1. LA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA

 

La Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia è stata istituita per la prima volta dal Parlamento italiano nel 1962, con la legge n. 1720, anche se la questione di una lotta oltre che giudiziaria, anche politica e culturale alla mafia, fu posta da alcuni parlamentari già nel 1948, immediatamente dopo la strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947) e i successivi omicidi compiuti da Cosa Nostra nei confronti di sindacalisti agrari in Sicilia.

La prima Commissione, presieduta dall'onorevole Paolo Rossi, costituita nel febbraio del 1963, non tenne alcuna seduta a causa dell'avvenuto scioglimento delle Camere. Alla ripresa dell'attività legislativa la guida della Commissione parlamentare antimafia venne affidata al senatore Donato Pafundi; l'organismo parlamentare iniziò i suoi lavori sulla scia dell'indignazione generata dalla strage di Ciaculli avvenuta cinque giorni dopo la sua costituzione. Il suo compito fu quello di analizzare, limitatamente alla regione Sicilia, la genesi e le caratteristiche del fenomeno mafioso, al fine di produrre le misure necessarie per reprimerne le manifestazioni ed eliminarne le cause. La Commissione, alla cui presidenza dopo il senatore Pafundi si successero, l'onorevole Cattanei e il senatore Carraro, terminò i suoi lavori nel 1976 e vennero pubblicati quarantadue volumi di atti per un totale di circa 30.000 pagine.

La seconda Commissione parlamentare antimafia, presieduta prima dal senatore La Penta e poi dall'onorevole Alinovi, fu istituita con la legge 13 settembre 1982, n. 646 (legge Rognoni - La Torre), dopo gli omicidi di Pio La Torre, deputato e segretario regionale del PCI siciliano, del suo autista Rosario Di Salvo (30 aprile), del prefetto di Palermo, generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente di scorta Domenico Russo (3 settembre). La Commissione non ebbe poteri di inchiesta e i compiti che le furono attribuiti furono quelli di verificare l'attuazione delle leggi antimafia, di accertare la congruità della normativa, la conseguente azione dei pubblici poteri ed infine, di suggerire al Parlamento misure legislative e amministrative. Terminò i suoi lavori nel 1987, allo scadere della IX legislatura. L'organismo parlamentare analizzò i cambiamenti che si realizzarono in Cosa Nostra dopo la sua entrata nel mercato degli stupefacenti, denunciandone la trasformazione eversiva, seguì le prime applicazioni della legge Rognoni - La Torre, effettuò numerose visite in territori particolarmente esposti al problema del fenomeno mafioso e, infine, individuò i primi segnali dell'evoluzione del fenomeno mafioso in Puglia.

La terza Commissione parlamentare antimafia, presieduta dal senatore Gerardo Chiaromonte, fu istituita con legge 23 marzo 1988, n. 94, e fu dotata di poteri di inchiesta. In quattro anni, produsse ben trentasei relazioni con le quali mirò soprattutto ad adeguare l'impianto legislativo dopo i cambiamenti intervenuti nella struttura dell'organizzazione mafiosa. E’ questo l’inizio di quello che può essere definito come il passaggio delle Commissioni parlamentari antimafia da una fase di analisi e conoscenza delle organizzazioni mafiose a quella di sviluppo dell’attività propositiva, sia sul versante legislativo che su quello amministrativo.

La quarta Commissione parlamentare antimafia fu istituita con il decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, subito dopo le stragi di Capaci (23 maggio 1992) e di Via d’Amelio (19 luglio 1992), nelle quali furono uccisi i giudici Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, il giudice Paolo Borsellino e gli agenti delle loro scorte.

Questi eventi criminali resero più reale, nella società politica, economica e civile italiana, la percezione della mafia sia come problema nazionale, sia come concreta minaccia al sistema politico democratico. In quei giorni e in quelle ore, infatti, si stava votando l’elezione del nuovo capo dello Stato. Gli italiani furono colpiti dal numero di vittime (11 persone), dal tipo di vittime (tre giudici, di cui due, Falcone e Borsellino, considerati i simboli della lotta alla mafia e otto giovani agenti di scorta, tra cui una ragazza di soli 22 anni), dalle modalità con cui furono eseguite le stragi (1.000 Kg. di tritolo che fecero saltare alcuni chilometri di autostrada nel primo caso, ed un’autobomba nella città di Palermo, che distrusse un intero palazzo, nel secondo), dal tempo trascorso tra una strage e l’altra (55 giorni). Cosa Nostra, guidata dal gruppo dei Corleonesi, capeggiati da Totò Riina, decise il passaggio da una "coabitazione" con alcuni apparati dello Stato ad un attacco frontale nei confronti delle istituzioni.

La Commissione parlamentare antimafia, presieduta dall’onorevole Luciano Violante, in diciassette mesi di attività produsse dodici relazioni, realizzò tre forum di approfondimento con specialisti di diversi settori su tematiche determinanti della lotta alla mafia, si adoperò per la creazione di uno spazio internazionale antimafia e, come la Commissione Chiaromonte, avanzò proposte legislative ed amministrative. La Commissione approvò, per la prima volta nella storia del Parlamento repubblicano, una relazione sui rapporti tra mafia e politica, audì alcuni collaboratori di giustizia, concentrò l’attenzione sulle infiltrazioni mafiose nelle aree non tradizionali, sul rapporto tra economia e criminalità e sottolineò la necessità di affiancare, contemporaneamente, all’azione repressiva nella lotta contro la mafia (antimafia dei delitti), un’azione diretta a costruire condizioni di efficienza della pubblica amministrazione, in grado di assicurare i servizi essenziali ai cittadini e di riallacciare un rapporto di fiducia con lo Stato (antimafia dei diritti).

La quinta Commissione parlamentare antimafia, presieduta dall’onorevole Tiziana Parenti, fu istituita con legge 30 giugno 1994, n. 430. Nel corso della XII legislatura, la Commissione redasse quattro relazioni e sei documenti aventi per oggetto i temi dell’usura, lo stato e le prospettive dell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, la situazione degli uffici giudiziari, i collaboratori di giustizia, il caso "Cordopatri", le misure di prevenzione patrimoniali, la situazione della criminalità in Puglia. I commissari effettuarono altresì delle missioni in alcuni comuni siciliani ed in Liguria delle quali, successivamente, redassero specifiche relazioni.

L’attuale Commissione parlamentare antimafia, presieduta dal senatore Ottaviano Del Turco, è stata istituita con legge 1° ottobre 1996, n. 509. I compiti fissati dalla norma, pressoché analoghi a quelli stabiliti per le ultime tre Commissioni, sono i seguenti:

  1. verificare l’attuazione della legge 13 settembre 1982, n. 646, e successive modificazioni, e delle altre leggi dello Stato, nonché gli indirizzi del Parlamento, con riferimento al fenomeno mafioso;
  2. accertare la congruità della normativa vigente, formulando le proposte di carattere legislativo e amministrativo ritenute opportune per rendere più coordinata e incisiva l’iniziativa dello Stato, delle regioni e degli enti locali e più adeguate le intese internazionali concernenti la prevenzione delle attività criminali, l’assistenza e la cooperazione giudiziaria;
  3. accertare e valutare la natura e le caratteristiche dei mutamenti e delle trasformazioni del fenomeno mafioso e di tutte le sue connessioni;
  4. riferire al Parlamento al termine dei suoi lavori, nonché ogni volta che lo ritenga opportuno e comunque annualmente.

 

 

 

2. L'INCHIESTA PARLAMENTARE

 

L’articolo 82 della Costituzione stabilisce che "Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una Commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La Commissione d’inchiesta procede alle indagini con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria".

Le inchieste parlamentari possono essere disposte soltanto su "materie di pubblico interesse"; l’oggetto dell’inchiesta è delimitato dall’atto istitutivo, senza la possibilità di interpretazioni estensive. L’ordinamento italiano prevede che le inchieste parlamentari possano essere istituite mediante legge ovvero atto bicamerale non legislativo ovvero con atto monocamerale (artt. 140-141 Regolamento Camera; artt. 162-163 Regolamento Senato).

Il rinvio ai poteri dell'autorità giudiziaria, a cui fa riferimento la norma costituzionale, riguarda i cosiddetti poteri istruttori, ossia quelli conoscitivi e acquisitivi. Lo scopo dell’inchiesta parlamentare è di natura politica e consiste nello svolgere un accertamento finalizzato alla comprensione (e all’eliminazione) delle cause del fenomeno oggetto dell’inchiesta e alla individuazione di specifiche responsabilità politiche. Il compito di valutare le responsabilità penali ed, eventualmente, di sanzionarle, in base alle norme contenute nei codici, è assegnato dall’ordinamento all’autorità giudiziaria. Va inoltre precisato che le Camere non sono vincolate dai risultati delle inchieste; esse possono valutarli in modo diverso da quello con il quale li abbiano valutati le stesse Commissioni, e possono decidere di non deliberare.

I componenti di una Commissione parlamentare di inchiesta, il cui numero è stabilito dall’atto istitutivo, sono parlamentari in carica nominati dal Presidente dell’Assemblea, su designazione dei Gruppi. In questa fase si tiene conto della consistenza dei Gruppi parlamentari presenti in ciascuna Camera (principio di proporzionalità e di rappresentatività). Ai lavori della Commissione, se previsto dall’atto istitutivo, possono partecipare anche persone estranee al Parlamento, in qualità di esperti con funzioni meramente consultive.

Uno dei primi adempimenti della Commissione è quello di redigere un proprio regolamento interno che contiene le norme che disciplinano il concreto svolgersi delle proprie attività (es: audizione delle persone, poteri del presidente, regime di pubblicità degli atti e dei documenti). Viene quindi redatto un programma dei lavori e vengono formati, eventualmente, dei Gruppi di lavoro, aventi il compito di svolgere indagini e studi di carattere preparatorio. Compiti particolari possono essere assegnati anche a singoli componenti della Commissione.

La sede della Commissione è posta nei palazzi appartenenti alla Camera che l’ha istituita, se si tratta di una Commissione monocamerale; alternativamente scelta fra le due Camere se si tratta di una Commissione bicamerale.

La Commissione ha l’onere di far conoscere agli altri membri del Parlamento e all’opinione pubblica i momenti salienti dell’inchiesta mentre essa è ancora in corso. Ordinariamente, per ciascuna seduta della Commissione viene redatto un resoconto sommario (atto parlamentare che riporta sinteticamente lo svolgimento della seduta) ed un resoconto stenografico (atto parlamentare che riporta gli interventi dei relatori durante una seduta); va ricordata, inoltre, l’esistenza della ripresa televisiva a circuito chiuso, per permettere alla stampa di seguire lo svolgimento delle sedute in locali separati, limitatamente alle riunioni pubbliche.

La Corte Costituzionale (sentenza N. 231 del 22 ottobre 1975), ha affermato che il segreto che le Commissioni di inchiesta hanno il potere di imporre ai propri lavori e ai risultati delle indagini eseguite debba definirsi funzionale, in quanto stabilito in funzione dei fini istituzionalmente propri dell’organo parlamentare. Spetta alle Commissioni stesse stabilire la necessità ed i limiti di tale segreto, che può essere disposto sia nei confronti di soggetti esterni al Parlamento (l’autorità giudiziaria in particolare), sia nei confronti delle altre articolazioni interne delle Camere e, quindi, anche verso altre Commissioni di inchiesta, salvo che la legge istitutiva non disponga altrimenti.

Una volta conclusa l’inchiesta, la Commissione provvede a redigere una relazione finale nella quale viene delineata la ricostruzione complessiva del fenomeno indagato, vengono evidenziate le conclusioni politiche e si suggeriscono indicazioni e proposte. Il presidente della Commissione, o un parlamentare da lui delegato, in qualità di relatore, illustra il testo della relazione medesima che, successivamente, verrà posto prima in discussione e, successivamente, in votazione. Negli stessi termini possono essere presentate delle relazioni di minoranza. Infine, una volta stabilito quali documenti rendere pubblici e quali segretare, la Commissione provvede a versare nell’archivio storico della Camera di appartenenza del Presidente, tutti gli atti che essa ha prodotto o acquisito durante i suoi lavori.

 

3. LE MAFIE

 

In un’intervista alla giornalista Marcelle Padovani, il giudice Giovanni Falcone disse: "Credo dovremmo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, non per l’eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una sua fine".

L’affermazione citata deve essere tenuta costantemente presente sia per chi intende avvicinarsi alla conoscenza delle organizzazioni mafiose sia per chi, superata questa fase, si trova già impegnato istituzionalmente e socialmente nella battaglia antimafia. Una battaglia che lo Stato può vincere, come fin qui dimostrato, conoscendo innanzitutto il suo nemico e lottando contemporaneamente su due versanti: quello preventivo e quello repressivo.

La mafia, o meglio, le mafie vengono spesso erroneamente presentate, in particolare da alcuni organi di informazione e da alcune fictions televisive, attraverso una serie di stereotipi, fra i quali vanno menzionati i più frequenti, perché sono quelli che principalmente vanno combattuti: quello delle mafie come un’emergenza, delle mafie come problema soltanto di alcune regioni italiane o, all’opposto, come male universale, quello che considera queste organizzazioni criminali esistenti e pericolose soltanto quando manifestano platealmente la loro violenza, attraverso le stragi o gli omicidi eccellenti. Rappresentare la mafia con gli stereotipi accennati e dare di essa l’immagine di una piovra o di un cancro, significa far apparire una organizzazione fatta di uomini, armi, denaro, relazioni politiche e finanziarie, come un qualcosa di inafferrabile e di invincibile.

Uno sterminato numero di pagine tra processi, inchieste parlamentari, saggi, articoli giornalistici sono state redatte e si redigono per spiegare chiaramente come sono strutturate le organizzazioni mafiose, quali uomini ne fanno parte, quali strategie esse adottano per raggiungere i loro fini, quali regole vigono all’interno dei loro clan.

Le mafie sono una forma di criminalità organizzata ma, per il fatto di avere rapporti con apparati politici e finanziari, nonché il controllo del territorio sul quale svolgono le loro attività principali (estorsioni, usura, traffici illeciti, ecc.), si distinguono dalle altre forme di criminalità organizzata. Sul loro territorio, attraverso il controllo minuzioso di ogni tipo di attività e proponendosi, dopo averlo creato, come risolutrici di ogni problema, le mafie esercitano un potere totalitario. Il loro obiettivo principale è quello di accumulare più ricchezza possibile, essendo quest’ultima direttamente collegata al potere. Più si ha denaro e più si è potenti. Le mafie, dunque, se per esercitare alcune attività si avvalgono di un apparato militare di controllo del territorio, per altre (il riciclaggio ad esempio) si avvalgono di relazioni sociali, di disponibilità professionali, di capacità tecniche specifiche.

Il ricorso alla violenza rappresenta per le mafie l’extrema ratio, contrariamente a quanto si possa e si è abituati a pensare. La violenza, infatti, crea allarme nell’opinione pubblica e spinge le autorità pubbliche a reagire con durezza. Le mafie, pertanto, si avvalgono in modo sistematico e continuativo dell’intimidazione e utilizzano parte dei loro ingenti capitali per corrompere alcuni politici, burocrati, magistrati, e chiunque possa esser loro utile per il raggiungimento dei loro obiettivi. La corruzione, infatti, è per sua natura silenziosa, crea un clima di complicità, favorisce l’intreccio tra attività legali e illegali, consente di conseguire l’utile desiderato con rischi minori, mina dall’interno le istituzioni, che solo apparentemente mantengono un volto democratico.

Caratteristica ulteriore delle organizzazioni mafiose è quella di saper coniugare la tradizione con la modernità, secondo una logica utilitaristica, in base alla quale tutto ciò che conviene all'organizzazione mafiosa va fatto e tutto ciò che non conviene va evitato; il massimo risultato va ottenuto con il minimo costo, vale a dire l’impunità.

Storicamente siamo passati da una mafia di tipo agrario (1861- anni ’50 del XX secolo), ad una di tipo urbano-imprenditoriale (anni ’60), ad una di tipo finanziario (dagli anni ’70 in poi) che si è sempre più internazionalizzata.

Le cause della internazionalizzazione mafiosa sono da rintracciarsi in diversi fattori. In primo luogo nei beni trattati, in particolare i tabacchi lavorati esteri, le sostanze stupefacenti e le armi. Questi beni sono normalmente prodotti in luoghi diversi da quelli in cui sono utilizzati ed il loro passaggio da uno Stato all’altro avviene, dunque, eludendo controlli, corrompendo chi deve vigilare sui transiti e sui pagamenti. Tutto ciò rafforza i vincoli fra le organizzazioni criminali i cui vertici hanno stabilito dei veri e propri accordi. Il secondo fattore che ha favorito l’internazionalizzazione del mondo criminale è da rintracciarsi nella globalizzazione dell’economia. Questa ha comportato il progressivo depotenziamento delle frontiere nazionali, la sempre più libera e non controllata circolazione di beni, capitali e persone, alla quale non ha fatto da contraltare il varo di regole comuni da parte degli Stati per contrastare il crimine sul piano internazionale. Il terzo ed il quarto fattore di internazionalizzane delle mafie sono rappresentati rispettivamente dall’inserimento dei gruppi mafiosi nei flussi migratori e dalla loro necessità di investire e riciclare i proventi che essi hanno illecitamente accumulato.

In Italia esistono ed operano quattro organizzazioni criminali di stampo mafioso: Cosa Nostra in Sicilia (dove troviamo anche la Stidda), la Camorra in Campania, la ‘Ndrangheta in Calabria e la Sacra Corona Unita in Puglia. Esaminiamone brevemente, nelle pagine che seguono, la loro struttura e le loro attività, raccomandando il lettore di integrare la descrizione di ciascuna organizzazione mafiosa con il contenuto del paragrafo intitolato "Situazione generale attuale".

 

 

 

4. LE MAFIE ITALIANE

 

4.1 Cosa Nostra

Cosa Nostra è un’organizzazione criminale segreta, avente una struttura di tipo piramidale-verticistico che, partendo dalla base, è così articolata:

a) i "soldati" o "uomini d’onore";

b) la "famiglia", composta dai "soldati" o "uomini d’onore"; essa ha una struttura a base territoriale che le consente il controllo di una zona della città o di un intero centro abitato da cui prende anche il nome (famiglia di Portanuova, ecc.). La famiglia è governata da un capo di nomina elettiva, denominato "rappresentante", il quale è assisistito da un "vicecapo" e da uno o più "consiglieri";

c) il "capodecina", che coordina l’attività di dieci (o più) "soldati" o "uomini d’onore";

d) il "capo-mandamento", cioé il rappresentate di tre o più famiglie territorialmente contigue;

e) la "commissione provinciale" o "cupola" della quale fanno parte i capi-mandamento, che eleggono al loro interno anche il capo della "commissione". La "commissione" di Palermo è di fatto la più potente.

Compito della "commissione" è quello di assicurare il rispetto delle regole di Cosa Nostra all’interno di ciascuna "famiglia" e, soprattutto, di comporre eventuali conflitti tra le "famiglie" stesse. L’avvento al potere dei Corleonesi, capeggiati da Totò Riina, ha portato alla costituzione di un organismo segretissimo, denominato "interprovinciale", avente il compito di regolare gli affari riguardanti gli interessi di più province.

"(…) L’obiettivo permanentemente perseguito da Cosa Nostra è l’accumulazione del massimo potere possibile nella situazione concreta. Questa caratteristica la differenzia dalle organizzazioni criminali affini e le conferisce una cultura, una dimensione e una strategia politica. Agisce con particolare flessibilità allo scopo di meglio adattarsi all’ambiente e meglio estendere la propria influenza, e quindi il proprio potere, attraverso relazioni di scambio, favoritismi, sviluppo di rapporti familiari, costituzione di clientele, prestazione di favori che costituiscono il presupposto per ottenere contropartite.

Il criterio guida delle azioni di Cosa Nostra è l’utilitarismo. Tutto ciò che giova all’organizzazione si deve fare. Tutto ciò che la danneggia o può, eventualmente, danneggiarla è severamente proibito.

Importante per l’organizzazione è il prestigio, il rispetto degli altri, aderenti e non, all’organizzazione. Il prestigio è il connotato dell’ "uomo d’onore", gli consente di influire sulla collettività che gli sta attorno. In una tradizione storica, come quella siciliana, dove grande peso hanno l’esercizio del potere personale e i segni esteriori che lo accompagnano, la ricerca del prestigio diventa essenziale per un’organizzazione che tende a svolgere una funzione egemonica nei confronti dell’ambiente.

Cosa Nostra cerca di realizzare i propri obiettivi con il consenso; ma poi usa la violenza se quel consenso non è prestato e, in ogni caso, quando viene messa in pericolo, dall’interno o dall’esterno, la sua leadership. Verso la fine degli anni ‘70, ad esempio, Cosa Nostra decise di sviluppare una reazione contro gli appartenenti alle forze dell’ordine per contrastare una fase di particolare efficacia. Questa direzione si sviluppò lungo due direttrici: l’intimidazione prima e l’eliminazione poi di quei funzionari che non si fossero piegati.

Essenziale per Cosa Nostra è il controllo del territorio; serve per svolgere impunemente ogni sorta di traffico; serve a conoscere e prevenire le manovre degli avversari, ad esercitare dominio sulle popolazioni, a praticare le estorsioni, a presentarsi come autorità che tutto conosce e che tutto può. Un capomafia senza territorio è come un re senza regno.

Cosa Nostra estende la propria attività a nuovi mercati poiché la mondializzazione dell’economia porta con sé, inevitabilmente, anche l’espansione delle attività criminali collegate al traffico delle merci ed allo spostamento delle persone.

Palermo e la Sicilia restano (comunque) il territorio di Cosa Nostra. Non a caso nella capitale dell’Isola, cuore politico della regione e punto di snodo delle ingenti risorse finanziarie regionali e statali, Cosa Nostra ha realizzato e mantiene una struttura di controllo del territorio non rinvenibile in nessuna altra realtà locale.

Cosa Nostra considera indispensabile l’impunità. L’impunità consente di azzerare il rapporto costi-benefici nell’attività criminale, è il segno visibile del prestigio dell’uomo d’onore, rende evidente la sua capacità di condizionare l’attività dello Stato. L’impunità presenta vari aspetti: non essere perseguiti per attività criminali, essere assolti o condannati a pene risibili, godere di trattamenti particolarmente privilegiati in carcere, non essere arrestati nonostante si sia destinatari di provvedimenti restrittivi della libertà personale. L’impunità sanziona il carattere di "Stato nello Stato" che Cosa Nostra tende ad assumere; se non si è puniti dallo Stato è segno che si è più forti dello Stato o riconosciuti e legittimati dai pubblici poteri.

Esiste una vera e propria strategia di Cosa Nostra per il conseguimento dell’impunità in tutte le sue forme possibili. Il metodo principale è l’ "aggiustamento dei processi", l’intervento cioé su magistrati e su giudici popolari al fine di ottenere provvedimenti favorevoli. Questo intervento è compiuto con tutte le modalità possibili, dall’avvicinamento cauto e confidenziale, alla minaccia, sino all’omicidio punitivo-preventivo, che è eseguito per eliminare un avversario ed intimidire tutti quelli che si trovano nella sua condizione. L’impunità è la principale preoccupazione di Cosa Nostra.

Durante i processi di particolare importanza vige la pax mafiosa. Nelle carceri gli "uomini d’onore" sono garanzia di ordine. L’esecuzione di condanne e vendette, salvo casi eccezionali, si compie quando non sono in corso processi rilevanti e fuori delle carceri.

Cosa Nostra ha una propria strategia politica. L’occupazione e il governo del territorio in concorrenza con le altre autorità legittime, il possesso di ingenti risorse finanziarie, la disponibilità di un esercito clandestino e ben armato, il programma di espansione illimitata, tutte queste caratteristiche ne fanno un’organizzazione che si muove secondo logiche di potere e di convenienza, senza regole che non siano quelle della propria tutela e del proprio sviluppo. La strategia politica di Cosa Nostra non è mutuata da altri, ma imposta agli altri con la corruzione e con la violenza.

Cosa Nostra si occupa anche di fatti politici nazionali; può perciò intrecciare le proprie azioni agli interessi di altri gruppi.

(…) E’ pacifico che Cosa Nostra influisce sul voto. Ciò non corrisponde ad una scelta ideologica, ma alla convenienza di sfruttare nel miglior modo possibile il radicamento sociale e territoriale: i vasti compiti degli enti locali hanno incentivato l’attenzione della mafia per le amministrazioni comunali.

(...) Cosa Nostra non ha mai avuto preclusioni. Nessun partito può essere aprioristicamente immune. Ma i mafiosi non votano a caso; scelgono naturalmente i candidati non ostili alla mafia e vicini agli interessi dei singoli gruppi.

(...) La scelta del partito e degli uomini è ispirata ad una logica di pura convenienza; più conta il partito e più ampia è la disponibilità di Cosa Nostra; questo spiega l’appoggio costantemente fornito a candidati appartenenti a partiti di governo, ancorché piccoli. Per questi anzi la dimensione ristretta dell’elettorato rende i voti di Cosa Nostra più produttivi, talora essenziali al raggiungimento del quorum ed alla elezione dei candidati.

Il rapporto tra Cosa Nostra e i politici è di dominio della prima nei confronti dei secondi; la disponibilità di mezzi coercitivi conferisce a Cosa Nostra una illimitata possibilità di richiesta e di convincimento; da ciò può derivare una interpretazione vittimistica di quel rapporto; il politico non è costretto ad accettare i voti di Cosa Nostra e se li accetta non può non sapere quali saranno le richieste e gli argomenti dei suoi partner.

(...) Cosa Nostra influisce sulle elezioni in vari modi.

Fa ritenere all’ambiente nel quale opera che è in grado di controllare il voto e quindi fa nascere negli elettori il timore di rappresaglie. L’intimidazione è assai diffusa e così anche il presidio dei seggi. In vari casi si ricorre ai brogli.

Più spesso non c’è bisogno di alcuna intimidazione. E’ sufficiente il consiglio. L’assenza di tensione e passione politica, la concezione per la quale il voto serve soltanto a contrassegnare l’appartenenza ad una clientela e non ad indicare una scelta ideale, l’appiattimento delle tradizioni politiche tra i diversi partiti può condurre quasi naturalmente, senza alcuna forzatura, a rispettare gli ordini di scuderia come Messina (Leonardo Messina, collaboratore di giustizia, N.d.R.) chiama le designazioni elettorali che venivano dai vertici di Cosa Nostra.

(...) Il politico può anche partecipare a manifestazioni antimafia, fare discorsi contro la mafia, l’importante è che poi, nella sostanza, protegga gli interessi di Cosa Nostra".

 

4.2 La Camorra

"La Camorra è costituita da un insieme di bande che si compongono e si scompongono con grande facilità, a volte pacificamente, altre volte con scontri sanguinosi.

Questa struttura pulviscolare è stata sostituita da un'organizzazione gerarchica soltanto in due occasioni negli ultimi due decenni. Prima, nella seconda metà degli anni '70, dalla Nuova Camorra Organizzata (NCO) di Raffaele Cutolo e poi, verso la fine degli anni '70, dalla Nuova Famiglia (NF) di Bardellino-Nuvoletta-Alfieri, sorta, d'intesa con Cosa Nostra, per contrastare Cutolo, e perciò modellata sugli stessi caratteri dell'organizzazione unitaria, secondo lo schema siciliano, chiamata significativamente Nuova Mafia Campana.

La NCO è finita nel 1983, per l'indebolirsi delle alleanze politiche, la riduzione delle fonti di finanziamento ed i colpi ricevuti dagli avversari. La Nuova Famiglia cessò nello stesso periodo per il venir meno della ragione dell'alleanza dopo la sconfitta di Cutolo. La Nuova Mafia Campana fu più un'aspirazione che una realizzazione.

Al di fuori di queste esperienze ha prevalso la mobilità e la flessibilità.

I clan nascono per promozione di gruppi criminali minori dediti al contrabbando di tabacco, al traffico di stupefacenti e alla estorsione, oppure per scissione di bande organizzate. Se un capo è in momentanea difficoltà, ad esempio perché arrestato, è facile che il suo vice cerchi di costituire un gruppo autonomo che diventa concorrente dell'organizzazione originaria negli stessi affari e sullo stesso terreno.

La Camorra è l'unica organizzazione di carattere mafioso che ha avuto, e continua ad avere, caratteristiche di massa. Essa è l'unico fenomeno di carattere mafioso che ha origini urbane. Tanto Cosa Nostra, infatti, quanto la ‘Ndrangheta hanno origini agrarie.

La Camorra nasce agli inizi del secolo scorso nella città di Napoli, una delle più grandi città europee; è strettamente intrecciata alla società civile; tende ad avere con tutti, singoli, partiti, istituzioni, relazioni di scambio permanente. Il carattere metropolitano e l'antica storia la rendono fisiologicamente disponibile ai commerci, ad avere rapporti con chi esercita funzioni politiche ed istituzionali, le fanno acquisire la negoziazione come forma delle relazioni sociali.

E' stata più volte utilizzata dalla politica sin dal secolo scorso; dai borboni contro i liberali, prima; dai liberali contro i borboni dopo. Costituitosi lo Stato unitario è stata chiamata più volte in campo per condizionare risultati elettorali. E' l'unica organizzazione criminale che su espresso invito dell'autorità è addirittura riuscita a far parte di un corpo di polizia.

Queste caratteristiche mercenarie insieme alla mancanza di durature strutture gerarchiche rendono le organizzazioni camorristiche flessibili, capaci di adattarsi, prive di regole precostituite.

Il mondo camorristico, a differenza di quello mafioso è aperto, dinamico, suscettibile dei mutamenti più improvvisi. E' ben possibile, ad esempio, che capo di una banda camorristica diventi una persona in giovane età; ma questa eventualità è da escludere per Cosa Nostra, che ha gli stessi capi da più di venti anni.

La Camorra ha avuto un andamento carsico. La sua duttilità, la sua stretta integrazione con società, politica ed istituzioni le hanno consentito, in momenti di difficoltà, lunghi periodi di mimetizzazione nella più generale illegalità diffusa che caratterizza la vita dei ceti più poveri di Napoli, al termine dei quali è riemersa con forza.

La Camorra non ha mai goduto dell'impunità pressoché secolare propria della mafia. Grandi repressioni ci sono state nel 1860, 1862, 1874, 1883, 1907. In tempi più recenti, nel biennio 1983-1984, con i maxiprocessi alle organizzazioni di Raffaele Cutolo. Tuttavia, fatta eccezione per gli ultimi anni, la repressione ha riguardato solo alcune bande e non il fenomeno nel suo complesso e soprattutto non è stata mai accompagnata dai necessari interventi di carattere sociale.

(…) Le organizzazioni camorristiche sono per tradizione del tutto indifferenti alle ideologie politiche. La loro solida tradizione mercenaria le rende disponibili a sostenere chiunque possa contraccambiare offrendo significativi vantaggi. La Camorra guarda tradizionalmente prima di ogni altra cosa all'affare economico, alla convenienza. Le prime tracce di presenza elettorale della Camorra risalgono alle elezioni politiche del 1865.

La Camorra è sempre stata imprenditrice, ha sempre cercato di inserirsi nei processi economici per trarre vantaggi: estorcendo tangenti su attività economiche; gestendo il lotto clandestino a Napoli; occupando posizioni di monopolio nella distribuzione di un determinato prodotto.

Oggi, l'ambito degli affari delle organizzazioni camorristiche è praticamente illimitato, dall'usura alle truffe CEE, dal contrabbando di sigarette al traffico e spaccio minuto di stupefacenti, dalle estorsioni alle rapine, in genere fuori della Campania, all'importazione clandestina di armi.

Un peso particolare nell'attività delle organizzazioni camorristiche ha il traffico di armi … effettuato sia per autorifornimento che per ragioni commerciali. Le armi, ad esempio, sono usate anche come contropartita per l'acquisto di droga.

I traffici di stupefacenti si svolgerebbero tanto mediante contatti diretti con i produttori quanto mediante il controllo del piccolo spaccio attraverso bande di ragazzini o, addirittura, tramite famiglie che coinvolgono i loro componenti nella custodia delle materie prime, nella preparazione delle dosi, nello smercio delle bustine.

La Camorra, a differenza di Cosa Nostra, non contrappone un ordine alternativo a quello dello Stato, ma governa il disordine sociale. In tal senso si presenta sempre con due facce. La prima è rivolta verso la disperazione sociale, che controlla nelle forme più varie. "La Camorra è un sodalizio criminoso, che ha per iscopo un lucro illecito e che si esercita da uomini feroci sui deboli per mezzo delle minacce e della violenza" scrive un rapporto del Ministero dell’Interno che risale al 1860. Questa relazione di dominio nei confronti degli strati sociali più poveri è tuttora presente, ma si esprime sempre meno con la violenza diretta e sempre più con la creazione di canali economici illegali, che occupano migliaia di "senza salario". Tipiche sono le modalità dello smercio di stupefacenti, che a volte coinvolgono interi nuclei familiari. Pari rilevanza ha l’industria del doppio: i falsi Cartier, i falsi Vuitton, eccetera. Questo rapporto di dipendenza economica dei più emarginati consente alla Camorra di disporre di un inesauribile bacino di reclutamento dei nuovi quadri.

L’altra faccia della Camorra è rivolta verso il potere, in rapporto di interscambio dal quale emerge che, nella storia, è più spesso il potere ad avere bisogno della Camorra che la Camorra del potere.

(…) La Camorra è pervasiva. Le sue caratteristiche le consentono di essere presente ovunque vi sia un’utilità. Spietatezza, opportunismo e cinismo sono principi comuni a tutte le bande camorristiche. Non c’è attività redditizia che non possa essere svolta; non c’è relazione politica che non possa essere avviata; non c’è prestazione che non possa essere assicurata.

A questa pervasività ha corrisposto una spontanea disponibilità alla penetrazione camorristica da parte di uomini politici, burocrati, imprenditori ed esponenti delle diverse professioni, per interessi economici, professionali, elettorali, per fragilità o per ragioni di puro potere, per mancanza di senso dello Stato o di senso civico.

Pervasività da un lato e disponibilità dall’altro hanno creato in Campania un diffuso fenomeno di integrazione e connivenza tra la Camorra e ambienti sociali ed istituzionali.

(...) La Camorra non ha compiuto grandi omicidi politici. Essa, a differenza di Cosa Nostra, è stata emarginata dalle vicende nazionali. Le è mancata quindi la forza per attacchi ad alto livello contro lo Stato.

(...) La Camorra ha manifestato una aggressività diversa rispetto a Cosa Nostra; meno eclatante, ma non per fragilità. Perché il suo dominio sul territorio, la sua capacità di corrompere funzionari pubblici, il suo grado di collusione con le pubbliche amministrazioni e con persone aventi responsabilità politiche ha schiacciato sul nascere ogni opposizione. Perché la scarsa considerazione in cui è stata tenuta dai mezzi di informazione, dalla cultura, dall’opinione pubblica le hanno consentito di ingigantire nell’ombra".

 

4.3 La ‘Ndrangheta

"La 'ndrangheta è un'organizzazione mafiosa che ha una particolare struttura organizzativa, diversa da quelle di Cosa nostra o della camorra. La struttura di base è la 'ndrina o cosca o famiglia che è radicata in un comune o in un quartiere cittadino. In un comune ci possono essere più 'ndrine; in tal caso, allora, esse fanno parte di un 'locale'. La 'ndrina è formata essenzialmente dalla famiglia naturale, di sangue, del capobastone, alla quale si aggregano altre famiglie generalmente, o inizialmente, subalterne. Le famiglie aggregate non di rado sono imparentate a quella del capobastone. Una lunga catena di matrimoni ha contraddistinto la vita delle cosche mafiose sicché è possibile affermare che questa tendenza è comune a tutte le famiglie. Il dottor Boemi ha descritto in questi termini l'evoluzione della 'ndrangheta: "La 'ndrangheta si caratterizza per la presenza nei comuni grandi e piccoli dei cosiddetti locali aperti: locale aperto è quello in cui un gruppo di mafiosi (spesso 30 e più) organizzano la loro attività criminosa. L'affiliazione calabrese avviene essenzialmente in due modi estremamente diversi. In Calabria si diventa mafiosi per generazione, per casato, per discendenza, per il semplice fatto di essere nato in una famiglia di mafiosi. Il figlio di un mafioso è solitamente un mafioso e lo è sin dalle prime classi elementari. Si diventa mafiosi però anche per esigenza, in mancanza di lavoro, per l'assoluta impossibilità in questa regione di avere di fronte uno Stato che risponda nei modi essenziali alle esigenze di vita di un giovane moderno". (…) Al contrario di quanto molti per lungo tempo hanno creduto, la famiglia di sangue come fondamento della famiglia mafiosa, la struttura familiare come fondamento dell'organizzazione mafiosa, si sono rivelate - nella realtà della Calabria e in quella di territori anche molto lontani e diversi - uno straordinario strumento di salvaguardia e di espansione della 'ndrangheta. È proprio questa struttura "primitiva" che ha consentito alla 'ndrangheta di evitare la tempesta che si è abbattuta su Cosa nostra, sulla camorra e sulla Sacra corona unita. Il numero dei collaboratori calabresi è sicuramente più ridotto di tutti gli altri per diverse ragioni. La prima, e la più forte, è che un mafioso calabrese che dovesse decidere di collaborare dovrebbe per prima cosa chiamare in causa i propri familiari più diretti. La struttura familiare si è rivelata inoltre la più adatta a moduli organizzativi simili a quella autonomizzazione di ciascuno dei diversi reparti e segmenti con cui Cosa nostra, riorganizzandosi, tenta di rendersi impenetrabile sia alle indagini sia alle "voci di dentro". Il vincolo familiare ha funzionato come uno scudo a protezione dei segreti e della sicurezza, oltreché della riproduzione della propria identità sia nei luoghi di origine sia in quelli di emigrazione. Il numero ridotto dei collaboratori di giustizia si spiega anche con la particolare 'politica' di riconquista dei collaboratori adottata dalla 'ndrangheta, la quale, diversamente da Cosa nostra, sta adottando, per usare le parole del dottor Boemi, una strategia "molto più sottile" perché "in Calabria non si uccidono i parenti dei pentiti e non si uccidono neanche i pentiti... La 'ndrangheta ha la capacità sistematica di ricontattare i pentiti, tutti quanti, uno per uno". I collaboratori vengono ricontattati "nel tentativo di riconquistarli". Anche il dottor Rocco Lombardo, procuratore della Repubblica di Locri, è convinto che "la 'ndrangheta dispone di mezzi economici per pagare i pentiti di gran lunga superiori a quelli dello Stato e può in questo modo agire per far ritrattare quanto dichiarato o per impedire le confessioni". La stessa enorme diffusione, che dura oramai da più decenni nel Nord Italia (Lombardia e Piemonte, in particolare, N.d.R.) e in molti paesi stranieri (Stati Uniti d’America, Canada e Australia, in particolare, N.d.R.), è stata notevolmente favorita proprio dalla struttura familiare. Pezzi di famiglie si sono volutamente e strategicamente impiantate fuori della Calabria continuando a mantenere con la cosca d'origine legami strettissimi".

"(…) Nel panorama storiografico italiano la ‘Ndrangheta è sicuramente l’organizzazione mafiosa meno studiata e meno conosciuta. Essa è stata per lungo tempo considerata da tutti - non solo dagli storici - come un’appendice di Cosa Nostra, come una mafia arcaica, folcloristica, impastata di arcana crudeltà, espressione dell’arretratezza tipica della Calabria perché la sua struttura organizzativa aveva - ed ha ancora - come fondamento la famiglia naturale del capobastone. Un’analisi più attenta della realtà mafiosa calabrese infrange questa immagine e ci svela una mafia matura e moderna la cui evoluzione è simile a Cosa Nostra e alla Camorra ma con notevoli tratti di diversità e di peculiarità.

E’ possibile cogliere queste caratteristiche di somiglianza e di diversità analizzando il rapporto che la ‘Ndrangheta ha avuto con la politica e con le istituzioni in alcune fasi storiche delle vicende calabresi che si sono intrecciate con quelle nazionali. Per coglierle a pieno è bene sottolineare due aspetti essenziali che sono elementi caratterizzanti e costitutivi della mafia calabrese:

Nel corso degli anni settanta e degli anni ottanta avviene la grande trasformazione della mafia calabrese. Essa valica i confini regionali proiettando la sua attività al Nord Italia con i sequestri di persona, entra da protagonista nei grandi traffici internazionali di armi e di droga e si presenta all’appuntamento degli anni novanta con una capacità di azione e di presenza organizzata simile alla consorella siciliana.

(…) Nella storia della ‘Ndrangheta si possono distinguere due momenti periodizzanti: il rapporto con il mondo dell’eversione e quello della legittimazione che portò la mafia calabrese a diventare una struttura di potere economico e politico.

La ‘Ndrangheta è forse l’organizzazione mafiosa che di più ha avuto rapporti con il mondo dell’eversione.

Il periodo cruciale è quello a cavallo tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta. Ci sono tre episodi importanti che hanno un certo rilievo e che si verificano nel biennio 1969-1970.

In tutti e tre gli episodi si realizza un rapporto di gruppi di ‘Ndrangheta con ambienti ed esponenti della destra eversiva.

Generalmente la data delle riunioni plenarie della ‘Ndrangheta coincideva con la ricorrenza della festività della Madonna di Polsi che cade ai primi di settembre. Nel 1969 la data venne spostata. Tale spostamento era da mettere in collegamento con quanto era accaduto il giorno prima a Reggio Calabria dove c’era stato un comizio del principe Junio Valerio Borghese. La riunione del Montalto, secondo i desideri di una parte della ‘Ndrangheta, doveva servire a discutere la possibilità di far aderire tutta l’organizzazione al progetto politico di Borghese. La scelta era molto impegnativa perché proponeva una dislocazione più immediatamente e direttamente politica della ‘Ndrangheta; il che avveniva su un terreno sicuramente molto accidentato quale quello dell’eversione, ma che aveva l’ambizione di collocare la mafia calabrese in una dimensione sovraregionale e in rapporto con un movimento che aveva obiettivi nazionali e collegamenti internazionali.

(…) La riunione non ebbe esito felice perché fu interrotta dall’intervento della polizia avvertita probabilmente da chi, negli stessi ambienti della ‘Ndrangheta, non era d’accordo a proseguire lungo quella strada.

(…) Il fallimento dei progetti del biennio 1969-1970 non interruppe i rapporti tra settori della ‘Ndrangheta e il mondo dell’eversione. A metà degli anni settanta si introduce una novità significativa: i capibastone più influenti decidono di entrare nella massoneria, in particolari logge coperte. La decisione era dettata dalla necessità di entrare in rapporto con il mondo delle professioni, largamente rappresentato nelle logge massoniche, per avere un contatto diretto con questi ambienti e per trovare una corsia preferenziale per gli affari. A spingere in quella direzione fu soprattutto quella parte della ‘Ndrangheta che aveva rapporti con la destra eversiva, con gli apparati dello Stato e con i servizi segreti. Riemergeva l’anima politico-eversiva che si era manifestata già in altre occasioni.

(…) La decisione di entrare nella massoneria determinò una modificazione nella struttura della ‘Ndrangheta con la creazione di un livello superiore di comando che coinvolgeva l’élite mafiosa denominato Santa. I "santisti" erano autorizzati ad intrattenere rapporti con ambienti con i quali un tempo era assolutamente vietato avere qualsiasi tipo di contatto, a cominciare da carabinieri e poliziotti. Molti capibastone diventarono confidenti delle forze dell’ordine creando un rapporto vischioso e ambiguo. Ciò spiega la frequenza con la quale ricorre, nelle informative di polizia e dei carabinieri, la formula "fonte confidenziale".

L’ascesa della ‘Ndrangheta aveva avuto inizio sin dalla metà degli anni sessanta, con l’avvio dei lavori per l’autostrada del sole nel tratto che collega Salerno a Reggio Calabria. Le grandi imprese del Nord vincitrici degli appalti contattarono direttamente i capibastone e con loro stabilirono il pagamento della mazzetta in cambio della protezione dei cantieri, l’assunzione degli ‘ndranghetisti come guardiani, l’inserimento di ditte mafiose nei subappalti, la fornitura di materiale inerte e il trasporto dello stesso. Quel modello sarà seguito negli anni successivi.

(…) Nei due decenni si è via via realizzato un pesante condizionamento mafioso dell’economia. Si creò un doppio mercato, uno legale e uno illegale; e il primo subiva pesanti interferenze e condizionamenti da parte del secondo. Imprese mafiose, o a partecipazione di capitale mafioso, entravano nel mercato, ne alteravano le regole, distruggevano le imprese sane e impedivano la formazione di nuove attività economiche. La violenza, soprattutto quella organizzata, diventava così non solo un problema di ordine pubblico, ma anche un nuovo soggetto economico in grado di agire sul libero mercato.

In molte aree della regione si venne realizzando un vero e proprio governo mafioso dell’economia. Ciò è stato possibile per la concreta gestione del potere da parte delle classi dirigenti locali. In Calabria la formazione delle classi dirigenti di governo ha avuto un aspetto peculiare perché è stata segnata dalla storica debolezza della società civile e della borghesia calabrese la quale, essendo vissuta all’ombra del latifondo, ha introiettato dall’aristocrazia agraria modelli di comportamento e determinate ambizioni, la più alta delle quali era l’acquisto e il possesso delle terre. Dapprima redditiera e proprietaria di terre, la borghesia è successivamente divenuta impiegatizia e burocratica, figlia della recente crescita urbana e del pubblico impiego, attratta nelle città calabresi dal flusso di denaro pubblico, affascinata dalle professioni che un tempo si definivano liberali - avvocatura in testa. Si spiega così la dipendenza - economica e politica - dai centri di potere nazionale e la particolare formazione del ceto politico calabrese. E si spiega anche la gracilità della società civile, la cui storica e strutturale debolezza ha lasciato un vuoto che venne riempito dalla politica.

(…) L’inizio degli anni ottanta segna l’apertura di una nuova fase. I termini del rapporto tra ‘Ndrangheta e politica mutano radicalmente. La ‘Ndrangheta non si limita più a votare per candidati amici, ma entra direttamente in politica, vota per se stessa. Il caso più clamoroso si registrò nel 1983 a Limbadi dove vinse le elezioni Francesco Mancuso che era latitante quando si scrutinarono le schede. Caso clamoroso che spinse il presidente della Repubblica Sandro Pertini a sciogliere immediatamente il consiglio comunale appena eletto. (…) Dieci anni dopo, in seguito all’approvazione della legge sul condizionamento mafioso dei comuni, vennero sciolti 11 consigli comunali tra i quali Gioia Tauro, Lamezia Terme, Taurianova, Melito Porto Salvo, Rosarno; altri ancora saranno sciolti negli anni seguenti. Che in quel decennio fossero in atto mutamenti rilevanti nel rapporto tra ‘Ndrangheta e politica lo si capiva dal numero di sindaci uccisi in provincia di Reggio Calabria, alcuni dei quali non certo perché si erano battuti contro la ‘Ndrangheta. Con tutta evidenza era in corso un tentativo di sostituzione di quegli uomini con altri che erano espressione più diretta delle cosche.

(…) Parte consistente del potere politico ha gestito la cosa pubblica con la pratica del clientelismo, dell’affarismo, della corruzione. Queste vie - politiche e istituzionali - si sono ben presto incrociate con quelle della ‘Ndrangheta che andava sempre di più accentuando la sua caratteristica di organizzazione di potere politico e di potere economico. La politica, in determinate situazioni, svolgeva le funzioni di cerniera tra affari e mafia calabrese.

Fra le trasformazioni introdotte in quegli anni ve ne è una di un certo interesse che riguarda la figura dell’uomo politico, un tempo pencolante tra clientela e mediazione. Sulla scena si presentava una figura moderna, quella dell’imprenditore politico che si mette direttamente a fare affari, dell’uomo politico che concentrava sulla stessa persona fisica potere politico e potere economico. Questi entrava nel mondo degli affari con una notevole capacità di persuasione dal momento che, grazie ai collegamenti romani e alle influenze locali, era in grado di determinare scelte significative delle pubbliche amministrazioni.

(…) Il dato di fondo che emergeva era un rapporto organico, una gestione in comune degli affari, una divisione del lavoro tra Reggio e Roma. Nessuna grande opera pubblica era possibile senza l’intervento di uomini politici a Reggio e a Roma e senza un rapporto tra questi e la mafia reggina. La politica cementava questi rapporti.

(…) Tutto ciò non deve sorprendere. Il rapporto con la politica è uno dei tratti distintivi delle mafie contemporanee. Esso dura da tempo e ha subito profonde modificazioni, al punto tale che il rapporto tra il politico e il mafioso - che storicamente ha visto il primo dominare sul secondo - sembra essersi rovesciato a tutto vantaggio del mafioso".

 

4.4 La Sacra Corona Unita

"La Sacra Corona Unita (S.C.U.) è una coalizione di gruppi criminali che si è formata nella prima metà degli anni ’80 attorno alla figura carismatica di Giuseppe Rogoli.

L’area interessata dall’influenza della S.C.U. è il Salento cui va aggiunta un’enclave a nord di Bari, localizzata nel comprensorio del comune di Andria.

Benché presenti alcune delle caratteristiche dei gruppi di gangsterismo urbano, la S.C.U. è più correttamente definibile nei termini di una formazione gangsteristico-mafiosa. Essa ha in comune con gli altri gruppi criminali della regione alcuni importanti connotati quali l’ampiezza delle dimensioni numeriche e l’età giovane, l’eterogeneità e l’attitudine predatoria dei suoi membri. Altri suoi tratti però – quali la stessa denominazione, la presenza di codici di comportamento, di una struttura e di una gerarchia già elaborate, oltre alla più ampia capacità di manipolazione ed infiltrazione nelle istituzioni – la accomunano alle cosche mafiose vere e proprie.

(…) Come nell’organigramma di un clan della Camorra, il primo livello di affiliazione della S.C.U. è costituito dalla "picciotteria" ed il successivo dalla qualifica di "camorrista", cui seguono fino a tredici differenti qualifiche. Occorre evidenziare, tuttavia, che questa elaborata piramide di ruoli ha un valore largamente simbolico in quanto accade di frequente che il potere effettivo detenuto dal singolo affiliato non corrisponda alla sua posizione nella gerarchia formale.

L’esistenza di riti di affiliazione complessi, che prevedono l’impiego di liturgie e giuramenti, è ampiamente documentata dal ricco materiale sequestrato (lettere, cartoline, formulari, appunti, quaderni, ecc.). L’ingresso nell’associazione avviene nella cerimonia solenne del "battesimo", detto anche "legalizzazione" o "federalizzazione". Il giuramento è preceduto da un taglio all’avambraccio che viene praticato al candidato dal suo compare di sangue.

Benché siano state trovate diverse formule di giuramento, esse per lo più iniziano con un "buon vespro" che esalta l’omertà, spiega la composizione dell’organizzazione ed il significato dei rituali dell’investitura. Il giuramento è il momento conclusivo del "movimento" o "tirata". Questa viene eseguita da un comitato di persone in numero dispari sempre di giorno dispari e di sabato. Il comitato è composto da un "camorrista" di grado superiore a quello dell’affiliando ("capo in testa"), quindi dal "contabile", dal "maestro di tirata", dal "favorevole" e dallo "sfavorevole", che svolge le funzioni di "avvocato del diavolo". Al termine della cerimonia l’affiliazione del candidato viene formalizzata con una votazione e, quindi, dall’abbraccio dei presenti. Tra gli affiliati è diffusa, inoltre, la pratica di tatuare simboli di riconoscimento su alcune parti del corpo.

(…) A differenza dei gruppi gangsteristici, la S.C.U. ha un organo superiore di coordinamento. Al pari della Commissione provinciale e regionale di Cosa Nostra, la "cupola" pugliese ha funzioni essenzialmente "politiche"; dirime i conflitti che si vengono a creare tra le famiglie o all’interno di una di esse, decide gli omicidi importanti, gestisce le attività di infiltrazione e corruzione, necessarie per tutelare gli interessi dell’associazione. Diversamente dagli organi siciliani, tuttavia, essa non è – nemmeno su un piano formale – un organismo paritetico alla cui base si trovano comunque le famiglie e i loro territori: il potere (del capo) sovrasta, infatti, quello di ogni altra entità.

(…) Le attività lecite e illecite delle formazioni criminali pugliesi sono molteplici. Il contrabbando di tabacchi lavorati esteri rappresenta una delle principali voci del fatturato dei maggiori gruppi criminali: in provincia di Brindisi e di Lecce, la S.C.U. ne detiene il monopolio pressoché completo ed anche nelle altre province le gang criminali gestiscono la quasi totalità dell’importazione illecita di sigarette. Le imprese pugliesi impiegano spesso conduttori di motoscafi di provenienza partenopea, ma da alcuni anni i gruppi campani hanno notevolmente ridotto il proprio interesse nella gestione materiale del traffico ed insieme ad alcune famiglie di Cosa Nostra e della ‘Ndrangheta tendono a svolgere quasi esclusivamente funzioni di finanziamento e di supporto esterno.

Negli ultimi anni le formazioni pugliesi hanno rapidamente intensificato il proprio coinvolgimento nel traffico internazionale di stupefacenti ed in particolare in quello dell’eroina: lo scoppio della guerra civile in Jugoslavia, infatti, ha costretto i trafficanti ad utilizzare, in alternativa alla parte terminale della classica "rotta balcanica", un nuovo percorso marittimo che prevede lo sbarco della droga nei porti pugliesi ed il suo trasferimento al Nord via autostrada.

E’ emerso il crescente coinvolgimento delle formazioni pugliesi nel commercio illecito degli armamenti […] nelle estorsioni, nelle frodi agricole ai danni della CEE e dell’AIMA, nella gestione del gioco d’azzardo clandestino e nell’usura".

 

4.5 Stidda

"Stidda" in dialetto siciliano significa stella; in realtà con tale termine si fa riferimento ad una costellazione di gruppi criminali, caratterizzata da forti limiti strutturali e dalla particolare mancanza di rigide gerarchie verticistiche.

Somiglianti ad una confederazione di gruppi gangsteristico-mafiosi insistenti sul territorio siciliano fin dai tempi dei "gabelloti", la Stidda si insidia sul territorio con la tipica formazione a macchia di leopardo, limitandosi a controllare zone nettamente circoscritte. Tutto questo, in netta contrapposizione al modus vivendi di Cosa Nostra, la quale si espande a macchia d’olio.

Il sorgere della Stidda si può far risalire ai tempi in cui nacque la stessa Cosa Nostra.

Infatti, la comune origine pastoral-rurale fa ritenere che la nascita di entrambi i gruppi criminali tragga ragione e motivo da circostanze pressoché uguali.

Mentre Cosa Nostra nel corso del suo cammino si è evoluta dandosi una rigida struttura verticistica e affacciandosi in ogni campo della criminalità, gli stiddari sono rimasti fino agli inizi degli anni ’80 dei pastori e, come tali, ragionavano e spesso ragionano tuttora.

Nel corso degli ultimi anni, la spietata violenza esercitata dai Corleonesi e la loro irrispettosa espansione ed invadenza anche in tradizionali feudi stiddari, ha causato un conflitto di interessi tra i due gruppi; ciò ha fatto sì che gli stiddari, vistisi schiacciare dalla prepotenza dei primi, si organizzassero unendosi tra loro nella lotta per il controllo del territorio ed evolvendo così, almeno episodicamente, la loro tradizionale formula associativa.

Gli appartenenti a detti sodalizi delinquenziali aderiscono a gruppi per semplice presentazione di altro stiddaro, senza necessità di un momento sacrale di iniziazione. Si caratterizzano per la marcata rozzezza e per l’insofferenza verso ogni forma di gerarchia esterna o interna e si attengono a poche, ma rispettatissime, regole di vita: la segretezza, l’omertà e la ferocia".

 

4.6 Situazione generale attuale

 

Cosa Nostra

"Il lavoro di monitoraggio sulla situazione complessiva degli assetti criminali mafiosi ha confermato che Cosa Nostra, nonostante l’impegno e i notevoli successi riportati dalle Forze di polizia - come ad esempio l’arresto di importanti capi mafia - riesce ancora a mantenere elevato il proprio potere di controllo del territorio, esercitando un pesante condizionamento delle attività economiche e della vita sociale.

Dall’analisi degli effetti che l’attività di contrasto ha prodotto sulla struttura di Cosa Nostra, emerge che essa si sta riorganizzando in modo tale da contenere gli esiti dell’azione repressiva, anche derivanti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Si registrano, infatti, alcuni mutamenti nelle strutture organizzative che, in alcuni casi, sembrano destinati a modificare notevolmente e durevolmente fisionomia e comportamenti delle "famiglie" mafiose. In particolare:

Dopo le stragi del 1993, all’interno del vertice palermitano si sono formate due correnti, entrambe costituite da elementi già appartenenti al nucleo dirigenziale "corleonese". Tale circostanza, stante la struttura piramidale di Cosa Nostra, di fatto influenza gli equilibri criminali di tutte le altre province.

In particolare è emerso che a Palermo si è creata una frattura tra i vertici provinciali che ha portato alla formazione di due gruppi criminali che vedono contrapposti i sostenitori di due strategie tra loro non compatibili: una tendente a minimizzare la visibilità dell’organizzazione, l’altra orientata ad assumere un atteggiamento di contrapposizione allo Stato. Al primo schieramento appartiene Bernardo Provenzano, affiancato da Giuseppe Madonia (per le province di Caltanissetta e di Enna) e da Benedetto Santapaola (per la provincia di Catania e per la Sicilia orientale in genere); al gruppo antagonista, che fa riferimento a Salvatore Riina, a Leoluca Bagarella e a Vito Vitale, appartengono Santo Mazzei (per la provincia di Catania), Giuseppe Cammarata (per le province di Caltanissetta e di Agrigento) e Salvatore Francapane (per la provincia di Enna).

 

Camorra

A Napoli l’attuale mancanza di figure di riferimento criminale in grado di gestire gli equilibri tra clan insistenti sullo stesso territorio, non sembra suscettibile di modificazioni nel breve periodo, così come dimostra l’elevato numero di omicidi commessi nella provincia.

Segnali sintomatici lasciano supporre che la situazione di conflittualità che riguarda i clan napoletani possa subire un’accentuazione. In particolare, infatti, potrebbero inasprirsi i motivi di contrasto tra clan storici del capoluogo nell’ambito della gestione del contrabbando di tabacchi e lavorati esteri, settore nel quale alcune cosche (Contini - Mazzarella e Misso) potrebbero scontrarsi per la definizione di nuove quote di mercato.

I contrasti fra i clan napoletani potrebbero essere altresì inaspriti dagli interessi nei consistenti appalti previsti per il treno ad alta velocità, per Bagnoli 2000 e per lo sviluppo della zona orientale di Napoli, dal momento che più di un gruppo criminale risulta aver consolidato la sua posizione nei settori del calcestruzzo e del movimento terra.

Nelle province di Avellino, Benevento e Salerno, non si sono verificati mutamenti sostanziali negli assetti dei clan più influenti.

Nella provincia di Caserta, opera incontrastato il clan Schiavone, alias dei "Casalesi", che nel corso degli anni è riuscito ad assumere posizioni di gestione monopolistica del potere criminale rispetto agli altri clan della provincia. Tale predominio è stato acquisito sia mediante lo scontro armato con le altre consorterie mafiose, sia attraverso un’accurata gestione economica dei proventi delle attività illecite, investiti in ambiti diversificati tra i quali il settore delle forniture alimentari e della gestione delle mense scolastiche, il mercato della produzione e fornitura di cemento (attraverso il controllo delle ditte consorziate) ed il grande affare dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ospedalieri e tossici.

La riprova delle disponibilità di ingenti capitali da parte di tale organizzazione criminale è confermata dai recenti sequestri di beni effettuati nei confronti di prestanome del boss Francesco Schiavone, risultati intestatari di patrimoni mobiliari e immobiliari per un valore di svariate centinaia di miliardi di lire. Tra i fattori determinanti che hanno favorito la penetrazione del clan nel tessuto socio-economico, riveste una particolare importanza la capacità di imporre propri candidati alle elezioni politiche e amministrative.

Le organizzazioni criminali casertane, infatti, forti anche dei loro appoggi a livello istituzionale, sono entrate nel sistema imprenditoriale alterando il funzionamento delle regole di mercato.

Dall’esame delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nonché dal vaglio delle operazioni più importanti recentemente concluse, è stata confermata la tendenza delle consorterie criminali campane ad esportare le loro metodologie d’azione in zone dove risulta più agevole trovare spazi per il reinvestimento dei profitti illeciti, e dove meno alta risulta la possibile conflittualità con organizzazioni criminali autoctone.

A tale proposito, sono state verificate le attuali influenze dei clan campani in Lombardia, Toscana, Liguria, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto; regioni che, per le loro attività produttive e per la maggiore circolazione di ricchezza, più si prestano all’attività di riciclaggio attraverso l’acquisizione o la creazione di società o l’avvio di esercizi commerciali.

Uno studio sulle linee evolutive della Camorra ha consentito di effettuare delle valutazioni in ordine alle possibili proiezioni nel breve periodo, che hanno confermato l’interesse dei sodalizi criminali per le attività economico-imprenditoriali e la loro determinazione nel perseguire gli obiettivi prefissati, anche attraverso l’eliminazione fisica degli oppositori. In tale contesto, particolare attenzione è stata prestata alla microcriminalità, fenomeno riconducibile prevalentemente all’assenza di capi "carismatici"; quest’ultima ha, ormai, intessuti diretti collegamenti con le consorterie criminali organizzate che hanno consentito, sempre più frequentemente, il passaggio di delinquenti comuni nelle fila dei clan.

Notevole rilievo assume la criminalità minorile poiché, a partire dal 1997, è stato riscontrato riscontrato un "salto criminale" dei minori deviati che non hanno esitato a commettere violazioni delle leggi penali sempre più gravi, quali rapine e spaccio di sostanze stupefacenti.

 

‘Ndrangheta

Per la dimostrata capacità di adattamento e per la flessibilità delle sue strutture, la ‘Ndrangheta può senz’altro essere ritenuta un’organizzazione estremamente solida, compatta ed allo stesso tempo agile, in grado di esprimere un elevato potenziale di pericolosità, anche oltre i confini nazionali.

Esponenti della ‘Ndrangheta, infatti, si sono insediati in numerosi paesi europei ed extra-europei, quali la Colombia, il Brasile, l’Australia, il Canada, la Francia, la Svizzera, la Germania, la Spagna, il Portogallo, la Polonia, la Repubblica Ceca ed alcuni stati asiatici, nei quali ultimi, in particolare, i clan calabresi hanno collocato i loro rappresentanti per controllare la rotta orientale dell’eroina.

Numerosi riscontri investigativi hanno confermato l’ipotesi di solide alleanze tra la ‘Ndrangheta, specialmente quella stanziatasi nell’Italia del Nord, e i grandi trafficanti turchi che, sin dagli anni ‘80, hanno assicurato ai clan calabresi della Lombardia sostanziose scorte di eroina. Riguardo a tali collegamenti non è da escludere la possibilità che essi siano alla base del traffico di clandestini dalla Turchia verso la Germania attraverso le coste calabresi, dovendosi ritenere verosimile che percorsi già utilizzati per collaudati traffici di droga e di armi vengano sfruttati anche per le attività connesse con il trasporto e lo smistamento di clandestini verso il nord Italia e quindi oltre frontiera.

 

Criminalità organizzata pugliese

Si conferma la tendenza all’internazionalizzazione delle consorterie pugliesi ed il ruolo del contrabbando quale "volano finanziario" dell’economia illecita e la sua attitudine a costituire supporto per numerosi altri traffici.

Bari è teatro di una sanguinosa faida che vede contrapposto un clan emergente (Montani-Laraspata) ad un altro di consolidata influenza in quell’area (Biancoli-Capriati).

Con gli apporti di collaboratori di giustizia si sono potuti ricostruire gli stretti legami tra pugliesi e gruppi criminali calabresi operanti nella regione di origine e al nord Italia. Analoghi collegamenti sono risultati ipotizzabili tra esponenti della Sacra Corona Unita operanti in quelle province e Cosa Nostra verosimilmente in materia di traffico di stupefacenti.

Nella provincia di Brindisi sono emersi contatti tra il clan locale Morleo-Doriano, egemone nel contrabbando di tabacchi lavorati esteri, ed il clan camorristico D’Alessandro di Castellamare di Stabia (Na).

Le operazioni della DIA e quelle delle altre Forze di polizia hanno confermato l’esistenza di notevolissimi flussi di armamenti che giungono alla malavita, oltre che attraverso i consueti canali di approvvigionamento interno (tra i quali particolare rilievo assumono i furti), anche a mezzo delle rotte seguite dal contrabbando e dal traffico di clandestini".