Commissione Parlamentare Consultiva
in materia di riforma fiscale

RELAZIONE ALLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO DI RIFORMA DELLE DISPOSIZIONI DELLE IMPOSTE SUI REDDITI APPLICABILI ALLE OPERAZIONI DI CESSIONE DI AZIENDE, CONFERIMENTO DI AZIENDE, FUSIONE, SCISSIONE E PERMUTA DI PARTECIPAZIONI.

L’articolo 3, comma 161, lett. a), b) c), d), e) e g) della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ha delegato il Governo della Repubblica ad emanare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni, in materia di imposte sui redditi, che realizzino la modifica organica e sistematica delle vigenti norme applicabili ai procedimenti di riorganizzazione delle attività produttive, nonché a quelle in tema di elusione fiscale. La delega conferita al Governo consente a questi di intervenire sul corpo del testo unico delle imposte sul reddito ovvero di dettare disposizioni autonome da questo. Si è preferito, almeno al momento, per la maggior parte delle fattispecie disciplinate, percorrere questa seconda via, se non altro per consentire una più facile, organica ed esaustiva lettura dell’intervento attuato. Ciò non toglie che, attraverso le disposizioni correttive ed integrative che il Governo è delegato ad emanare nei due anni successivi all’entrata in vigore del decreto delegato, possa procedersi alla integrazione delle norme ora presentate.

La finalità principale delle disposizioni che formano oggetto del decreto in esame è la rimozione degli ostacoli di carattere tributario all’assunzione, da parte dei comparti produttivi nazionali, della struttura aziendale e giuridica più soddisfacente in relazione agli obiettivi imprenditoriali da conseguire. E’ noto, infatti, che la normativa tributaria ha sistematicamente, ancorché forse involontariamente, deformato l’assunzione di tali strutture privilegiando - di volta in volta - alcuni negozi giuridici rispetto ad altri: con il risultato di spingere le imprese interessate ad indossare "l’abito" fiscalmente più agevolato, anziché quello operativamente più appropriato, per conseguire il risparmio d’imposta che ne scaturiva. E’ stato così con la legge n.170 del 1965, con la legge n.1089 del 1968 e poi ancora con le leggi n. 576 del 1975 e n.904 del 1977; e, per certi versi, con la legge n.218 del 1990. Ciascuna di queste leggi tendeva a favorire alcune tipologie di operazione rispetto ad altre privilegiando, nella prima fase, le aggregazioni; nella seconda fase, le disaggregazioni. E va detto che esse si risolsero semplicemente nell’elevazione sistematica della base ammortizzabile senza alcun interesse alla ridefinizione dell’attività imprenditoriale concretamente svolta. Occorre, quindi, innanzitutto rimuovere questa sorta di arbitraggio fiscale a favore solo di alcune tipologie di operazioni (in questa fase quelle di fusione e scissione) lasciando che sia il mercato e la storia economica del paese e della singola entità produttiva - e non altro - a sollecitare l’adozione dello strumento giuridico più idoneo ad accompagnare l’operazione legale per il cui tramite conseguire un obiettivo aziendale. Le norme in esame sono altresì dirette a facilitare la dislocazione di risorse produttive non già secondo uno schema fisso ed eccezionale ma piuttosto secondo una filosofia che fa propria la logica del cambiamento continuo e vede la variabilità di scenari micro e macro economici come elemento ordinario di vita e scelte aziendali. Occorre a tal fine accompagnare i processi di ridefinizione di attività e ruoli sul mercato attraverso la pura e semplice eliminazione di ogni gravame fiscale su di essi applicabile, almeno quando non ne deriva - implicitamente - abbattimento di gettito (sotto forma di elevazione dei valori rilevanti a fini fiscali).

E occorre, al tempo stesso, applicare un gravame minore qualora detta elevazione di valori si voglia conseguire. Obiettivo quest’ultimo perseguito attraverso la riduzione dell’aliquota applicabile dal 37 per cento (anzi, attualmente dal 53 per cento) al 27 per cento (che però, considerati gli aspetti finanziari, si riduce al 20 per cento circa). Il che potrà comportare, paradossalmente, un qualche incremento di gettito nel presupposto che, spesso, operazioni di grande rilievo non sono state effettuate per l’esosità del relativo carico fiscale. (...)

La legge di delegazione individua i procedimenti di riorganizzazione nelle seguenti operazioni:

a) cessione di aziende e di complessi aziendali, cessione di partecipazioni in società controllate o collegate;

b) conferimenti di aziende o complessi aziendali e scambio di partecipazioni;

c) fusioni e scissioni.

La stessa norma delegata precisa i criteri ai quali deve essere informata la nuova disciplina impositiva delle sopra indicate operazioni, criteri che, naturalmente, sono stati pienamente recepiti nel decreto qui proposto e che si vanno di seguito ad analizzare con riferimento ad ogni singola fattispecie.

Il decreto si compone di 9 articoli.

L'articolo 1 prende in esame le operazioni di cessione di aziende e di partecipazioni di controllo o collegamento ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile.

Il comma 1 dispone che le plusvalenze realizzate con le operazioni di cessione di aziende possono essere assoggettate, anziché alle regole previste dall'articolo 54 del T.U.I.R., ad una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi. La dizione "cessione di aziende" è da interpretare in senso ampio e generico e comprende anche le cessioni di complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa. Per quanto concerne invece i conferimenti, la previsione dell’articolo 9 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, li equipara espressamente alle cessioni.

L’aliquota dell’imposta sostitutiva è stata individuata nel 27 per cento sulla base dell’espresso criterio della legge delega che ne prevede l’omogeneità con la tassazione dei redditi di capitale. In ogni caso, la possibilità, offerta dall’articolo 2, di rateizzare il versamento dell’imposta, contribuirà a ridurre in misura notevole l’incidenza finanziaria dell’imposta stessa.

Sono inoltre dettate le regole di esercizio dell'opzione; in particolare, nel comma 2 viene stabilito che la stessa deve essere esercitata nella dichiarazione dei redditi del periodo d'imposta di realizzo delle plusvalenze e che può riguardare solo talune delle plusvalenze realizzate mantenendo per le altre il regime dell'articolo 54; inoltre, nell’ultimo periodo del comma 1 è stabilito che il regime sostitutivo non si applica con riferimento alle plusvalenze realizzate in sede di liquidazione fallimentare e di liquidazione coatta amministrativa, restando in tali casi inderogabile la speciale disciplina prevista dall'articolo 125 del T.U.I.R..

Il successivo comma 3 prevede che la stessa facoltà sopra indicata, con riferimento ai commi 1 e 2, possa essere esercitata anche con riferimento alle cessioni di partecipazioni in società controllate o collegate. La Commissione parlamentare, istituita ai sensi della legge n. 662 del 1996, ha chiesto di chiarire se la disposizione si applica anche ai casi di cessione parziale della partecipazione purché tale cessione determini nel cedente la perdita della situazione di controllo o di collegamento. In proposito si rileva che la norma intende disciplinare la fattispecie in cui, mediante l’operazione di cessione, il soggetto cedente perde il controllo dell’azienda facendolo acquisire al soggetto cessionario; pertanto non si è ritenuto di adeguare il testo normativo alle osservazioni della Commissione parlamentare in quanto la cessione parziale di partecipazioni di controllo potrebbe non comportare l’acquisizione del controllo stesso da parte dell’acquirente; in tal caso, infatti, verrebbe ad essere disatteso l’obiettivo del legislatore delegante volto ad agevolare fiscalmente solo le operazioni dirette al trasferimento delle aziende anche mediante la cessione di partecipazioni.

Si sottolinea che, mentre nel comma 1 l'opzione viene condizionata al possesso dell'azienda ceduta per un periodo minimo di tre anni solari, nel comma 3 l'analoga condizione relativa, alle partecipazioni oggetto di cessione, prevede l'iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie delle partecipazioni stesse negli ultimi tre bilanci. Le due diverse previsioni normative sono analoghe a quelle previste dal comma 4 dell'articolo 54 del T.U.I.R. che disciplina la possibilità di rateizzazione ordinaria delle plusvalenze in questione.

La misura dell'aliquota dell'imposta sostitutiva è parametrata a quella che verrà adottata per i capital gains su partecipazioni qualificate possedute da non imprenditori. E ciò allo scopo di equiparare il carico fiscale delle cessioni d'azienda (effettuate da imprenditori) con quello di partecipazioni di controllo nell'azienda medesima tanto se effettuate nell'esercizio d'impresa che fuori dallo stesso. La corresponsione dell’imposta è, tuttavia, prevista in cinque periodi d’imposta (vedi art. 2) allo scopo di alleviare l’effetto finanziario della stessa (il che dà luogo ad un carico effettivo dell’ordine del 20 per cento, in linea con i livelli di tassazione delle plusvalenze d’impresa vigenti nei paesi che costituiscono i principali partners commerciali italiani). La differenza rispetto alle persone fisiche non imprenditori (ai quali non si applica la dilazione nel pagamento dell’imposta) si giustifica nella considerazione che mentre le plusvalenze d’impresa sono tassate in base al principio di competenza (quindi anche in assenza di incasso), quelle conseguite dalle persone fisiche sono, di regola, tassate in base al principio di cassa (cioè solo ad incasso effettivamente avvenuto).

Non si è ritenuto di accogliere il suggerimento della Commissione parlamentare che proponeva di anteporre la disposizione del comma 3 a quella del comma 2, in quanto meramente formale.

Infine, il comma 4 prevede, essenzialmente per motivi di semplificazione amministrativa, che in caso di plusvalenze realizzate da una società in nome collettivo o in accomandita semplice (art. 5 del T.U.I.R.) sia quest'ultima il soggetto che liquida e versa l'imposta sostitutiva e non i singoli soci per i quali, pertanto, la corrispondente quota parte di utile sarà esclusa dall'imponibile.

L'articolo 2 ha per oggetto le modalità di liquidazione e versamento dell'imposta sostitutiva prevista nell’articolo precedente e prevede il pagamento rateizzato, fino ad un massimo di cinque rate, senza corresponsione di interessi. Il termine di versamento per l’imposta sostitutiva coincide con quello previsto per i versamenti a saldo delle imposte sui redditi. L’ultimo periodo del primo comma dell’articolo, vuole evitare che eventuali imposte pagate in relazione a plusvalenze realizzate possano essere richieste in rimborso con il versamento dell’imposta sostitutiva, più favorevole.

Al comma 3 dell’articolo, è stato inserito il termine "contenzioso", di contenuto più ampio, in sostituzione di quello inizialmente previsto di "processo"

L’articolo 3 disciplina la più complessa fattispecie dei conferimenti d'azienda cui sono assimilati i conferimenti di partecipazioni di controllo o collegamento.

Il comma 1 stabilisce che la plusvalenza da conferimento si determina, sia per la ordinaria tassazione IRPEG/ILOR che per quella sostitutiva, in base alla differenza tra valore di iscrizione delle partecipazioni ricevute da conferente ovvero, se superiore, tra valore di iscrizione da parte del soggetto conferitario dell'azienda conferita e l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto all'azienda stessa in capo al soggetto conferente.

Il conferimento d'azienda si trova infatti in una posizione particolare rispetto agli altri atti dispositivi sui beni d'impresa. Mentre nell’esecuzione di questi ultimi l’impresa "trasferente" aliena parte del proprio patrimonio trasformandola in ricchezza attuale corrispondente, nel conferimento l'impresa conferente riceve una contropartita sui generis, non solo priva di monetizzazione, ma anche di un proprio valore e rappresentativa - in ultima analisi - degli stessi beni conferiti. Considerare il conferimento (attraverso la valutazione delle partecipazioni ricevute) come atto di realizzo delle plusvalenze latenti dei beni conferiti appare, quindi, inopportuno almeno per i beni oggetto della delega (aziende o partecipazioni qualificate) in quanto comporta una interferenza fiscale nei processi di ristrutturazione produttiva delle imprese. Visto il carattere dei plusvalori suddetti, l’impresa conferente dovrebbe, in pratica, indebitarsi per pagare imposte: e ciò spiega perché l’istituto del conferimento d’azienda ha avuto, all’infuori di leggi di incentivazione temporanee, un’utilizzazione scarsissima. Un’imposizione sul soggetto che conferisce aziende o partecipazioni qualificate si giustifica, concettualmente, con ragioni di simmetria fiscale rispetto ai plusvalori iscritti dal soggetto conferitario, allo scopo di evitare salti d’imposta.

Quanto sopra ha indotto a considerare i conferimenti oggetto della delega come produttivi di materia imponibile solo se, e nella misura in cui, la società conferitaria ottiene il riconoscimento di valori fiscali più elevati rispetto a quelli cui l’azienda era iscritta in capo alla conferente.

Il nuovo regime è applicabile solo per i conferimenti tra soggetti residenti nel territorio dello Stato, escludendo i casi in cui il conferimento rischia di vanificare qualsiasi ulteriore tassazione in Italia (es. l conferimento in società non residenti, salvo il caso delle aziende site nel territorio dello Stato [comma 3]).

Esulano dall'articolo in questione, che si riferisce solo alle "plusvalenze", i criteri di determinazione delle minusvalenze, che rimangono pertanto quelli ordinari; per ottenere la deduzione di una minusvalenza non appaiono infatti sufficienti le mere valutazioni operate dalla conferitaria, ma occorre che il valore di perizia sia inferiore al valore contabile dell'azienda, ai sensi dell'articolo 9 del T.U.I.R..

Si è ritenuto opportuno non condizionare questo regime di determinazione della plusvalenza al possesso triennale dell'azienda, tenendo presente che, ovviamente, questa condizione rimane ferma ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva di cui all'articolo 1.

La norma si riferisce ai valori iscritti nelle scritture contabili del soggetto conferitario, e non a quelli iscritti in bilancio; ciò in quanto il conferimento è un evento istantaneo, ed i valori iscritti in contabilità al momento del ricevimento dei beni (di solito coincidenti con l’aumento di capitale e col soprapprezzo deliberati e sottoscritti) non necessariamente coincidono con i valori che risulteranno al termine dell’esercizio nel bilancio della conferitaria.

Il comma 3 viene incontro ad un’aspirazione diffusissima nel mondo delle piccole imprese dell’artigianato, interessate ad evolversi verso forme giuridiche più complesse. Il comma in esame costituisce, infatti, un agevole strumento per effettuare la c.d. "trasformazione" dell’impresa individuale in società. Con il conferimento dell’unica azienda, da parte dell’imprenditore individuale, l’impresa individuale potrà cessare di esistere, ai fini fiscali, senza oneri impositivi. Sullo specifico argomento, la Commissione parlamentare istituita ai sensi della legge n. 662 del 1996, aveva anche avanzato una richiesta di estensione alle imposte indirette del regime speciale. Non è stato possibile accogliere il suggerimento in quanto una previsione del genere non è in linea con la delega concessa al Governo.

Per evitare che la norma possa essere strumentalizzata per aggirare il regime ordinario di dismissione dell’impresa, è stato fatto salvo, per le cessioni dei titoli verificatesi nel primo triennio dal conferimento, il regime tipico dei beni d’impresa in luogo di quello previsto dall’imposta sostitutiva sui "capital gains".

Ciò peraltro senza dover mantenere un simulacro d’impresa (come è accaduto all’epoca della nota legge 904/1977) coi relativi obblighi contabili o procedurali, ma solo facendo rivivere le regole ordinarie dell’IRPEF (con eventuale tassazione separata) ove la dismissione delle partecipazioni avvenga prima del termine in cui subentrerà il normale regime dell’imposta sostitutiva sulle partecipazioni in questione.

L'articolo 4 viene incontro alle eventuali esigenze civilistiche di recepire, nella società conferitaria, le plusvalenze latenti o i valori di avviamento presenti presso la conferente ed evidenziati nella perizia di cui all'articolo 2343 c.c.; esso costituisce, pertanto, un regime particolare applicabile ad una circoscritta platea di soggetti ai quali è comunque data facoltà di applicare il regime generale previsto dall'articolo 3. (...)

Più precisamente , il comma 1 consente l'iscrizione in bilancio dei plusvalori, senza attribuire loro rilevanza fiscale, nell'intento di escludere qualsiasi interferenza fiscale sulla iscrizione nelle scritture contabili e nel bilancio delle imprese, dei conferimenti in società di comparti produttivi. Si crea in questo modo una divergenza tra valori iscritti in bilancio e valori riconosciuti fiscalmente, con la necessità di continuare a determinare il reddito d'impresa con riferimento a questi ultimi; tale divergenza può riguardare sia la società conferitaria, sia la società conferente per i plusvalori eventualmente rilevati sulle azioni o quote ricevute.

Con il disposto del comma 3 si vuole evitare che la divergenza tra valori di bilancio e valori fiscalmente riconosciuti ostacoli i meccanismi (credito d'imposta, deduzione di minusvalenze su titoli, svalutazioni e partecipazioni etc), che ordinariamente evitano un effetto di cumulo (e di conseguenza doppie imposizioni fiscali) tra le plusvalenze realizzate sulle partecipazioni e plusvalenze realizzate sui beni ricevuti dalla conferitaria.

Con l'articolo 5 si definisce la disciplina fiscale degli scambi di partecipazioni attraverso i quali una società od ente acquisisce il controllo di altra società od ente. Se il controllo è acquisito dando in permuta azioni proprie il comma 1 stabilisce che l’operazione è redditualmente irrilevante e che, per ciascuna delle parti, le azioni o quote ricevute sono valorizzate al valore già fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote date in cambio. Tuttavia, nel caso in cui sia contabilizzata una differenza di valore, così come nel caso in cui vi sia un conguaglio in denaro, l’operazione assume rilevanza fiscale

Non si è ritenuto di accogliere il suggerimento della Commissione parlamentare istituita ai sensi della legge n. 662 del 1996, che proponeva di riunificare i commi 1 e 2 in quanto, oltre che meramente formale, avrebbe reso di più difficile lettura il testo.

Con il comma 2, vista la difficoltà di stabilire la continuità dei costi tra il conferente ed il conferitario, si è esteso agli scambi di azioni o quote il meccanismo di determinazione della plusvalenza basato sul valore iscritto dalla conferitaria. La plusvalenza per il soggetto conferente sarà conseguentemente determinata in base alla differenza tra tale valore e l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote conferite.

La fattispecie relativa allo scambio di partecipazioni è stata modellata, secondo la delega, su quella del decreto legislativo n. 544 del 1992. Anche se la permuta ed il conferimento possono sembrare simili, si tratta di due forme diverse i cui elementi caratteristici e differenziali si rintracciano, rispettivamente, nelle parti del codice civile che regolano il contratto di permuta e il contratto di società (che prevede il conferimento di beni o servizi). Per tale motivo si è ritenuto superabile il suggerimento della Commissione parlamentare teso a definire gli elementi caratteristici delle due fattispecie.

In relazione all’articolo 5, ma con riferimento anche alle fattispecie del decreto legislativo, la Commissione parlamentare istituita ai sensi della legge n. 662 del 1996, ha avanzato una richiesta di definire esplicitamente il trattamento fiscale di coloro che non esercitino attività d’impresa, nel caso in cui essi siano controparte di un soggetto di cui all’articolo 87, comma 1, lettere a) e b) del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Non è stato possibile accogliere immediatamente il suggerimento, in quanto l’argomento è oggetto di una specifica delega e sarà trattato in sede di emanazione del relativo decreto legislativo.

L'articolo 6 interviene sul travagliato regime fiscale delle fusioni e scissioni, dettando una regola conclusiva in materia di trattamento dei disavanzi che ne possono derivare.

Con il comma 1 si riconosce rilevanza fiscale ai disavanzi, sia da annullamento che da concambio, per i quali sia stata corrisposta l'imposta sostitutiva indicata nell'articolo 1.

Con il comma 2 si riconosce, inoltre, rilevanza fiscale ai disavanzi derivanti solo da annullamento, se e nei limiti in cui le società che li hanno iscritti in bilancio dimostrino che essi scaturiscono da plusvalori in precedenza assoggettati a tassazione. Sarebbe troppo lungo ripercorrere in questa sede le vicende in materia di disavanzo da annullamento e basta ricordare come la modifica all’art. 123 del T.U.I.R., introdotta dalla legge 724 del 1994, sia stata ritenuta concordemente troppo indiscriminata e foriera di un disconoscimento di valori ( quelli della partecipazione annullata) cui il sistema fiscale darebbe riconoscimento sotto tutti gli altri profili diversi dalla fusione (cessione della partecipazione, svalutazione, etc.). Di fronte ad una delega legislativa che consentiva di disciplinare le plusvalenze connesse alle operazioni societarie, sarebbe stato addirittura concepibile sancire che, a rigore, in queste ipotesi non c’è alcuna plusvalenza, ma un semplice ribaltamento del valore riconosciuto fiscalmente alla partecipazione sui valori riconosciuti ai beni dell’incorporata.

Tanto è vero che -da un punto di vista logico e contabile - il disavanzo potrebbe considerarsi addirittura come una minusvalenza, in ipotesi deducibile a prescindere dalla attribuzione ad essa di rilevanza attraverso rivalutazioni, iscrizioni di avviamento etc.. Questa soluzione legittimerebbe però una sistematica possibilità di canalizzare tutte le plusvalenze sulle partecipazioni sociali, invece che sulle aziende, e successivamente di "ribaltare" - attraverso il disavanzo - i valori fiscalmente riconosciuti delle partecipazioni su quelli delle aziende. Ragioni di cautela fiscale inducono quindi al compromesso contenuto nell’art. 6. La norma si limita, pertanto, a salvaguardare il valore della partecipazione annullata quando altrimenti si verificherebbe una doppia tassazione economica; ciò si verifica quando tra cessione delle partecipazioni e dei beni reali esisteva una tendenziale simmetria di regime fiscale. Ciò accade per le partecipazioni che hanno concorso a formare l’imponibile dell’impresa cedente, o hanno scontato l’imposta sostitutiva in sede di cessione delle medesime. In tali casi non vi è motivo per disconoscere il valore fiscale del disavanzo, traducendosi il contrario comportamento non solo nel disconoscimento di costi altrimenti riconosciuti, ma anche in una plateale doppia tassazione della stessa materia imponibile.

L'avvenuta tassazione può essersi verificata in tutti i precedenti passaggi delle quote o azioni annullate, ed a tal fine l'incorporante dovrà dimostrare che le relative componenti positive di reddito sono state realizzate da soggetti che :

- hanno pagato l'imposta sostitutiva sui capital gains;

- hanno pagato l'imposta sostitutiva sulle plusvalenze prevista dal presente decreto;

- agiscono nell'esercizio dell'impresa ed in tale ambito la plusvalenza realizzata è stata assoggettata a tassazione.

E’ da precisare che nella lettera a) del comma 2 viene mantenuto un riferimento al decreto-legge n. 27 del 1991 anche se tale testo viene soppresso da altro decreto legislativo da emanare ai sensi della stessa legge n. 662 del 1996. Il coordinamento delle due norme, ma soprattutto la disciplina degli effetti derivanti dal decreto soppresso, saranno regolati con apposita disciplina correttiva ed integrativa.

Nella stessa lettera a), si parla, poi, di plusvalenze rilevanti ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva, intendendo quelle a fronte delle quali vi sia stato un effettivo versamento delle imposte.

In relazione alle osservazioni formulate dalla Commissione parlamentare con riferimento all’articolo 9, comma 4, concernente la disciplina transitoria dell’utilizzabilità dei disavanzi da annullamento della partecipazione, si è ravvisata l’opportunità di disciplinare in modo organico le modalità per poter utilizzare detti disavanzi senza applicazione dell’imposta sostitutiva, sia a regime che nella fase transitoria. Pertanto, nel comma 3 dell’articolo 6, è stabilito che la società incorporante, ai fini dell’utilizzo del predetto disavanzo senza applicazione della imposta, deve acquisire apposita documentazione dai diversi danti causa comprovante l’avvenuto pagamento dell’imposta sui plusvalori. Detto criterio viene derogato nell’art. 9, comma 4, laddove si dispone, in via transitoria, che con riferimento alle partecipazioni esistenti alla data del 30 aprile 1997, la predetta documentazione può essere limitata alle cessioni delle partecipazioni verificatesi a decorrere da tale data nonché alla cessione effettuata a favore del soggetto che risulta possessore alla stessa data.

L’articolo 7 attua la delega a proposito delle modifiche alla norma antielusiva, oggi contenuta nell'art.10 della legge 408 del 1990.

Nell'esercizio della delega si sono affrontati i principali inconvenienti riscontrati nell'art.10 della legge 408/1990, in alcuni anni di esperienze pratiche e di analisi giuridiche. Questo miglioramento non assicura automaticamente quella sensibilità applicativa che è indispensabile perché la norma antielusiva non diventi un'intollerabile fonte di incertezza del diritto, ma ne pone almeno le premesse.
L'inopponibilità all'amministrazione finanziaria dei comportamenti elusivi ribadisce la valenza esclusivamente fiscale dell'elusione, che riguarda comportamenti effettivamente voluti e non simulati, ed i cui effetti rimangono impregiudicati sul piano civilistico. Tali comportamenti, o meglio i vantaggi fiscali che ne derivano, sono però inopponibili all'amministrazione finanziaria qualora sussistano le condizioni patologiche indicate dalla norma.

E' poi particolarmente importante, visto che l'articolo 10 nacque e resta tuttora riferito all'utilizzazione di istituti giuridici particolari (trasformazioni, cessioni d'azienda, di partecipazioni sociali, etc..) rendere la normativa più rispondente alla caratteristica tipica dell'elusione, che in genere non si esaurisce in una operazione, ma si basa su una pluralità di atti tra loro coordinati. Il vantaggio fiscale non deriva quasi mai, ad esempio, da una mera fusione, da un mero conferimento o da un'altra operazione societaria, ma deriva anche da eventi preparatori o consequenziali, come l'acquisto o la cessione di partecipazioni sociali; è per questo che la norma pone l'accento sul disegno elusivo complessivamente architettato dal contribuente.

Le principali difficoltà del citato art.10 legge 408 derivano comunque dall'avverbio "fraudolentemente" che, se interpretato nell'accezione penalistica del termine, svuota del tutto il contenuto della norma, dal momento che l'elusione avviene nel rispetto della normativa vigente, senza che il contribuente si sottragga agli obblighi di comunicazione e documentazione di volta in volta previsti (dichiarazione, emissione di documenti, loro conservazione etc.). Il concetto di "fraudolenza" era quindi fonte di incertezza tra una concezione "penalistica", sostanzialmente vanificatrice della norma, e diverse concezioni tributaristiche (fatte proprie tra l'altro dal SECIT) , su cui peraltro la norma non forniva sufficienti indicazioni. E' stato quindi ritenuto opportuno sostituire l'avverbio "fraudolentemente" con espressioni che rendano meglio il nucleo essenziale dei comportamenti elusivi, cioè l'utilizzazione di scappatoie formalmente legittime allo scopo di aggirare regimi fiscali tipici, ottenendo vantaggi che ordinariamente il sistema non consente e indirettamente disapprova: è solo sotto questo particolare profilo che tali vantaggi possono ritenersi "indebiti", espressione che -nel contesto di una norma antielusione e correlata con il resto di tali disposizioni - non può certo riferirsi a comportamenti esplicitamente vietati dall'ordinamento, per contrastare i quali non c'è certo bisogno di norme di questo tipo.

Si può fornire così un criterio tendenziale per distinguere l'elusione rispetto al mero risparmio d'imposta; quest'ultimo si verifica quando, tra vari comportamenti posti dal sistema fiscale su un piano di pari dignità, il contribuente adotta quello fiscalmente meno oneroso. Non c'è aggiramento fintanto che il contribuente si limita a scegliere tra due alternative che in modo strutturale e fisiologico l'ordinamento gli mette a disposizione. Una diversa soluzione finirebbe per contrastare con un principio diffuso in tutti gli ordinamenti tributari dei paesi sviluppati, che consentono al contribuente di "regolare i propri affari nel modo fiscalmente meno oneroso", e dove le norme antielusione scattano solo quando l'abuso di questa libertà dà luogo a manipolazioni, scappatoie e stratagemmi, che - pur formalmente legali - finiscono per stravolgere i principi del sistema.

La norma antielusiva non può quindi vietare la scelta, tra una serie di possibili comportamenti cui il sistema fiscale attribuisce pari dignità, quello fiscalmente meno oneroso. Tra gli strumenti giuridici fungibili, ma che il sistema pone su un piano di sostanziale parità, si pensi ad esempio alla scelta sul tipo di società da utilizzare, alla scelta tra cedere aziende o cedere partecipazioni sociali, o al sistema di finanziamento basato su capitale proprio o di debito, sul periodo d'imposta in cui incassare proventi o pagare spese, fino ad arrivare alla misura degli ammortamenti, degli accantonamenti e di tutte le altre valutazioni di bilancio, in cui è prima di tutto la norma a indicare margini di flessibilità da utilizzare anche a seconda della convenienza fiscale. In tutti questi casi la scelta della via fiscalmente meno onerosa non è implicitamente vietata dal sistema, ma al contrario esplicitamente o implicitamente consentita, e non è configurabile alcun aggiramento di obblighi o divieti.

E' di tutta evidenza che il controllo sull'elusività di un comportamento, in base ai parametri indicati nella norma, consiste in un confronto oggettivo tra regimi fiscali, e non certo nella necessità di sindacare i comportamenti soggettivi dell'"imprenditore medio" o dell'uomo d'affari medio"; è del pari irrilevante, sotto questo profilo, valutare se un comportamento è economicamente "normale" o imprenditorialmente vantaggioso. Quest'ordine di valutazioni emergerà casomai per quanto riguarda il diverso profilo dell'esistenza di "valide ragioni economiche".

Per questo aspetto si è preferito mantenere la terminologia presente nella legge 408, in quanto è inopportuno disorientare gli operatori con modifiche di portata esclusivamente lessicale; l'espressione "valide ragioni economiche" non sottintende infatti una "validità giuridica", che in questo contesto non avrebbe senso, ma una apprezzabilità economico gestionale, ed è stato ritenuto opportuno mantenerla.

Il passaggio dalla formula precedente (è "consentito all'amministrazione finanziaria") a quella attuale, in cui l'amministrazione "disconosce", serve a precisare che il "potere dell'amministrazione" è il consueto "potere - dovere", in cui essa si trova quando si tratta di valutare fatti o interpretare norme. Naturalmente ciò non impedisce all'amministrazione di astenersi dall'applicare la norma antielusiva quando tale applicazione contrasti con i principi di buon andamento ed economicità dell'azione amministrativa, considerando ad esempio i casi in cui la differenza tra le imposte accertabili e quelle percepite a seguito dei comportamenti "disconoscibili" è trascurabile.

I primi due commi del nuovo articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica n.600 del 1973 ben potrebbero costituire una norma antielusiva generale, ma -conformemente alle limitazioni della delega e alla sfera applicativa del precedente articolo 10 della legge 408 - è stato previsto che essi scattino solo se il contribuente ha utilizzato una delle operazioni specifiche indicate al comma 3. Tale comma espunge le figure giuridicamente ibride della concentrazione e dello scorporo, e ripristina il riferimento alle fusioni e alle scissioni.

Nella lettera f) del comma 3, che si riferisce alle cessioni di titoli, valori mobiliari, divise estere etc, l'espressione "da chiunque effettuate" serve a chiarire che, nonostante i richiami a disposizioni in materia di "redditi diversi", la disposizione si applica anche ai soggetti titolari di reddito d'impresa.

Il comma 7 del nuovo articolo 37-bis del decreto n.600 del 1973 serve a rafforzare il principio secondo cui le imposte applicate a seguito della norma antielusiva non devono cumularsi con quelle eventualmente già applicate dai contribuenti in relazione agli atti che l'amministrazione intende disconoscere; è contrario a principi di trasparenza che l'amministrazione disconosca gli atti, ma trattenga le imposte che in base ad essi sono state pagate. Il comma 2 e il comma 7 sanciscono perciò il diritto dei contribuenti di corrispondere solo la differenza tra le imposte ritenute applicabili dall'amministrazione e quelle da essi già pagate in base ai diversi schemi giuridici che l'amministrazione disconosce.

Il comma 8 del nuovo articolo 37-bis introduce un principio di civiltà giuridica e di pari opportunità tra il fisco e i contribuenti. E' noto che sono state introdotte nel nostro ordinamento una pluralità di norme sostanziali, con lo scopo di limitare comportamenti elusivi: spesso queste norme, a causa della loro ineliminabile imprecisione, provocano indebite penalizzazioni per comportamenti che non hanno nulla di elusivo. Se le norme possono essere disapplicate quando il contribuente le manipola per ottenere vantaggi indebiti, occorre che lo siano quando l'obiettivo condurrebbero a penalizzazioni altrettanto indebite. La disapplicazione delle norme in esame verrà disciplinata con apposito regolamento, emanato ai sensi della legge 23 agosto 1988 n.400.

Con il comma 4 sono state individuate le fattispecie in merito alle quali è possibile esercitare il diritto di interpello di cui all’articolo 21 delle legge n. 413 del 1991. Tale esigenza sorge dalla abrogazione dell’articolo 10 della legge n. 408 del 1990 le cui previsioni sono state in parte sostituite dall’articolo 37-bis in esame.

L’articolo 8 del decreto legislativo, in ossequio alle indicazioni contenute nella lettera d) del comma 161 dell’art. 3 della legge 662 del 1996, contiene disposizioni volte ad evitare che il nuovo regime delle operazioni di ristrutturazione aziendale renda ancora più appetibili i puri e semplici trasferimenti di perdite fiscali mascherati da trasferimenti di comparti produttivi, oltre ad alcuni aggiustamenti perequativi per le imprese di nuova costituzione.

Il comma 1 modifica l’articolo 8 del Testo Unico delle imposte sul reddito per le imprese individuali e per le società di persone; l’articolo 102 per le società di capitali ed enti commerciali (il cui contenuto si applica, tuttavia, anche alle società di persone a certe condizioni), consente, infatti, di riportare a nuovo le perdite (fiscali) realizzate in un certo periodo d’imposta in compensazione dei redditi imponibili che si potranno conseguire nei cinque periodi d’imposta successivi. Questa limitazione si applica oggi a tutte le imprese, incluse quelle di nuova costituzione per le quali il conseguimento di perdite negli anni iniziali costituisce, nella maggior parte dei casi un evento fisiologico. La norma proposta (aggiunta del comma 1-bis all’art. 102 citato) mira proprio a rimuovere questo tendenziale svantaggio delle nuove iniziative garantendo alle stesse la piena riportabilità, senza limiti di tempo, delle perdite fiscali realizzate nei primi tre periodi d’imposta.

Il proposto nuovo comma 1-ter del citato art. 102 del Testo Unico parte anch’esso da una constatazione. E’ noto, infatti, che il cosiddetto "commercio di bare fiscali", pur frenato dalle restrizioni imposte nell’ambito delle fusioni di società a partire dal decreto n. 227 del 1986 e culminate nell’attuale formulazione dell’articolo 123 del testo unico delle imposte sui redditi, non si è mai interrotto. Esso si è, invece, affinato ricorrendo a tecniche le più varie incentrate sul meccanismo di acquisizione del controllo di una società carica solo di perdite fiscali; in tal caso si spostano sulla società in perdita attività redditizie (conferendovi un profittevole ramo d’azienda, un sofisticata tecnologia o più semplicemente facendo ad essa acquisire vantaggiosi contratti) e utilizzano le perdite fiscali della ex "bara" per compensare gli utili realizzati dalla società con profitti. La norma proposta ha lo scopo di arginare questo fenomeno e ricondurre l’istituto del riporto delle perdite alla sua naturale funzione evitandone il patologico uso come strumento di elusione fiscale. A tal fine viene prevista, in via generale, la non computabilità del riporto a nuovo ove passi di mano la maggioranza della società in perdita e ne venga comunque modificata l’attività da cui sono derivate le perdite in questione. Tuttavia, qualora questo passaggio si verifichi all’interno del medesimo gruppo, non vi è motivo per penalizzare il passaggio, considerata la sostanziale identità del soggetto economico in questione (è da rilevare che l’introduzione di questo principio chiama in causa la disciplina della "fiscalità di gruppo" che nel prossimo futuro dovrà essere valutata in vista di una sua possibile adozione). Nè vale la pena di penalizzare il trasferimento di partecipazioni ove il contenuto della società ceduta testimoni la sua persistente vivacità e che, quindi, in definitiva, non di "bara" si tratta bensì di attività economica momentaneamente operante in ciclo negativo. A tal fine vengono utilizzati gli stessi parametri già utilizzati, in modo soddisfacente, per le operazioni di fusione.

In merito alle norme transitorie, introdotte con l’articolo 9, si dispone che le operazioni che si risolvono in un solo atto, come conferimenti, cessioni d'aziende o scambi di azioni - la normativa si applichi alle operazioni effettuate dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo.

Per le operazioni che sono il frutto di un procedimento (fusioni o scissioni) ha senso riferire, invece, il nuovo regime al periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo. Per le fusioni e le scissioni sono state emanate alcune norme transitorie dirette a riconoscere rilevanza tributaria alle eccedenze dei valori di bilancio rispetto a quelli riconosciuti fiscalmente. In tal caso si è ritenuto opportuno, consentire il riconoscimento fiscale delle eccedenze ancora in essere, previo pagamento dell'imposta sostitutiva.

Un’ulteriore disposizione stabilisce le decorrenze delle disposizioni di cui all’articolo 8. In particolare si stabilisce che le perdite riportabili senza alcun limite temporale sono solo quelle formatesi a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legislativo. Per la disposizione di cui al comma 1-ter dell’articolo 102 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ora introdotto, si precisa che essa si applica anche alle perdite dichiarate in periodi d’imposta precedenti.

L’ultimo comma dell’articolo prevede che, con appositi provvedimenti del Ministro delle finanze possano essere eventualmente disciplinate, più in dettaglio, le, eventuali, necessarie modalità di applicazione del decreto.

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