissata al 4,25 per cento salvo che deroghe di carattere provvisorio per particolari settori; trascorsi due esercizi, le regioni potranno esercitare la facoltà di maggiorarla fino a un punto percentuale, e di differenziarla tra categorie di contribuenti e tra settori di attività. Tale misura rappresenta, data la stima della base imponibile, l’aliquota di equilibrio per il settore privato dell’economia: essa, cioè, permette di ottenere il gettito necessario per compensare le mancate entrate dovute all’abolizione dei tributi e contributi prima citati (dovuti dalle imprese e dai lavoratori autonomi), al netto del recupero di gettito per Irpef e Irpeg indotto dall’abolizione degli stessi prelievi. Il mancato gettito dei contributi sanitari a carico dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, nonché della tassa sulla salute versata dai contribuenti che non saranno assoggettati all’Irap, troverà invece compensazione nella rimodulazione dell’Irpef. Per le amministrazioni pubbliche, rispondendo ad esigenze di semplicità amministrativa e in ossequio ai principi stabiliti dalla legge delega, sono state fissate aliquote eguali a quelle attualmente vigenti per i contributi sanitari. Questa scelta, che elimina l’esigenza di attuare complesse redistribuzioni compensative interne al comparto delle pubbliche amministrazioni, è senz’altro ragionevole nel periodo transitorio, ma non è giustificabile a regime. Sarà quindi necessario intervenire nuovamente in futuro su questa materia, prevedendo il riallineamento all’aliquota di base fissata per il settore privato e mettendo a punto le modalità con cui attuare la redistribuzione dei flussi finanziari tra lo Stato e le altre amministrazioni pubbliche e le regioni. Sembra congruo, tuttavia, che permanga, anche a regime, l’impossibilità per le regioni di variare questa aliquota.

La riforma entrerà in vigore nel 1998. Per quell’esercizio non saranno quindi dovuti i contributi e i tributi soppressi; ovviamente, i contribuenti verseranno i saldi riferiti all’esercizio 1997. Nel 1998, contestualmente a quelli delle imposte dirette (a maggio e a novembre), verranno versati i primi acconti dell’Irap, sulla base di un imponibile calcolato sulle risultanze del bilancio 1997. Le misure degli acconti sono fissate in modo da garantire la parità di gettito, in termini di cassa, nel triennio 1998-2000. Opportune disposizioni regolano i rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo in modo da garantire per ciascuno di essi l’invarianza delle risorse finanziarie, rispetto al vecchio regime. Ovviamente, se l’andamento del gettito dell’Irap risultasse, già nel corso del 1998, difforme rispetto alle previsioni, si provvederà, come previsto dall’articolo 3, comma 144, lettera r) della legge 662 del 1997, con decreti correttivi a ritoccare la misura degli acconti e l’aliquota di base.

Entrando nel merito degli obiettivi perseguiti con la riforma, si può anzitutto rilevare come l’avvio del decentramento fiscale, entro il quadro costituzionale vigente, costituisca un prioritario obiettivo politico del Governo, funzionale alla trasformazione in senso federale dello Stato. L’introduzione dell’Irap e dell’addizionale regionale all’Irpef rappresenta un’innovazione di tutto rilievo per l’autonomia finanziaria (e politica) delle regioni. Le dota infatti di un’effettiva l’autonomia di bilancio e le responsabilizza nell’esercizio delle loro funzioni. Rispetto alla situazione vigente, l’autonomia viene da un lato estesa e dall’altro qualitativamente migliorata. Viene estesa in quanto, sostituendo i contributi sanitari (compresa la cosiddetta "tassa sulla salute") con l’Irap e l’addizionale Irpef, aumenterà, a regime, il peso delle entrate proprie rispetto alle entrate totali per 5 mila miliardi. La "qualità" dell’autonomia finanziaria migliora in quanto a differenza dei contributi sanitari, che gravano solamente sulle retribuzioni lorde del lavoro dipendente, le nuove imposte sono rivolte all’intero mondo delle attività produttive, da un lato, e alla generalità degli individui che percepiscono redditi, dall’altro. Si tratta quindi di una combinazione di imposte che consente di modulare la politica tributaria regionale sia sulle attività produttive che sulle famiglie, entro margini di autonomia consistenti: un punto percentuale di aliquota IRAP equivale, a livello nazionale, a circa 12.000 miliardi di gettito; mezzo punto percentuale di addizionale Irpef equivale a circa 4.600 miliardi. Si deve anche considerare la facoltà, per l’IRAP, di determinare aliquote differenziate per settori e tipologie di contribuenti. Le regioni disporranno, quindi, di due fonti di gettito che potranno essere manovrate, in base ai principi di responsabilità, secondo autonome scelte politiche ed economiche. Questo assetto del finanziamento delle regioni potrà essere opportunamente modulato nel futuro, ampliando il gettito ad esse spettanti secondo le esigenze che potranno derivare dal trasferimento di nuove funzioni, oggi di competenza dello Stato. Il fatto che, nell’immediato, parte rilevante del gettito dell’Irap sia allocato al finanziamento della spesa sanitaria costituisce un mero accorgimento amministrativo, volto a consentire un passaggio agevole dal vecchio al nuovo sistema di finanziamento, senza perturbazioni nel livello di redistribuzione delle risorse oggi vigente. Alla stessa finalità sono rivolte le norme che stabiliscono il riversamento allo Stato delle eventuali eccedenze di risorse proprie di cui alcune regioni potrebbero trovarsi a godere, come pure il ristoro delle eventuali decurtazioni di cui altre potrebbero soffrire. Una revisione profonda e organica del sistema di perequazione tra le regioni, che tenga conto delle esigenze della solidarietà e delle differenze di capacità fiscale e di sforzo fiscale, è comunque indispensabile, come riconosciuto nella legge di delega, e si impone in una prospettiva piuttosto breve (cioè, entro il termine dei due anni del periodo transitorio).

Di non secondaria rilevanza, poi, sempre nel quadro del federalismo fiscale, è l’intervento di riordino della tassazione locale, contenuto nel Titolo III. In questo caso, si è potenziata l’autonomia tributaria delle province, con l’istituzione dell’imposta provinciale di trascrizione sui veicoli (che sostituisce le vigenti imposta erariale e addizionale provinciale), e si è rafforzata l’autonomia finanziaria dei comuni e delle province, con la devoluzione, rispettivamente, del gettito dell’imposta di registro sugli immobili e dell’imposta sui premi assicurativi relativi alla responsabilità civile sui veicoli. Ma, soprattutto, si è inteso rafforzare in misura significativa il potere regolamentare dei comuni e delle province nella determinazione e nella gestione dei propri tributi, consentendo di trasformare alcuni in canoni (Tosap e tassa sulla pubblicità) e di manovrare con maggiore autonomia l’ICI. L’esigenza di consentire agli enti locali di completare i necessari adempimenti deliberativi e regolamentari e di garantire al contribuente trasparenza e certezza spiega la scelta di far decorrere gran parte del riordino della tassazione locale a partire dal 1999.

Riguardo alla semplificazione del sistema tributario, essa è insita nella sostituzione con una sola imposta di ben sette tributi e contributi (considerando la tassa della salute distinta dai contributi sanitari). Stime svolte da associazioni di categoria hanno quantificato un risparmio di costi amministrativi oltremodo significativo.

La diminuzione del costo del lavoro è apprezzabile a livello macroeconomico, data l’aliquota di base dell’Irap, in poco meno di un punto percentuale. Ovviamente si tratta di un dato medio; a livello settoriale, o territoriale, la diminuzione del costo del lavoro si registra laddove l’aliquota effettiva sostenuta dal datore di lavoro (al netto della fiscalizzazione) per i contributi sanitari, per il contributo assistenza malattia e per la TBC è superiore al 6% circa (l’aliquota formale è pari all’11,81%). Peraltro, l’esclusione dalla base imponibile dell’Irap dei contributi obbligatori per l’assicurazione sugli infortuni, che risponde anche al principio di equiparare il trattamento economico di questi costi a quello dei premi assicurativi su beni e mezzi di produzione, intende incidere in modo differenziato sui diversi settori, recando uno sgravio relativamente più consistente per quei settori di attività (manifatturiero, costruzioni) che presentano mansioni più rischiose e che godevano di un livello di fiscalizzazione dei contributi sanitari relativamente elevato. Inoltre, in considerazione di obiettivi di politica occupazionale, in particolare nei confronti delle generazioni più giovani, è stato disposto che le spese di personale relative agli apprendisti e il 70% di quelle relative ai dipendenti assunti con contratti di formazione lavoro, sia escluso dalla base imponibile dell’Irap.

Riguardo alle speciali agevolazioni territoriali e settoriali, va notato innanzitutto che la riforma dell’Irap potrebbe creare problemi alle imprese ubicate nel mezzogiorno, per le quali soltanto nell’anno 2000, in base agli accordi presi nel 1995 con la Commissione Europea, la fiscalizzazione dei contributi sanitari sarà allineata a quella vigente nel resto del Paese. In altri termini, l’introduzione dell’Irap anticiperebbe gli effetti dell’allineamento. Si è perciò previsto che le imprese attualmente agevolate possano portare in detrazione dall’Irap dovuta l’ammontare del differenziale di fiscalizzazione vigente fino all’anno 2000. Per ragioni analoghe è stata prevista la possibilità di dedurre dall’imponibile Irap gli utili che, in base alla previgente normativa sulle aree depresse, avrebbero goduto dell’esenzione decennale dall’Ilor. Per le aree depresse è stata prevista anche una speciale agevolazione per le nuove attività produttive, concedendo un dimezzamento dell’Irap (comunque entro il limite massimo di 5 milioni d’imposta) per i primi tre anni dall’inizio dell’attività; per le aree di cui all’obiettivo 1 la durata dell’agevolazione è estesa a sei anni. Sono inoltre state accolte le indicazioni della Commissione parlamentare per quanto riguarda le cooperative edilizie, limitatamente a quelle a proprietà indivisa, e le cooperative sociali. Riguardo alle specificità per i diversi settori di attività, si è constatato che il settore dell’intermediazione finanziaria godrebbe, mediamente, di uno sgravio consistente, mentre i produttori agricoli soffrirebbero di un aggravio significativo. Tenuto anche conto che il primo settore è interessato da altri provvedimenti agevolativi, connessi con la sua ristrutturazione, mentre il secondo è stato recentemente oggetto di inasprimenti (in particolare, dalle modifiche del regime speciale dell’IVA), si è deciso di applicare aliquote difformi da quella base, prevedendo comunque un graduale riallineamento verso tale aliquota.

La riduzione del livello di tassazione sugli utili è facilmente verificabile: l’aliquota legale combinata Irpeg+Ilor, per effetto dell’abolizione dell’Ilor, passa dal 53,2% al 37%. Tenuto conto che l’Irap assoggetta a tassazione anche la quota di valore aggiunto costituita dai profitti, l’aliquota Irpeg+Irap si colloca sul 41,2 per cento, circa 12 punti percentuali in meno rispetto al livello oggi vigente. Occorre poi considerare l’abolizione dell’imposta sul patrimonio netto (nonché dell’Iciap); si può presumere che, in condizioni "normali" di redditività, l’imposta sul patrimonio netto equivalga a una tassazione di almeno il 4-5 per cento sui profitti; quindi, si può concludere che la riforma consente una riduzione permanente della tassazione degli utili dell’ordine di 16-17 punti percentuali.

Riguardo alle scelte di finanziamento delle imprese, verrà fortemente ridotta l’attuale discriminazione di trattamento fiscale, che favorisce fortemente l’indebitamento rispetto all’autofinanziamento e al capitale di rischio. Ciò è conseguenza della rilevata riduzione della tassazione sui profitti, dell’abolizione dell’imposta sul patrimonio netto (che non colpisce l’indebitamento) e del fatto che l’Irap aumenta il costo fiscale dell’indebitamento, in quanto gli interessi passivi sono una componente della sua base imponibile. Si avrà quindi un sistema fiscale più neutrale, che incentiverà un maggiore ricorso all’autofinanziamento e al capitale di rischio. Contemporaneamente, sarà incoraggiata la patrimonializzazione delle imprese.

Operando a parità di gettito, la manovra produrrà ovviamente una redistribuzione del carico fiscale. Gli effetti di impatto risulteranno favorevoli, a parità di altre condizioni, per le imprese poco indebitate, per quelle molto patrimonializzate e per quelle maggiormente in utile. Risulteranno invece penalizzate, come è ovvio, le imprese che si trovano in situazioni opposte. Nel complesso, la riforma tenderà a fare pagare di più le imprese che fino ad ora hanno contribuito relativamente poco; alleggerirà invece l’onere del prelievo per quelle che, nel regime vigente, sono state maggiormente tassate. In base a recenti studi effettuati sui bilanci di un campione di società, risulta che quelle che beneficieranno di uno "sconto" dalla riforma si caratterizzano per pagare un ammontare di imposte e contributi in base alla legislazione attuale pari a circa 2 o 3 volte l’ammontare pagato dalle società che invece subiranno un aumento del prelievo dopo la riforma. Risulta confermato che trarranno benefici dalla riforma le società con utili elevati e più patrimonializzate; saranno invece penalizzate quelle con utili bassi e forti interessi passivi.

Questi effetti redistributivi sono l’inevitabile conseguenza della riforma. Sterilizzare gli effetti penalizzanti comporterebbe accettare una perdita di gettito di dimensioni insostenibili per il bilancio pubblico. L’unica alternativa sarebbe quella di mantenere lo status quo, che è sicuramente insoddisfacente e che rappresenta un fattore frenante per lo sviluppo di medio-lungo periodo della nostra economia. D’altro canto, un esame dettagliato degli effetti complessivi della riforma sui singoli contribuenti mostra che i "guadagni" e le "perdite" sono piuttosto concentrati, sia come importo che come frequenze, intorno alla situazione di indifferenza. Infatti, dalle simulazioni condotte risulta che circa il 77% dei soggetti passivi si colloca entro la fascia di variazione del carico impositivo compresa tra +/-2 milioni di lire annue (in particolare circa il 53% delle società e l’89% delle persone fisiche). E’ opportuno precisare, inoltre, che tali simulazioni sovrastimano le "perdite" e sottostimano i "guadagni" in quanto nel modello, basato sulle informazioni derivanti dalle dichiarazioni dei contribuenti, non è stato possibile considerare il beneficio derivante dalla soppressione dell’ICIAP e delle tasse di concessione comunali. Nella fascia di variazione di 2 milioni considerata, il valor medio del maggior carico impositivo è pari a circa 780 mila lire che, considerando un valor medio per contribuente dell’ICIAP e delle tasse di concessioni comunali pari a circa 600 mila lire, si riduce a circa 180 mila lire annue. Per contro il valor medio della riduzione del carico impositivo, sempre nella fascia di variazione considerata, è pari a circa 450 mila lire che aumenta a circa un milione di lire considerando anche l’abolizione dei suddetti tributi locali.

Considerando una fascia di variazione più ampia, quella corrispondente ad una variazione del carico impositivo compresa tra +/- 5 milioni, si osserva che in essa rientrano l’88% dei soggetti passivi (71% circa di società e 96% circa delle persone fisiche). Il valor medio del maggiore carico impositivo aumenta, ovviamente, a circa 1,41 milioni che, al netto dei tributi locali aboliti, si può stimare in circa 800 mila lire. Il valor medio della riduzione del carico impositivo aumenta anch’esso a circa 1,2 milioni considerando anche gli effetti dell’ICIAP e delle tasse di concessione comunale.

In generale, risulta che nel complesso il 69% dei contribuenti beneficia di una riduzione del carico impositivo, mentre il 31% circa dei contribuenti subisce un maggiore carico impositivo. Le società per le quali risulta una variazione assoluta di qualche rilievo del carico impositivo (oltre 100 milioni in più o in meno) rappresentano circa l’1,8% del totale delle società, in particolare l’1% delle società subiscono l’aggravio indicato (tutte di media-grande dimensione) e lo 0,8% sono invece beneficiarie dello sgravio.

Dall’analisi svolta emerge, quindi, che i motivi di preoccupazione sono limitati a una fascia estremamente ridotta di contribuenti. Tuttavia, ai fini di salvaguardia e seguendo sostanzialmente le indicazioni della Commissione Parlamentare, si è adottato un correttivo parziale e transitorio, per attenuare gli effetti di impatto di dimensioni più macroscopiche; tale correttivo opererà sui contribuenti che subirebbero forti "perdite" concedendo uno "sconto" all’imposta dovuta per il periodo d’imposta 1998. Tale "sconto" produrrà i suoi effetti anche negli anni 1999 e 2000 mediante la conversione dell’ammontare dello "sconto" in un credito di imposta pari al 50% di detto ammontare nel 1999 e al 25% nel 2000. L’attuazione di questa disposizione comporterà alcune complicazioni per il contribuente che la utilizza, ma consentirà di salvaguardare particolari situazioni che potrebbero determinarsi.

Il processo di aggiustamento delle imprese sarà comunque significativamente agevolato dalla revisione della tassazione sul reddito di impresa basata sulla introduzione dell’aliquota Irpeg ridotta, la cosiddetta Dual Income Tax (DIT), che potrà produrre significativi risparmi di imposta per le imprese che sapranno utilizzare consapevolmente il nuovo strumento, incrementando il capitale proprio. Questa revisione interagisce strettamente con le innovazioni contenute nel presente decreto; nonostante la diversità dei veicoli legislativi, gli interventi sono legati da forti legami di complementarietà e di coerenza, e configurano una riforma fiscale unitaria. Gli effetti combinati della manovra sull’Irap e dell’introduzione della DIT possono sintetizzarsi nei seguenti punti:

3. La riforma dell’Irpef e l’addizionale regionale

Le valutazioni sugli effetti distributivi complessivi della riforma non possono prescindere da un esame attento delle modifiche apportate all’Irpef. Si può anzi dire che l’intento della revisione delle aliquote, degli scaglioni e delle detrazioni dell’Irpef, come risulta anche evidente dall’esame della norma di delega, sia stato proprio quello di compensare con questa imposta gli effetti derivanti dall’introduzione dell’Irap e dalla connessa abolizione di tributi e contributi, sia al fine di rispettare il vincolo dell’invarianza del gettito complessivo, sia per bilanciare gli effetti redistributivi (soprattutto quelli derivanti dalla soppressione dei contributi sanitari e della tassa della salute).

Il secondo fondamentale obiettivo della riforma dell’Irpef è quello di rideterminare e razionalizzare le detrazioni per carichi familiari, aumentando la detrazione per figli (e altri familiari a carico), con l’intento di avviare la riduzione dello svantaggio relativo che il vigente sistema di tassazione comporta per le famiglie numerose. Al riguardo si rammentano i diversi interventi della Corte costituzionale in materia di tassazione dei redditi della famiglia, in particolare il più recente (sentenza n.358 del 24 luglio 1995), con il richiamo al legislatore a intervenire per correggere le sperequazioni a danno delle famiglie monoreddito e numerose. L’attuazione della delega, pur non risolvendo tutti i problemi connessi alla tematica in questione, costituisce tuttavia un deciso passo in avanti, coniugando la riduzione della sperequazione nei confronti delle famiglie numerose con una disciplina semplice e di facile comprensione e gestione sia per i contribuenti che per i sostituti di imposta.

Infine, la legge di delega prevedeva, a completamento della riforma, l’istituzione dell’addizionale regionale all’Irpef che, come si è detto, rappresenta l’altro tassello del decentramento fiscale. Circa le modalità di attuazione, va innanzitutto chiarito che l’addizionale è stata "ritagliata" all’interno dell’Irpef: una volta stabilite le caratteristiche della nuova imposta principale (limiti degli scaglioni, aliquote, detrazioni) le aliquote dell’Irpef sono state abbassate di un importo pari all’aliquota dell’addizionale, fissata per il biennio iniziale nello 0,5 per cento dell’imponibile Irpef. Ciò consente alle regioni di poter disporre di un ulteriore margine di autonomia finanziaria, che si esplicherà a regime (ovvero al termine del biennio transitorio) nella manovra dell’aliquota dell’addizionale tra lo 0,5 e l’1 per cento. L’istituzione dell’addizionale lungo queste linee risponde alla logica, contenuta nella delega, di mantenere allo Stato la determinazione dell’imponibile e la funzione redistributiva (progressività, trattamento della famiglia, riconoscimento di altre detrazioni e oneri deducibili), lasciando alle regioni solo il potere di manovrare, entro la forcella stabilita, l’aliquota di un’addizionale che è proporzionale rispetto alla base imponibile dell’imposta principale. In questo modo si opera una sorta di "riserva d’aliquota" sull’imponibile a favore delle regioni. Rispetto all’ipotesi alternativa di un’addizionale sull’imposta (peraltro esclusa dalla norma di delega), questa soluzione presenta il vantaggio di evitare che il gettito destinato alle regioni venga influenzato (in aumento o in riduzione) da modifiche dell’Irpef decise dallo Stato. L’addizionale, quindi, non prevede detrazioni o deduzioni specifiche. Concettualmente si può ritenere che gli "abbattimenti in funzione di detrazioni e riduzioni riconosciute per l’imposta principale", previsti per l’addizionale dal provvedimento di delega (art.3, comma 146, lett.a)), siano ricompresi negli abbattimenti previsti per l’Irpef, di cui lo Stato si farebbe quindi carico. D’altro canto, anche se detrazioni o deduzioni specifiche fossero previste per l’addizionale, la regione non avrebbe facoltà di variarle (non è infatti previsto dalla delega), mentre le complicazioni sarebbero notevolissime. Al fine poi di evitare difformità nelle soglie di esenzione tra l’addizionale e l’imposta principale e per motivi di semplicità del sistema, si prevede che l’addizionale non sia dovuta se l’Irpef netta dovuta è negativa o nulla.

Tornando alle finalità redistributive della riforma dell’Irpef, è opportuno considerare separatamente gli effetti sulle diverse categorie di contribuenti. L’abolizione dei contributi sanitari a carico del dipendente o del pensionato comporterebbe, di per sé, una perdita di gettito, che viene compensata attraverso la modifica dell’aliquota del primo scaglione e delle detrazioni. Rispettando i criteri fissati dalla legge di delega, viene mantenuta l’invarianza del reddito netto disponibile per i soggetti in questione, con particolare riguardo alle fascie di reddito più basse. Nel caso dei lavoratori autonomi e degli imprenditori soggetti ad Irpef gli effetti sono più complessi. In generale, sul carico fiscale inciderà la nuova imposta regionale e l’abolizione della cosiddetta tassa sulla salute: si ha dunque la sostituzione di un contributo deducibile dall’imponibile Irpef e regressivo al crescere dell’imponibile con un’imposta indeducibile e proporzionale. Gli effetti sono diversi, pertanto, a seconda del livello del reddito imponibile: per redditi "bassi" si ha un aumento del reddito netto disponibile, mentre si registra una diminuzione per i redditi "elevati" (il punto di equivalenza si colloca intorno ai 55 milioni nel caso di chi esercita l’attività senza dipendenti).

Le detrazioni per coniuge a carico rimangono invariate, posto che, come la stessa Commissione parlamentare ha indicato, non sussistono le condizioni per attenuare l’aggravio per i contribuenti in questa condizione familiare mediante una rimodulazione degli assegni per il nucleo familiare, così come inizialmente proposto. Ciò ha comportato, peraltro, una riduzione delle detrazioni per figli e altri familiari e altri familiari a carico rispetto a quanto originariamente previsto al fine di mantenere l’invarianza complessiva del gettito.

Tra gli altri tributi che verranno soppressi con l’introduzione dell’IRAP, figurano l’ILOR e la patrimoniale che oggi gravano solo su taluni tipi di contribuenti (in particolare, non sono soggetti i lavoratori autonomi e, limitatamente all’ILOR, le imprese con meno di tre addetti); l’ICIAP è dovuta da tutti i contribuenti esercenti attività di impresa o di lavoro autonomo, ma mancano indicazioni sull’ammontare gravante sul singolo contribuente; chi esercita impresa o professione con l’impiego di lavoratori dipendenti, vedrà aboliti i contributi sanitari a suo carico in quanto datore di lavoro; la tassa sulla partita IVA, infine, non pone particolari problemi di attribuzione del carico assolto dal contribuente, che è noto. La modifica dell’IRPEF è stata operata prendendo a riferimento il caso (semplificato) di un lavoratore autonomo o imprenditore individuale che non sia oggi soggetto all’ILOR e alla patrimoniale, che non abbia lavoro dipendente e la cui base imponibile IRPEF coincida con quella IRAP. Per questa figura tipo, come già per il lavoratore dipendente, è stata elaborata una struttura degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF che tenda a minimizzare le variazioni del reddito netto disponibile (in assenza di familiari a carico).

Riguardo a questi aspetti, la delega ha fissato alcuni principi:

In applicazione di questi principi, sono state fissate le soglie degli scaglioni e le aliquote. In particolare, l’aliquota iniziale è stata fissata al livello intermedio della forcella indicata dalla delega, ovvero al 19 per cento (18,5 di aliquota erariale e 0,5 di addizionale), e la soglia dello scaglione a 15 milioni. Anche per compensare la perdita di gettito che deriva dall’innalzamento di questa soglia, la vigente soglia dei 150 milioni è stata abbassata a 135. L’aliquota dello scaglione da 60 a 135 milioni, anche per compensare l’abbassamento del limite massimo, viene ridotta di un punto, portandola al 40 per cento (39,5 erariale e 0,5 di addizionale regionale). L’ultimo scaglione viene tassato al 46 per cento (compresa anche in questo l’addizionale regionale).

Riguardo alle detrazioni per lavoro dipendente e per reddito di lavoro autonomo e d’impresa minore, la delega dispone che ne vengano modificati gli importi, maggiorandoli e graduandoli, in modo che, unitariamente con la revisione delle aliquote e degli scaglioni, si evitino aggravi del carico complessivo, in particolare per i redditi di lavoro dipendente (e di pensione), nonché per quelli da lavoro autonomo e d’impresa; le variazioni del reddito netto disponibile devono risultare il più possibile contenute; i livelli di esenzione oggi vigenti non devono essere ridotti.

Per i lavoratori dipendenti (e i pensionati) la correzione degli effetti redistributivi, come ricordato, deve tener conto anche degli effetti dell’abolizione dei contributi sanitari a loro carico. Dati i criteri piuttosto vincolanti posti dalla delega sulla struttura delle aliquote e degli scaglioni, la revisione delle detrazioni implica importi inizialmente più elevati degli attuali (in particolare, per rispettare i livelli di esenzione), e decrescenti al crescere del reddito, in modo da minimizzare le variazioni del reddito disponibile netto. In particolare, per rispondere a quest’ultimo criterio della delega, il valore finale delle detrazioni (100 mila lire) è inferiore a quello oggi vigente: gli imponibili più elevati, infatti, beneficiano dell’abbassamento delle aliquote.

Già oggi le detrazioni sono articolate su una fissa, di 784.633 lire, e una ulteriore, che spetta secondo importi decrescenti fino a circa 15 milioni di reddito da lavoro (articolo 13 del TUIR). Questa struttura di detrazioni risponde a motivazioni diverse: far fronte alle spese inerenti alla produzione del reddito (la prima detrazione, in particolare, è espressamente finalizzata anche a questo scopo); determinare soglie di esenzione (in particolare, la seconda detrazione è calibrata in modo da rendere esenti le pensioni al minimo); rispondere, più in generale, a esigenze redistributive e di politica dei redditi. Queste finalità sono state perseguite prevedendo detrazioni scalettate in senso decrescente al crescere del reddito da lavoro. L’esigenza di riconoscere comunque le spese inerenti alla produzione del reddito è soddisfatta dal mantenimento di un importo positivo, anche se ridotto, su tutti i redditi, anche su quelli che, per effetto della riduzione delle aliquote massime, già godrebbero di un aumento del reddito netto disponibile e quindi, in ottemperanza a questo criterio della delega, potrebbero veder annullata la detrazione. Si è anche stabilita una ulteriore detrazione di lire 70 mila se alla formazione del reddito complessivo concorrono solo trattamenti pensionistici non superiori a 18 milioni nonchè (il reddito dell’ unità immobiliare adibita ad abitazione principale). Questa detrazione consente di dare piena attuazione al principio, stabilito dalla delega, di evitare riduzioni del reddito disponibile per questa categoria di contribuenti, e si è resa necessaria perchè, nel vigente regime, questo tipo di redditi è esente dalla contribuzione sanitaria.

Per quanto riguarda la detrazione per lavoro autonomo e impresa minore, occorre ricordare che la riforma connessa con l’istituzione dell’IRAP comporta effetti redistributivi complessi, non precisamente quantificabili. Nel disegnare questa detrazione si è preso a riferimento, come figura tipo, un lavoratore autonomo o imprenditore individuale che non sia soggetto all’ILOR e alla patrimoniale, che non abbia lavoro dipendente e la cui base imponibile IRPEF coincida con quella IRAP. Si è tenuto conto della tassa sulla salute e della partita IVA, nonché (per determinate ipotesi) dell’ICIAP. La soluzione adottata prevede l’innalzamento della detrazione oggi vigente e la sua scalettatura in funzione inversa al crescere del reddito (articolo 48, comma 3) fino all’annullamento per i redditi superiori a 60 milioni circa.

Con l’articolo 47 viene data attuazione alla lettera c) dell’articolo 3, comma 145, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, concernente la revisione della disciplina delle detrazioni per carichi di famiglia. In base ai criteri direttivi forniti dal legislatore, detta revisione deve essere finalizzata soprattutto a favorire le famiglie con figli e rimodulare i criteri di attribuzione e gli importi tenendo conto:

a) delle fasce di reddito;

b) di talune categorie di soggetti e del numero delle persone a carico;

c) dei componenti della famiglia che producono reddito.

A tal fine viene sostituito l’articolo 12 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, concernente, appunto, le detrazioni per carichi familiari.

Il nuovo articolo 12 risulta così costruito:

- il comma 1 stabilisce, alla lettera a), l’importo della detrazione per il coniuge non legalmente ed effettivamente separato. Questa detrazione viene mantenuta al livello vigente e rimane perciò invariata;

- il comma 1, alla lettera b) fissa l’importo della detrazione (in misura maggiore dell’attuale in ossequio al criterio di delega che vuole vengano favorite le famiglie con figli) per figli a carico, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi e gli affidati o affiliati, e per ogni altra persona a carico che conviva con il contribuente o che percepisca assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria. L’importo della detrazione (336 mila lire) è da ripartire tra coloro che hanno diritto alla detrazione in proporzione all’effettivo onere sostenuto da ciascuno.

La portata della nuova formulazione elimina tutti gli inconvenienti verificatisi a proposito del testo vigente dell’articolo 12. Infatti, viene unificato l’importo della detrazione per figli a carico e per altri familiari a carico così scompare ogni discriminazione tra i figli e si riconosce, come richiesto dal legislatore delegante, pari dignità alla presenza nel nucleo familiare di particolari soggetti, quali familiari anziani o inabili. Inoltre, l’importo massimo stabilito viene ripartito tra coloro che hanno diritto alla detrazione in relazione all’effettivo onere sostenuto. Tale previsione consente di razionalizzare i vigenti commi 2 e 3 che prevedono il raddoppio della detrazione e raggiunge effetti redistributivi migliori di quelli ottenibili con il sistema attualmente vigente. La fissazione di un importo massimo e la successiva ripartizione tra gli aventi diritto consente, infatti, la piena utilizzazione della detrazione facendo passare da un genitore all’altro la quota di detrazione non usufruita da uno dei due. L’importo della detrazione è stabilito per ciascun figlio o familiare a carico, in tal modo la presenza di più soggetti a carico sarà tutelata dall’attribuzione di altrettanti importi di detrazione e si osserva anche il criterio della delega che vuole che gli importi tengano conto del numero delle persone a carico. Al riguardo, va osservato che la fissazione di importi differenziati a seconda del numero di soggetti a carico penalizzerebbe gravemente la semplicità del nuovo sistema senza garantirne la giustizia sostanziale;

- il comma 2 ripristina, accogliendo così la proposta della Commissione parlamentare, l’attribuzione della detrazione del coniuge per il primo figlio nei casi di mancanza dell’altro genitore;

- il comma 3 stabilisce che le detrazioni per carichi di famiglia spettano a condizione che le persone alle quali si riferiscono possiedano un reddito complessivo, tenendo conto anche delle retribuzioni corrisposte da enti e organismi internazionali, rappresentanze diplomatiche e consolari e missioni, nonché quelle corrisposte dalla Santa Sede, dagli enti gestiti direttamente da essa e dagli enti centrali della Chiesa Cattolica, non superiore a lire 5.500.000 al lordo degli oneri deducibili. In tal modo viene colmata la lacuna legislativa a proposito della rilevanza dei redditi esenti;

- infine, il comma 4 conferma che le detrazioni per carichi di famiglia sono rapportate a mese e competono dal mese in cui si sono verificate a quello in cui sono cessate le condizioni richieste.

Riguardo alle altre detrazioni, genericamente menzionate dalla delega, ma senza che sia stabilito alcun preciso criterio, si è ritenuto che quella riguardante gli oneri detraibili, attualmente fissata al 22 per cento, debba allinearsi, per motivi di sistematicità e di coerenza, alla corrispondente aliquota iniziale comprensiva dello 0,5 per cento dell’addizionale regionale. L’articolo 49 l’ha, quindi, fissata nella misura del 19 per cento.

4. L’analisi delle norme

4.1 La normativa sull’IRAP

Il titolo I del presente decreto concerne l’attuazione della delega contenuta nei commi 143, 144 e 147 dell’articolo 3 della legge n. 662 del 1996, di accompagnamento alla finanziaria 1997, ed è strutturato in cinque parti nelle quali vengono rispettivamente delineati gli elementi strutturali del tributo e le agevolazioni, gli obblighi e la tutela dei contribuenti, le attribuzioni dei soggetti attivi, a regime ed in fase transitoria, le sanzioni e le disposizioni finali e di carattere finanziario.

Conformemente alle indicazioni della delega, la definizione degli elementi strutturali del tributo, delle agevolazioni e degli obblighi fondamentali posti a carico dei contribuenti e delle sanzioni, viene compiuta in via definitiva dal decreto delegato; per quanto attiene invece agli aspetti procedurali della gestione del tributo, lo schema di decreto riserva (articolo 23) alla potestà normativa regionale la previsione della disciplina "a regime", stabilendo nel contempo le procedure di accertamento e di riscossione applicabili fino al periodo di imposta in cui avranno concretamente efficacia le leggi regionali emanate ai sensi dell’articolo 23.

Le disposizioni di carattere generale sono contenute nei primi 18 articoli.

L’articolo 1 istituisce il tributo IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) e ne definisce i caratteri essenziali di imposta locale (applicabile alle attività produttive esercitate nel territorio di ciascuna regione), reale e non deducibile dalla base imponibile delle imposte personali sul reddito.

L’articolo 2 individua il presupposto del tributo nello svolgimento, a carattere abituale, di attività dirette a produrre o scambiare beni, ovvero a prestare servizi. Tale identificazione del presupposto è essenziale al fine di distinguere il nuovo tributo sia dalle imposte sui redditi (che assumono a presupposto il possesso dei redditi), sia dall’imposta sul valore aggiunto (che è un’imposta sui consumi, che si applica sulle cessioni di beni, sulle prestazioni di servizio ovvero sulle importazioni e sugli acquisti intracomunitari).

Sebbene dunque gli articoli successivi, relativi alla configurazione dell’imponibile IRAP, utilizzino termini che potrebbero richiamare la capacità contributiva colpita da tali tributi, la configurazione del presupposto IRAP chiarisce l’autonomia e la specificità della nuova imposta.

La seconda parte dell’articolo 2 precisa che, nel caso di società, enti, e amministrazioni dello Stato, qualsiasi forma di attività svolta (anche quella che non abbia riferimento, quindi, a cessioni di beni o prestazioni di servizi) costituisce presupposto di imposta; in particolare per le amministrazioni pubbliche il presupposto deve ritenersi verificato anche in caso di svolgimento esclusivo di pubbliche funzioni, il che trova una spiegazione poi nell’articolo 10 che disciplina la base imponibile per tali soggetti e nella funzione della nuova imposta, che è quella di sostituire i tributi e i contributi soppressi con il successivo articolo 36.

L’articolo 3 stabilisce, in coerenza con la definizione del presupposto, i soggetti passivi dell’IRAP, adottando in sostanza le soluzioni accolte nel sistema delle imposte sui redditi. Si possono quindi distinguere, in sintesi, i soggetti esercenti attività commerciali (enti commerciali soggetti ad IRAP, persone fisiche titolari di redditi d’impresa, società in nome collettivo e in accomandita semplice, di armamento e società di fatto), i lavoratori autonomi esercenti arti e professioni nella forma associata di cui all’articolo 5, comma 3 lett. c ) del T.U.I.R., i produttori agricoli titolari di reddito agrario ma con volume d’affari superiore a cinque milioni, ovvero quindici milioni per quelli che operano in comuni montani, (nonchè i produttori agricoli con volume di affari inferiore ai predetti limiti che abbiano rinunciato al regime speciale di esonero dagli adempimenti I.V.A.), gli enti non commerciali e le pubbliche amministrazioni, compresi lo Stato, le Regioni, gli enti locali e, infine, le società e gli enti non residenti .

Nel contesto di tale impostazione, viene confermata l’assenza di autonoma soggettività dei fondi comuni di investimento, mobiliari ed immobiliari, nonché dei fondi di previdenza integrativa, e viene esclusa, di regola, la soggettività del GEIE (gruppo economico di interesse europeo).

A quest’ultimo, per altro, è dedicata in particolare la disposizione dell’articolo 13, con la quale si stabiliscono da un lato le ipotesi in cui il GEIE può essere soggetto passivo dell’IRAP, e dall’altro la regola di determinazione della base imponibile.

La base imponibile ha una rilevanza particolare nel sistema dell’IRAP, in quanto destinata a integrare i concetti di presupposto e di soggetto passivo. Essa viene disciplinata negli artt. da 4 a 12 del decreto.

L’articolo 4 definisce in via generale la base imponibile, prescrivendo che l’IRAP si applica sul valore della produzione netta derivante dalla attività esercitata nel territorio della regione. La riferibilità al territorio regionale del prodotto netto è desunta dall’ammontare delle retribuzioni corrisposte al personale (ivi inclusi compensi ad associati e collaboratori coordinati e continuativi) addetto a stabilimenti, cantieri, uffici o basi fisse operanti nella regione per almeno tre mesi; nella base imponibile è incluso il valore prodotto in altre regioni da attività esercitate senza impiego di personale per almeno tre mesi. A tal riguardo non si è ritenuto di dover modificare il testo sulla base dei suggerimenti della Commissione parlamentare in quanto questi ultimi concernono casi del tutto marginali, che potranno trovare idonea soluzione con i successivi provvedimenti attuativi.

Il comma 2 dell’articolo 4 (riformulato a seguito delle osservazioni della Commissione parlamentare) stabilisce, secondo quanto fissato dalla delega, regole diverse per le imprese bancarie, gli altri enti e società finanziarie, le imprese assicurative e agricole, per le quali la ripartizione tra le regioni della base imponibile si effettua, rispettivamente, tenendo conto dei depositi, sia in denaro che in titoli, degli impieghi, dei premi e dell’estensione dei terreni. Per la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano cambi trova, invece, applicazione la regola generale prevista al comma 1.

Collegata alla determinazione dell’imponibile è la disposizione di cui all’articolo 14, che chiarisce la natura periodica dell’imposta, applicata in funzione di obbligazioni autonome per ogni periodo, di regola coincidente con l’anno solare.

Sempre in via generale, è da considerare poi che la chiave di lettura delle disposizioni sull’imponibile IRAP va rinvenuta nella sistematica delle imposte sui redditi: infatti, l’articolo 11 precisa che i componenti positivi e negativi dell’IRAP vanno assunti in conformità al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e all’applicazione che di esso viene data nella dichiarazione dei redditi: assumono quindi rilevanza, le predette componenti, non nella loro determinazione civilistica, ma tenendo conto delle variazioni apportate in sede di passaggio dal conto economico alla dichiarazione dei redditi. Questa soluzione è stata scelta in quanto consente di semplificare gli adempimenti del contribuente, in quanto non viene a crearsi, in questo modo, un secondo canale per la tenuta della contabilità fiscale. Parimenti generalizzata, e destinata ad operare nei confronti delle singole tipologie di soggetti passivi, è la previsione di indeducibilità dei compensi corrisposti per collaborazioni coordinate e continuative o per prestazioni di lavoro occasionale, dei compensi per prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente, nonchè degli apporti forniti da associati per solo lavoro. Sono viceversa ammessi in deduzione i contributi per le assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni e, nei limiti del 100 per cento, le spese relative agli apprendisti e del 70 per cento quelle relative al personale assunto con contratti di formazione lavoro, percentuali che sono state così elevate, nel rispetto dei vincoli di bilancio, secondo le indicazioni della Commissione parlamentare. La formulazione della disposizione in materia di contributi assicurativi è tale da ricomprendere tutte le forme di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, sicché non si è reso necessario, come richiesto dalla Commissione parlamentare, specificare i singoli istituti che erogano le predette prestazioni assicurative obbligatorie. Tra le componenti che non sono ammesse in deduzione dalla base imponibile Irap, su indicazione della medesima Commissione parlamentare, sono stati inseriti tutti i costi relativi al personale dipendente e quelli per prestazione di lavoro occasionale. Sempre per aderire a suggerimenti della detta Commissione, si è prevista che costituiscano base imponibile anche gli interessi passivi derivanti da contratti di locazione finanziaria.

Non si è ritenuto, invece, di aderire alla osservazione della stessa Commissione relativa all’inclusione nella base imponibile delle maggiori quote determinate a titolo di ammortamento anticipato in quanto l’introduzione nel presente decreto di una disposizione in tal senso avrebbe comportato un notevole aggravamento degli adempimenti per i contribuenti che avrebbero dovuto tenere una doppia contabilità per ciascun cespite ammortizzabile. Nondimeno, il Governo si riserva di approfondire la questione e di intervenire eventualmente con lo strumento dei decreti integrativi e correttivi.

La Commissione, peraltro, indicava al Governo di valutare gli eventuali aggravi per il settore dell’autotrasporto a seguito delle proposte della Commissione stessa per l’inclusione degli interessi passivi impliciti nei canoni leasing e degli ammortamenti anticipati nella base imponibile IRAP, e, nel caso, di prevedere per il settore menzionato provvedimenti attenuativi. Il Governo si riserva di valutare la questione posto che, da un lato, non si è ritenuto di accogliere la proposta sugli ammortamenti anticipati e, dall’altro, eventuali provvedimenti attenuativi difficilmente possono trovare spazio entro i limiti concessi dalla delega. Non di meno sono in corso di discussione alcuni provvedimenti agevolativi per il settore.

Si è reputato opportuno, inoltre, accogliere sostanzialmente una ulteriore osservazione della stessa Commissione, inserendo la disposizione di cui al comma 2 che prevede espressamente la possibilità di riqualificare correttamente le poste del bilancio, qualora queste siano state indicate senza rispettare i principi contabili.

La base imponibile dei soggetti esercenti attività commerciali (lettere -a- e -b- dell’articolo 3) è disciplinata dall’articolo 5, i cui tre commi sono riferiti rispettivamente ai soggetti tenuti alla redazione del conto economico, a quelli non tenuti a tale adempimento, e ai soggetti privi della contabilità ordinaria.

Per i primi, il prodotto netto dell’esercizio si identifica con la differenza tra la somma delle voci relative al valore della produzione di cui all’articolo 2425 c.c., primo comma lett. A), e la somma dei costi della produzione corrispondenti all’acquisto di materie prime, sussidiarie, beni di consumo e merci, di servizi, di godimento di beni di terzi, di ammortamento delle immobilizzazioni materiali e immateriali, nonchè degli oneri di gestione e delle variazioni di magazzino. Le stesse componenti vengono considerate per i soggetti di cui al comma 2, dell’articolo 5, non tenuti alla redazione del conto economico, ma esclusi, anche per opzione, dalla contabilità semplificata. Nel comma 3 si precisano le componenti rilevanti per i soggetti in contabilità semplificata. In particolare, viene precisato che ai predetti soggetti in contabilità semplificata si applicano comunque i principi del predetto comma 2, ciò al fine di assicurare che le diverse modalità di tenuta della contabilità siano neutrali nella determinazione della base imponibile.

Costituisce aspetto qualificante del provvedimento, la previsione, conforme alla delega, di indeducibilità degli oneri finanziari; ciò comporta un implicito, ma forte, disincentivo all’indebitamento dell’impresa.

Le regole di determinazione dell’imponibile (tra le quali si segnala la rilevanza del costo degli interessi passivi) per le banche e per gli enti e società finanziari sono stabilite dall’articolo 6, con riguardo alla peculiarità delle attività proprie di ciascun tipo si soggetto incluso nella categoria (SIM, società di gestione di fondi comuni, SICAV, Banca d’Italia e Ufficio italiano cambi). L’articolo 7 disciplina invece la quantificazione del prodotto netto tassabile per le imprese di assicurazione. In accoglimento di una osservazione della Commissione parlamentare, sono stati inseriti tra i costi da portare in deduzione della base imponibile gli oneri di gestione degli investimenti in terreni e fabbricati.

Impostata sulla stessa logica, ma con gli opportuni adattamenti, è la determinazione del prodotto netto imponibile per artisti e professionisti (articolo 8), ottenuta contrapponendo compensi percepiti e costi inerenti all’attività, compresi gli ammortamenti, e sempre con esclusione di interessi passivi e costo del personale dipendente. Al riguardo, si chiarisce che l’espressione "personale dipendente" deve intendersi riferita in senso lato attesa la specificazione effettuata dall’articolo 11 delle spese per tale personale che non sono ammesse in deduzione. Relativamente alla rivalutazione dei limiti di deducibilità delle spese pluriennali sostenute dai predetti soggetti, non si è ritenuto di accogliere l’osservazione formulata dalla Commissione parlamentare in quanto nella legge di delega non vi sono principi e criteri direttivi al riguardo.

L’articolo 9, relativo alla base imponibile per i produttori agricoli titolari di reddito agrario, fissa, come principio, che la base imponibile sia ottenuta dalla differenza tra corrispettivi e ammontare degli acquisti destinati alla produzione, con facoltà peraltro di optare (comma 2) per la determinazione propria delle imprese a contabilità semplificata (articolo 5, comma 3). Per i produttori agricoli diversi dai soggetti presi in considerazione dal comma 1, nonchè dalle società e imprese commerciali, e per i titolari di imprese di allevamento (articolo 78 del testo unico delle imposte sui redditi), la base imponibile può essere determinata, a seconda delle condizioni effettive, facendo riferimento al comma 2 o al comma 3 dell’articolo 5.

L’articolo 10 è stato riformulato al fine di tenere conto di alcune osservazioni della Commissione parlamentare. Per gli enti privati non commerciali che svolgono esclusivamente attività non commerciale il comma 1 stabilisce che la base imponibile si identifichi con l’ammontare delle retribuzioni corrisposte al personale dipendente (ivi compresi i redditi assimilati), maggiorato dei compensi erogati per le collaborazioni coordinate e continuative. Il comma 2 prevede che per l’eventuale attività commerciale esercitata da tali soggetti sia tenuta una contabilità separata ai fini della determinazione dell’imponibile per tale parte, con imputazione pro rata degli eventuali costi di imputazione promiscua, e con separata considerazione del personale dipendente impiegato in ciascuna delle due attività. Il comma 3 prevede che per le amministrazioni pubbliche e per gli enti pubblici non commerciali valgano le stesse regole dettate dal comma 1. Le medesime regole sono applicabile anche nel caso in cui i predetti soggetti svolgano anche attività commerciali a meno che gli stessi non esercitino opzione per determinare la base imponibile relativa a tali attività secondo le disposizioni sopra illustrate del comma 2.

Non è stato necessario operare il coordinamento testuale richiesto dalla Commissione parlamentare con il decreto legislativo in materia di organizzazioni senza finalità di lucro, in quanto questo reca disposizioni generali ai fini della qualificazione dell’ attività di tali soggetti valevoli per imposte sui redditi. Tali regole, pertanto, valgono, in forza del dettato del comma 5, anche ai fini dell’Irap.

Non si è ritenuto di accogliere l’osservazione della Commissione parlamentare relativa alla facoltà di rivalsa degli enti pubblici sui compensi dei collaboratori, in quanto tale previsione è apparsa in contrasto con i principi e criteri direttivi recati dalla legge di delega, nonché suscettibile di censure sotto il profilo della legittimità costituzionale.

Disposizioni specifiche per i non residenti e per il valore della produzione netta realizzata all’estero sono dettate dall’articolo 12. In particolare, non viene ricompreso nella base imponibile IRAP il prodotto netto realizzato all’estero dai residenti. Di converso, i non residenti sono soggetti a tassazione solo se, per un periodo di tempo non inferiore a tre mesi, abbiano esercitato una attività sul territorio dello Stato mediante stabile organizzazione, base fissa o ufficio. Le norme sulla residenza sono riprese, per uniformità, dal testo unico delle imposte sui redditi.

L’articolo 13, come detto si ricollega all’articolo 3, nella parte che esclude dalla soggettività passiva dell’imposta il GEIE (gruppo economico di interesse europeo). Si ricorda brevemente che la disciplina del GEIE è stata introdotta con regolamento del Consiglio n. 2137/85 del 25 luglio 1985. Con esso si è consentita la nascita di gruppi di cooperazione tra imprese, senza che le stesse perdano la loro identità. In sostanza si tratta di una forma di contratto di gruppo anche se sono previsti obblighi contabili autonomi. Poichè la normativa comunitaria prevede che l’attività del gruppo sia imputata ai singoli membri, anche sul piano della divisione degli utili e delle perdite, ai fini IRAP, si è ripartito su ciascun membro di esso, nella proporzione risultante dal contratto, il prodotto netto realizzato.

Per evidente esigenza di uniformità con la disciplina delle imposte sui redditi, il periodo di imposta coincide con l’anno solare.

L’articolo 15 prevede che il gettito dell’imposta spetti alla regione nel cui territorio il prodotto netto è realizzato. Come scelta alternativa si sarebbe potuto prevedere che l’imposta fosse dovuta alla regione del domicilio o della sede legale dei soggetti passivi. Una tale soluzione non avrebbe però tenuto conto di un problema fondamentale e cioè la necessità di prevedere criteri di ripartizione del gettito nel caso di imprese con più impianti localizzati in regioni diverse. Se il versamento dell’imposta avvenisse a favore della regione in cui l’impresa ha la sede legale, la distribuzione del gettito tra le regioni non rifletterebbe l’effettiva distribuzione territoriale del prodotto netto realizzato. Per ovviare a questo inconveniente si è allora preferito ripartire la base imponibile adottando i criteri che si rinvengono nell’articolo 4 e che parametrano la base imponibile al costo del personale operante presso le varie sedi o, per le banche, le assicurazioni e gli agricoltori, rispettivamente, ai depositi, ai premi e all’estensione dei terreni.

L’articolo 16 fissa l’aliquota dell’imposta al 4,25 per cento, che potrà essere maggiorata, fino ad un punto percentuale, dalle singole regioni a partire dal terzo anno successivo a quello dell’entrata in vigore del decreto legislativo. Per le amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici, l’imposta, che sostituirà i soli contributi sanitari, dovrà essere calcolata sulla base della sola retribuzione annua corrisposta ai dipendenti e corrisponderà ai contributi attualmente versati ai fini del S.S.N.. Nel medio periodo le aliquote applicabili alla Pubblica Amministrazione dovranno essere progressivamente allineate con quelle del settore privato, ovviamente rendendo omogenee le basi imponibili, al fine di conseguire una disciplina uniforme del tributo. Non si è ritenuto di aderire alla proposta di modifica formulata dalla Commissione parlamentare in quanto la differenziazione delle aliquote da parte delle Regioni a decorrere dall’anno 2000 non può operare anche per zone territoriali atteso che, in connessione alle probabili correzioni da apportare all’articolo 28, a regime non vi saranno meccanismi per la determinazione della base imponibile a livello sub-regionale.

Le agevolazioni costituiscono oggetto degli articoli 17 e 18 che prevedono innanzitutto il prolungamento, per i soli periodi residui, delle esenzioni decennali già concesse ai fini ILOR. Motivi di semplificazione hanno poi indotto a prevedere sistemi di determinazione agevolata anche per quei soggetti che si avvalgono della determinazione forfetaria del reddito e dell’imposta sul valore aggiunto introdotte dalla legge n. 662 del 1996. Tali soggetti dovranno semplicemente sommare interessi passivi e costo del personale, comprese le collaborazioni, al reddito d’impresa calcolato forfetariamente. Una ulteriore agevolazione concerne i soggetti che svolgono attività produttive nel Mezzogiorno. Per essi è prevista una detrazione percentuale sulle spese di lavoro dipendente. Recependo osservazioni formulate dalla Commissione parlamentare, sono stati inseriti i commi 4, 5 e 6. Con il comma 4 è stato accolto, limitatamente alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, un suggerimento della predetta Commissione prevedendo la determinazione della relativa base imponibile con riferimento all’ammontare delle retribuzioni del personale dipendente, dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e dei compensi per rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, così come stabilito per gli enti privati non commerciali dall’articolo 10, comma 1. Alle predette cooperative si applicano le disposizioni del comma 2 dello stesso articolo 10, sopra illustrate. Non si è ritenuto di poter applicare il predetto miglior trattamento a tutte le cooperative edilizie atteso che per quelle a proprietà divisa il regime favorevole potrebbe essere determinato dalle scelte delle parti interessate.

Il comma 5 prevede la deducibilità per intero del costo del lavoro delle persone svantaggiate inserite nelle cooperative sociali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381.

Con il comma 6, infine, è stata parzialmente accolta una osservazione della stessa Commissione prevedendo a favore delle altre cooperative sociali di cui alla citata legge n. 381 del 1991, per il 1998, una deduzione dalla base imponibile pari alla differenza tra salari effettivi e salari convenzionali. Tale deduzione è ridotta nei successivi due anni al 75 e al 50 per cento della predetta differenza. Per l’estensione di questa disposizione ad altre imprese, in particolare a tutte quelle previste dal decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 602, il Governo si riserva di approfondire la materia, non escludendo, dunque, di poter intervenire mediante un successivo decreto integrativo. L’approfondimento è richiesto sia al fine di verificare attentamente il costo in termini di gettito di una estensione generalizzata, sia al fine di valutare le connessioni con il recente provvedimento di cui al decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314.

Non si è ritenuto, invece, di dover accogliere l’osservazione relativa alla deducibilità dalla base imponibile degli utili accantonati in riserve indivisibili dalle imprese e in particolare da talune cooperative, in quanto tale previsione non è in armonia con i principi direttivi dettati dalla legge di delega.

L’articolo 18 prevede le agevolazioni riservate alle nuove iniziative produttive intraprese da giovani in determinate aree territoriali per le quali, in via temporanea per tre o cinque anni e in sostituzione dell’esonero per l’abrogata tassa di concessione governativa sulla partita IVA, è concessa una riduzione al 50 per cento dell’IRAP, con un tetto massimo di 5 milioni. Al fine di aderire ad un’osservazione formulata dalla Commissione parlamentare, con il comma 2 si è previsto che le reti regionali di cui all’articolo 24 possano modificare i suddetti limiti assoluto e percentuale di riduzione dell’imposta.

L’articolo 19 prevede che i soggetti passivi dell’imposta presentino una dichiarazione. Con il comma 5 si precisa che la dichiarazione ai fini Irap è presentata congiuntamente alla dichiarazione unificata introdotta dal decreto legislativo n. 241 del 1997 che ha anche generalizzato l’istituto della compensazione tra imposte e contributi. Tale disposizione sembra rispondere a quanto segnalato dalla Commissione parlamentare con una specifica osservazione. La norma perciò non può che ripetere le caratteristiche che tale dichiarazione unificata deve avere e cioè essere redatta su stampato conforme a quello approvato dal Ministro delle finanze, essere sottoscritta dal soggetto passivo o da un suo rappresentante o per i soggetti diversi dalle persone fisiche, da chi ne ha l’amministrazione, anche di fatto. Disposizioni specifiche prevedono la possibilità di chiedere dati e notizie particolari e le dichiarazioni da presentare in caso di liquidazione, fallimento, liquidazione coatta, trasformazione fusione e scissione.

Con l’articolo 20 si regolano gli obblighi contabili. Per le stesse ragioni di semplificazione che hanno suggerito di unificare la dichiarazione, si è fatto riferimento agli obblighi previsti ai fini delle imposte sui redditi ed IVA.

Il domicilio è coincidente, ai sensi dell’articolo 21, con quello fiscale. Le persone fisiche si considerano perciò residenti nel comune nella cui anagrafe sono iscritti; se non residenti, nel comune in cui hanno prodotto il reddito o la parte più elevata di esso. I cittadini che risiedono all’estero in forza di un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione hanno il domicilio figurativo nel comune di ultima residenza. I soggetti diversi dalle persone fisiche incardinano la residenza nel luogo dove hanno la sede legale o, in sua mancanza, amministrativa o dove hanno una sede secondaria, una stabile organizzazione o, in ogni modo, dove esercitano prevalentemente la loro attività. Il domicilio, nell’imposta regionale, assume molta importanza perché radica la competenza primaria all’accertamento nella regione in cui il soggetto ha il domicilio fiscale.

La giurisdizione sulle controversie è attribuita, secondo l’espressa previsione della legge delega, alle commissioni tributarie, essendo esclusa la possibilità, per le singole regioni, di crearsi un proprio sistema di contenzioso giurisdizionale. Ciò garantirà l’uniformità dell’interpretazione dei principi della disciplina del tributo. Va altresì rilevato che l’attribuzione della competenza alle commissioni tributarie comporta l’applicabilità di tutta la disciplina processuale ivi incluso l’istituto della conciliazione giudiziale. Come comunque appare evidente la giurisdizione di cui all’articolo 22 concerne le controversie relative ai rapporti regione – contribuente e ne sono esclusi eventuali contenziosi che si dovessero aprire tra le regioni, da dirimere secondo le normali regole di giurisdizione.

L’articolo 23 interviene in una materia molto delicata che, ove non disciplinata, potrebbe determinare conflitti con le esigenze di tutela e riservatezza della vita e dei dati personali che, invece, la recentissima legislazione tende a tutelare. Dopo l’ovvia premessa che le regioni devono poter disporre dei dati presenti nelle dichiarazioni, messi a loro disposizione, con supporti telematici o magnetici, per ridurre al massimo i tempi, si prevede che con decreto ministeriale, emanato dopo avere sentito la conferenza Stato-Regioni, siano precisate le modalità ed i limiti dell’accesso da parte delle amministrazioni regionali all’anagrafe tributaria. Non è stato seguito il suggerimento della Commissione parlamentare in quanto, in attuazione dell’articolo 3, comma 153 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, è in via di predisposizione il regolamento governativo necessario per stabilire il sistema di comunicazione tra Amministrazione centrale, regioni ed enti locali.

Le attribuzioni delle regioni e dello Stato e le disposizioni transitorie sono disciplinate dai successivi 8 articoli.

I poteri attribuiti alle regioni formano oggetto dell’articolo 24 al quale sono state operate alcune modifiche segnalate dalla Commissione parlamentare. Con lo stesso si lascia ampia libertà a tali amministrazioni di regolamentare le procedure applicative dell’imposta che, per ovvia contiguità di materia, si devono ispirare alle imposte sui redditi e devono rispettare i principi recati dal presente titolo. Ogni regione potrà perciò disciplinare tutta la fase procedurale che intercorre dal momento di presentazione della dichiarazione fino al contenzioso, eventualmente prevedendo specifici organi di controllo e particolari procedure. Una specifica disposizione di salvaguardia contemplata nel comma 4 prevede la possibilità che le regioni che non intendano organizzare propri servizi, affidino, in tutto o in parte, l’attività di accertamento e liquidazione delle imposte, al Ministero delle finanze. La normativa autonoma delle regioni, secondo quanto previsto dalla delega, non potrà avere efficacia prima del gennaio 2000. Tale disposizione trova la sua motivazione nella necessità di provvedere durante tale periodo al finanziamento del servizio sanitario nazionale, in conformità alle previsioni dell’articolo 3 della legge n. 662 del 1996. Con il comma 5 dell’articolo 24 si prevede, inoltre, che gli uffici dell’amministrazione finanziaria e la Guardia di finanza cooperano per l’acquisizione ed il reperimento degli elementi utili per l’accertamento e per la repressione di violazioni alle disposizioni del presente titolo, procedendo anche di propria iniziativa secondo quanto stabilito da leggi regionali o in mancanza da leggi statali trasmettendo agli uffici regionali i relativi verbali e rapporti. Con il comma 7, infine, si prevede che con regolamento, d’intesa con la Conferenza Stato - Regioni, saranno stabiliti gli organi competenti alle irrogazioni delle sanzioni in caso di concorso formale di violazioni alla disciplina IRAP. Non è stato possibile accogliere l’osservazione della Commissione parlamentare relativa al rinvio ad apposita legge della regione siciliana per l’istituzione dell’imposta in quanto una tale previsione è apparsa non conforme ai principi e criteri direttivi recati dalla legge di delega.

Il Governo si impegna, ovviamente, secondo le indicazioni della Commissione parlamentare, ad avviare tutte le procedure necessarie per consentire alla regioni di gestire secondo principi di efficacia e di efficienza le attività di liquidazione, accertamento e riscossione dell’imposta che saranno di loro competenza a partire dall’anno 2000.

L’articolo 25 detta una disciplina temporanea che avrà vigore sino alla emanazione delle leggi regionali. In particolare si prevede che tutte le attività di controllo, liquidazione ed accertamento siano espletate dagli uffici del Ministero delle finanze e secondo le norme che regolano le imposte sui redditi con esclusione di quelle che regolano l’accertamento sintetico e la partecipazione dei comuni all’accertamento. Conseguentemente sono applicabili tutte le norme sull’accertamento comprese quelle relative all’accertamento con adesione.

Per l’espletamento di tale attività ed a compensazione dei costi sostenuti, allo Stato sarà attribuita una quota del gettito della nuova imposta. Come disposto dall’articolo 26, tale quota compensative sarà corrisposta fino a quando le regioni non intervengano con una propria regolamentazione e, ovviamente, con propri organi. Indipendentemente da tali "rimborsi spese" lo Stato sarà destinatario di una ulteriore quota che servirà a compensare (e quindi sarà equivalente) alla perdita di gettito derivante dall’abolizione dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese. Le quote compensative saranno determinate con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con quello del tesoro e solo dopo aver acquisito il parere della conferenza Stato- Regioni.

Poiché buona parte delle imposte soppresse concernono tributi di spettanza provinciale o comunale si è reso necessario compensare le minori entrate che deriveranno a tali enti dalla eliminazioni dei predetti tributi. Le regioni dovranno devolvere, annualmente, alle province ed ai comuni ubicati nel loro territorio, una quota del gettito pari a quello riscosso da province e comuni per le imposte abolite, espressamente indicate nell’articolo 27. Tale compito è stato affidato alle regioni in quanto dispongono dei rendiconti delle province e dei comuni. Per evitare che alle province derivino entrate maggiori è stato previsto che ad esse sia attribuita la quota di spettanza dell’ICIAP al lordo di quella spettante allo Stato. Tale quota sarà, come previsto dal comma 3, riversato allo Stato per le finalità di cui all’articolo 1-bis del decreto legge n. 599 del 1996, convertito nella legge n. 5 del 1997, e cioè per contribuire, con gli enti locali e gli IPAB, alle spese per il personale in aspettativa sindacale. Non si è ritenuto di modificare il predetto comma 3, secondo le indicazioni della Commissione parlamentare, in quanto l’attuale formulazione appare idonea a garantire meglio una agevole applicazione della disposizione in materia di attribuzione allo Stato delle predette quote. L’anno di riferimento per tale calcolo è il 1997. Poiché i dati relativi al 1997 non saranno disponibili nel primo anno di applicazione dell’imposta, il comma 2, nel dare disposizioni in ordine alle modalità ed ai tempi di versamento, precisa che per il primo anno saranno presi a base i dati del gettito riscosso nel 1996, salvo conguaglio da effettuarsi nell’anno successivo. Il comma 2 è stato integrato al fine di aderire ad un’osservazione della Commissione parlamentare prevedendo che dall’anno 1999 i predetti importi siano aumentati con riferimento alla percentuale dell’inflazione programmata, in linea con quella che può essere la prevedibile crescita spontanea delle imposte locali abolite. Le regioni, con una disposizione innovativa e tesa ad incentivare ulteriori decentramenti recata dal comma 4, potranno devolvere alle province e ai comuni anche percentuali maggiori di quanto previsto, a fronte dell’assunzione, da parte degli enti territoriali destinatari, di funzioni, delegate dalla regione stessa. L’articolo è stato integrato dal comma 6, secondo le indicazioni della Commissione parlamentare e della Conferenza Stato-Regioni, al fine di riconoscere espressamente la potestà normativa delle regioni Friuli Venezia-Giulia e Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano in materia di disciplina dei rapporti finanziari con gli enti locali.

Relativamente all’articolo 28, il Governo ha ritenuto di esercitare la delega sul punto entro i termini prescritti. Sulla materia, comunque, è stato presentato un emendamento al collegato della finanziaria per il 1998 in modifica della delega contenuta nella legge n. 662 del 1996 che prevede l’emanazione di un nuovo decreto legislativo per la istituzione di un’addizionale comunale e provinciale sull’Irpef in luogo di quella sull’Irap. Contestualmente all’attuazione della nuova disposizione di delega, ovviamente, si provvederà con lo strumento del decreto legislativo integrativo e correttivo a modificare sul punto il presente decreto. Ove province e comuni istituiscano le previste addizionali IRAP, viene meno l’obbligo della compartecipazione da parte della regione. Infatti, comuni e province possono istituire delle addizionali all’IRAP, che, nel caso, dovranno sostituire, come previsione minima, le compartecipazioni. Come limite massimo è individuato un aumento del 50 per cento rispetto alle aliquote minime (dell’addizionale all’IRAP) stabilite con legge regionale. Disposizioni procedurali, per l’istituzione di tali addizionali e per il loro coordinamento su base regionale, sono dettate dal medesimo articolo 28 che è stato modificato sulla base delle osservazioni della Commissione parlamentare. In particolare sono state recepite le osservazioni relative al comma 1, con il quale si prevede che la legge regionale che stabilisce le aliquote minime della predetta addizionale deve essere adottata entro il 31 luglio 1999, e, al comma 2, che prescrive che le relative delibere degli enti locali siano pubblicate per estratto sulla Gazzetta Ufficiale.

Dal 1990 la crescente importanza assunta dalle aree costituite dalle grandi città e dai comuni contigui ha suggerito la previsione di unità amministrative atipiche e cioè le città metropolitane. Tali entità dovrebbero consentire una migliore allocazione delle risorse ed una loro utilizzazione più razionale secondo il concetto del "bacino di utenza". L’articolo 29 prevede espressamente che in caso di delega di funzioni amministrative alle città metropolitane, alle stesse dovranno essere garantiti adeguati mezzi finanziari.

In attesa che le regioni regolamentino in proprio il meccanismo di riscossione, l’articolo 30, in aderenza al dettato della legge delega, ha previsto un analitico regime transitorio. In particolare, si è preferito collegare strettamente tutte le procedure a quelle previste in materia di imposte sui redditi di cui si sono mutuate per relationem modalità, termini, necessità di procedere a versamenti in acconto oltre che le disposizioni in materia di riscossione coattiva. Per le amministrazioni pubbliche si sono dettate disposizioni diverse prevedendo il versamento di acconti mensili dell’imposta calcolata sulle retribuzioni e sui compensi corrisposti il mese precedente.

La stessa finalità di impedire momentanee deficienze nel volume delle entrate, ha determinato la norma contenuta nell’articolo 31 che regola la misura dell’acconto da versare nel primo periodo di imposta nel quale il tributo è applicabile e la sua base di commisurazione che è, convenzionalmente individuata nella misura del 120 per cento dell’imposta liquidabile sul valore della produzione netta realizzata nel periodo precedente. Poiché si tratta di una determinazione convenzionale, è stata prevista la possibilità di una verifica da parte dell’amministrazione, prevedendo la redazione di un apposito prospetto, da determinare con decreto ministeriale, da allegare alla dichiarazione dei redditi o di una specifica dichiarazione, per coloro che non sarebbero tenuti a tale adempimento ai fini delle imposte sui redditi. Non si è ritenuto di modificare la base di commisurazione del primo acconto Irap, così come richiesto dalla Commissione, attesa l’esigenza di ottenere nel minor tempo possibile dati certi in ordine all’entità complessiva della base imponibile della nuova imposta. Nè è apparso necessario precisare, come richiesto dalla Commissione, che, analogamente a quanto prevede la normativa vigente per le imposte dirette, non è sanzionato il versamento insufficiente della prima rata d’acconto ove questa non sia inferiore al 40 per cento della somma dovuta, atteso il rinvio che viene fatto alla stessa normativa.

Gli articoli da 32 a 35 concernono la materia delle sanzioni, che per evidenti ragioni di legittimità costituzionale è stata sottratta alla regolamentazione delle regioni.

Le sanzioni sono state modellate secondo le nuove previsioni che stanno per essere introdotte con tre diversi decreti legislativi, emanati in attuazione di una delle deleghe previste dalla legge n. 662 del 1996. Il motivo della trasformazione del sistema è da ricercare in una esigenza di aggiornamento e semplificazione dell’impianto sanzionatorio attuale, ormai non più adeguato alla realtà ed ancora basato su una normativa risalente agli anni trenta, molto avanzata per quei tempi, ma che ormai non appare più rispondere all’intervenuto evolversi della legislazione. In particolare, nel vecchio modello era prevista l’esistenza di due diversi tipi di sanzione: la pena pecuniaria e la soprattassa. Nella considerazione ormai certa che esse hanno natura identica, il legislatore delegato ha ritenuto non opportuno conservare le due specie di sanzioni, sostituendole con una di nuovo tipo e cioè la "sanzione amministrativa". Questo nuovo tipo di sanzione ha carattere repressivo e perciò si accosta alla sanzione penale, tesa alla tutela di interessi pubblici qualitativamente identici. Da queste premesse non poteva non derivare, come ovvia conseguenza, che i principi essenziali ai quali si doveva uniformare il nuovo sistema fossero comuni a quello penale. In particolare, il comportamento riprovevole deve essere: 1) previsto da una legge; 2) attribuito ad un soggetto imputabile (cioè capace di intendere e di volere); 3) espressione di un’azione cosciente e volontaria; 4) qualificato almeno colpevole, se non doloso. Si tratta di concetti che rispondono alla tutela di diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e recepiti dal legislatore anche quando furono depenalizzati alcuni reati e introdotto il sistema sanzionatorio amministrativo. La connotazione punitiva della sanzione amministrativa porta con sé l’applicabilità di una serie di istituti propri del diritto penale e in altre parole: 1) la graduazione della sanzione che deve tenere conto della gravità del fatto, del comportamento dell’autore, anche successivo alla violazione e della sua personalità, riferita ai precedenti specifici in materia tributaria, 2) l’intrasmissibilità della pena agli eredi, 3) l’applicazione di cause di esclusione (caso fortuito e simili), 4) la responsabilità diretta di colui che abbia indotto altri alla commissione della violazione (per cercare di combattere il fenomeno dei c.d. prestanome). Ultimo aspetto rilevante della riforma riguarda la disciplina della continuazione e del concorso formale di violazioni, concepita in modo da perseguire le violazioni nel loro aspetto sostanziale ed evitare quelle ipotesi di sanzioni a cascata, così frequenti nell’attuale sistema. Poiché la norma sul concorso formale ne prevede l’applicabilità anche nel caso di violazione di disposizioni anche relative a tributi diversi, ne discende che viene opportunamente evitato il cumulo di sanzioni per chi omettendo la dichiarazione unica violi contemporaneamente la disciplina dell’IRAP, delle imposte sui redditi ed, eventualmente, anche dell’IVA. La circostanza trova espressa conferma nell’articolo 35 che, nei casi di omessa tenuta della contabilità, prevede l’applicazione delle disposizioni in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto.

Scendendo nel dettaglio, le ipotesi sanzionate dagli articoli 32 e 33 sono quelle tipiche delle imposte sui redditi, fatti gli opportuni adattamenti: omessa presentazione della dichiarazione, indicazioni di imponibili o imposte inesatti, mancata presentazione della sola dichiarazione IRAP, uso di modelli non conformi, omissione o inesatta indicazione di dati personali, mancata allegazione di documenti da allegare obbligatoriamente.

Le violazioni relative al versamento sono contenute nell’articolo 34 e prevedono ipotesi sanzionate meno gravemente. La logica di tale scelta è da ricercare nella circostanza che il contribuente, presentando la dichiarazione, ma non versando la relativa imposta, non si è voluto sottrarre al controllo e all’accertamento, ma ha ritardato o omesso degli adempimenti sapendo che tale circostanza sarà sicuramente evidenziata. Si tratta perciò di ipotesi più vicine alla morosità che all’evasione (si deve presumere che in tali circostanze il contribuente non versi perché sia nell’impossibilità di adempiere) e per tale motivo sono state sanzionate meno gravemente.

Non è prevista l’ipotesi di dichiarazione presentata con ritardo superiore ad un mese in quanto ricompresa nei principi generali del nuovo sistema sanzionatorio.

Non si è ritenuto di modificare il testo della norma facendo riferimento alle "prescritte scadenze" in quanto si tratta di una modifica formale non necessaria all’applicazione della disposizione secondo i predetti principi generali dettati dalla riforma delle sanzioni tributarie amministrative.

L’articolo 36 individua i tributi aboliti che sono:

- i contributi per il servizio sanitario nazionale (compreso quello per l’assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi e quello dello 0,20 per cento della retribuzione imponibile, destinato a fronteggiare la parte di onere non coperta dal relativo fondo, per l’assistenza di malattia ai pensionati);

- l’imposta locale sui redditi (ILOR);

- l’imposta comunale per l’esercizio di imprese e di arti e professioni (ICIAP);

- la tassa di concessione governativa sulla partita IVA;

- l’imposta sul patrimonio netto delle imprese.

Tali tributi cesseranno di avere effetto dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ma continueranno ad applicarsi in relazione ai presupposti di imposizioni verificatisi anteriormente a tale data.

Disposizioni di raccordo, sono dettate dall’articolo 37, per i soggetti il cui periodo di imposta non coincide con l’anno solare. Non si è ritenuto di adottare la soluzione utilizzata per lo stesso tipo di imprese in sede di riforma del 1971 che consisteva nella fictio iuris di spezzare l’esercizio a cavallo del 1974 (data di entrata in vigore dell’IRPEF) in due distinti periodi d’imposta. Poiché si è ritenuto che tale soluzione avrebbe creato dei disagi alle imprese, si è preferito prevedere che per tali soggetti, l’imposta si applichi a partire dal primo periodo di imposta con inizio successivo alla data del 1° gennaio 1998. Questa soluzione avrebbe comunque creato, in alcuni casi, un salto di imposta per la patrimoniale, tributo in vigore fino al 30 settembre 1997. Le imprese il cui esercizio comincia tra il primo ottobre e il 13 dicembre 1997, in assenza di previsioni particolari, non avrebbero dovuto, per tale esercizio, pagare la patrimoniale né sarebbero state obbligate al pagamento dell’IRAP. Per questo motivo l’applicazione dell’IRAP stessa è stata anticipata all’inizio del periodo d’imposta, sia pure anteriore al 1° gennaio 1998, per i soggetti il cui periodo di imposta non coincida con l’anno solare ed abbia avuto inizio dopo il 30 settembre 1997. Norme speciali per evitare di far ricadere gli stessi soggetti in una situazione opposta di svantaggio sono state dettate al comma 3 dell’articolo con il quale si prevede lo scomputo, dall’acconto IRAP, delle somme versate fino al 31.12.1997 a fronte dei contributi e tributi soppressi.

Le modalità di determinazione del Fondo sanitario nazionale e la sua ripartizione sono previste dagli articoli 38 e 39. Con essi si prevede che tale fondo deve avere una dotazione, non riducibile, pari all’intera addizionale sull’IRPEF nonché una quota percentuale dell’IRAP (per le regioni a statuto speciale e per le province autonome ci sono delle regole leggermente diverse). Il comma 2 dell’articolo 38 vincola al fondo anche i contributi riscossi nel 1998 e relativi a presupposti di imposta verificatisi anteriormente. Il comma 3 dello stesso articolo detta disposizioni per disciplinare la partecipazione delle regioni Sicilia e Sardegna al finanziamento del servizio sanitario nazionale. Secondo quanto dispone l’articolo 39, alle regioni saranno attribuite annualmente delle anticipazioni, tenuto conto dell’importo complessivo presunto del gettito dell’addizionale IRPEF e della quota dell’IRAP di cui all’articolo 38; anticipazioni sono deliberate dal CIPE, su proposta del Ministro della sanità e sentita la conferenza Stato – Regioni. Le assegnazioni delle quote definitive dovranno essere deliberate con le stesse modalità entro il febbraio dell’anno successivo. Le regioni potranno anche beneficiare di anticipazioni da parte del tesoro, nei consueti limiti di un dodicesimo dell’importo complessivo presunto del gettito (importo ridotto se non è stata ancora adottata la deliberazione del CIPE). Eventuali differenze negative saranno coperte con integrazioni del fondo sanitario, previste di volta in volta nelle leggi finanziarie.

L’IRAP sarà versata unitamente alle imposte sui redditi, in sede di dichiarazione unica. Le modalità per riversare l’imposta alle regioni sono stabilite dall’articolo 40 che prevede l’istituzione di conti correnti infruttiferi ed una specifica contabilità speciale. Le modalità pratiche per l’attuazione di tale riversamento sono rinviate ad apposito decreto sulla base di una serie di indicazioni previste dallo stesso articolo.

Con gli articoli 41 e 42 si dettano disposizioni volte a regolare i flussi finanziari tra lo Stato e le Regioni a statuto ordinario e speciale. Non si è ritenuto al, momento, di modificare il testo come richiesto dalla Commissione parlamentare in quanto le procedure applicative relative all’esecuzione di conteggi bimestrali del saldo delle risorse proprie delle regioni risulterebbero estremamente onerose. Il Governo, comunque, si riserva di esaminare la necessità di eventuali interventi utilizzando a tale fine lo strumento dei decreti correttivi ed integrativi.

L’articolo 43 prevede al comma 1 che le disposizioni del titolo I che fanno indistintamente richiamo alle regioni, devono intendersi riferite anche alle province autonome di Trento e Bolzano, per quanto concerne la regione Trentino – Alto Adige. Con il comma 2 si stabilisce che i rapporti finanziari con lo Stato, le autonomie speciali e gli enti locali devono essere disciplinati in modo tale da mantenere il necessario equilibrio finanziario.

L’articolo 44 prevede che ai fini dell’applicazione dei trattati internazionali in materia tributaria, l’IRAP è equiparata all’Ilor. Al riguardo, si segnala, il Governo sta predisponendo le opportune iniziative al fine di accelerare i tempi di modifica dei trattati internazionali secondo l’indicazione fornita dalla Commissione parlamentare.

L’articolo 45 è stato riformulato al fine di tener conto di specifiche osservazioni formulate dalla Commissione parlamentare. I commi 1 e 2 recano disposizioni transitorie per i primi quattro periodi di imposta di applicazione dell’Irap per i soggetti che operano rispettivamente nel settore agricolo e per i primi tre periodi di imposta per le banche e le imprese di assicurazione. Nel primo caso si stabilisce che l’aliquota del primo anno sia del 2,5 per cento e che passi al 3 per cento nel 1999, al 3,5 nel 2000 e al 3,75 nel 2001. Per quanto riguarda il settore della piccola pesca, si è ritenuto di dover operare i necessari approfondimenti al fine di valutare l’opportunità di specifici interventi nel campo. Per le predette imprese bancarie e di assicurazione l’aliquota è fissata al 5,4 per cento per il 1998, al 5 per cento per l’anno 1999 e, infine, al 4,75 per l’anno 2000.

Il comma 3 contiene la così detta clausola di salvaguardia finalizzata a contenere gli eventuali effetti accentuatamente negativi che potrebbero derivare per taluni soggetti dalla sostituzione delle imposte soppresse con l’Irap. Rispetto alla formulazione precedente e accogliendo i suggerimenti formulati dalla Commissione parlamentare la clausola opera soltanto a favore degli eccessi di carico impositivo che possono manifestarsi in alcuni soggetti e non più, simmetricamente, anche a sfavore di chi ottiene significative riduzioni di carico impositivo. In questo modo, si riducono di molto le difficoltà attuative e operative della clausola stessa. Con decreto del Ministro delle finanze saranno stabilite, sulla base di parametri predeterminati, le modalità per determinare la riduzione dell’acconto e del saldo dell’imposta. Anche per gli anni 1999 e 2000 opererà un meccanismo di riduzione in misura decrescente.

Per quanto riguarda, infine, la raccomandazione formulata dalla Commissione parlamentare relativamente alla necessità di intervenire su taluni problemi non riguardanti l’istituzione dell’Irap ma a questa connessi, il Governo valuterà l’opportunità di intervenire sulle problematiche evidenziate con lo strumento delle disposizioni integrative e correttive.

4.2 La normativa sull’IRPEF

Per quanto riguarda le disposizioni del titolo II, recanti la revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF e l’istituzione di una addizionale regionale all’IRPEF, si richiama quanto già detto in precedenza.

In particolare, l’articolo 46 sostituisce il comma 1 dell’articolo 11 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, modificando le aliquote e il numero degli scaglioni di reddito coerentemente a quanto stabilito dalla legge di delega.

Con l’articolo 47 viene data attuazione all’articolo 3, comma 145, della legge n. 662 del 1996 concernente la revisione della disciplina delle detrazioni per carichi di famiglia sostituendo l’articolo 12 del predetto testo unico n. 917 del 1986.

L’articolo 48 prevede la sostituzione dell’articolo 12 del testo unico relativo alle detrazioni per reddito di lavoro dipendente, autonomo e di impresa.

Riguardo alle altre detrazioni, l’articolo 49 fissa la percentuale di detraibilità degli oneri al 19 per cento a condizione che gli oneri stessi non siano deducibili nelle determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo.

L’articolo 50 istituisce l’addizionale regionale all’IRPEF. Ciascuna regione con proprio provvedimento fissa l’aliquota dell’addizionale tra lo 0,50 e l’1 per cento. Per gli anni 1998 e 1999 l’aliquota è fissata nella misura dello 0,50 per cento su tutto il territorio nazionale.

Rispetto alla osservazione della Commissione parlamentare è stata accolta la proposta di stabilire al 46 per cento l’aliquota massima e di aumentare il limite del penultimo scaglione da 120 a 135 milioni. E’, inoltre, stata ripristinata la detrazione per il primo figlio a carico pari a quella del coniuge nei casi in cui il coniuge manchi, così come richiesto dalla Commissione parlamentare.

Relativamente, infine, agli assegni familiari, non si è ritenuto di dover accogliere il suggerimento della Commissione parlamentare in quanto tali debiti, se percepiti dal coniuge divorziato, sono attualmente assoggettati alla "tassa sulla salute". L’abolizione di questa compensa sostanzialmente l’incremento dell’aliquota dal 10 per cento al 19 per cento.

4.3 La normativa sui tributi locali

Con il titolo III del presente decreto viene data attuazione alle norme di delega contenute nell’articolo 3, commi 143 e 149, nonchè alle disposizioni di cui al comma 151, della legge 23 dicembre 1996, n.662.

L’articolo 51 elenca le imposte e le tasse abolite sulla base del disposto di cui alla lettera e) del richiamato comma 143. Tali abrogazioni hanno effetto dal 1° gennaio 1999 per le tasse di occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni, delle province e delle regioni, per l’imposta erariale di trascrizione, iscrizione ed annotazione dei veicoli nel pubblico registro automobilistico e per l’addizionale provinciale all’imposta erariale di trascrizione. La decorrenza delle abrogazioni di questi tributi è giustificata dal fatto che per l’applicazione delle disposizioni regolamentari inerenti le entrate, anche tributarie, è necessaria la deliberazione dell’ente locale, alla quale è riconosciuta efficacia non anteriormente al 1° gennaio 1999. L’abrogazione delle tasse sulle concessioni comunali ha effetto dal 1° gennaio 1998. Tale data coincide con l’entrata in vigore dell’IRAP che sostituisce anche le tasse sulle concessioni comunali.

Il comma 3 dello stesso articolo stabilisce tuttavia che detti tributi continueranno ad applicarsi in relazione ai presupposti di imposta verificatisi anteriormente alle suddette date, consentendo quindi di effettuare gli accertamenti necessari, ovviamente entro i prescritti termini di decadenza.

La Commissione aveva proposto di modificare la norma transitoria in questione relativamente all’imposta erariale di trascrizione e all’addizionale provinciale all’imposta erariale di trascrizione dando ultrattività a tali tributi anche con riferimento alle formalità che verranno poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo. Non si è ritenuto di accogliere tale suggerimento dal momento che il presupposto dell’imposta è la trascrizione dell’atto, per tanto non è apparso consono sottoporre alla vecchia normativa le nuove formalità.

L’osservazione relativa alla possibilità per il Comune di attribuire il potere di accertamento e riscossione al concessionario di cui all’articolo 52 del decreto legislativo n. 507 del 1993, relativamente ai tributi previsti nei commi 1 e 2, ove il servizio sia stato a questo affidato, non è stata recepita dal momento tale previsione è già insita nel sistema e si ritrova anche nell’articolo 64.

L’articolo 52, in attuazione dei principi e criteri direttivi contenuti nelle lettere a) e b) del comma 149 del citato articolo 3, disciplina la potestà regolamentare dei comuni e delle province in materia tributaria.

Al riguardo viene stabilito che le province ed i comuni hanno il potere di disciplinare con regolamento le proprie entrate anche di natura tributaria, fatta eccezione, per quanto riguarda queste ultime, per la individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei vari tributi, e ciò nel rispetto dell’articolo 23 della Costituzione. Viene peraltro precisato che, in mancanza del regolamento ovvero per quanto non venisse regolamentato, si applicano in ogni caso le vigenti disposizioni legislative, al fine di non determinare vuoti normativi che si ripercuoterebbero necessariamente sulla gestione dei tributi locali.

La Commissione ha proposto di prevedere che sia consentito anche quanto non regolamentato e non previsto dalla legge. Si è ritenuto di non accogliere tale suggerimento in quanto in contrasto con la legge di delega ed i principi costituzionali.

Per quanto attiene ai regolamenti relativi ad entrate non aventi natura tributaria occorre precisare che, in ogni caso, gli stessi dovranno essere adottati in conformità alle disposizioni del D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, recante l’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali.

I regolamenti sono adottati, con deliberazione dei rispettivi consigli a norma dell’articolo 32 della legge 8 giugno 1990, n. 142, non oltre il termine per l’approvazione del bilancio di previsione, ed hanno effetto non anteriormente al 1° gennaio dell’anno successivo. Questa disposizione appare necessaria al fine di consentire ai contribuenti e a tutti i destinatari delle norme regolamentari di venire tempestivamente a conoscenza del contenuto del regolamento e della sua entrata in vigore. Nell’esercitare la potestà regolamentare, i comuni devono porsi un limite generale, quello di rispettare la tendenza del sistema alla semplificazione del rapporto tra contribuente ed ente impositore, al fine di non creare adempimenti che, per termini e modalità, risultino vessatori o difficilmente conoscibili.

La Commissione aveva proposto di anticipare l’entrata in vigore della nuova disciplina. Ciò non si è ritenuto possibile in quanto si sarebbero venute a creare notevoli difficoltà operative per gli uffici e soprattutto per i contribuenti.

I regolamenti concernenti le entrate tributarie e le relative delibere di approvazione devono essere inviati in copia autentica, entro trenta giorni dalla data in cui sono divenuti esecutivi, al Ministero delle finanze, cui è attribuito il potere di impugnare, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento, i regolamenti in questione, unicamente per vizi di legittimità, davanti al tribunale amministrativo regionale territorialmente competente.

La Commissione ha ritenuto opportuno sopprimere la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei regolamenti. Si è accolta parzialmente tale osservazione limitando l’obbligo della pubblicazione all’avviso. In tal modo si è, pur tenendo presente le esigenze organizzative dei comuni, garantita una agevole conoscenza dei regolamenti da parte dei contribuenti.

E’ stato inserito un nuovo comma 3 che recepisce le indicazioni fornite dalla Conferenza unificata.

Il comma 5, detta una serie di criteri direttivi cui, relativamente alle procedure di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate, i regolamenti devono essere informati.

Viene precisato, alla lettera a), che l’accertamento dei tributi può essere effettuato dagli enti locali interessati anche nelle forme associate previste negli articoli 24, 25, 26 e 28 della richiamata legge n. 142 del 1990, concernenti rispettivamente le convenzioni, i consorzi, le unioni di comuni e le comunità montane.

La possibilità di ricorrere per l’effettuazione dell’accertamento dei tributi, ad una delle varie forme di associazione di enti locali previste dalla legge n. 142 del 1990, consente, soprattutto ai piccoli comuni, di realizzare economie di scala rendendo più agevole la gestione dei tributi locali.

Laddove gli enti locali non ritengano di utilizzare la gestione diretta o quella in forma associata per l’attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate, possono utilizzare, sulla base di quanto disposto dalla lettera b), una serie di soggetti diversi dall’ente locale, ricorrendo alle opportune modalità di affidamento.

Questi soggetti sono stati individuati nelle aziende speciali di cui all’articolo 22 della legge n. 142 del 1990, oppure, nel competente concessionario della riscossione, nelle società miste di cui al predetto articolo 22, e nei soggetti iscritti in apposito albo istituito presso il Ministero delle finanze. Recependo, almeno in parte, l’osservazione della Commissione si è previsto l’obbligo di indire gare per l’affidamento delle attività in questione in tutti i casi salvo l’ipotesi delle aziende speciali. Non si è potuto prevedere altre eccezioni in quanto la normativa comunitaria non lo consente.

Circa le modalità di svolgimento delle attività in questione, le successive lettere c) e d), contengono significative precisazioni ed introducono opportune semplificazioni e razionalizzazioni.

E’ stabilito, infatti, che l’affidamento a terzi non deve comportare oneri aggiuntivi per i contribuenti.

Viene inoltre previsto il ricorso, per la riscossione coattiva, alla procedura di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, oltre che a quelle del D.P.R. n. 43 del 1988 e stabilito che il visto di esecutività sui ruoli delle entrate degli enti locali sia apposto dal funzionario designato quale responsabile della relativa gestione, in maniera analoga a quanto attualmente previsto per l’imposta comunale sugli immobili, responsabilizzando così gli enti locali e sgravando nel contempo l’amministrazione finanziaria - cui attualmente tale funzione è demandata - da una serie di inutili, ma non per questo meno defatiganti, procedure.

In accoglimento alle osservazioni formulate dalla Commissione relativamente all’articolo in esame ed agli articoli 62 e 63 è stato inserito il comma 7 il quale demanda ad un decreto del Ministro delle finanze la disciplina relativa all’affidamento e allo svolgimento dei servizi in questione ed alla misura dei compensi, recependo, quindi, in tal senso il suggerimento della Commissione.

Relativamente alla considerazione fatta dalla Commissione in merito alla possibilità di estendere anche agli altri soggetti di riscossione quanto previsto per i concessionari (e cioè di versare, per l’attività di riscossione dell’ICI un contributo per la tenuta della banca dati) si fa presente che ciò non può essere accolto in quanto la delega non lo consente.

L’articolo 53 è strettamente collegato alle disposizioni del precedente articolo 52. Infatti, per consentire agli enti locali di gestire le varie fasi dell’attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e delle altre entrate avvalendosi anche di soggetti privati, è necessario prevedere dei meccanismi di controllo preventivo della capacità tecnica, finanziaria e morale di tali soggetti. Appare inoltre assolutamente indispensabile porre in essere tutti gli accorgimenti per far sì che tali attività siano affidate a soggetti giuridici di specchiata moralità di cui sia agevole un sistematico controllo, al fine di scongiurare l’ingresso nel sistema di organizzazioni malavitose, sempre possibile laddove si abbia riguardo all’entità dei gettiti dei tributi degli enti locali e delle loro entrate patrimoniali.

In proposito, considerata la difficoltà per il singolo ente locale, per quanto efficiente e ben organizzato, di effettuare controlli preventivi e successivi su tali soggetti, è stata prevista la creazione di un albo in sede ministeriale cui possono accedere determinati soggetti, previa verifica dei prescritti requisiti.

Per la gestione di detto albo è stata disposta la costituzione di un’apposita commissione, in cui è prevista un’adeguata presenza degli enti locali attraverso la rappresentanza dell’ANCI e dell’UPI, che dovrà effettuare l’esame delle domande di iscrizione, la revisione periodica, la cancellazione e quant’altro necessario.

Norme specifiche sulla commissione, sulle condizioni e i requisiti per l’iscrizione nell’albo e sulla tenuta dell’albo stesso dovranno essere emanate con appositi regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la conferenza Stato-città.

Relativamente alla richiesta di precisare se della commissione fanno parte anche rappresentanze delle imprese si fa presente che di ciò sarà sicuramente tenuto conto nella stesura dei citati regolamenti.

La Commissione ha proposto di disciplinare l’iscrizione nell’istituendo albo di talune categorie di imprese che operano nel settore (quali i concessionari ex D.P.R. n. 43/1988).

Tale osservazione sarà tenuta certamente presente nella predisposizione del regolamento ministeriale previsto dal comma 3 dell’articolo in esame.

Correlativamente all’istituzione dell’albo si è reso necessario abrogare le disposizioni di cui agli articoli da 25 a 34 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che attualmente disciplinano l’albo dei concessionari dei tributi locali, e cioè l’imposta comunale sulla pubblicità, il diritto sulle pubbliche affissioni e la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche. Le suddette norme, infatti, per la loro ristretta portata, diventano sostanzialmente incompatibili con il nuovo meccanismo che, ampliando il possibile utilizzo di soggetti privati per l’affidamento dei servizi in questione, rende indispensabile una maggiore cautela ed un più penetrante controllo sui soggetti interessati.

L’articolo 54, in attuazione della lettera c) del richiamato comma 149 dell’articolo 3 della legge n. 662 del 1996, stabilisce che le province ed i comuni debbono approvare le tariffe ed i prezzi pubblici contestualmente all’approvazione del bilancio di previsione, di cui rappresentano un elemento costitutivo, significativo dell’indirizzo politico dell’ente locale.

La Commissione ha proposto di far approvare le tariffe ed i prezzi entro la data dell’approvazione del bilancio di previsione. Tale suggerimento non è stato accolto in quanto in contrasto con la norma di delega (art. 3, comma 149, lett. c).

Per la stessa ragione non si è potuto accogliere l’osservazione della Commissione relativa all’esenzione da ogni tipo di imposta, tassa, diritto o quant’altro per gli atti di richiesta dei contribuenti agli uffici o enti pubblici, anche economici di dati, notizie ed elementi rilevanti nei confronti dei singoli contribuenti.

L’articolo 55, in attuazione dei principi contenuti nel più volte richiamato articolo 3, comma 143, lettera d), della legge n. 662 del 1996, prevede la facoltà, per le regioni a statuto ordinario di non applicare tutte o alcune delle tasse sulle concessioni regionali di cui alla tariffa approvata con il D.Lgs. 22 giugno 1991, n.230.

La Commissione ha proposto di limitare la facoltà di non applicare le tasse sulle concessioni regionali di cui al citato decreto legislativo n. 230 del 1991 ad esclusione di quelle relative al titolo II (caccia e pesca).

Tale osservazione non è stata accolta in quanto la legge delega ha voluto lasciare la facoltà alle regioni di non applicare le tasse in questione senza alcuna limitazione.

L’articolo 56 prevede, al comma 1, che le province hanno facoltà di istituire, con regolamento adottato a norma dell’articolo 52, l’imposta sulle formalità di iscrizione, annotazione e trascrizione dei veicoli al pubblico registro automobilistico, ai sensi del Regio decreto legge 15 marzo 1927, n.436, e del relativo regolamento di attuazione approvato con il Regio decreto 29 luglio 1927, n.1814.

L’imposta provinciale si applica su ciascun veicolo al momento della richiesta delle formalità sulla base di una apposita tariffa determinata secondo le modalità previste dal comma 10, le cui misure possono essere aumentate da ciascuna provincia fino ad un massimo del 20 per cento.

E’ prevista un’eccezione al principio dell’applicazione dell’imposta su ciascun veicolo, come del resto era stabilito per l’abrogata imposta erariale di trascrizione; infatti, quando sono richieste più formalità in relazione ad uno stesso credito ed in virtù dello stesso atto, è dovuta una sola imposta.

E’ stato recepito il suggerimento della Commissione che ha chiesto di non computare, ai fini della determinazione dei parametri utilizzati ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1997, n. 244, le maggiorazioni di gettito conseguenti al suddetto eventuale aumento del 20 per cento.

Le province devono notificare all’ente riscuotitore ed all’ufficio provinciale del pubblico registro automobilistico copia autentica della delibera istitutiva o modificativa dell’imposta, entro 10 giorni dalla data di esecutività.

La Commissione ha chiesto di prorogare da 10 a 30 giorni il termine di notifica della deliberazione istitutiva o modificativa dell’imposta provinciale di trascrizione. La proposta non è stata accolta in quanto l’allungamento del termine avrebbe creato problemi di recupero del tributo già versato.

Il regolamento provinciale deve altresì disciplinare gli adempimenti relativi alla liquidazione, alla riscossione, alla contabilizzazione dell’imposta, ai relativi controlli, nonchè all’applicazione delle sanzioni pecuniarie per l’omesso o ritardato pagamento dell’imposta, che sono affidati allo stesso concessionario della riscossione delle tasse automobilistiche. La sanzione pecuniaria per l’omessa o ritardata richiesta delle formalità è prevista dall’articolo 110 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n.285. In caso di affidamento in concessione a terzi della riscossione delle tasse automobilistiche e dell’imposta provinciale, deve, comunque, essere assicurata l’esistenza di un archivio nazionale dei dati fiscali relativi ai veicoli iscritti nel pubblico registro immobiliare.

Il concessionario della riscossione deve riversare le somme incassate a titolo di imposta e sanzioni alla provincia dove la formalità viene eseguita, mentre la richiesta dell’imposta suppletiva -da eseguirsi entro 3 anni dalla esecuzione delle formalità - ed i rimborsi di imposta sono adempimenti spettanti alle province.

In accoglimento alla proposta della Conferenza Unificata è stato inserito il comma 5, il quale prevede che le province autonome di Trento e Bolzano provvedano all’attuazione delle disposizioni di cui al comma 4, in conformità ai rispettivi statuti.

In accoglimento alle proposte della Commissione sono stati inseriti i commi 6, 7 e 8.

Il comma 6, prevede che le cessioni di mezzi di trasporto usati, da chiunque effettuate nei confronti dei contribuenti che ne fanno commercio, non sono soggette al pagamento dell’imposta.

Il comma 7, elimina una elusione del tributo causata dalla possibilità di trascrivere un atto senza aver effettuato le trascrizioni precedenti.

Il comma 8, stabilisce che, relativamente agli atti societari e giudiziari, il termine della richiesta delle formalità e pagamento della relativa imposta, decorre a partire dal sesto mese successivo alla pubblicazione nel registro delle imprese.

Con il comma 9 viene prevista per le controversie relative alla nuova imposta provinciale la competenza delle commissioni tributarie, secondo le disposizioni recate dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Il comma 10 reca una serie di disposizioni transitorie che disciplinano il passaggio dalla normativa regolante l’imposta erariale di trascrizione e relativa addizionale provinciale alla nuova imposta provinciale.

L’articolo 57, strettamente collegato alle disposizioni del precedente articolo 56, disciplina la revisione delle imposte di registro e sulle donazioni.

Infatti, con l’attribuzione alle province della facoltà di istituire un’imposta provinciale sulle formalità di trascrizione, iscrizione ed annotazione dei veicoli al pubblico registro automobilistico, si rende necessario intervenire sulla disciplina relativa all’imposta di registro per gli atti di natura traslativa o dichiarativa aventi per oggetto veicoli a motore da sottoporre alle suddette formalità presso il pubblico registro automobilistico, disponendo per essi la non obbligatorietà della registrazione, con l’inserimento nella tabella del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (atti per i quali non vi è l’obbligo di chiedere la registrazione) dell’articolo 11-bis.

Di conseguenza devono essere apportate modifiche ad alcuni articoli sia del testo che della tariffa del citato D.P.R. n. 131 del 1986, al fine di renderli conformi alla nuova disciplina.

Parimenti, per l’imposta di donazione, si interviene sull’articolo 59 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, sopprimendo il comma 2, data l’espressa abrogazione del richiamo in esso contenuto relativo al più volte citato D.P.R. n. 131 del 1986 ed inserendo l’articolo 59-bis.

La Commissione ha chiesto una modifica al punto b) del comma 1, volta a chiarire che, in caso di atti complessi, il valore, ai fini dell’imposta di registro, viene determinato scomputando il valore dei singoli veicoli risultanti al PRA. L’accoglimento di tale proposta si è ritenuto superfluo in quanto ciò è già previsto dalla lettera d) del medesimo comma 1.

Le disposizioni contenute negli articoli 58 e 59 attuano la delega conferita con l’articolo 3, comma 149, lettera f), della legge n. 662 del 1996.

In particolare, con il comma 1 dell’articolo 58 viene innanzitutto estesa la soggettività passiva ICI al superficiario ed all’enfiteuta, nonché al locatario per gli immobili dallo stesso utilizzati a titolo di locazione finanziaria, disciplinando, per quest’ultima fattispecie, l’ipotesi in cui l’oggetto della locazione finanziaria sia un fabbricato classificabile nel gruppo catastale D non iscritto in catasto ed interamente posseduto da impresa. In tal caso, viene attribuito anche al locatario il potere di proporre la rendita catastale attivando l’apposita procedura di cui al regolamento adottato con il decreto ministeriale n. 701 del 19 aprile 1994, con conseguente passaggio dal valore contabile a quello catastale a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello della intervenuta annotazione nei registri catastali della rendita proposta, con applicazione del deterrente - già previsto normalmente dal primo comma dell’articolo 11 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per i fabbricati sforniti di rendita o con rendita non più adeguata - della riliquidazione dell’imposta sulla base dell’eventuale maggiore rendita effettiva, rispetto a quella proposta, attribuita dall’UTE, con l’aggiunta della maggiorazione del 20 per cento se la rendita attribuita supera di oltre il 30 per cento quella proposta. Qualora non sia dato poter determinare il valore catastalmente secondo le modalità testè menzionate, dovendosi applicare la regola del valore contabile, il locatario, ora attratto nella soggettività passiva ICI, ha diritto a ricevere tempestivamente dal locatore ogni dato ed elemento contabile necessario per la quantificazione di siffatto valore. In sintonia con il delineato sistema - il quale si cala armonicamente nella disciplina originaria contenuta nel comma 3 dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 504 del 1992 - viene previsto che la soggettività passiva ICI in capo al locatario, per i fabbricati a valore contabile in discorso, decorre dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello nel corso del quale è stato stipulato il contratto di locazione finanziaria.

Si è provveduto, sempre con il comma 1, a sopprimere l’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 504 del 1992, il quale demanda al Ministro delle finanze la rivalutazione periodica delle rendite catastali, ai soli effetti dell’applicazione dell’ICI, sulla base di parametri che tengano conto dell’effettivo andamento del mercato immobiliare. La particolare disposizione, peraltro mai attuata, appare incompatibile con il processo di revisione generale delle rendite catastali voluto dalla stessa legge n. 662 del 1996, con il comma 154 dell’articolo 3, attraverso la emanazione di appositi regolamenti.

Con il successivo comma 2 sono individuati i soggetti coltivatori diretti o imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale, agli effetti dell’applicazione delle disposizioni agevolative recate dall’articolo 59 e, di riflesso, dalla lettera b), comma 1 dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 504 del 1992. La disposizione ha carattere interpretativo, ricavandosi già dall’attuale formulazione del primo comma del predetto articolo 59 la necessità, per il riconoscimento della particolare qualifica, della iscrizione negli appositi elenchi dei coltivatori diretti ed imprenditori agricoli a titolo principale (articolo 11 della legge 9 gennaio 1963, n. 9) e dell’assoggettamento al corrispondente obbligo dell’assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia.

Il comma 3 conferisce il potere al comune di deliberare una detrazione per l’abitazione principale al di sopra del tetto massimo di 500.000 lire, attualmente consentito, e fino a concorrenza dell’imposta dovuta per l’abitazione medesima, prevedendo però che, in tal caso, il comune non può stabilire un’aliquota penalizzante, rispetto a quella ordinaria deliberata, per le unità immobiliari tenute a disposizione.

Non è stata inserita la proposta della Commissione relativa alla diversificazione di alcune aliquote in quanto tale disposizione sarebbe stata contraria alla norma di delega (art. 3, comma 149, lett. f), n. 4).

La richiesta della Commissione relativa alla eliminazione della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle deliberazioni comunali concernenti la determinazione dell’ICI, è stata accolta limitando la pubblicazione delle deliberazioni per estratto. In tal modo si è, pur tenendo presente le esigenze organizzative dei comuni, garantita una agevole conoscenza del contenuto delle delibere da parte dei contribuenti.

L’articolo 59 individua materie, la cui importanza è emersa nel corso degli anni di applicazione dell’ICI sia a livello locale che centrale, che il comune può disciplinare con proprio regolamento nel rispetto dei principi fissati dal decreto delegato.

La Commissione ha proposto di anticipare al 1998 la disciplina in esame prevedendo anche una delibera di giunta "motivata". Non si è ritenuto di recepire tale proposta in quanto è parso opportuno prevedere un lasso di tempo adeguato per l’emanazione dei regolamenti. Nè la delega consente di derogare alla competenza dei comuni attribuendo il potere di emanare la relativa disciplina ad una mera delibera di giunta.

In particolare, fra l’altro, al fine di contenere le elusioni di imposta, il comune può intervenire, con la propria attività regolamentare:

- sulla finzione giuridica della non fabbricabilità delle aree di cui al secondo periodo della lettera b), comma 1 dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 504 del 1992, introducendo ulteriori condizioni oltre a quelle, attualmente previste, della proprietà del suolo da parte di un coltivatore diretto o di un imprenditore agricolo a titolo principale e della conduzione del suolo stesso da parte di siffatto proprietario con l’esercizio delle attività di coltivazione e di allevamento di animali; condizioni attuali, queste, che facilmente possono essere procurate con conseguente incidenza enorme sul debito di imposta (si ricorda che il terreno agricolo o è esente da ICI, in quanto ubicato nei circa 5.400 comuni di montagna o di collina, oppure sconta un’imposta del tutto irrisoria; mentre l’area fabbricabile non gode della cennata esenzione e sconta un’imposta abbastanza elevata in quanto calcolata sul suo valore di mercato);

- sulla esenzione, recata dalla lettera i), comma 1 dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 504 del 1992, limitandone l’applicabilità ai soli fabbricati ed introducendo l’ulteriore condizione del loro possesso, a titolo di proprietà o di diritto reale di godimento, da parte dell’ente non commerciale utilizzatore. Attualmente, infatti, poiché è sufficiente l’utilizzo e non è richiesto altresì il possesso da parte dell’ente non commerciale e poiché l’esenzione si riferisce indistintamente agli immobili, la norma può condurre agevolmente ad eludere il pagamento dell’imposta. Si pensi, ad esempio, ad una società proprietaria di un’area fabbricabile di elevatissimo valore; è sufficiente che la stessa dia in affitto od in comodato (magari fittiziamente) tale area ad una associazione assistenziale o sportiva (che sia un ente non commerciale) la quale la utilizzi per lo svolgimento di siffatta attività assistenziale o sportiva, affinchè trovi applicazione l’esenzione in vantaggio della società proprietaria dell’area per tutti gli anni dell’affitto o del comodato;

- sul fenomeno delle aree successivamente assoggettate a vincolo di inedificabilità, disciplinando compiutamente le condizioni che danno diritto al rimborso dell’imposta pagata ed il numero di annualità rimborsabili, avuto anche riguardo alle modalità ed alla frequenza delle varianti apportate agli strumenti urbanistici. Correlativamente alla specificazione di tale potere regolamentare, è stato soppresso, con il comma 1 dell’articolo 58, l’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 13 del D.Lgs. n. 504 del 1992.

Al fine di semplificare la gestione del tributo, sia per l’ente impositore che per il contribuente, e di introdurre elementi di maggiore equità fiscale, viene richiamata l’attenzione del comune sulla possibilità di indirizzare la sua attività regolamentare, fra l’altro:

- in materia di esenzione per lo Stato e gli altri enti territoriali, estendendo la previsione di cui alla lettera a), comma 1 dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 504 del 1992 anche agli immobili diversi da quelli destinati ai compiti istituzionali; ciò, sia per l’estrema difficoltà di individuare esattamente quali sono gli immobili con finalità istituzionali, sia, perché, in un sistema finanziario connotato anche da tutta una serie di trasferimenti di risorse fra enti territoriali, alla fine l’imposizione si traduce, in buona sostanza, in partite di giro;

- sul versante dei valori delle aree fabbricabili, stabilendone periodicamente e per zone omogenee l’ammontare. Ovviamente rimane fermo il principio per cui la base imponibile ICI per le aree fabbricabili è data dal loro valore venale in comune commercio; i valori che sono fissati nel regolamento influiscono solo sul piano della limitazione del potere di accertamento del comune ai fini ICI, nel senso che se l’imposta è stata pagata sulla base di un valore non inferiore a quello stabilito nel regolamento, al comune è sottratto il potere di accertare un maggiore valore;

- in materia di accertamento con adesione, mutuandone l’istituto, attualmente limitato ai tributi erariali, sulla base dei criteri stabiliti nel D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218;

- nei riflessi dei pagamenti per gli immobili posseduti in contitolarità, nel senso di assumere come regolarmente eseguiti i versamenti effettuati da un contitolare anche per conto degli altri;

- in relazione al concetto di abitazione principale, nel senso di ricomprendervi anche le pertinenze (box, garage, cantina o soffitta) ancorché distintamente iscritte in catasto, nonché nel senso di considerare tali anche quelle concesse in uso gratuito a parenti.

Di particolare importanza sono le disposizioni contenute nella lettera l). Con esse si forniscono criteri direttivi affinchè il comune possa intervenire, con la propria attività regolamentare, sulla struttura del procedimento di accertamento, attualmente impostato, nelle sue linee essenziali, sulle operazioni di liquidazione in base ai dati ed elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni e dalle denunce di variazione, di accertamento in rettifica per infedeltà di quanto dichiarato e di accertamento d’ufficio per omessa presentazione della dichiarazione (articolo 11 del D.Lgs. n. 504 del 1992).

Il nuovo sistema delineato si articola nei seguenti punti fondamentali:

- eliminazione dell’obbligo, da parte del contribuente, di presentare dichiarazioni o denunce di variazioni, anche per le ipotesi che attualmente generano siffatto obbligo (è previsto soltanto l’obbligo di comunicare al comune i trasferimenti o le costituzioni di diritti reali su immobili, senza che, però, siffatta comunicazione assuma la classica connotazione di dichiarazione);

- conseguente soppressione dell’operazione, da parte del comune, di liquidazione sulla base della dichiarazione;

- esecuzione, da parte del comune, soltanto di accertamenti per omesso, parziale o tardivo versamento dell’imposta. Gli accertamenti vanno effettuati secondo criteri selettivi, stabiliti annualmente dalla giunta, tali da individuare gruppi ristretti di basi imponibili o categorie di contribuenti, da variare ogni anno, che tengano conto anche delle capacità operative dell’ufficio tributi del comune.

Individuato il gruppo da verificare, diventa possibile procedere a controlli approfonditi, sia attraverso l’assunzione di ogni elemento utile in possesso di uffici pubblici (catasto; conservatorie; archivi notarili; uffici del registro o delle imposte dirette; ecc.) sia mediante contatti con il contribuente (richieste di dati; invio di questionari; ecc.).

La delineata modifica del procedimento di accertamento (che rientra nel potere del comune introdurre o meno), risponde, oltre che a chiare esigenze di semplificazione, sia per il contribuente che per l’attività gestionale degli uffici tributari comunali, alla finalità di indirizzare gli sforzi fiscali del comune non già verso le mere operazioni formali di riscontro dell’esattezza del versato rispetto al dichiarato -di norma scarsamente produttive- bensì verso le più proficue attività di accertamento sostanziale per omissioni o parzialità di versamenti.

D’altro canto, bisogna considerare che la legge n. 662 del 1996 ha attribuito ai comuni (articolo 3, commi da 53 a 56) un amplissimo potere di intervento sulle aliquote, nonché sulle detrazioni o riduzioni di imposta, diversificandole in relazione ad una vasta gamma di fattispecie imponibili, di tal che, a decorrere dall’anno 1997, possono operare sul territorio del singolo comune, a seconda delle scelte dal medesimo operate, molteplici aliquote, non esistendo un limite massimo al numero di aliquote deliberabili .

In tale situazione, diventa quasi impossibile l’operazione di liquidazione sulla base della dichiarazione, a meno che non si pensi di intervenire sul piano legislativo in modo da prevedere l’obbligo di presentazione della dichiarazione ICI ogni anno; la quale strada non appare percorribile, anche perché, per poter comprendere tutte le ipotesi possibili (si ripete: il numero delle aliquote è illimitato) bisognerebbe predisporre un modello di dichiarazione di una complessità estrema; complessità maggiormente acuita dal fatto che per la stessa unità immobiliare le aliquote possono essere diverse nei vari mesi dell’anno (si pensi ad un alloggio sfitto - per il quale si applichi una aliquota maggiorata - che permanga in siffatta situazione soltanto alcuni mesi nel corso dell’anno).

La Commissione ha segnalato la possibilità di prevedere, così come avviene per l’IRAP, un importo minimo, aggiornabile da parte del comune, al di sotto del quale non si effettuano versamenti e rimborsi. Tale osservazione non è stata recepita in quanto l’articolo 17, comma 88, della legge 15 maggio 1997, n.127, già prevede per gli enti locali tale possibilità.

Con successivo comma 3 viene data la possibilità ai comuni, che optino, per il futuro, per la delineata modifica del procedimento di accertamento, di rinunciare, per una o più annualità pregresse, all’effettuazione del controllo formale delle dichiarazioni, ovvero di procedervi sulla base di criteri selettivi.

L’articolo 60, in attuazione dei richiamati commi 149, lettera e), e 143, lettera f), prevede, con effetto dal 1° gennaio 1999:

  1. l’attribuzione del gettito dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, a favore delle province dove hanno sede i pubblici registri automobilistici nei quali sono iscritti i veicoli medesimi, ovvero, limitatamente alle macchine agricole, a favore delle province nel cui territorio risiede l’intestatario della carta di circolazione. Il gettito dell’imposta da attribuire è al netto sia del contributo previsto sui premi assicurativi a favore del fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive (articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legge 31 dicembre 1991, n. 419, convertito dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172), sia del contributo, sugli stessi premi, sostitutivo delle azioni spettanti alle regioni ed agli altri enti che erogano prestazioni facenti carico al servizio sanitario nazionale nei confronti dell’assicuratore, per il rimborso delle prestazioni erogate ai danneggiati dalla circolazione dei veicoli (articolo 11-bis della legge 24 dicembre 1969, n. 990). Detta attribuzione si applica alle imposte dovute sui premi ed accessori incassati a decorrere dal 1° gennaio 1999. La Commissione ha chiesto di escludere dal gettito di spettanza provinciale il cosiddetto contributo antiracket, che va a finanziare l’apposito fondo. Non si è ritenuto di recepire tale suggerimento in quanto la delega non consente l’inserimento della norma in questione;
  2. l’attribuzione del gettito delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, riscosse sugli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà o di diritti reali sui beni immobili, a favore dei comuni nel cui territorio sono ubicati i beni medesimi. Tale attribuzione si applica con riferimento alle imposte riscosse sugli atti formati a decorrere dal 1° gennaio 1999.

Le modalità per l’assegnazione alle province ed ai comuni delle imposte spettanti saranno stabilite con successivi decreti ministeriali. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono all’attuazione delle disposizioni predette in conformità dei rispettivi statuti.

L’articolo 61 stabilisce, in conformità a quanto previsto dal comma 151, dell’articolo 3, della legge n. 662 del 1996, le misure finanziarie compensative volte ad assicurare l’assenza di oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato e di effetti netti negativi per il settore degli enti locali.

In particolare, le minori entrate erariali derivanti dalla soppressione dell’imposta erariale di trascrizione e dalla devoluzione alle province del gettito dell’imposta sulle assicurazioni e ai comuni delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, sono coperte con corrispondenti riduzioni dei trasferimenti statali agli enti locali a decorrere dal 1999.

Relativamente all’imposta erariale di trascrizione, la riduzione dei trasferimenti alle province è effettuata, in via definitiva, in corrispondenza del gettito del tributo previsto per il 1999, che è a sua volta suddiviso tra i singoli enti nella stessa misura percentuale risultante dalla disaggregazione del tributo riscosso nell’anno 1997.

Per gli altri due tributi si procede attraverso una riduzione provvisoria dei trasferimenti, parametrata ai gettiti stimati dall’Amministrazione finanziaria per l’anno 1998, e quindi, entro il 31 marzo 1999, alla determinazione della riduzione definitiva da operare sulla base delle somme effettivamente riscosse nel 1998.

Sempre in linea con i principi della delega è previsto che la riduzione dei trasferimenti statali viene effettuata con priorità sui contributi ordinari e, ove questi siano inferiori all’ammontare della riduzione, sugli altri contributi di parte corrente ovvero, in ultima analisi, anche sui contributi in conto capitale.

E’ infine previsto che il meccanismo di riduzione dei trasferimenti statali interessa, al momento, solo gli enti locali delle regioni a statuto ordinario; per gli enti locali delle regioni a statuto speciale si potrà infatti procedere solo allorquando queste regioni provvederanno, in conformità ai propri statuti, ad adeguarsi alle disposizioni del presente decreto legislativo.

L’articolo 62 prevede che i comuni possano escludere, con regolamento, l’applicazione dell’imposta comunale sulla pubblicità, sottoponendo le iniziative pubblicitarie che incidono sull’arredo urbano o sull’ambiente ad un regime autorizzatorio ed assoggettandole al pagamento di un canone le cui misure sono basate su una tariffa.

La Commissione ha proposto di anticipare al 1998 la disciplina in esame che, invece, è stata prevista a partire dal 1999. Tale proposta non può essere accolta per le considerazioni già fatte in precedenza.

Si è ritenuto di non seguire il suggerimento della Commissione relativo alla necessità di esplicitare che l’esclusione dal predetto tributo può essere effettuata solamente quando venga contestualmente istituito il canone de quo. Tale precisazione è apparsa superflua in quanto la formulazione della norma appare chiara in tal senso. Nè si è ritenuto di chiarire che si tratta di un canone patrimoniale, in quanto ciò è già insito nella disposizione in esame.

Il comma 2 precisa i criteri cui il regolamento comunale in questione deve essere informato, fornendo una serie di linee guida di cui i comuni dovranno tener conto.

Infatti, il regolamento deve individuare la tipologia dei mezzi di effettuazione della pubblicità esterna che incidono sull’arredo urbano o sull’ambiente, sulla base delle disposizioni vigenti in merito ai sensi del codice della strada, di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, e relativo regolamento, le quali trattano diffusamente la materia, sia pure ai fini della tutela della sicurezza stradale, e dalle quali in ogni caso, non è dato prescindere nel disciplinare il fenomeno della pubblicità esterna. Non è stata recepita l’osservazione della Commissione di carattere prettamente formale volta ad inserire le disposizioni normative successive al decreto legislativo n. 285 del 1992. Ed infatti in tutto il decreto legislativo non sono state riportate le successive modifiche alla normativa richiamata.

Il regolamento deve altresì indicare le procedure per il rilascio ed il rinnovo delle autorizzazioni, le modalità ed i termini di pagamento del canone, le modalità di impiego dei mezzi pubblicitari, la determinazione delle misure della tariffa che deve essere graduata sulla base di taluni indici che tengano conto oltre che di un generale criterio di ragionevolezza, anche delle diverse caratteristiche del territorio comunale.

Non sono state recepite le osservazioni della Commissione relative alla soppressione di alcuni dei criteri ai quali il comune deve attenersi per la predisposizione del regolamento. Si tratta, infatti, di criteri previsti direttamente dalla legge delega, ovvero necessari per la concretezza della disciplina e per la determinazione delle voci della tariffa. Per non limitare l’autonomia dei comuni, non è stata neppure accolta la proposta di modificare la lettera d) prevedendo, quale criterio, che le insegne pubblicitarie funzionali all’esercizio di attività in loco e le installazioni pubblicitarie destinate alla diffusione di messaggi per conto terzi, non insistenti sulle proprietà comunali, vengano sottoposte ad un canone autorizzatorio la cui entità non dovrà superare il tributo previsto dal capo I del decreto legislativo n. 507 del 1993 (imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni).

E’ stato, invece, accolto il suggerimento relativo alla determinazione della tariffa per i mezzi pubblicitari installati su beni privati, prevedendo un ulteriore criterio (lett. f) al quale deve uniformarsi il regolamento comunale.

Per quanto concerne l’osservazione, relativa al divieto, per i soggetti privati che svolgono attività di liquidazione e di accertamento dei tributi nonchè di riscossione degli stessi, di svolgere l’attività di commercializzazione della pubblicità in ogni sua forma, la stessa sarà inserita nell’ambito della disciplina che verrà introdotta con il regolamento di cui all’articolo 53.

Vengono infine previste una serie di disposizioni che consentano al comune di costruire un meccanismo sanzionatorio che sia repressivo del fenomeno dell’abusivismo pubblicitario sempre in agguato.

L’articolo 63 è stato predisposto in attuazione del progetto di revisione del sistema impositivo locale contenuto nella delega di cui all’articolo 3, comma 143, della legge n.662 del 1996, nel cui ambito è prevista, tra l’altro, alla lett. e), punto 2, l’abolizione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche disciplinata dal capo II del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507.

In diretta correlazione con la predetta norma si pongono le disposizioni di cui al successivo comma 149, lett. h), del medesimo articolo, in virtù delle quali è attribuita a comuni e province la facoltà di istituire un canone di concessione degli spazi ed aree pubbliche appartenenti al demanio e patrimonio indisponibile di detti enti e di disciplinarne conseguentemente l’applicazione con regolamento, ai sensi dello stesso comma 149, lett.a).

Le disposizioni contenute nell’articolo 63 sono dirette alla sistemazione della materia sulla base del principio secondo il quale, a fronte dell’utilizzazione particolare di spazi ed aree pubbliche, gli enti locali, ai quali gli stessi appartengono, possono pretendere ove lo istituiscano, solo un canone di concessione.

Il comma 1 indica le fattispecie assoggettabili al pagamento del canone. In particolare si tratta delle occupazioni temporanee o permanenti del suolo o spazio pubblico, per effetto di un provvedimento di concessione, che rappresenta, dunque, il titolo in base al quale si legittima l’occupazione del bene sottratto all’uso pubblico e al quale è collegato l’onere di cui trattasi.

L’occupazione, oggetto della concessione, concettualmente connessa all’uso delle aree pubbliche, con relativi spazi soprastanti e sottostanti, (e quindi non anche ai fabbricati) riguarda unicamente i beni del demanio o del patrimonio indisponibile degli enti locali ed è estesa dalla norma anche alle aree mercatali, attrezzate o meno, essendo la loro utilizzazione soggetta al medesimo regime dei beni demaniali, in virtù di quanto espressamente disposto dall’articolo 824 del codice civile. L’occupazione di aree private, invece, può dar luogo al pagamento del canone qualora sulle stesse si sia realizzato, nei modi di legge, una servitù di pubblico passaggio. In tale ipotesi, infatti, l’area pur restando, comunque, di proprietà privata, sarebbe di fatto, vincolata all’uso pubblico generalizzato, la cui contrazione, previo provvedimento amministrativo, giustificherebbe il pagamento del canone.

L’ultimo periodo del comma 1, in aderenza alle disposizioni di cui all’articolo 1, comma 7, del D.Lgs. 30 aprile 1992, n.285, considera comunali tutti i tratti di strade che attraversano centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti .

La disposizione si riferisce ovviamente alle strade provinciali e statali che attraversano i centri abitati; in questa ipotesi, in deroga al principio che è l’ente proprietario del bene occupato ad essere titolare del diritto di percezione dell’onere patrimoniale, il canone è riscosso dal comune nell’ambito del quale si verifica l’attraversamento.

La Commissione ha proposto di anticipare al 1998 la disciplina in esame che, invece, è stata prevista a partire dal 1999. Tale proposta non può essere accolta per le considerazioni già svolte. Non è stata, altresì, recepita l’osservazione della Commissione di prevedere che - per i centri abitati con popolazione inferiore a 10.000 abitanti - i comuni possono deliberare una limitazione territoriale minima a salvaguardia del centro abitato. Ciò in quanto la ratio del sistema è quella di mantenere alla provincia ed allo Stato l’occupazione di strade che mantengono un carattere di fondamentale importanza a livello della circolazione nazionale e provinciale.

Il comma 2 contiene i criteri ai quali gli enti locali devono informare il regolamento da adottare ai fini dell’applicazione del canone di concessione.

In primo luogo, il regolamento deve prevedere le modalità di attivazione del procedimento amministrativo inteso al rilascio o al rinnovo della concessione e, naturalmente, le ipotesi in cui si verifica la revoca di detto provvedimento. In secondo luogo, il regolamento deve procedere alla suddivisione del territorio comunale o provinciale in zone di importanza (categorie), predisponendo un elenco di classificazione delle strade ed aree pubbliche. Sulla base della predetta classificazione, della entità delle occupazioni espressa in metri quadrati o lineari, nonché del sacrificio imposto alla collettività e del valore economico della disponibilità dell’area, il regolamento procede alla indicazione analitica di una tariffa con la previsione di coefficienti moltiplicatori per le specifiche attività svolte dai titolari delle concessioni e per le modalità di realizzazione dell’occupazione.

Nel regolamento vanno, altresì, previste, oltre che le modalità ed i termini di pagamento del canone, eventuali ipotesi agevolative per occupazioni di particolare interesse pubblico. Nell’ambito di tali occupazioni la norma espressamente dispone una specifica agevolazione per le occupazioni necessitate, poste in essere dalle aziende di erogazione di pubblici servizi telefonici, del gas, dell’acqua e dell’energia elettrica, con la previsione di uno speciale meccanismo di determinazione della tariffa.

Tra i criteri direttivi cui il regolamento deve essere informato è prevista l’equiparazione, ai soli fini del pagamento del canone, delle occupazioni su concessione a quelle abusive risultanti da verbale redatto da un pubblico ufficiale, con la previsione di sanzioni amministrative d’importo non inferiore al canone nè superiore al doppio del canone stesso, ferme restando quelle disposte dall’articolo 20, commi 4 e 5, del citato D.Lgs. n.285 del 1992.

Non sono state recepite le osservazioni della Commissione relative alla soppressione di alcuni dei criteri ai quali il comune deve attenersi per la predisposizione del regolamento. Si tratta, infatti, di criteri previsti direttamente dalla legge delega, ovvero necessari per la concretezza della disciplina.

E’ stato altresì previsto che il verbale di contestazione delle occupazioni abusive deve essere redatto da "competente" pubblico ufficiale, in modo da chiarire che i proventi delle relative sanzioni inflitte sono di spettanza unicamente dell’ente locale.

Il successivo comma 3 stabilisce che la misura del canone di concessione è determinata sulla base della tariffa di cui al comma 2, tenuto conto della durata dell’occupazione (temporanea o permanente). Detta misura può essere maggiorata di eventuali oneri di manutenzione derivanti dall’occupazione del suolo o del sottosuolo. Dalla misura complessiva del canone, come sopra determinato, va invece detratto l’importo di altri canoni stabiliti da disposizioni di legge, eventualmente riscossi per la medesima occupazione (ad es. quelli previsti dall’articolo 27 del D. Lgs. n. 285 del 1992), fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi.

Per quanto concerne l’osservazione, relativa ai compensi dei concessionari, la stessa sarà inserita nell’ambito della disciplina che verrà introdotta con il regolamento di cui all’articolo 53.

L’articolo 64 detta le disposizioni finali e transitorie necessarie per assicurare il coordinamento delle situazioni attualmente esistenti con il nuovo assetto delineato dalle norme del presente titolo.

La Commissione ha proposto di anticipare al 1998 la disciplina in esame che, invece, è stata prevista a partire dal 1999. Tale proposta non può essere accolta per le considerazioni già svolte.

Viene stabilito che le autorizzazioni all’installazione di mezzi pubblicitari e le concessioni per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche rilasciate anteriormente alla data dalla quale hanno effetto i regolamenti previsti negli artt. 62 e 63, sono rinnovate a richiesta del titolare o con il pagamento del canone stabilito dall’ente. Resta comunque salva la facoltà dell’ente locale di revocare il provvedimento amministrativo nell’eventualità che vi siano contrasti con le disposizioni contenute nel regolamento.

Non si è ritenuto di accogliere il suggerimento della Commissione relativo a chiarire che il potere del comune di esercitare la facoltà di cui all’articolo 62, può essere effettuato anche successivamente al termine previsto da detto articolo (1998), dal momento che il potere regolamentare del comune non si consuma a tale scadenza.

L’osservazione relativa alla possibilità per il comune di riscuotere il canone sostitutivo della Tosap, avvalendosi degli stessi concessionari, non è stata recepita in quanto tale previsione è già insita nella disposizione in esame.

I commi 2 e 3 dello stesso articolo riguardano, in particolare, la disciplina - contenuta negli artt. 25 e 52 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 - dei rapporti tra comune e concessionario del servizio di accertamento e riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni e/o della tassa sull’occupazione di spazi ed aree pubbliche.

Al comune è attribuita la facoltà di prorogare fino al 31 dicembre 1998, a condizioni da stabilire tra le parti, i contratti di gestione del servizio di accertamento e riscossione cui si è appena fatto cenno, aventi scadenza anteriormente a detta data. Ciò naturalmente al fine di garantire la continuità nella gestione dei tributi.

Le innovazioni apportate dall’articolo 62 rendono, inoltre, indispensabile disciplinare, relativamente ai contratti di concessione del servizio in atto, l’ipotesi in cui il comune si avvalga della facoltà di escludere l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità, prevedendo che l’oggetto dei contratti stessi deve essere limitato al solo servizio delle pubbliche affissioni.

Al fine di garantire un adeguamento delle singole posizioni dei contraenti al mutato assetto normativo, è fatta salva la possibilità per le parti di revisionare le condizioni contrattuali, ed è assicurata al concessionario la facoltà di recedere dal contratto.

* * * * *

La seguente parte della relazione illustrativa è dedicata eminentemente alle proposte emendative formulate dalla Conferenza unificata nella seduta del 13 novembre 1997.

Le proposte sono state raccolte dalla Conferenza separatamente, in considerazione delle diverse categorie degli enti territoriali che le hanno avanzate: regioni, province e comuni. Anche le osservazioni che seguiranno vengono, pertanto, riassunte secondo il medesimo criterio.

A) EMENDAMENTI REGIONI.

Giova esordire con la precisazione che, in modo espresso ovvero nella sostanza, sono stati recepiti gli emendamenti o i suggerimenti delle regioni evincibili dai punti 1°, 2°, 4°, 6°, 8°, 13°, 14°, 15°, 19°, 20°, 21° dell’elenco allegato al verbale riassuntivo della deliberazione della Conferenza unificata.

A tale riguardo è possibile ulteriormente precisare che:

1) relativamente all’emendamento di cui al punto 1°, (finalizzato ad assicurare la partecipazione della Conferenza Stato-Regioni alla fase attuativa delle disposizioni concernenti la ripartizione dell’imposta nelle ipotesi di esercizio di attività sul territorio di più regioni) lo stesso è stato recepito attraverso una correzione dell’articolato (articolo 4, comma 3) che, in sostanza, contempla l’espressione del parere da parte della Conferenza Stato-regioni su tutti gli atti che l’Amministrazione finanziaria dovrà adottare in esecuzione della disposizione di cui all’articolo 4, comma 2, concernente, in pratica, la suddivisione della base imponibile IRAP tra i differenti territori delle regioni e delle province autonome, onde rendere concretamente operante la nuova imposta;

2) relativamente all’emendamento di cui al punto 2° relativo alla necessità di indicare esplicitamente gli enti no-profit tra i soggetti che determinano la base imponibile secondo le regole dettate per gli enti non commerciali, l’accoglimento della proposta delle regioni si evince da quanto già indicato in precedenza, tenuto conto del fatto che la preoccupazione che l’emendamento mira ad evitare trova già esauriente risposta nella recente disciplina del Governo di attuazione della delega legislativa in materia di ONLUS;

3) l’emendamento di cui al punto 6°, che prevede la fissazione di criteri quantitativi da parte della Conferenza Stato-Regioni per la determinazione della quota di IRAP spettante allo Stato, trova, nella sostanza, accoglimento nella correzione apportata all’articolo 26, comma 3, del testo. Si è, in particolare, stabilito che la definizione della quota di gettito IRAP riservata allo Stato a copertura, nel primo periodo di applicazione della nuova disciplina, degli oneri dell’Amministrazione delle finanze correlati alla gestione della nuova imposta, avverrà "d’intesa" con la Conferenza Stato-regioni. Ciò garantisce sul fatto che le regioni avranno pieno titolo ad interloquire sulla concreta calibratura dell’ammontare di dette quote. La Conferenza, invece, sarà solo "sentita" nel procedimento di definizione delle quote riservate allo Stato ai sensi del comma 2 dell’articolo 26 del testo, atteso che i valori parametrici che dovranno essere tenuti presente sono in proposito anaelastici, in ragione del fatto che tali ultime quote dovranno compensare la soppressione dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese, il cui gettito è storicamente ricostruibile in modo agevole;

4) l’emendamento di cui al punto 13°, relativo alla previsione da parte della Conferenza Stato- Regioni di criteri per la ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale, può considerarsi accolto, nella sostanza, se si tiene conto di quanto verrà in seguito precisato relativamente alla temporaneità della disciplina recata dagli articoli da 38 a 42. L’introduzione di una intesa tra il CIPE e la Conferenza Stato-regioni appare, dunque, allo stato, forma congrua di adesione alle aspettative delle regioni;

5) le correzioni introdotte al comma 2 dell’articolo 39 del testo, portano, in sostanza, ad un accoglimento degli emendamenti di cui ai punti 14° e 15° relativi alla commisurazione delle anticipazioni mensili della quota del Fondo Sanitario Nazionale all’intero importo presunto del gettito IRAP e dell’addizionale IRPEF.

Ciò premesso, in relazione ai voti delle regioni emergenti dagli altri emendamenti in elenco cui non è parso possibile aderire, si può osservare quanto segue:

I) in ordine all’emendamento di cui al punto 3°, relativo alla definizione di un sistema di comunicazione di informazioni tra Amministrazione finanziaria ed enti locali, si segnala, preliminarmente, che è apparso comunque doveroso modificare la rubrica dell’articolo 23 del testo. Merita precisare, comunque, che la disposizione di cui le regioni avrebbero gradito una modificazione non attiene a materia che, per effetto del decreto legislativo n.281 del 1997, presupporrebbe protocolli d’intesa con la Conferenza Stato-regioni. La disposizione concerne, invero, un aspetto tecnico di portata molto più modesta quale il collegamento delle regioni alla banca dati dell’anagrafe tributaria del Ministero delle finanze, la cui attivazione e funzionamento hanno già da tempo trovato realizzazione. In via puramente incidentale, si può però ricordare che, in merito al più ampio tema dello scambio dei flussi informativi tra lo Stato e le regioni, è già al lavoro un apposito gruppo di studio onde attuare al meglio quanto previsto dall’articolo 3, comma 153, della legge n.662 del 1996;

II) quanto all’emendamento di cui al punto 5°, relativo all’istituzione con legge regionale di centri di servizio, non è parso necessario intervenire sul testo atteso che la proposta formulata sembra già pienamente attuabile dalle regioni senza bisogno di altro, rientrando la materia della istituzione di uffici e della loro organizzazione nella piena potestà legislativa delle regioni;

III) in ordine agli emendamenti di cui punti 7° e 9°, collegati tra loro e relativi, rispettivamente, alla soppressione del comma 5, dell’articolo 27, concernente il venir meno dell’obbligo per la regione di versare a comuni e province una quota dell’Irap, nell’ipotesi di istituzione dell’addizionale Irpef dai predetti enti locali, e alla soppressione dell’intero articolo 28, che prevede la possibilità di istituire con legge regionale la predetta addizionale Irpef, giova precisare che non è parso possibile sopprimere la disposizione di cui all’articolo 28 del testo, e ciò per un più puntuale rispetto dei vincoli imposti dalla legge di delega. Correlativamente, non è stato possibile sopprimere il comma 5 dell’articolo 27. In argomento, tuttavia, si rinvia a quanto già detto a commento degli articoli 27 e 28 del testo;

IV) quanto all’emendamento di cui al punto 10°, con il quale si prevede che il decreto ministeriale per la definizione delle modalità del versamento dell’acconto mensile da parte degli organi dello Stato sia adottato d’intesa con la Conferenza Stato - Regioni, l’accoglimento parziale (la disposizione prevede, infatti, quanto meno l’assunzione del parere preventivo della Conferenza Stato-regioni) si giustifica con il fatto che tutta la disciplina di cui all’articolo 30 è di carattere transitorio, destinata verosimilmente ad esaurirsi nell’arco di un biennio (si confronti il comma 1 dell’articolo 30, in relazione all’articolo 24 del testo dell’articolato);

V) gli emendamenti di cui ai punti 11° e 12° sarebbero stati rivolti a definire incontestabilmente al 31 dicembre 1999 la transitorietà delle disposizioni di cui all’articolo 38 del testo (come, del resto, di quelle contenute nei successivi articoli 39 - 42). Non si disconosce affatto che la disciplina del finanziamento del Fondo sanitario nazionale, così come essa risulta dal decreto legislativo in esame, abbia natura provvisoria e che, di conseguenza, provvisorio sia anche il regime degli interventi perequativi tra le regioni che potranno conseguire gettiti IRAP differenti. Questo, del resto, si evince dalla stessa disposizione di cui all’articolo 3, comma 143, lettera c), della legge n.662 del 1996. E’ bene, tuttavia, rammentare che la materia del complessivo riordino dei meccanismi perequativi tra le regioni non potrà non tenere conto - in aggiunta a quella che sarà la futura disciplina di finanziamento del servizio sanitario - anche del più ampio e complesso scenario dei conferimenti di funzioni e compiti amministrativi alle regioni da effettuare con i decreti legislativi di attuazione della legge n.59 del 1997. Problema, quest’ultimo, certamente ignoto al legislatore ai tempi dell’entrata in vigore della legge di delega n.662 del 1996 e, tuttavia, portato con sè dalla successiva legge c.d. Bassanini 1. Se, dunque, è certo che la disciplina emergente dagli articoli 38 - 42 è destinata ad essere superata per effetto di futuri interventi normativi specifici, non di meno appare, allo stato, prematuro definire la transitorietà del sistema con la precisione che verrebbe richiesta, sin d’ora, dalle regioni;

VI) in merito all’emendamento di cui al punto 16°, relativo alla fissazione di criteri da parte della Conferenza Stato - Regioni per il versamento delle eccedenze nel fondo di compensazione interregionale, si deve tenere conto, ancora una volta, di quanto precisato poco innanzi in merito alla temporaneità della normativa in commento. E questo, in aggiunta al fatto che il contenuto del comma 4 dell’articolo 42 attiene a profili squisitamente tecnico-applicativi della norma, costituisce la ragione per la quale non è parso, allo stato, opportuno aderire a quanto manifestato dalle regioni;

VII) sempre per ragioni di carattere squisitamente tecnico (questa volta, però, arricchite dalla considerazione che la proposta emendativa avrebbe operato per il solo anno 1998) non si è aderito alla proposta contenuta nel punto 17°, relativa alla determinazione, per l’anno 1998, delle modalità per il versamento di acconti del fondo perequativo per le regioni che presentino saldi negativi delle risorse proprie, con decreto ministeriale d’intesa con la Conferenza Stato - Regioni;

VIII) la mancata adesione all’emendamento di cui al punto 18°, con il quale si suggerisce la soppressione della disposizione concernente il trasferimento alle regioni di nuove funzioni amministrative a partire dall’anno 2000, in luogo del recupero di eccedenze finanziarie delle regioni, trova ragione fondamentale nell’esigenza di rispettare il vincolo di delega di cui al comma 151 dell’articolo 3 della legge n.662 del 1996, relativo all’esigenza di invarianza di oneri connessa all’attuazione della normativa delegata.

B) EMENDAMENTI PROVINCE

I) Per quanto riguarda l’emendamento all’articolo 27, comma 1, concernente l’eliminazione del riferimento alla quota delle entrate provinciali spettanti allo Stato, in modo da determinare un incremento delle risorse per le province stesse, si rileva che i criteri della legge di delega hanno imposto di non alterare le risorse finanziarie già oggi conseguite dalle province. La disposizione di cui al citato articolo è, invero, pienamente coerente a quanto già oggi previsto dall’articolo 6 del decreto legge n.66 del 1989, convertito con legge n.144 del 1989;

II) quanto alla proposta emendativa concernente l’articolo 28, relativo alla disciplina della addizionale provinciale e comunale all’Irap, si rinvia a quanto già illustrato in merito all’analoga richiesta delle regioni (emendamento n. 9). Del resto, con apposito decreto correttivo il Governo adeguerà l’odierno decreto legislativo alle modifiche che saranno apportate alla legge delega dal collegato alla finanziaria 1998 in corso di approvazione (soppressione dell’addizionale IRAP);

III) la proposta relativa all’articolo 54, volta a stabilire che le tariffe e i prezzi pubblici sono approvati entro i termini di approvazione del bilancio di previsione (e non contestualmente, come recita attualmente la norma), risulta sostanzialmente in contrasto con la legge delega, come già spiegato in precedenza a commento del suddetto articolo;

IV) in merito alle proposte concernenti l’articolo 56, riguardante l’imposta provinciale di trascrizione, si osserva che la prima richiesta, riferita al comma 2, è stata accolta, mentre la seconda, riguardante il comma 4, è già coperta dal testo, posto che sarà il regolamento provinciale a prevedere che al rimborso possa provvedere anche il concessionario;

V) la proposta relativa all’articolo 63, in materia di canone per l’occupazione di aree pubbliche per le aziende di pubblici servizi, è sostanzialmente accolta in quanto si è recepita altra osservazione riguardante lo stesso argomento, formulata dalla Commissione parlamentare.

C) EMENDAMENTI COMUNI

I) La proposta relativa all’articolo 10, concernente le modalità di determinazione della base imponibile per gli organi delle pubbliche amministrazioni, è stata sostanzialmente accolta attraverso la formulazione del comma 3, che consente alle amministrazioni pubbliche e agli enti pubblici, per le attività commerciali, di optare, per la determinazione della base imponibile riguardante tale attività, per l’applicazione delle disposizioni previste nel comma 2 (contabilità per le varie attività esercitate);

II) la proposta relativa all’articolo 27, comma 2, finalizzata a determinare la quota del gettito Irap spettante a comuni e province in maniera variabile, è sostanzialmente accolta. Infatti, la finalità dell’osservazione risulta nella sostanza salvaguardata, in quanto è stata recepita un’analoga osservazione della Commissione parlamentare, mediante l’integrazione del comma 2;

III) in ordine alle proposte emendative relative agli articoli 27, comma 5 e 28, si rinvia alle considerazioni svolte in merito all’analogo rilievo prospettato dalle regioni;

IV) gli emendamenti relativi agli articoli 28, comma 2, 49, comma 2 e 52, comma 4, riguardanti le modalità di pubblicazione delle delibere relative alla misura delle aliquote e delle tariffe, possono considerarsi accolti in quanto si è previsto la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale delle delibere, per estratto, e dei regolamenti degli enti locali mediante avviso di pubblicazione. In tal modo si è ritenuto di conciliare le diverse esigenze di trasparenza dei provvedimenti e di economia della loro pubblicazione;

V) in ordine all’emendamento relativo all’articolo 28, lettera d) - che in realtà sembra riferirsi al contenuto dell’articolo 52, comma 4, lettera d), relativo alle modalità per l’affidamento a terzi delle attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi locali, si fa presente che risulta accolta una analoga osservazione della Commissione parlamentare;

VI) l’emendamento di cui all’articolo 53, relativo alla necessità di garantire rappresentanza all’Anci e all’Upi all’interno della commissione di vigilanza nell’albo dei soggetti abilitati alla predette attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi, è stato accolto;

VII) la proposta relativa all’articolo 58, comma 1, lettera l) - che, in re.

altà, si riferisce all’articolo 59, comma 1, lettera l) - finalizzata alla attribuzione alla giunta della mera facoltà di deliberare azioni di controllo relative all’Ici, non è in linea con la legge delega la quale, infatti, prevede l’attribuzione del potere di disciplinare tutte le fonti delle entrate locali, compresi i procedimenti di accertamento, così escludendo la previsione di una facoltà di analogo contenuto;

VIII) la proposta di correzione formale relativa all’articolo 58, comma 3, concernente modifiche alla disciplina dell’Ici, è stata accolta;

IX) la mancata adesione all’emendamento relativo all’articolo 61, commi 1 e 3, concernente modifiche finalizzate a limitare la riduzione di trasferimenti erariali agli enti locali, trova ragione fondamentale nell’esigenza di rispettare il vincolo di delega di cui all’articolo 3, comma 151, della legge n.662 del 1996, relativo all’esigenza di invarianza di oneri connessa all’attuazione della normativa delegata;

X) per gli emendamenti relativi all’articolo 62 si rinvia a quanto già chiarito a commento del medesimo articolo

XI) la proposta relativa all’articolo 64, in materia di disciplina transitoria dei contratti in corso per la gestione dei tributi locali, può considerarsi accolta in quanto il contenuto dell’emendamento è già implicito nel testo dello stesso articolo 64, così come chiarito a commento del medesimo articolo;

XII) non si è ritenuto di aderire alla proposta relativa all’articolo 66 in materia di entrata in vigore dei regolamenti per le stesse considerazioni svolte in merito ad analoga coincidente osservazione formulata dalla Commissione parlamentare;

Conclusivamente, quanto alle 2 osservazioni delle comunità montane, concernenti, rispettivamente, l’incremento delle attuali risorse trasferite ai predetti enti locali e il riconoscimento di autonomia impositiva e della compartecipazione ai tributi, si rileva che i limiti posti dalla delega non hanno consentito una modifica dell’articolato nel senso auspicato.

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