GRASSO Gaetano, consulente
della Commissione parlamentare antimafia. Se ci si attesta su una definizione della
mafia che non consideri solo gli aspetti criminali, ma anche quelli culturali, sarà
insufficiente una iniziativa di contrasto di tipo giudiziario-repressivo, svolta solo dai
soggetti istituzionali. Si può avere un risultato duraturo solo se liniziativa
dello Stato si incontra con quella della società civile, dei soggetti non istituzionali.
Se la mafia è "criminalità più omertà", lantimafia non può che essere
"Stato più coscienza". Si tratta di un decisivo problema strategico. Come si
contesta alla mafia il controllo del territorio? È sufficiente garantire una adeguata
presenza militare per considerare riconquistato dalla comunità civile un quartiere?
Lesperienza purtroppo ci offre continui esempi di come ciò non basti. È di qualche
mese addietro, ad esempio, la notizia dei commercianti palermitani che andavano loro alla
ricerca del referente mafioso col quale concordare il pagamento del pizzo senza aver
ricevuto alcuna esplicita richiesta. Se si pone un poliziotto davanti ad ogni negozio,
lunico probabile effetto sarà quello di scoraggiare laccesso di clienti, con
rilevante danno economico per il commerciante che, chiusa bottega, andrebbe a casa
dellestortore a consegnare la somma concordata; né si può ritenere che basti
larresto di un numero più o meno elevato di mafiosi per considerare liberato un
territorio. Anche in questo caso lesperienza ha dimostrato come ad un mafioso in
galera si sostituisca presto un nuovo criminale nella gestione di quellinteresse
secondo un meccanismo da industria "fordista".
Non si vuole qui alimentare una visione
fatalistica che conduca a considerare invincibile la mafia. Più concretamente, si intende
richiamare lattenzione sulla necessità di una risposta assolutamente radicale che,
oltre agli uomini, consideri gli "interessi" della mafia. Come aggredire gli
interessi mafiosi? Ciò può avvenire se si riesce a spezzare quella condizione di omertà
che rappresenta lossigeno vitale per il potere della mafia. Semplicemente, se i
commercianti non pagano il pizzo verrà meno la stessa attività estorsiva e si otterrà
un risultato a cui nessuna attività giudiziaria potrà giungere.
Per corroborare questa affermazione, farò
riferimento ad una concreta esperienza della società civile nel campo
dellassociazionismo antimafioso che con costanza si è sviluppato a partire
dallinizio di questo decennio: lassociazionismo antiracket.
Lassociazione antiracket può, a ragione, essere considerata un modello della
reazione antimafia della società civile. In primo luogo è la risposta più efficace
contro il racket perché garantisce condizioni di sicurezza. Un tempo chi si
ribellava era esposto ad altissimo rischio, adesso con una denunzia collettiva nessuna
rappresaglia colpisce chi va ad esporsi nelle aule del tribunale.
In secondo luogo non si tratta di
iniziative effimere nate sullonda dellemotività; le associazioni hanno
garantito una significativa durata e il fatto che il loro numero lentamente, ma
costantemente, anche nellindifferenza generale, cresca ogni anno, è la conferma
della qualità di uno speciale legame che si instaura fra gli associati. Ma soprattutto,
in maniera estremamente concreta, colpendo direttamente al cuore gli interessi e il potere
mafioso, attraverso lo strumento dellassociazione antiracket si contesta a Cosa
nostra il dominio sul territorio, restituendone la sovranità alla comunità civile.
Credo sia chiaro che non vi può essere
alcun contrasto a fenomeni di criminalità economica quali il racket senza
unassunzione diretta e personale, anche se in forme collettive, degli imprenditori.
Ad essi nessuno può sostituirsi; si possono, anzi si devono offrire aiuti, riferimenti,
sponde, ma senza perpetuare illusori meccanismi di delega. Ad esempio, il ruolo di un
sindaco deve essere quello di promuovere la crescita di realtà associative antiracket,
non quello di sostituirsi alle vittime dellestorsione nella denuncia
allautorità giudiziaria.
Ma perché questa realtà del movimento
antiracket non riesce a diventare una esperienza di massa? Perché nonostante
lefficacia del modello continuano a essere una ristretta avanguardia gli
imprenditori che denunciano? In questa sede eviterò considerazioni dirette
sullimpegno istituzionale, preferendo cercare una risposta nellambito delle
responsabilità della società civile. Non è solo la paura di una rappresaglia ad
ostacolare le denunce delle vittime di estorsione; cè qualcosa di più complesso e
di più inquietante. Limprenditore, che pur avverte come uningiustizia
limposizione del pizzo, sente allo stesso tempo i propri interessi individuali
legati al blocco di interessi riconducibili alla mafia e sente che la propria
sopravvivenza economica, con le limitazioni imposte dalla mafia, è connessa al destino
degli stessi interessi mafiosi, ben restando distinte dalla stessa identità mafiosa. Qual
è lelemento fondativo di questo atteggiamento? Lomertà non è altro che una
forma del sentire mafioso. Leonardo Sciascia in un articolo per
"lEspresso" del marzo 1986 tentò di individuare lorigine di tale
sentire con le seguenti parole: "è il non voler giudicare uomini da cui si crede di
non aver ricevuto alcun danno". Un danno? Mi permetto di dire che il problema, al
contrario, sono i benefici che una parte significativa di popolazione ha ricevuto e riceve
dalla mafia; una parte di risorse accumulate da Cosa nostra con i traffici illeciti
finisce per distribuirsi, al di là della ricchezza dei singoli uomini donore, e
giunge anche a persone che non hanno niente a che vedere direttamente con la mafia; si
tratta di risorse che confluiscono nei consumi, negli investimenti, negli stessi servizi.
Le strade sono insanguinate? Cè anche una possibilità di sopravvivenza e forse
anche di benessere.
Se il bottegaio di Palermo o di Napoli
denunciasse gli estortori che gli impongono una ingiusta tassazione rischierebbe di
indebolire un sistema di relazioni economiche. Se venisse meno tale equilibrio, quale
sarebbe lalternativa? Qui risiede il tema della concorrenzialità dello Stato e
della comunità civile rispetto al blocco degli interessi mafiosi. Così si spiega la
ragione per cui in un momento in cui, di fronte ad una inedita e straordinaria risposta
antimafia delle istituzioni in questi ultimi anni, in realtà come Palermo, come Napoli,
sono state del tutto insignificanti le reazioni degli operatori economici.
Lomertà non è riconducibile solo
ad un elemento di intimidazione (che pure non deve essere sottovalutato) del tipo: non
collaboro con la giustizia perché ho paura di una possibile rappresaglia. La forza della
mafia risiede anche altrove, né vale molto lobiezione che la mafia ostacola
qualunque possibilità di sviluppo. Questo argomento è decisivo per noi osservatori
esterni alle dinamiche economiche, ma non per chi è attivo sul mercato e ha già definito
livelli di coesistenza con la mafia, oppure vale per chi si accinge a investire e viene
scoraggiato dalla reputazione mafiosa di quel territorio.
Tra chi si oppone alla mafia e tra chi
offre un sostegno diffuso vi è la terza strada della neutralità, di chi non è con la
mafia e non è con lo Stato. Questarea, dal punto di vista culturale, per larga
parte si sovrappone, anche se non coincide del tutto, con larea culturale mafiosa.
Alla conquista di questarea deve mirare una strategia dellantimafia, per
legare linteresse e la cultura di questa parte a un nuovo blocco sociale antimafioso
per lo sviluppo. E la politica: quale deve essere il ruolo che essa deve svolgere nel
promuovere, sollecitare, garantire le iniziative della società civile?
Se lantimafia deve essere
"Stato più società civile" una coerente strategia deve assicurarsi
lattivazione di entrambi i soggetti. È evidente che la responsabilità appartiene a
chi, per definizione, si è assunto un onere maggiore sottoponendosi alla verifica
elettorale. È pur vero che le più significative esperienze della società civile sono
state quelle che hanno avuto autonoma e spontanea nascita. Non ci si può però sottrarre
al fatto che queste realtà, quando è lontano il momento del loro esplodere spontaneo
(pensiamo, ad esempio, agli anni 91-92) come in questa fase, devono essere
sollecitate. La politica non deve considerare la dialettica con la società civile nei
termini di Davide contro Golia, ma in quelli di Golia che coopera con Davide; ovviamente
ciò non vale per tutta la politica, ma vale per quella che considera la società civile
come una straordinaria risorsa della democrazia da valorizzare, perché e veniamo
alla condizione di oggi se si parla di "crisi dellantimafia della
società civile" si presenta un problema che deve appartenere a tutti i soggetti
della democrazia. Il problema della debolezza della fionda di Davide non può essere solo
un problema di Davide in una prospettiva di cooperazione; è anche un problema di Golia
che quella fionda si scagli efficacemente contro il nemico comune. Oggi, sul terreno
dellimpegno antimafia, per la prima volta settori decisivi delle istituzioni, a
partire dalla magistratura, si trovano più avanti di settori della società civile. Valga
per tutti lesempio di Palermo e Napoli e lattività assolutamente defilata del
mondo imprenditoriale. La rottura in negativo oggi riguarda le coscienze. Gli stessi
limiti dellazione istituzionale sono allo stesso tempo causa ed effetto di questa
realtà. Questa debolezza è di tutti noi e la soluzione è problema assolutamente
generale.
Laspetto più curioso ed
incomprensibile dellesperienza del movimento antiracket, ad esempio, è che sia
mancata in questi anni uniniziativa istituzionale in grado di investire su questa
realtà come modello efficace di contrasto al fenomeno estorsivo, per valorizzarla ed
indicarla come un esempio da seguire ai tanti imprenditori vittime del racket.
Al di là di tutte le discussioni, questa
esperienza indica però una strada obbligata per liberare veramente i territori del nostro
Paese dal controllo delle mafie: ossia "Stato più società civile" (Applausi).
PRESIDENTE.
Ringrazio il dottor Grasso per la sua relazione. Egli ci ha offerto interessanti spunti di
riflessione, che sicuramente saranno utili al prosieguo dei nostri lavori. Con
lintervento del dottor Grasso termina questa sessione del Convegno in cui,
attraverso le varie relazioni, è stato approfondito il tema del disagio sociale e dello
sviluppo della criminalità; i nostri lavori procedono ora con la successiva sessione,
concernente il tema: "Le risorse sociali nella lotta alle devianze nelle aree
metropolitane" volta a individuare le risposte che a tale disagio sociale è
possibile fornire.
Il primo oratore di questa sessione è
lonorevole Rosario Olivo, componente della Commissione parlamentare antimafia,
responsabile del Comitato, istituito in seno alla Commissione stessa, per il controllo
delle attività verso il mondo della scuola, del volontariato e degli enti locali.
Lonorevole Olivo tratterà, secondo
la definizione del dottor DAntoni, il tema delle infrastrutture immateriali: forse
proprio quelle oggetto dellintervento dellonorevole Olivo sono infatti le tre
più grandi infrastrutture immateriali per la lotta alla criminalità.
OLIVO Rosario, deputato,
componente della Commissione parlamentare antimafia. Signor Presidente, da più parti
e da qualche tempo è maturata la coscienza che le mafie non possono essere considerate
soltanto un problema di ordine pubblico e di carattere criminale; le mafie costituiscono
un problema nazionale, che riguarda tutta la società. La penetrazione delle
organizzazioni mafiose in taluni gangli vitali delleconomia, i loro rapporti con
settori inquinati della politica e della pubblica amministrazione, costituiscono non solo
un ostacolo allo sviluppo economico, ma anche un attentato alla libertà ed alla dignità
di ogni individuo, con una sospensione di fatto delle regole democratiche. Le mafie,
dunque, rappresentano un pericolo perché minano le basi stesse della democrazia, del
mercato e della civile convivenza. Non è pensabile sconfiggere definitivamente una
criminalità organizzata sempre più internazionale e finanziaria, operando esclusivamente
sul versante repressivo (che resta certo determinante, che è fondamentale, ma che non è
esclusivo), delegando cioè la lotta solo alle forze dellordine ed alla
magistratura. È necessario che la lotta contro le mafie sia portata avanti
simultaneamente su più fronti e su più livelli, anche sul terreno dellazione di
promozione sociale, di educazione e crescita culturale. Si deve stimolare nelle giovani
generazioni una forte coscienza critica e civile, una reazione di rigetto del fenomeno
mafioso che, invece di apparire come potenziale modello di comportamento, deve essere
visto nella sua radice di barbarie e di inciviltà e, come tale, respinto. Infatti, solo
una coscienza civile di massa può costituire una barriera contro il dilagare di questa
violenza.
Le mafie saranno sconfitte se resteranno
isolate di fronte alla coscienza dei cittadini, se la società civile saprà opporre ad
esse il proprio rifiuto generalizzato e rigoroso se, alla sub-cultura mafiosa basata sulla
violenza, la sopraffazione e lomertà, si saprà contrapporre unazione vasta e
articolata di promozione e diffusione di una cultura della legalità e della solidarietà,
che spinge un popolo a sentirsi unito su certi valori, al di là delle legittime diverse
opinioni e concezioni politiche, culturali e religiose.
Tenuto conto di questo, la Commissione
parlamentare antimafia della XIII legislatura ha deciso di istituire, soprattutto per la
convinzione del presidente Del Turco, uno "Sportello" per le scuole e il
volontariato che, oltre a cercare di attivare un dialogo, rispettoso delle reciproche
funzioni, tra la scuola, la società civile e le istituzioni, si propone di offrire un
contributo alla promozione ed alla diffusione delleducazione alla legalità
democratica ed alla solidarietà, fornendo una serie di servizi ed attivando la
collaborazione, per lelaborazione di progetti di intervento mirati, con gli
operatori e le agenzie educative esistenti.
Lo Sportello, che si avvale della
collaborazione di consulenti, fornisce informazioni e rende disponibile il materiale
parlamentare concernente il fenomeno della criminalità organizzata, partecipa, di norma
per il tramite dei suoi membri e dei suoi consulenti, a dibattiti promossi nelle scuole e
nelle associazioni e fornisce un contributo allelaborazione di progetti di
educazione alla legalità.
Ad oggi si sono rivolti allo Sportello
oltre 200 utenti tra istituti scolastici, associazioni, provveditorati agli studi, enti
locali e regionali e singoli studenti per tesi di laurea. Inoltre i membri del comitato ed
i consulenti sono stati invitati dalle scuole ed hanno partecipato a manifestazioni e
convegni, ove si è riscontrato particolare interesse e vivo apprezzamento, da parte degli
interlocutori, per liniziativa della Commissione.
Va sottolineato che lattività dello
Sportello si svolge in pieno accordo con le istituzioni che tradizionalmente si occupano
del problema e che, per renderne più efficace lazione, è stato sottoscritto nel
giugno di questanno un Protocollo dintesa con il Ministero della pubblica
istruzione ed il Dipartimento degli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei
Ministri; un fatto di grande significato e di enorme importanza. Questo importante
documento prevede la redazione di un piano operativo che, attraverso una serie di azioni
specifiche, come ad esempio la formazione, la promozione a livello nazionale ed europeo di
scambi e gemellaggi tra scuole, la collaborazione con il mondo universitario e la
costituzione di un network operativo tra le scuole, gli enti locali, le
associazioni di volontariato presenti sul territorio e le istituzioni, consenta di creare
concretamente le condizioni per educare le giovani generazioni ad una cultura antimafiosa,
fondata sul rispetto della persona umana, sulla tutela ed il riconoscimento dei diritti
(senza perdere di vista i doveri) e sui valori della democrazia e della trasparenza.
Al fine di contribuire ad una chiara
conoscenza delle organizzazioni di tipo mafioso e delle strutture dello Stato deputate al
loro contrasto, è in corso di elaborazione un piccolo manuale per le scuole, pensato come
strumento di approccio e di stimolo allo studio delle stesse. Verranno spiegate cosa sono
e come agiscono le mafie presenti nel nostro Paese e le mafie internazionali; si parlerà
della normativa antimafia, del fenomeno dellusura, del racket, delle
estorsioni, del riciclaggio, nonché dei collaboratori di giustizia, con laggiunta
di un glossario e di una bibliografia ragionati.
Questo testo si propone, dunque, di
offrire alle scuole ed alle associazioni di volontariato interessate, una sorta di
informazione chiara, sintetica, ma completa, sugli argomenti sui quali maggiormente è
stato richiesto materiale allo Sportello. La lettura di questo manualetto, che attingerà
solo da documenti istituzionali, si propone, inoltre, di contribuire a far comprendere che
le mafie sono organizzazioni ben definite, che agiscono sulla base di precise strategie e
che, pertanto, non sono delle "piovre" invisibili e imbattibili, come purtroppo
a volte vengono fatte apparire, secondo errati stereotipi, dai mass media.
Le organizzazioni mafiose possono e devono
essere sconfitte, e ciò può avvenire attraverso unadeguata e combinata azione
repressiva e preventiva, mediante la quale, oltre a garantire la dovuta sicurezza ai
cittadini, si contribuisca alla costruzione di condizioni sociali, economiche e culturali
che assicurino ad ognuno la garanzia dei propri diritti di cittadino, permettano di creare
lavoro ed occupazione ed assicurino un corretto funzionamento delle istituzioni pubbliche.
Concordo pienamente con quanti sostengono
che la lotta alle mafie ed alla loro sub-cultura deve cominciare a scuola, non solo
perché attraverso di essa, nelle fasce dellobbligo, passano tutte le generazioni,
ma soprattutto perché, tra tutte le agenzie educative, la scuola è quella che per sua
natura è chiamata a formare donne e uomini liberi, rispettosi delle leggi democratiche e
consci dei propri diritti e dei propri doveri, e quindi può parlare in modo persuasivo e
prolungato nel tempo allintelligenza e al cuore delle giovani generazioni.
La scuola deve costituire il punto di
partenza per una rigenerazione della società; essa ha il compito di contribuire in modo
determinante a suscitare e a far crescere un movimento di massa contro le mafie,
promuovendo e diffondendo sempre più la cultura della libertà, della dignità della
persona, della responsabilità e della solidarietà. La scuola, quindi, deve essere luogo
di pratica, e non solo di enunciazione, della democrazia, della legalità e della
solidarietà. Essa non può essere, infatti, luogo di violenza, intimidazione ed omertà!
La scuola è il luogo dove il giovane
incontra per la prima volta lo Stato. Essa, soprattutto in contesti sociali
particolarmente segnati da disagio sociale, come Napoli, rappresenta lunico luogo di
incontro e di aggregazione presente sul territorio. Queste cose non vanno assolutamente
dimenticate ed è per questo che, avvalendoci delle competenze professionali dello
Sportello, abbiamo lintenzione di attivare una serie di studi specifici, in
particolare sulla situazione delledilizia scolastica nellambito di alcuni
contesti delle cosiddette "regioni a rischio" e sul cosiddetto fenomeno delle
scuole "vandalizzate". Sui problemi della dispersione scolastica e della
delinquenza minorile, la Commissione parlamentare antimafia sta già ponendo la sua
attenzione per la realizzazione di uno specifico annuario.
È difficile, se non controproducente,
infatti, parlare ai giovani di educazione alla legalità democratica ed alla solidarietà
se non si provvede a costruire ed a completare le scuole là dove sono necessarie, curando
maggiormente, nello stesso tempo, la manutenzione e le condizioni igieniche e di sicurezza
di quelle esistenti, e se non si fa in modo che i ragazzi vadano a scuola e non si
disperdano finendo, magari, nelle organizzazioni mafiose, nella camorra che, approfittando
del disagio sociale e della fragilità legata alla loro età, non esita ad adescarli
promettendo loro elevati guadagni in breve tempo, una "protezione" che, ad un
certo punto, non esita a trasformarsi in ritorsione e nella garanzia del riconoscimento di
un "onore" e di un "rispetto" da parte del contesto sociale nel quale
sono inseriti, dietro i quali in realtà si nasconde un sentimento di disprezzo per la
persona umana in quanto tale.
I dati disponibili per Napoli forniscono
un quadro dellandamento scolastico che può essere visto come sintomo di fenomeni
più gravi, da indagare con speciale attenzione. Nellanno scolastico 1996-1997 i
dati medi cumulati dei respinti e degli assenti variano dal 17 per cento al 3 per cento
per gli alunni della scuola media dellobbligo, mentre per le superiori i dati
corrispondenti variano dal 28 per cento all8 per cento. In particolare, nelle scuole
superiori si hanno situazioni specifiche ancora più preoccupanti: infatti, viene respinto
oltre il 32 per cento degli studenti del terzo anno ed è assente più del 13 per cento
dei frequentanti il primo anno.
Sul fronte della delinquenza minorile è
recente lultimo allarme del Ministero dellinterno e sono ricorrenti sulla
stampa i casi di minori che commettono reati sempre più gravi. È particolarmente
significativo, pertanto, che il Ministero dellinterno abbia dato concreto seguito
alla proposta della Commissione parlamentare antimafia di dedicare speciale attenzione ai
minori autori di reati; dal 16 novembre è iniziata la rilevazione da parte delle forze di
polizia dei reati commessi da minori, anche non punibili, e della scolarizzazione degli
autori, rendendo possibile la conoscenza approfondita della delinquenza minorile e della
dispersione scolastica sia per le grandi aree geografiche che a livello di quartiere.
Il volontariato rappresenta una risorsa
estremamente importante per la promozione e la diffusione di una cultura della legalità e
della solidarietà. Molti giovani, infatti, dedicano gratuitamente parte del loro tempo
per aiutare gli altri, per riscattare e migliorare il territorio nel quale vivono. Il
mondo del volontariato, inoltre, negli anni successivi alle stragi di Capaci e di Via
dAmelio, è cresciuto, si è organizzato, ha fatto della lotta alle mafie uno dei
suoi obiettivi principali, in particolare in alcune aree del Paese.
Proprio in Campania non dobbiamo
dimenticarci di un sacerdote, che operava nello specifico a Casal di Principe, don Peppino
Diana che, così come padre Puglisi a Palermo, ha pagato con la vita la sua opera volta a
togliere i ragazzi dalla strada, ossia da un destino probabilmente orientato alla violenza
ed alla sopraffazione, per educarli alla vita, alla libertà, alla trasparenza, alla
solidarietà ed alla responsabilità.
Occorre tenere conto di questo, occorre
rafforzare il rapporto tra scuola, mondo del volontariato, enti locali ed istituzioni. In
particolare è necessario fare in modo che, come previsto dalla legge n. 109 del
1996, i beni confiscati ai mafiosi vengano restituiti il più velocemente possibile alla
collettività, per farne scuole, sedi di associazioni, luoghi di incontro e di confronto
civile e democratico.
Nello specifico, la Commissione
parlamentare antimafia ha stabilito una serie di contatti con la Federazione italiana per
il volontariato e si propone di collaborare nel futuro immediato con altre associazioni.
Vorrei ora rivolgermi in particolare ai
giovani presenti in questa sala ed in quelle adiacenti: decidendo di affrontare nella
vostra attività didattica, assieme ai vostri insegnanti ed alle associazioni di
volontariato, il problema delle mafie e, in particolare, della camorra, avete contribuito
a superare la separazione tra scuola e società, anzi, avete realizzato una saldatura che
arricchisce la scuola e fa crescere la società. Infatti una società si alimenta della
coscienza dei suoi membri, e quanto più ricca, più consapevole, più criticamente matura
si fa la coscienza dei suoi membri, tanto più ricca e matura si fa essa stessa. Voi siete
lesempio di una scuola che, assumendo anche il sociale come proprio campo di
attività, rinnova se stessa e concorre al tempo stesso al rinnovamento della società.
Per questo mi complimento ancora con voi (il presidente Violante dava delle cifre molto
significative), con i vostri docenti e con tutte le altre persone e realtà che hanno
collaborato con voi, perché la vostra didattica assume un preciso significato anche sul
piano etico-sociale, oltre che culturale, contribuendo concretamente a lottare contro la
subcultura mafiosa e camorristica che tende a distruggere nelle coscienze il senso della
legge, i più semplici ed elementari diritti e sentimenti di solidarietà sociale,
inducendo nella gente la convinzione che le leggi dello Stato nulla possono fare contro la
violenza, la prepotenza, e che per quieto vivere convenga piegare la testa.
Voi, cari ragazzi, rappresentate il futuro
della vostra città, della nostra nazione, del mondo. Io mi auguro, e soprattutto vi
auguro, che di fronte alla tentazione della rassegnazione voi sappiate trovare sempre la
voglia e la forza di impegnarvi sia nello studio che nelle attività che interessano
innanzi tutto il territorio nel quale vivete. Oggi vi sono offerti degli strumenti
concreti per passare dalle parole ai fatti. Il primo è il citato Protocollo
dintesa, che insieme allo Sportello-scuola ed al volontariato cerca di contribuire a
migliorare la vostra formazione e quella dei vostri docenti sul tema delleducazione
alla legalità e alla solidarietà. Il secondo, che rappresenta una novità istituzionale
di grande rilievo, è il progetto di legge che prevede listituzione di un consiglio
nazionale dei giovani ed altri strumenti che mirano a fornire specifici luoghi di
rappresentanza in cui voi potrete far sentire la vostra voce e presentare le vostre
proposte.
Ritengo ora di dovermi soffermare ed
illustrare lattività dello Sportello enti locali, la cui realizzazione costituisce
anchessa una novità nella vita della Commissione che si era più volte occupata dei
comuni, ma non aveva attivato una specifica iniziativa sistematica. Limportanza
crescente del ruolo dei comuni, in termini di servizi erogati, di volumi di spesa gestita
e di credibilità complessiva delle istituzioni, impone che i problemi connessi al loro
funzionamento siano costantemente seguiti dalla Commissione, con una particolare
attenzione a quelli sciolti per mafia, ed al complesso della realtà delle aree più a
rischio. Tanto più che la nuova leva di amministratori, nata dopo la introduzione della
elezione diretta dei sindaci e dopo il forte rinnovamento delle classi dirigenti locali,
può essere generalmente assunta come un punto di riferimento e di sostegno per una decisa
azione di contrasto verso la mafia e le altre organizzazioni criminali. La stessa drastica
diminuzione del numero dei comuni sciolti per "sospetta mafiosità" ed il
concentrarsi di tali casi in poche realtà, spesso oggetto di ripetuti provvedimenti di
scioglimento, costituisce una importante conferma di tale dato.
Lattività si è soprattutto
incentrata, nei primi mesi, su due grandi tematiche: la sicurezza degli amministratori
comunali e la valutazione delle condizioni dei comuni attualmente sciolti per sospetto di
infiltrazioni mafiose.
Lo Sportello ha sperimentato la
realizzazione di un analitico questionario-relazione che i commissari governativi hanno
compilato. Emerge la assoluta gracilità delle strutture amministrative di questi comuni,
il fatto che versano molto spesso in condizioni di dissesto finanziario, che sono in
genere scarsamente dotati di infrastrutture essenziali e che le comunità vivono
drammatici problemi sociali ed economici. Dallattività dello Sportello e dal
confronto con i commissari, emerge una valutazione sostanzialmente positiva sulla
legislazione che prevede lipotesi eccezionale dello scioglimento per "sospetta
mafiosità".
Nel 1998, lo Sportello, oltre a questi
temi, sta concentrando la propria attività sullanalisi della realtà oggi esistente
nei comuni sciolti in precedenza per sospetta mafiosità e sullandamento della spesa
pubblica locale, in particolare quella per gli appalti di opere pubbliche, forniture e
servizi dei comuni delle aree a rischio. Sul primo tema, lo Sportello ha in corso di
realizzazione una analisi specifica e mirata sui dati di spesa esistenti al fine di
apprestare un quadro conoscitivo analitico su cui avviare unattività conoscitiva.
Concludo dicendo che sconfiggere le mafie
è possibile, ma occorre limpegno di tutti, ciascuno per la parte che gli compete.
È necessario, dunque, operare perché, come fu detto in unimportante relazione
sulla camorra di qualche anno fa, allantimafia dei delitti, che consiste nella
repressione penale, sia affiancata lantimafia dei diritti, fondata sulla
trasparenza, su comportamenti coerenti, sul buon comportamento della pubblica
amministrazione. Occorre inoltre che famiglie, scuola, associazioni di volontariato, enti
locali ed istituzioni operino nellambito di un progetto complessivo che utilizzi
adeguatamente le risorse regionali, nazionali ed europee esistenti, che sappia leggere e
rispondere con adeguati strumenti ai cambiamenti del territorio, che mobiliti tutti alla
partecipazione per la costruzione di una società napoletana, italiana ed europea più
civile e democratica, nella quale si sia fermamente convinti che vivere nella legalità e
nella solidarietà è possibile e conveniente. (Applausi).
PRESIDENTE. Grazie allonorevole Olivo. Diamo adesso la parola a don Luigi Ciotti, presidente dellAssociazione "Libera", che ringraziamo per la sua presenza qui con noi a questo Convegno e che i napoletani in particolare ringraziano perché in questi giorni lAssociazione "Libera" è stata protagonista di uniniziativa che ha coinvolto centinaia di giovani delle scuole napoletane sul tema delleducazione alla legalità, attraverso il coinvolgimento dei giovani in un lavoro teatrale. Don Ciotti svolgerà una relazione dal titolo: "La promozione sociale nella lotta alla criminalità nel territorio".
CIOTTI Luigi, presidente
dellAssociazione "Libera". Sono io che ringrazio voi e chiedo scusa
per il tono della voce, causato da un po di bronchite. Voi mi insegnate soprattutto
che se cè un elemento fondamentale, che quindi non è un optional, non è un
di più, ma un elemento fondamentale per vivere, per crescere, per avere delle relazioni,
per comunicare, è avere un rapporto con il proprio territorio. Questo è un elemento che
non può essere un di più di cui si parla, ma un elemento fondamentale. Oggi il crescere
di conflitti, di paure, di insicurezze, di ansie, anche di richieste di localismi
esasperati, sono in molti territori italiani il segno che in troppe realtà è venuto meno
il rapporto con il territorio. Cioè, di fatto, oggi in moltissime realtà le persone non
hanno questo rapporto, questo senso di appartenenza, di identità con il territorio; sono
cresciuti negli ultimi tempi gli orfani di territorio, cioè le persone che nel loro
territorio non trovano quegli spazi, quelle opportunità, quei riferimenti che sono
fondamentali per la vita della persona. E allora il secondo passaggio è forse
scontato, ma è quello che con forza questa mattina da più parti è stato richiamato:
bisogna far rivivere il tessuto sociale. Allora il grande richiamo che da più parti è
stato fatto è allimpegno culturale, agli interventi sociali, ai percorsi educativi
che devono inserirsi a fianco dellopera giudiziaria, militare, di repressione (per
quello che mi riguarda noi con forza diciamo che deve essere fatta senza sconti, con
uomini, con strumenti, con mezzi). Di fronte ai dati portati qui questa mattina, alle
testimonianze sulla tratta di schiavi, la riduzione in schiavitù, la prostituzione, le
forme di violenza, diciamo che non si può assolutamente tollerare questo, nel rispetto
dei percorsi di giustizia e di legalità, ma bisogna investire per far rivivere il tessuto
sociale. Questi due pezzi devono con forza lavorare e saldarsi insieme.
Io credo che legalità e solidarietà
preferisco chiamare reciprocità la solidarietà, perché è un coinvolgimento più
diretto siano le due facce di una stessa medaglia che si chiama giustizia. Dobbiamo
insieme sottolinearlo con forza: non si possono distinguere, perché entrambi sono due
strumenti, due modalità, due ruoli distinti ma complementari per difendere i più deboli
rispetto a quei poteri forti, criminali, di sopraffazione che tutti conosciamo. Cè
un bisogno, quindi, di giustizia, di giustizia sociale e di altra giustizia di cui altri
hanno portato qui il loro importante contributo. Giustizia sociale in senso ampio,
affermazione della legalità, ma anche garanzia di diritti sociali. Lo diciamo tutti,
però bisogna verificare come questi princìpi sono concretamente ridotti. E non dobbiamo
dimenticare tutto il positivo che è stato fatto, perché sforzi, interventi, iniziative
locali, nazionali, non possono trascurare il positivo. Ma cè unabissale
distanza tra quello che è il bisogno e quello che si sta facendo, nonostante il positivo
che cè. Lotta alla criminalità voi me lo insegnate è politica
economica, ma anche risposte al dramma della disoccupazione. Anche queste sono parole
stanche, ma sono parole fondamentali e necessarie. Se a questi bisogni non si risponde, si
aprono le porte a lacerazioni ancor più profonde e i confini del Paese si allargano nel
mondo del disagio. Allora, in questo senso, mi pare che ognuno è chiamato a fare la sua
parte, e da parte di quella realtà che io in punta di piedi qui rappresento, nata nel
marzo del 1995, "Libera", che oggi vede oltre 700 gruppi (lo so che non è
chissà che cosa), insieme allAzione cattolica italiana, alla Uisp, a "SOS
Impresa", alle piccole realtà che lavorano da Corleone a Locri alla periferia di
Napoli, da Trieste a Milano, a Torino, cè uno sforzo per dire che la legalità, la
giustizia e questo impegno di contrasto non appartengono solo a qualche zona del Paese;
queste 700 realtà piccole e grandi hanno cercato in questi anni di costruire un tessuto
insieme, di non lasciare sole piccole realtà che erano schiacciate in certi territori.
Credetemi, non è facile mettere insieme tante realtà, non è facile coordinarci e
coordinare, ma tutto ciò è un segno importante, un segno che è possibile la risposta
autorganizzata del mondo dellassociazionismo, del privato sociale, di piccole e
grandi realtà allesigenza di far nascere strutture coordinate di supporto a chi,
nella società civile, combatte quotidianamente la battaglia dellantimafia sul
territorio. Bisogna rompere lisolamento in cui era relegato limpegno di tanti
cittadini nelle loro singole realtà. E questo alzare la testa in questi ultimi anni,
questa voglia di lavorare insieme, di progettare, di non lasciare sole piccole realtà, mi
pare un segno importante di una società civile organizzata che sente che non può essere
opera di navigatori solitari tutto questo, che bisogna essere presenti nel territorio, che
bisogna creare alleanze con altri, che bisogna progettare insieme, pubblico, privato,
istituzioni, che ognuno è chiamato a fare la propria parte.
Promozione sociale. Qui cè un
paradosso che ci tengo a sottolineare, che noi gridiamo con forza, che quel territorio
dove molti sono orfani ha bisogno di risposte tecniche, strumenti, servizi, spazi,
altrimenti dove vanno questi ragazzi? Che cosa fanno? Quali riferimenti possono avere? Ma
non bastano le sole risposte tecniche, perché lesperienza, la concretezza ci ha
insegnato che si possono fare anche degli stupendi campi sportivi, creare anche degli
spazi eccezionali, che sono necessari, ma ciò non serve a nulla se poi non cè chi
accompagna questi ragazzi in un cammino di crescita. Bisogna inondare il territorio,
bisogna crederci, con animatori, operatori di strada, educatori, operatori sociali. Questo
vuol dire scuola e extrascuola che lavorano insieme, vuol dire opportunità offerte
realmente alla scuola, perché altrimenti possiamo dare ai ragazzi anche degli spazi
eccezionali, ma con poco frutto; dobbiamo lavorare in questo senso, in questa direzione.
Voi conoscete la solitudine che il mondo giovanile vive oggi, il disorientamento, le
fatiche. Allora è necessaria una presenza: conviene al Paese, conviene anche a livello
economico investire per creare figure e professionalità che nel territorio divengano chi
accompagna, chi anima, chi è a fianco di un mondo di giovani.
Allora è chiaro, anche se a volte lo
diamo per scontato, che la prevenzione, come per troppi anni è stata intesa nel nostro
Paese da tanti, purtroppo come difesa dalla violenza, dalla droga, dai problemi, non
basta. Per troppi anni si è sentito parlare di prevenzione come difesa da qualcosa. No,
la prevenzione è soprattutto prevenzione "per". E la scommessa di investire in
questa direzione è una scommessa importante, è una scommessa sociale ed è soprattutto
una sfida educativa. Cè unenorme necessità che venga recuperato con più
forza il bisogno alleducazione, il diritto alleducazione. Ci sono delle
esperienze bellissime in questo senso. Si ricordava prima che, proprio in questi giorni,
in tantissime scuole ci sono stati dei momenti, che però hanno un prima, un durante e un
dopo, perché guai se educazione alla legalità diventa leducare, se i giovani
diventano un contenitore da riempire, se ci si limita a qualche iniziativa, a qualche
intervento. I giovani non sono un contenitore da riempire, ma sono persone che devono
essere rese protagoniste di un processo, di un progetto. Certo, molti giovani portano
sulla loro pelle dei problemi, ma non è un gioco di parole sono una risorsa
se si vuole investire in un certo modo. E qui sta un problema che io tocco con mano:
leducare ha bisogno di adulti coerenti, credibili, che ci credono. Educare ha
bisogno che innanzi tutto noi adulti ci chiediamo, rispetto ai giovani, qual è il quadro
di valori che noi testimoniamo, se noi ci crediamo seriamente in questo, perché i giovani
non sono dei contenitori da riempire. Educare ha bisogno di un progetto educativo, e la
legalità è dentro questo progetto educativo; non è lunico aspetto, guai, non deve
diventare una moda, come ci sono state altre mode in passato, per cui per qualche stagione
si è parlato di alcuni problemi, vedi la droga, e poi dopo magari tutto è passato in
secondo o in terzo piano. Occorre veramente un progetto educativo per educare alla salute,
ai consumi, al rispetto dellambiente e alla legalità.
Ora, queste iniziative che sono cresciute,
lo Sportello della Commissione parlamentare antimafia, che rappresenta un segno importante
in questa direzione e il lavoro che lassociazione "Libera" insieme ad
altri sta realizzando per lItalia, sono segni che nella scuola, ma non solo in essa,
si deve costruire questattenzione e questi progetti.
Ma vi è un altro elemento: che si fa con
quei bambini la cui normalità è vivere nellillegalità, perché i valori che sono
stati trasmessi in quei territori a loro sembrano normali, a posto, legali, mentre
costituiscono un respiro di illegalità? Voi mi insegnate che i tempi, i modi e gli
strumenti debbono adeguarsi ai territori e ai vari contesti; certo tutto ciò è meno
facile, ma non per questo può venire meno questa grande scommessa.
Avviandomi alla conclusione, vorrei
accennare ad alcune questioni per me importanti. La prima concerne la sicurezza nelle
città e sul territorio. Quello della sicurezza è un tema sacrosanto e coloro che sono
qui ce lhanno ben presente: si tratta di un tema che, negli ultimi anni, ha
sostituito quello della legalità in molte realtà, prendendone il posto. La sicurezza che
tutti debbono avere costituisce un sacrosanto diritto, così comè un diritto
sacrosanto di tutti quello di abitare la città e di poterla vivere, ma mi sembra
do solo un titolo di riflessione senza approfondirlo che la città sicura, che
tutti giustamente ci stiamo impegnando a realizzare, è quella che accoglie, che fa
emergere i problemi e che si attiva affinché quelle sacche di disagio e di marginalità
abbiano dei punti di riferimento.
La seconda questione riguarda la
promozione sociale sul territorio; poco fa sono stati ricordati Peppino Diana e don
Puglisi, ma penso ad altri miei amici sacerdoti minacciati, alle associazioni, ai laici e
alle persone che per lItalia si stanno concretamente spendendo sul territorio e
subiscono violenze e minacce. Una società civile che si è organizzata e pezzi di realtà
che si sono maggiormente mossi rispetto a ieri costituiscono allo stesso tempo un segno
amaro ma anche concreto, e ciò disturba qualcuno. Questo è un segno che mi sembra
importante pur nella fatica, e noi dobbiamo disturbare sempre più e lavorare sempre di
più insieme sul territorio.
Allora, vi è una parola che bisognerebbe,
a mio avviso, essere recuperata con forza: continuità. Vi sono state delle risposte
positive, però bisogna recuperare la continuità perché molte volte questa tensione è
un po diminuita, mentre la criminalità e le mafie hanno avuto ed hanno
tuttoggi questa continuità. Siamo noi, umilmente ed ognuno per la propria parte,
dal mondo della politica alle associazioni, che dobbiamo recuperare con forza la
continuità.
E a coloro che lavorano nel mondo della
politica mi permetto di dare un suggerimento: a voi chiedo obbedienza, mi permetto di
dirlo nel senso etimologico della parola, perché voi stessi mi insegnate che obbedienza
vuol dire prendere in ascolto quel che dice laltro, stare in ascolto
dellaltro, avere in seria e responsabile considerazione il discorso dellaltro.
Il lavoro che voi state facendo di ascoltare gli altri è un segno di obbedienza ed in
questo senso rispetta quel bisogno che la società civile e i cittadini chiedono in vari
contesti e in varie realtà.
Termino il mio intervento ricordando
alcune parole di una bambina di nome Anna Maria che come altri ho incontrato nelle scuole,
e precisamente nella III E della scuola Moscati. Ella ha scritto un tema bellissimo, così
viscerale e così autentico, e vi sono due passaggi che vorrei leggervi. Lei dice:
"Io vivo nella 167, vivo in una realtà difficile, vivo in un mondo dove si cerca
anche di sopravvivere, ma vivere nella 167 non è solo questo". Lei non vuole, ed ha
ragione, che si parli solo delle cose negative, ed aggiunge: "Ma perché non si parla
anche di noi giovani che vogliamo cambiare, dei lavori che facciamo?".
Ella ci invita anche in quei contesti, in
quei territori difficili, e rivendica quei segnali positivi che i giovani ci inviano. È
in questo senso che mi sembra si possa e si debba costruire qualcosa insieme. (Applausi).
PRESIDENTE. Ringraziamo don Luigi
Ciotti per questo suo appassionato intervento che ci apre anche alla speranza.
I lavori, sospesi alle ore 13,10, riprendono alle ore 15,10.
PRESIDENTE. Do ora la parola alla dottoressa Carmela Cavallo, giudice del tribunale per i minorenni di Napoli, che svolgerà una relazione sul tema: "Il ruolo della famiglia nella prevenzione della criminalità".
CAVALLO Carmela, giudice
del tribunale per i minorenni di Napoli. Merita grande apprezzamento che la
Commissione antimafia abbia voluto lasciare uno spazio di riflessione sul ruolo della
famiglia, perché significa che è ormai chiaro quanto lhumus familiare
adeguato sia fondamentale per bloccare la pervasività delle mafie; che poi questa
riflessione sia stata affidata ad un giudice minorile significa che alla magistratura
specializzata viene riconosciuto un ruolo significativo sia nellanalisi che nelle
scelte di politica giudiziaria sul territorio. Un grande giudice minorile, Gian
Paolo Meucci, scomparso alcuni anni fa, soleva dire che si può educare nelle forme della
giurisdizione; e mai questa frase trova maggior riscontro nelle terre di mafia, dove il
giudice minorile emette provvedimenti soprattutto di natura prescrittiva, per orientare
adulti e minori al sentimento dei valori costituzionali e al rispetto dei diritti degli
altri, prima fra tutti quelli dei soggetti deboli, quali i minorenni. Così spesso il
provvedimento del giudice minorile può aiutare, attraverso adeguate prescrizioni e idonei
progetti di recupero, a resistere alle mille lusinghe della malavita organizzata, a
rafforzare i ragazzi contro le sollecitazioni del "tutto e subito". È questa
anche unoccasione per parlare in positivo della famiglia, come agenzia che investe
sulla vita, fondando sulle proprie risorse e progettando responsabilmente il futuro.
I doveri del genitore, di quello
"sufficientemente buono", sono contemplati dallarticolo 30 della
Costituzione: mantenere, educare, istruire. Laddove nel "mantenere" sono
ricompresi laccudimento e le cure materiali ed affettive necessarie ad un bambino
appena nato per essere contenuto nel processo di crescita, con le ansie e le angosce che a
quel processo sono connesse, fino a farsi adulto compiuto; nell"educare"
sono ricomprese le attività di natura cognitiva e relazionale che tendono a far emergere
tutte le potenzialità esistenti nel bambino, a stimolare le sue capacità critiche;
nell"istruire" sono ricomprese quelle attività che tendono a trasmettere
al minore un patrimonio culturale che possa elevarlo, permettergli di confrontarsi con gli
altri e dargli in seguito opportunità congrue con le sue capacità.
Quante famiglie nel nostro Paese sono
effettivamente in grado di adempiere ai loro doveri genitoriali e di esercitare la
potestà in modo corretto, tenendo conto delle capacità, della inclinazione naturale e
delle aspirazioni dei figli, come impone larticolo 147 del codice civile? Ce ne sono
tante, tantissime; ma purtroppo sembra che il loro numero nel complesso sia in
diminuzione, e che sempre più famiglie entrino in unarea, per così dire, "a
rischio", cioè a rischio di uscire perdenti nellesercizio del ruolo e di
trovarsi di fronte a figli diversi da quelli desiderati.
È interessante analizzare il perché del
fallimento nella gestione del ruolo di queste famiglie apparentemente normali, dove
cè un lavoro, una casa, uno o due genitori, una rete di relazioni più o meno
estesa.
Lasciamo da parte tutta la patologia della
famiglia, cioè quelle disfunzioni che da sempre hanno caratterizzato e che perciò
da tempo sono state oggetto di studio la famiglia problematica e multiproblematica,
ovvero quella famiglia che presenta un genitore o il genitore (o entrambi i genitori)
alcolista, tossicodipendente, malato di mente, pregiudicato, e soffermiamoci invece sulla
famiglia apparentemente normale, per riflettere su come potrebbe, anzi dovrebbe,
quotidianamente agire per assolvere correttamente alla funzione genitoriale, allevando
figli sani non solo nel corpo ma anche nella mente, in grado di resistere
allillegalità e agli accattivanti richiami della camorra.
Il minore deviante, nellaccezione
più diffusa, è quel ragazzino che mantiene un comportamento fuori dalle regole condivise
dalla comunità, che crea problemi nella famiglia, nella scuola, nel quartiere e nella
città.
Ebbene, da un osservatorio privilegiato
quale il tribunale per i minorenni di Napoli, in cui opero ormai da tanti anni, è
possibile registrare che la devianza è oggi sempre più il prodotto di una famiglia
apparentemente normale, ma nei fatti sempre più inconsistente; di una famiglia cioè
sempre più delegante ad altre agenzie, sempre più caratterizzata da una cattiva
comunicazione, sempre più assorbita da altro sia questo altro la carriera o la
lotta per la sopravvivenza e che quindi non dà attenzione, non "si
occupa" quotidianamente, ma poi, allatto dellesplosione del problema,
"si preoccupa", cercando disperatamente di correre ai ripari; spesso però è
troppo tardi.
Lo svantaggio relazionale ha, dunque, oggi
sostituito, anzi si è aggiunto a quello socio-economico che tradizionalmente eravamo
abituati a registrare come una possibile concausa della devianza. Lo svantaggio
relazionale taglia trasversalmente tutte le fasce sociali; perciò sempre più nel
prossimo millennio la devianza sarà il prodotto di una rete familiare disfunzionale, e
quindi interesserà anche la fascia sociale medio-alta.
Cosa è mancato a questi ragazzi che, pur
non essendo nati in contesti apparentemente svantaggiati né economicamente né
culturalmente, hanno iniziato invece a seguire man mano una strada sbagliata?
È mancata loro, a mio parere, la famiglia
regolativa, quella famiglia che è in grado di dare, sin dalla più tenera età del
bambino, anche nelle piccole cose, un limite in funzione di un obiettivo comprensibile per
letà, di conferire dei compiti al figlio, anche piccolissimo, per fargli
comprendere che tutti i componenti del nucleo familiare, ognuno in funzione della età e
delle proprie capacità, deve concorrere alla realizzazione di un programma familiare,
portando a termine il suo specifico compito anche con piccoli sacrifici e rinunzie. È
insomma necessario non solo porre il limite, la regola, dire di no, ma anche dare al
figlio la motivazione di quel diniego e spiegarne la finalità in funzione dei principi
educativi che presiedono alla gestione del ruolo parentale; il bambino deve capire sin
dalla più tenera età la sua collocazione nel progetto di vita familiare e deve
sviluppare la sua individualità in piena libertà, ma sempre nel rispetto dei ruoli e
dellautonomia degli altri componenti il nucleo. Ciò significa che il limite non
deve essere lespressione di un autoritarismo incomprensibile, ma lespressione
di una autorevolezza accettata perché ne viene reso comprensibile lobiettivo e
partecipe il figlio; la famiglia cioè dovrebbe aiutare il figlio ad adeguarsi al
principio di realtà, a frenare listinto e a dare la giusta collocazione al
principio di piacere, ponendosi come un contenitore elastico alla sua istintualità.
Il rapporto tra il principio di realtà e
quello di piacere deve essere quello che regola anche il comportamento dei genitori; solo
così essi riusciranno ad essere il modello di riferimento. Insomma, io padre tu figlio
rispettiamo una stessa regola, ognuno nella dimensione propria del ruolo e delletà!
Il padre non è il depositario della regola, bensì la trasmette osservandola.
La violazione della regola va sempre
stigmatizzata con una punizione immediata ma proporzionata, contenuta, equilibrata,
giusta. La punizione infatti è connaturata al processo educativo; ma sarà accompagnata
da atteggiamento consolatorio quando il bambino comprende di avere sbagliato e se ne
duole.
Ma quando e come i genitori sanno punire
oggi? Puniscono poco e male. Spesso passano da un disinteresse marcato ad reazione
incontrollata e dispotica, quando la trasgressione è molto evidente, con ciò generando
una contestazione ancora più aperta; spesso questi genitori inconsistenti arrivano in
tribunale, quasi chiedendo una sorta di investitura e di legittimazione allesercizio
della potestà, oppure vengono in tribunale per dare l"ultima delega" e
definitivamente tirarsi fuori dalla vita del figlio; ma essi affermano
"per salvarlo", naturalmente!
Un ragazzo che non ha introitato in
famiglia il valore regolativo della norma molto difficilmente potrà introitarlo
nellambito scolastico, anche perché troppo spesso, in particolare nei territori del
Sud, mette piede in classe troppo tardi, a sei anni compiuti. E questo perché le scuole
dellinfanzia continuano ad essere quasi inesistenti nei contesti svantaggiati, e le
scuole dellobbligo hanno una presenza di alunni per classe così alta da non
permettere né percorsi personalizzati, né didattica differenziata; e lextra-scuola
non funziona dovunque. La scuola, per avere successo nel trasmettere la regola, deve
arrivare il più presto possibile, e trattenere ed interessare il bambino il più
possibile, obiettivi questi realizzabili soltanto se per ogni classe il numero di alunni
non superi le quindici unità e se lextra-scuola continua nel perseguimento degli
obiettivi. Queste linee di indirizzo dovrebbero valere per tutti i territori; ma, tenuto
conto dei vincoli finanziari, logistici ed operativi, esse dovrebbero trovare attuazione
almeno in quelle aree di cui allarticolo 1, comma n. 2, della legge n. 285
del 28 agosto 1997.
Ma chiudiamo questa digressione sul ruolo
della scuola, per tornare al tema che qui interessa. I genitori incapaci di segnare
confini sono spesso permissivi, tolleranti, protesi a essere "amici" dei propri
figli, generando così confusione nel rapporto e confermando in essi insicurezza; si
pongono ora come controllori (spesso il padre), ora come complici (spesso la madre),
sbagliando comunque, perché i figli non hanno bisogno né degli uni né degli altri! I
bambini hanno bisogno di genitori in grado di porsi come riferimento autorevole, coerente
e rassicurante, tale da offrire loro sicurezza, fiducia e stima; vanno perciò evitati
atteggiamenti denigratori, tipici del padre che proietta sul figlio le "sue parti
fallite". Infatti, solo un ragazzo che ha stima di sé può portare avanti, fuori
della famiglia, i valori che quella famiglia gli ha trasmesso. I genitori dovrebbero,
invece, attivare forti competenze di ascolto, dare al figlio il modo e il tempo per
esprimere le sue esigenze, i suoi sogni; solo così potranno conoscerlo come altro da sé.
Dovrebbero, stando insieme, stimolare la fantasia e limmaginazione del bambino,
ridurre il consumo a volte deleterio della TV a vantaggio dello spirito di avventura,
distoglierli dalla sala-gioco, spesso veri e propri covi di microdelinquenza, a vantaggio
di un tuffo nella natura.
Le storie familiari che noi
quotidianamente leggiamo nei nostri fascicoli e ascoltiamo dai nostri ragazzi ci rivelano
questi nodi e ci mandano le immagini di adulti bambini e di bambini adultizzati; ma
soprattutto di bambini sofferenti, avvolti e pervasi da un malessere diffuso, di cui essi
stessi non sanno individuare la causa.
Il ragazzo che entra nellarea penale
è, insomma, sempre un ragazzo la cui famiglia non ha tenuto, o perché attraversata da
patologie tradizionali, cui abbiamo fatto riferimento, o perché inconsistente, cioè
estremamente fragile e delegante rispetto al progetto educativo a favore delle altre
agenzie di socializzazione, prima fra tutte la scuola (genitori carrieristi e disattenti),
o perché assorbita dai problemi della sopravvivenza quotidiana e delegante soprattutto
alla strada e alla TV (genitori disoccupati destinati ad arrangiare), o perché assorbita
nella conflittualità coniugale, in pendenza o non di un giudizio di separazione. È
questultima infatti, oggi, un esempio tipico di famiglia che viene meno al suo ruolo
educativo, perché è talmente assorbita dalla lotta giudiziaria che vi profonde ogni sua
risorsa personale, e spesso anche economica, utilizzando i figli di volta in volta come
ostaggi, come corrieri di ingiurie gravi, come investigatori..., dimenticando ogni dovere
nei loro confronti. È notorio, infatti, che non sempre i coniugi o gli ex
conviventi riescono a conservare responsabilmente la genitorialità.
Così pure va registrata la mancata tenuta
della famiglia in cui il padre perde il lavoro, perché questi facilmente cade in
depressione: frustrato e disperato spesso cede allalcol e ne diventa dipendente, con
tutte le inevitabili conseguenze di perdita di interesse per la famiglia ed i figli.
In generale, sempre più frequentemente
notiamo che il ragazzino violento, aggressivo, esplosivo perché pieno di rabbia e di
sofferenza è un minore senza nessun riferimento nella figura maschile, è un figlio senza
padre.
È allora evidente che la figura del padre
è fondamentale perché il bambino introiti la regola ed il rispetto della stessa; in una
società sempre più caratterizzata dallassenza del padre, o perché questi non
cè, o perché lautorità giudiziaria lo relega e lo confina al ruolo di
intrattenitore domenicale, diventa fondamentale recuperarne la figura.
I genitori, anche se divisi, dovrebbero
rimanere entrambi presenti nel processo di crescita del figlio e dovrebbero veicolare nel
figlio i valori della società democratica. Infatti il legame sociale debole, interrotto,
rifiutato affonda radici nella famiglia che non è stata in grado di trasmetterli, o
perché essa stessa manca del tessuto culturale in cui quei valori si alimentano, o
perché è mancata la relazione genitori-figli.
Ma quali sono i valori che la famiglia
deve condividere e trasmettere con i propri comportamenti? Quelli fondamentali, cioè i
valori consacrati nella Costituzione: il rispetto dellaltro come persona, e così
può passare il concetto di libertà individuale e sociale ed il concetto che la propria
libertà trova il limite nella libertà dellaltro; i valori di uguaglianza e
solidarietà, che la famiglia deve vivere nel quotidiano nei suoi rapporti con il mondo
esterno, con i diversi e con i deboli, evitando stigmatizzazioni e giudizi frettolosi e
persecutori; così il valore della giustizia, che la famiglia deve vivere già nel suo
ambito, facendo attenzione ad evitare preferenze e discriminazioni tra i componenti stessi
del nucleo familiare allargato, riconoscendo ad ogni membro la possibilità di esprimersi
e di dare la propria versione dei fatti per i quali si discute.
La famiglia dovrebbe educare alla lealtà,
alla legalità e alla verità prima di tutto con la sua condotta di vita, con
lesempio, mantenendo coerenza estrema tra il dire ed il fare, tra la parola ed il
comportamento. Come dobbiamo considerare quei genitori che predicano la legalità mentre
acquistano sigarette e gas auto di contrabbando, alterano il contatore Enel, si astengono
dal lavoro non per malattia, ma per svogliatezza, andando al mare o ai monti? Di esempi se
ne possono fare allinfinito...
La famiglia dovrebbe generare
lattaccamento ai valori trasmettendoli in uno con le cure materiali ed affettive; la
famiglia dovrebbe essere capace di trasmettere la cultura dellessere e non
dellapparire, né tantomeno dellavere. Il dare valore eccessivo
allabbigliamento, ai beni materiali che oggi definiscono lo status sposta
inevitabilmente lattenzione verso elementi del tutto marginali e riduttivi che,
passando dalla periferia al centro, provocano distorsioni nel comportamento.
Il ragazzo legato affettivamente alla sua
famiglia, che ha introitato i valori condivisi dalla società democratica che altro non
sono se non i valori costituzionali, che è stato rafforzato, reso resiliente alle
stimolazioni negative dellambiente attraverso la valorizzazione e il potenziamento
della sue risorse, che ha disegnato in prima persona, aiutato a comprendere e valorizzare
le sue capacità, il suo progetto di vita, ponendosi degli obiettivi che lo porteranno a
collocarsi nella società con il suo impegno personale e sociale; ebbene quel ragazzo non
farà mai ingresso nellarea penale, e pur entrando eventualmente nellarea
cosiddetta "a rischio", saprà uscirne indenne, perché la sua struttura di
personalità è forte, ha dei riferimenti, dei legami, unidentità positiva
costruita negli anni attraverso lidentificazione con modelli positivi.
I genitori che saranno stati in grado di
fornire al figlio questo humus familiare e culturale lo avranno messo in grado di
esercitare una capacità critica, lo avranno reso capace di effettuare delle scelte e lo
avranno sottratto così al rischio di cadere nei facili trascinamenti di chi è invece
attratto da pseudovalori oggi prevaricanti: potere e danaro (non importa come ottenuto,
basta possederlo) lusingano i ragazzi, facendo loro apparire tutto possibile ed ottenibile
ed aizzando alla competizione sfrenata, a cominciare dallabbigliamento firmato per
finire alle spericolate corse in moto sullasfalto, al consumo di droghe e di alcol,
tutte cose per le quali servono soldi, molti soldi...
Oggi la famiglia non può certo pensare di
trattenere il figlio tra le pareti domestiche; già i ragazzini della scuola elementare
sciamano in gruppi da una piazza allaltra, da un muretto allaltro. Si tratta
allora di fortificarli al più presto, nei primi anni di vita, per evitare di renderli
degli insicuri e degli ansiosi; perché fuori si troveranno inevitabilmente a contatto con
tutto quanto cè di peggio; non potremo evitarlo. Si gioca dunque qui la sfida della
famiglia sana e responsabile, che lascia andare il suo ragazzo fuori dal suo ambito, che
ogni giorno tremerà pure pensando chi incontrerà e cosa gli sarà proposto; ma che a
sera saprà ascoltarlo e rasserenarlo. È un rischio che bisogna correre, e che verrà
superato nella misura in cui la famiglia resta riferimento affettivo e valoriale.
Il ragazzo di oggi è fragile e
inconsistente come la sua famiglia, difficilmente ha un progetto di vita disegnato nella
mente e nel cuore, è ansioso, insicuro e ha spesso paure incontrollabili; perciò si
rifugia ben presto nel gruppo, alla ricerca di unidentità, di quella relazione, di
quella regola, di quel contenimento che in famiglia non ha avuto. Spesso è il gruppo
sbagliato: ci sono ragazzi più grandi di lui già inseriti come manovalanza spicciola del
boss del quartiere. Il fenomeno del gruppo, tipico delle fasce giovanili e in cui
la fisiologica fragilità adolescenziale cerca riparo, è, infatti, oggi molto più
fortemente caratterizzato da una maggiore fragilità dei suoi componenti, da una maggiore
aggressività e violenza, da una maggiore insicurezza e oscillazione umorale. Tanto è
vero che perfino nella commissione dei reati registriamo un concorso di persone sempre
più esteso: il gruppo rafforza la volontà fragile del singolo e divide la
responsabilità. Il reato commesso dal ragazzo rappresenta sempre più oggi il grido di
aiuto, la richiesta di contenimento, lespressione della sofferenza per la
disattenzione delladulto; questo reato si connota sempre più di violenza, anche
gratuita, perché rappresenta lesplosione massima della rabbia giovanile, di una
rabbia incontenibile e pervasiva che affonda le sue radici nella mancanza di relazione e
di fiducia tra le generazioni.
Un monitoraggio sui reperti dei tribunali
per i minorenni permetterebbe di osservare come i ragazzi oggi sono passati dal furto alla
rapina, dalla ricettazione allestorsione, dallo spaccio di hashish a quello
di eroina, e soprattutto che tra di loro circolano molte armi, anche quelle più
pericolose.
Allora, cosa fare per aiutare questi
genitori che non sono cattivi, ma sono mancanti? Che non sono in grado di essere genitori
sufficientemente buoni perché non hanno né capacità né competenze per gestire il ruolo
parentale?
Abbiamo osservato che la devianza
dei figli nasce da una mancanza dei genitori. Bisogna dunque aiutare questi genitori sin
dal momento della nascita dei figli, sostenendoli psicologicamente e, quando necessario,
economicamente; ma soprattutto elevandoli culturalmente. Se la rete sociale esiste, e si
attiva, il genitore, adeguatamente rinforzato e sostenuto, sarà in grado di portare
avanti efficacemente il processo educativo; la devianza dei figli nasce da una mancanza
sociale della rete di aiuto alla famiglia in difficoltà e ai ragazzi stessi. I territori
presidiati dalla criminalità organizzata sono, infatti, caratterizzati dalla mancanza di
una scuola attrezzata, mancanza o carenza dei servizi, mancanza di solidarietà sociale.
La criminalità organizzata dà risposta ad entrambe le mancanze: colmando quella
familiare con il vincolo di appartenenza al clan, sostitutivo di quello di
consanguineità, e dà un modello, sia pure perverso, conferendo così unidentità,
anche se negativa, dando una collocazione lavorativa ben retribuita. La protezione diventa
dunque il surrogato dellaffettività familiare; colmando quella sociale con il
vincolo di solidarietà tra le famiglie dello stesso clan, cementato
dallomertà come perversione del sentimento dellonore e dallobbedienza
cieca al clan come distorto senso di lealtà. In tal modo una cultura di morte
prende il posto della cultura della vita.
La devianza è prodotta, dunque, da una
doppia mancanza.
E bisogna convincersi che i ragazzi che
non riusciamo a recuperare oggi saranno i boss di domani! Negli anni
Settanta-Ottanta solo una minima parte della devianza minorile passava nella delinquenza
adulta; oggi invece recuperiamo molto poco. Direi che la proporzione si è invertita: quel
20 per cento circa dei minorenni che un tempo strutturava una personalità radicata nel
reato costituisce oggi approssimativamente la quota di recupero della devianza giovanile.
Perciò la fascia giovanile è quella sulla quale si deve appuntare la maggiore
attenzione, e la famiglia è sicuramente il canale privilegiato per una prevenzione
corretta e capillare.
Va registrato con soddisfazione che il
Governo ne ha preso atto ed ha attivato le forze sociali attraverso progetti mirati a
supportare queste realtà familiari e sociali così carenti: molte opportunità sono state
offerte alle aree più svantaggiate dalla legge n. 285 del 1997 e dalla legge
n. 216 del 1991 per larticolazione di progetti di bonifica del territorio.
Saranno incentivati gli affidi familiare,
anche part-time, e tutte le forme di tutoraggio, di educazione di strada e di
aggregazione giovanile; ma è anche tempo di sperimentare strade nuove, come mettere i
ragazzi difficili a confronto con realtà di sofferenza, con la natura. Ma soprattutto è
necessario, più che disegnare strutture, formare persone in grado di relazionare e
contenere. In Italia esiste un rapporto tra popolazione e operatori sociali
dellordine delle migliaia, e un rapporto tra cittadini e rappresentanti delle forze
dellordine dellordine delle decine; basterebbe riequilibrare questo divario
con operatori qualificati e formati, e forse già le cose andrebbero meglio.
E per chiudere vorrei richiamare un
concetto che mi è caro: in unepoca in cui il rapporto di sangue unisce un numero
sempre minore di persone, perché la famiglia patriarcale ha lasciato il posto a quella
nucleare, è il vincolo della solidarietà e il principio della reciprocità che si deve
sostituire a quello della consanguineità. Solo questo risveglio e rafforzamento di
solidarietà sociale può renderci adulti responsabili di ascolto e protezione verso tutti
i bambini, non solo nei confronti dei nostri figli. Nella misura in cui recepiremo questo
messaggio, avremo salvato i nostri figli e i figli degli altri. Avremo fatto in modo che
le città ridiventino comunità e perdano laspetto di città blindate e
militarizzate; perché città sicura non è quella presidiata dalle forze
dellordine, ma quella amata da tutti suoi cittadini. Il cammino della prevenzione è
lungo, le politiche sociali non pagano in tempi brevi; ma se ancora si perdono colpi,
sarà davvero troppo tardi, e raggiungeremo in breve il clima esplosivo che vivono oggi
altri Paesi. (Applausi).
PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Cavallo per la sua analisi approfondita ed appassionata sulle forme di solidarismo deviato e di familismo criminale, che sono molto diffuse soprattutto nel Mezzogiorno.
Passiamo pertanto alla successiva fase del Convegno, riguardante le "Aree a rischio esterne alle grandi realtà metropolitane".
PRESIDENTE. In questa sessione interverranno lavvocato Franco Gallo, sindaco di Gela; il dottor Enzo Ciconte, consulente della Commissione parlamentare antimafia; il dottor Enrico Carofiglio, sostituto procuratore della Repubblica di Bari e lonorevole Michele Saponara, componente della Commissione parlamentare antimafia. Il primo intervento sul tema delle aree a rischio esterne alle grandi realtà metropolitane è dellavvocato Gallo, sindaco di Gela, e tratterà in particolare: "Il caso Gela: le contraddizioni sociali ed economiche della crescita urbanistica incontrollata".
GALLO Franco, sindaco
di Gela. Debbo innanzi tutto ringraziare il presidente Del Turco e la Commissione
parlamentare antimafia nel suo complesso per due motivi: non solo per avermi invitato a
partecipare a questa prestigiosa occasione di lavoro, ma anche per avermi assegnato il
tema: "Aree a rischio esterne alle grandi realtà metropolitane", che mi
consentirà come è dovere di ogni sindaco di parlare della mia città e,
quindi, di approfondirne alcuni specifici aspetti. Tuttavia, prima di passare
allillustrazione delle contraddizioni sociali ed economiche generate dallo sviluppo
urbanistico incontrollato, ho lobbligo di delineare ai partecipanti al Convegno un
brevissimo quadro di riferimento riguardante la messa a fuoco della situazione nel suo
contesto storico.
Allorigine della crescita
urbanistica incontrollata nella città di Gela vi è un fatto: linstallazione di un
impianto petrolchimico che, nei cinque anni della sua costruzione, diede lavoro e salario
a circa 8.000 persone in una città che originariamente contava 40.000 abitanti. Di
conseguenza la città beneficiò dellapporto monetario di una ingente massa
salariale. Se li rapportate alla poverissima economia locale (agricoltura estensiva a
grano e cotone), si trattava di flussi finanziari ingenti mai visti prima. Accadde,
quindi, di registrare consistenti flussi finanziari e flussi demografici in entrata dei
quadri e degli operai specializzati, provenienti da altre regioni e dal resto della
Sicilia, nello stabilimento petrolchimico.
Leffetto combinato di questi due
fattori generò gran parte dellabusivismo edilizio in un contesto in cui
lenorme domanda di case (con la conseguente anomala impennata dei fitti e del prezzo
delle abitazioni) si coniugava con latavica propensione ad investire nel più
tradizionale dei beni rifugio, ossia il mattone. Il resto delleconomia cittadina era
poverissimo, se rapportato al drogato mercato immobiliare e quindi alleffetto
anomalo derivante dallimmissione monetaria. Infima, comunque, era la mentalità
imprenditoriale, perché non cera una propensione allinvestimento produttivo.
Fu così che i proprietari fondiari riuscirono a lottizzare tutti i terreni attorno al
tradizionale centro storico, con lunico obiettivo di massimizzare il profitto
edificatorio.
La speculazione fu così vorace e
lassenza di istituzioni così clamorosa che ancora oggi il comune di Gela è
convenuto in giudizi civili da proprietari (lottizzatori e lottizzati) che pretendono il
pagamento dellindennità di esproprio perfino per i risicati lembi di terreno che
erano costretti a lasciare inedificati per consentire laccesso alle abitazioni
(hanno lasciato gli spazi e per essi chiedono addirittura il risarcimento, adducendo
loccupazione acquisitiva; quindi, siamo al paradosso del paradosso).
Paradossalmente, dunque, allorigine
del fenomeno cè certamente lassenza di qualsiasi pianificazione sugli
inevitabili effetti della costruzione del polo petrolchimico, e questo è ancora più
grave se solo si pensa che una massiccia e concentrata azione di sviluppo non è stata in
alcun modo pianificata quanto ai prevedibili effetti collaterali. I migliori modelli
scientifici di pianificazione economica sono stati studiati e sperimentati nelle azioni di
sviluppo dei paesi sottosviluppati (America latina ed Africa); nel caso della mia città,
un caso che è tutto italiano per improvvisazione, non ci fu nessuna attenzione in merito
agli inevitabili effetti collaterali di quel massiccio intervento di cui prima parlavo. Il
paradosso del "caso Gela" consiste nel fatto che ledificazione abusiva non
nasce dagli spontanei, tumultuosi e per questo imprevedibili sviluppi delleconomia
privata, ma da un intervento massiccio della finanza pubblica, colpevolmente privo di
qualsiasi sforzo di pianificazione come le più elementari teorie economiche impongono che
si faccia negli interventi programmati di sviluppo.
Questa, pertanto, è la causa fondamentale
dellespansione incontrollata delle periferie, delledificazione che con
eufemismo potremmo anche definire come spontanea, ma che più semplicemente è abusiva.
Ci furono poi delle concause. Una di
queste fu sicuramente limpreparazione culturale e la rapacità della classe
dirigente locale, sia di quella economica che di quella politica, la quale, invece di
sfruttare razionalmente il fenomeno espansivo, gestì la situazione con i tradizionali
metodi di governo di un piccolo comune agricolo. Sarebbero bastati in quel contesto anche
solo i piani di lottizzazione e lo scempio sarebbe stato in parte evitato, ma non furono
fatti neppure quelli. I proprietari e gli speculatori fondiari, in quel momento largamente
rappresentati al governo della città, poterono e vollero sfruttare al massimo questa
diffusa ansia di costruire, anche perché i modelli di confronto sulla qualità
dellabitare erano estremamente poveri, quindi qualsiasi realizzazione nuova, quale
che fosse, era migliorativa dellassetto esistente.
Detto questo rapidissimamente per
inquadrare il fenomeno, passo a trattare delle contraddizioni, nelle loro varie
articolazioni, che tutto questo ha generato. La prima contraddizione che sottolineo
nuovamente, perché davvero sta nel nocciolo del caso Gela forse quella più
appariscente, è che un intervento per lo sviluppo, il polo petrolchimico, diventa,
paradossalmente, causa di sottosviluppo, almeno per gli effetti collaterali, che sono
talmente diffusi ed ampi da determinare quasi un ripensamento globale sulla strategia di
questo intervento. La mancata pianificazione degli effetti dellinsediamento
petrolchimico di Gela diventa un triste capitolo di una colonizzazione interna della
nostra epoca e nel nostro stesso Paese. Sono parole pesanti, che però in un giudizio
storico a posteriori sono scientificamente dimostrabili come assolutamente vere e
fondate. Questa è stata ripeto la contraddizione fondamentale; passo poi ad
esaminare le altre contraddizioni, almeno quelle più appariscenti, riferibili al caso
Gela.
Contraddizioni economiche: per
leconomia dei privati, di coloro che hanno costruito abusivamente, si è trattato di
un pessimo affare. Dal punto di vista delleconomia cittadina, vi è stato un effetto
drogato di alcuni anni di apparente benessere, perché nel settore edile nei dieci-
quindici anni del boom della edificazione spontanea si fecero affari doro.
Questa edificazione spontanea assorbì il contraccolpo della fine dei lavori di
costruzione dello stabilimento petrolchimico, stabilimento che registrò una vera
"fiammata" delloccupazione nellarco di quattro-cinque anni,
coincidenti con la costruzione dellimpianto, e subito dopo questa droga continuò
nelledificazione abusiva nel settore privato. Ma in cosa è davvero consistito
questo fenomeno dal punto di vista economico? Si trattò in gran parte di lavoro sommerso,
di lavoro nero, e una delle ragioni per cui si preferiva ledificazione abusiva era
lagire in esenzione dallo Stato, senza progetti, senza contributi ai lavoratori,
senza alcuna imposta: si costruiva nella illegalità più assoluta, non solo dei parametri
urbanistici, ma di qualsiasi norma vigente, comprese quelle tributarie. Prosperò per un
decennio un fiorente mercato nero di tutti i tipi di materiale edile. Questo per quanto
attiene agli effetti sulla economia privata.
Andando ancora nel dettaglio, i
lottizzatori realizzarono affari doro nella speculazione selvaggia; per i poveri
acquirenti dei lotti fu in generale un pessimo affare. Alla periferia nord della città
gran parte dei manufatti edilizi sono rimasti vuoti, scheletri che nessuno ha più
convenienza a rifinire e che valgono molto meno del costo del solo cemento armato che è
stato necessario per realizzarli. È uno scenario raccapricciante: scheletri vuoti che
gridano vendetta. Una buona parte dovrà essere demolita, anche solo a causa del mancato
rispetto delle norme antisismiche.
Per quanto attiene invece agli effetti
sulla finanza pubblica, il danno secondo me è stato enorme, difficile da calcolare e da
risarcire. Il danno consiste nella compromissione delle risorse ambientali,
linquinamento, e soprattutto linsostenibile costo dellurbanizzazione a
posteriori, nel dover portare le opere di urbanizzazione dopo che si è realizzato
ledificato. Portare i servizi di rete in mezzo alle case costruite senza criterio e
spesso senza alcuna logica geometrica costa molto di più che urbanizzare preventivamente,
e comunque i risultati sono del tutto insoddisfacenti. Dato lenorme deprezzamento
dei manufatti esistenti, non sarà facile ricucire gli ampi spazi vuoti della edificazione
spontanea e queste aree rimaste libere, in mezzo alle case abusive, non sono neanche
gradite per ledificazione economica e popolare. Questo è il contesto degli effetti
economici nei vari ambiti.
Passando a trattare delle contraddizioni
sociali, come il tema mi impone, debbo subito riferire un fatto che sembrerà ovvio, ma
che merita di essere affrontato. Le costruzioni abusive, le periferie spontanee
rappresentano la negazione fisica dellidea di organizzazione ed esprimono una
perversa gerarchia dei valori. Ci sono case costruite nel bel mezzo delle strade; case
costruite nellalveo dei torrenti, case edificate su improbabili piazze, sopra i cavi
fognari e le condotte idriche. È diffusa una tipologia di edifici, allesterno
orrendi e senza un minimo di prospetto architettonico, conci di tufo o mattoni a vista,
mentre allinterno hanno rifiniture di gran lusso. Badate: un esterno degradato e
interni con rifiniture pregevolissime sono la negazione stessa di qualsiasi corretta e
logica gerarchia di valori.
In questo paesaggio è sommo il dispregio
dei valori della dimensione sociale e collettiva, nellassenza di strade ordinate e
diritte, nellassenza di spazi pubblici, nella mancanza di qualsiasi allineamento
regolare e financo nella totale incuria, come dicevo, dei prospetti. È il trionfo della
cultura della illegalità e della prevaricazione, con esiti estremamente deludenti per
tutti. La mafia, intesa come organizzazione criminale e di vertice, non ha avuto alcun
particolare ruolo in questa vicenda perché lutenza era discretamente diffusa e gli
abusi edilizi, per un motivo o per laltro, hanno coinvolto gran parte della
popolazione; gli speculatori operavano apertamente sul mercato drogato senza necessità di
intermediazione criminale.
La mafia ha prosperato nel mercato nero
dei materiali edili, e in generale sullindotto economico di un fenomeno che aveva
origini diverse e proprie. In una accezione più estesa del termine "mafia",
anzi "mafie" e il plurale che viene usato nel titolo del Convegno
comincia ad essere messo a fuoco il fenomeno che sto descrivendo è tutto mafioso,
nel senso che è nato e cresciuto in barba ai più elementari interessi collettivi,
nellillegalità, nella collusione diffusa, e più in generale in una organica
separazione fra istituzioni e società civile. Quindi, se non è mafia nel senso di
organizzazione criminale verticistica, è mafia in quanto a cultura, è mafia in quanto a
fenomeno di massa, in quanto a separazione e negazione totale dellesistenza delle
strutture di una logica di valorizzazione o quanto meno di attenzione dei valori e del
bene collettivi. Questo quadro è desolante. Ma mi corre lobbligo di lasciare il
discorso a questo punto e di passare a trattare delle politiche, delle speranze, di quello
che stiamo cercando di fare.
Finora non è stata eseguita alcuna
demolizione dautorità in un panorama così squallido anche questo è un dato
che è giusto sottolineare sia perché ci sono stati ritardi nella istruzione delle
pratiche, e anche perché in Sicilia i casi disperati sono stati soccorsi dalla cosiddetta
legge Buttore, che è stata integrativa della legislazione nazionale, che consente di dare
agli abusivi il diritto di uso, restando la proprietà in capo al Comune.
Due mesi orsono la Giunta municipale ha
deciso di affidare le prime demolizioni, in esecuzione di una recente convenzione fra
lANCI e il Ministero della difesa, allo stesso Ministero della difesa, in
applicazione di questa circolare. Si sta cercando di accelerare liter delle
domande di autorizzazione; si sono realizzati dei piani di recupero. Stanno per essere
spesi 25 miliardi per lavori, che sono stati già appaltati, di opere di urbanizzazione
che però, anche quando saranno completate, non copriranno se non il 20 per cento.
Altro punto importantissimo: il comune di
Gela si è autorevolmente candidato a stipulare i contratti di quartiere insieme al
Governo nazionale. I contratti di quartiere sono un modello di recupero integrato,
sociale, urbanistico, da tutti i punti di vista. Il recupero sociale nelle zone abusive è
operato prevalentemente dalle parrocchie, che rappresentano un punto di riferimento in una
zona di disgregazione. La prima chiesa che si sta costruendo in un quartiere, Settefarine,
con il suo campanile svettante sembra annunciare e promettere speranza di riaggregazione
sociale. Si sta cercando di realizzare luoghi di aggregazione in questo contesto di grande
squallore, ma qualsiasi operazione e concludo non può prescindere da una
semplice considerazione, che vorrei consegnare agli atti di questo Convegno: la
riqualificazione urbana, nel momento in cui precostituisce la condizione di base di un
corretto vivere civile, è lobiettivo che va perseguito al fine di determinare
situazioni di riaggregazione culturale più complessiva. Per questo dico che, dopo
limpianto non programmato dello stabilimento, non soccorrere la mia città in questo
tentativo di risanamento sarebbe un secondo fatale errore, perché comunque i costi
sociali del degrado permanente sarebbero più alti di quelli del possibile recupero.
A chi contestasse lequità
dellintervento in termini di distribuzione delle risorse sul piano dei bisogni di
tutto il Paese, rispondo semplicemente con un calcolo: a Gela nel ventennio doro,
quello della edificazione spontanea, anni Sessanta e Settanta, la spesa pro capite
della finanza pubblica allargata Stato, regione, comune, Cassa per il Mezzogiorno e
altre agenzie pubbliche è stata complessivamente, in tutta la fase storica dei
venti anni, inferiore alla media non solo nazionale ma anche regionale. Mi pare evidente
che da questo dato emerge che vi sono le premesse per cercare di riparare, tutti insieme,
ad un errore, ad un torto, nellinteresse di tutti. Lappello che voglio fare
stasera, poiché la Commissione antimafia mi ha consentito di parlare della mia città per
dare un contributo nel contesto generale, è che la riqualificazione urbana, come ben
centrato nel tema, è un obiettivo fondamentale perché senza un assetto non dico
gradevole, ma normale, non cè alcuna opera di recupero possibile. A Gela non sono
in grado di operare con le risorse proprie del Comune; lancio perciò un appello, e lo
faccio valutando che questa opera di recupero è nellinteresse non solo dei miei
cittadini ma di tutti. (Applausi).
PRESIDENTE. Ringrazio lavvocato Gallo, sindaco di Gela, e cedo la parola al dottor Ciconte, consulente della Commissione parlamentare antimafia, che svolgerà un intervento sul tema "La Locride e il Nuorese. Realtà rurali e dimensione internazionale del crimine". Anche in Campania abbiamo realtà rurali che si sono trasformate in veri e propri epicentri del crimine organizzato: basti pensare allAgro Aversano.
CICONTE Enzo, consulente
della Commissione parlamentare antimafia. Parlerò della Locride e del Nuorese che,
come sapete, sono due zone della Calabria e della Sardegna, molto distanti tra loro,
separate da un lungo tratto di mare. Eppure Locride e Nuorese, nellimmaginario
collettivo, sono accomunate da un elemento, che è il sequestro di persona, un fenomeno
antico che si perde negli anfratti di un lontanissimo passato e che ha contraddistinto la
storia e la cronaca degli ultimi decenni, prolungandosi fino ai giorni nostri. Perché il
sequestro di persona in queste due zone? Quali sono i tratti comuni, quali le diversità?
A metà degli anni Sessanta i sequestri di
persona subirono una forte impennata sia in Sardegna che in Calabria. Nellisola essi
si accompagnarono a numerosi omicidi, a rapine, ad estorsioni. Il sequestro di persona
sostituiva le antiche forme della criminalità sarda che si basavano sullabigeato,
sui furti di animali, in particolare greggi di pecore. Diminuivano i furti delle greggi di
pecore e aumentavano i sequestri di persona. Perché? Perché era più facile sequestrare
il proprietario delle greggi che le greggi stesse. Cè un antico detto sardo che
spiega la convenienza di questo fatto: "Gli uomini, al contrario delle pecore, non
belano". Era anche più conveniente dal punto di vista economico, perché rendeva di
più il riscatto per la liberazione del proprietario che non quello per le pecore.
Nello stesso periodo il fenomeno esplodeva
anche in Calabria e ben presto dalla Calabria sarebbe stato esportato nelle regioni ricche
del Nord, in particolare in Lombardia, che con i suoi 156 casi detiene il record
delle persone sequestrate in Italia.
In quegli anni si notavano delle
differenze tra i due fenomeni: nel sequestro sardo operavano bande che poi generalmente si
scioglievano a sequestro avvenuto ed i proventi dei sequestri erano immobilizzati
nellacquisto di bar, di case o di ovili.
Nel sequestro calabrese, invece, operavano
organizzazioni mafiose della ndrangheta molte delle quali provenienti dalla
Locride ed i proventi del sequestro alimentavano un nuovo mercato criminale perché
venivano impegnati nel traffico degli stupefacenti.
In Sardegna faceva da supporto al fenomeno
dei sequestri ladesione ad una cultura peculiare dellisola, la cultura
barbaricina. Secondo un certo modo di ragionare, non cera distinzione dal punto di
vista etico tra rubare un gregge di pecore e tenere sequestrata una persona.
Accanto a ciò vi era il fenomeno,
anchesso peculiare, dei latitanti sardi, che per un lungo periodo godettero di
popolarità, di sostegno, di simpatia e di forme di consenso molto ampio. Tandeddu,
Mesina, Succu, Mele diventarono figure leggendarie perché riuscirono ad interpretare
forme di ribellismo e di antagonismo nei confronti di tutte le autorità presenti e
passate che, a loro parere, non avevano governato, ma dominato lisola.
Diventarono gli alfieri e il simbolo di un altro mondo dove erano in vigore altre leggi,
ben diverse da quelle statuali, la principale delle quali era che luomo era in grado
di difendersi da solo, la cosiddetta balentìa.
In Calabria era invece operante una
cultura mafiosa alle cui origini cera un accentuato antistatalismo, a partire da una
critica per il modo come si era realizzata lunità dItalia. Accanto a ciò vi
era il dato storico che la ndrangheta (unica organizzazione mafiosa da questo punto
di vista), soprattutto nellarea dellAspromonte, si era presentata come la sola
organizzazione in grado di operare anche quando quelle ufficiali, partiti e sindacati,
erano state sciolte dal fascismo.
A metà degli anni Settanta,
allinterno della ndrangheta si aprì una discussione sul sequestro di persona,
perché non tutti i capibastone erano dellidea che bisognasse realizzare i
sequestri. Era sicuramente contrario un uomo potente e di notevole prestigio come don
Antonio Macrì di Siderno, la cui organizzazione era presente, sin dagli anni Trenta, in
Australia, in Canada e negli Stati Uniti dAmerica.
Don Antonio Macrì fu ucciso nel gennaio
del 1975 e la sua morte segnò una brusca inversione di rotta nella storia della
ndrangheta, in particolare della Locride.
Questo mutamento fu messo in luce
esattamente 20 anni fa, nel novembre del 1979, da un rapporto firmato dal tenente
colonnello Franco Morelli, del gruppo dei carabinieri di Reggio Calabria. Si tratta di un
lunghissimo rapporto, di 435 pagine, con un titolo significativo: "Associazione a
delinquere a sfondo mafioso di 101 persone operanti nel versante ionico della provincia di
Reggio Calabria ed in altre del Nord e del Centro Italia".
Si noti che era scritto: associazione a
delinquere di stampo mafioso; e ciò prima dellentrata in vigore della legge
Rognoni-La Torre e mentre una parte della dottrina penalistica italiana riteneva che la
mafia non realizzasse nemmeno gli estremi del delitto previsto dallarticolo 416 del
codice penale.
Per lo storico, naturalmente, quel
rapporto è un gioiello, una miniera di notizie e di informazioni anche su personaggi che
erano protagonisti già allora e che erano destinati ad occupare la cronaca dei sequestri
fino ai nostri giorni. Già il riferimento nel titolo al Centro ed al Nord Italia
indicava, inoltre, i rapporti della Locride con il resto del Paese.
Tanto nel Nuorese che nella Locride
circolavano due convinzioni che di fatto giustificavano il ricorso alla pratica dei
sequestri di persona: la prima indicava la causa del fenomeno nella miseria e nello stato
di abbandono di quelle zone; la seconda interpretava i sequestri come una sorta di
riequilibrio sociale, come una più equa ripartizione delle ricchezze, essendo le vittime
delle persone ricche che potevano pagare i riscatti ed i cui beni si poteva presumere che
non fossero frutto solo del sudore della loro fronte.
In realtà non cè mai stato un
rapporto diretto ed automatico tra miseria e sequestro. Questa equazione che pure
ha una certa vitalità ancora oggi nascondeva una realtà ben diversa: nel Nuorese
i sequestratori non erano "poveracci" o sbandati, ed i sequestri segnavano un
salto di qualità rispetto alla vecchia criminalità, dal momento che essi manifestavano
una ossessiva frenesia di arricchirsi, trovando forme più rapide per accumulare grandi
quantità di denaro; nella Locride i sequestratori erano mafiosi che investivano i soldi
dei riscatti in parte nella costruzione di palazzi a Bovalino esiste ancora oggi un
quartiere denominato "Paul Getty", dal nome del noto sequestrato, ed è così
anche in tante altre cittadine calabresi e nella maggior parte nel traffico di
droga, aumentando in modo esponenziale il capitale investito.
Il sequestro non era una risposta alla
fame, ma una forma di arricchimento, di promozione sociale, di accumulazione del capitale.
Bisogna poi tenere conto di un altro dato:
nella lunga storia dei sequestri sono stati catturati e condannati numerosi sequestratori,
custodi o organizzatori, ma sono state recuperate cifre irrisorie dei riscatti pagati.
Nel mondo dei sequestratori hanno sempre
operato personaggi che non appartenevano al mondo pastorale del Nuorese o della Locride:
erano uomini in grado di riciclare il denaro, di investirlo, di operare la magia per cui
il denaro "segnato" si potesse trasformare, come per incanto, in denaro che era
possibile possedere e spendere senza correre alcun rischio.
La questione del denaro ci porta a vedere
come sia profondamente mutato il fenomeno rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta.
Si è verificata una strana inversione tra
la Locride ed il Nuorese. Se una volta i sardi investivano in Sardegna, nella loro terra,
mentre i calabresi per gran parte allestero per lacquisto di droga, ora la
situazione è radicalmente mutata.
In Calabria larea dei sequestri si
è andata via via restringendo, al punto che nellultimo periodo hanno operato le
cosche di soli tre comuni dellAspromonte; nel 1991 queste cosche decisero di
concludere la stagione dei sequestri, con perfetto tempismo perché proprio in
quellanno venne approvata la famosa legge sul cosiddetto blocco dei beni. È questo
lanno in cui la curva del numero dei sequestri, che era già discendente, cadde a
picco.
Quello che è successo tra il 1992 ed il
1993 non ha nulla a che fare con la ndrangheta storica e lultimo sequestro,
quello della signora Sgarella, ha caratteristiche peculiari che, per quanto risulta dagli
accertamenti in corso, allo stato non sembrerebbero mettere in discussione quella scelta
del 1991.
Anche in Sardegna larea dei
sequestri si è ristretta e nello stesso tempo si assiste allingresso della
criminalità sarda nellambito del crimine internazionale. Le tracce dei soldi pagati
per liberare le vittime dei sequestri compiuti dai sardi ci portano in Svizzera, in
Venezuela, in Colombia o in Australia, come ha dimostrato il sequestro Soffiantini.
In Sardegna, inoltre, i soldi dei riscatti
cominciano ad alimentare altri mercati criminali, e, come avveniva nella Locride tanti
anni prima, iniziano ad essere utilizzati per lacquisto di armi e di droga, come
dimostra la storia di Mario Moro, anchegli implicato nel sequestro Soffiantini.
Alcuni latitanti sardi vengono catturati
allestero; lesempio più noto ma non è il solo è quello di
Giovanni Farina, arrestato nel 1982 a Caracas e oggi in Australia.
La novità più rilevante è però quella
descritta nella recente Relazione sui sequestri di persona della Commissione antimafia,
approvata nellottobre di questanno: è lindividuazione di una "zona
grigia", di una rete di mediatori, di informatori, di determinati professionisti
affiliati alla massoneria che si mettevano in moto e operavano ad ogni sequestro di
persona.
Siamo cioè ad una trasformazione radicale
del sequestro di persona sardo: sullo sfondo rimangono pastori e latitanti, alla ribalta,
in primo piano, ci sono altri e ben diversi protagonisti, alcuni proiettati nel traffico
di droga, altri nel condizionamento politico-affaristico dellisola, altri ancora
nella ricerca di una pubblicità gratuita per le proprie fortune elettorali, non
calcolando che azioni sconsiderate possono mettere in pericolo la stessa vita degli
ostaggi.
Tutti questi personaggi sembrano muoversi
nella convinzione di poter agire in totale libertà e chiedono allo Stato di farsi da
parte, di non interferire, quasi che si trattasse di una partita a due: da una parte i
familiari delle vittime, dallaltra i sequestratori ed in mezzo i mediatori, a
cavallo degli uni e degli altri.
Questa è una delle ragioni per cui la
Relazione della Commissione antimafia ha avanzato precise proposte al Parlamento per
rafforzare la legge sul blocco dei beni chiedendo di non liquidare uno strumento che, come
tutti gli inquirenti sanno, è stato utile per le indagini e per la cattura dei
sequestratori ed oggi lo è anche per il recupero delle somme pagate per i riscatti, come
dimostra la notizia di ieri secondo cui i soldi che erano nella disponibilità di Cubeddu
altro latitante del sequestro Soffiantini sono stati recuperati in Svizzera.
Nessuna legge, da sola e di per sé, può
risolvere il problema dei sequestri di persona, ma una legge che ha funzionato va
migliorata, non peggiorata, né tanto meno cancellata. Con questo spirito ha lavorato la
Commissione parlamentare antimafia. (Applausi).
PRESIDENTE. Dopo lintervento del dottor Ciconte lascio la parola al dottor Enrico Carofiglio, sostituto procuratore della Repubblica di Bari, che svolgerà un intervento sul tema: "La mafia in Capitanata: il caso di Cerignola"; se non sbaglio, si fa riferimento ad eventi accaduti allinizio degli anni Ottanta, quando la nuova camorra tentò di irrompere in quellarea.
CAROFIGLIO
Enrico, sostituto procuratore della Repubblica di Bari. Si impone per me in primo
luogo di rivolgere un ringraziamento, non convenzionale, alla Commissione parlamentare
antimafia ed al Comando generale dellArma dei carabinieri per avermi fornito
loccasione di parlare di argomenti gravi e completamente sconosciuti, come
preciserò fra breve. Le forme del crimine organizzato in Puglia, infatti, oggi un
po meno che in passato, ma comunque ancora in modo massiccio, vengono troppo spesso
confuse sotto letichetta equivoca di sacra corona unita, comprendendo con questa
espressione fenomeni criminali fra loro molto diversi, che in realtà spesso non hanno
nulla a che fare con la sacra corona unita intesa in senso stretto.
Questo equivoco non riguarda soltanto
luomo della strada o il lettore di giornali che, pur interessandosi di questi temi,
non è uno specialista, ma coinvolge anche gli studiosi di questi fenomeni: ad esempio,
ancora oggi, in testi di alta specializzazione, come gli Annali della Storia dItalia
dellEinaudi dedicati alla criminalità, o in unopera recentissima sulle mafie
pugliesi, vengono definiti, in modo indiscriminato e sostanzialmente scorretto, tutti i
fenomeni mafiosi pugliesi con la denominazione di sacra corona unita.
In realtà, questa espressione costituisce
la forma ed il nome che si sono dati il fenomeno mafioso del Salento, ma non ha alcuna
efficacia esplicativa nel momento in cui si parla delle zone a nord di esso, ossia, per
intenderci, della provincia di Bari e soprattutto di quella di Foggia.
Nella provincia di Bari operano sodalizi
mafiosi i cui modi di agire, per la verità, somigliano più alle forme del gangsterismo
urbano che alla mafia nel senso più stretto del termine, ma comunque essi sono stati
repressi ed in buona misura anche studiati.
Invece, le forme del crimine organizzato
nella provincia di Foggia, in terra di Capitanata, costituiscono ripeto un
vero e proprio oggetto misterioso, non solo per chi non sia addetto ai lavori, ma anche
per gli stessi specialisti, e sostanzialmente sono conosciute solo da un numero
ristrettissimo di operatori pratici, per intenderci da pochissimi magistrati ed
appartenenti alle forze dellordine.
La stessa Commissione parlamentare
antimafia, che in passato si è pure occupata del fenomeno mafioso in quella zona,
probabilmente anche per una forma forse eccessivamente burocratica di acquisizione delle
informazioni, nelle sue relazioni dimostra sostanzialmente di non aver centrato
lessenza del fenomeno. Cercherò quindi di inquadrarlo in modo molto rapido, con
riferimento a tutta la terra di Capitanata, per poi cogliere le peculiarità del fenomeno
specifico della mafia di Cerignola.
Il territorio di Foggia, la Capitanata, in
realtà ha le caratteristiche di un vero e proprio laboratorio criminale, in cui si
rinvengono tre tipologie di crimine organizzato, tra loro diversissime e molto
significative, che coesistono in uno spazio territoriale circoscritto.
Esiste in primo luogo una criminalità di
tipo mafioso classico, ossia ritualizzata, vicina alla ndrangheta calabrese dal
punto di vista sia dei rituali, delle forme di affiliazione e di appartenenza, sia delle
alleanze vere e proprie: è stata infatti accertata dalle indagini lesistenza di
alleanze organiche con la ndrangheta, con scambio di omicidi e traffico di
stupefacenti.
Questa mafia si è caratterizzata per una
eccezionale impermeabilità. Infatti ad oggi, dopo due maxi processi, che pure hanno
colpito duramente il sodalizio autodenominatosi "la società", per quanto
riguarda la cosca foggiana non esiste un solo collaboratore di giustizia. Credo si tratti
di un fenomeno assolutamente unico.
La seconda tipologia è quella di una
criminalità di tipo rurale che opera sul Gargano, ha origine pastorale ed è protagonista
della faida più tremenda e più dimenticata di tutto il Mezzogiorno, la faida
Libergolis-Primosa, che dal 1972 ad oggi ha registrato 29 omicidi, 26 tentati omicidi, 2
lupare bianche, una serie infinita di attentati. La risposta giudiziaria è consistita in
un processo definito con sentenza passata in giudicato per un omicidio e un imputato e un
processo definito con sentenza passata in giudicato per un tentato omicidio. Il controllo
del territorio da parte di questi signori è assoluto. La ricerca di latitanti in quelle
zone del Gargano impone alle forze dellordine di agire letteralmente come forze
militari paracadutate dietro le linee nemiche. È un fenomeno ignorato sostanzialmente da
tutti. Sulle zone montuose del Gargano, come in Aspromonte, come sui monti della Sardegna,
semplicemente lo Stato non esiste.
Vi è infine, e arriviamo al tema
specifico di questo mio contributo, la criminalità cerignolana, che è una criminalità
mafiosa di tipo assolutamente peculiare, caratterizzata, a mio modo di vedere, dai tratti
di più inquietante originalità e modernità. Faccio brevemente la storia
dellepilogo, perlomeno di una parte, di questa mafia. Il 10 marzo del 1994, nel
pieno centro di Cerignola, un commando armato eliminava un piccolo spacciatore e
rapinatore a colpi di kalashnikov, fucile a pompa e armi semiautomatiche.
Nellambito di questo omicidio veniva anche gravemente ferito un bambino di dieci
anni. Questo era lultimo episodio di una serie impressionante, anchessa
sostanzialmente sconosciuta, di delitti di ogni genere: omicidi, attentati dinamitardi,
sequestri di persona. Fu lultimo episodio di questa incredibile sequenza, che portò
sostanzialmente allimplosione della mafia cerignolana. È bene evidenziare che in
quel periodo il controllo del territorio sfuggiva completamente alle forze di polizia:
bande armate di armi da guerra si fronteggiavano nel centro di Cerignola, pattugliandolo
con macchine militarizzate, senza sostanzialmente che si riuscisse a contrastare questo
fenomeno. Fu lepilogo di questa storia di sangue, di una guerra scatenatasi
allinterno di questa organizzazione, di cui brevemente definiremo i tratti
essenziali, perché sostanzialmente la frangia perdente, che era fuoriuscita
dallorganizzazione, resasi conto di essere condannata a morte, decise di collaborare
con la giustizia. Ne seguirono indagini frenetiche che in pochi mesi consentirono di
decifrare un fenomeno fino ad allora letteralmente occulto e misterioso.
Ora vorrei dare qualche connotazione di
tipo geografico e sociologico per intendere meglio la peculiarità del fenomeno di cui ci
occupiamo. Cerignola è un paese che si trova nel centro del Tavoliere delle Puglie, ha
circa 60.000 abitanti e costituisce per molti aspetti un fenomeno sociologico e criminale
di assoluta originalità, comunque non studiato. Infatti, a fronte di una tradizione di
lotte bracciantili, sindacali, di impegno civile, constatiamo lesistenza di una
microcriminalità straordinariamente aggressiva, operante entro i rigidi confini delineati
dalla macrocriminalità di tipo peculiarmente mafioso, di cui ci accingiamo a parlare. Ed
è essenzialmente nella coesistenza, micidiale dal punto di vista del senso di sicurezza
pubblica, fra microcriminalità e macrocriminalità tutta la peculiarità e la gravità di
questo fenomeno. Noi tutti sappiamo come in molte zone caratterizzate dallesistenza
di macrocriminalità potente non esista il piccolo reato. Le macchine in molti paesi della
Sicilia e della Calabria vengono lasciate aperte, perché nessuno le ruba. A Cerignola
coesistono, in parte coesistevano, entrambi i fenomeni nellambito di un vero e
proprio regolamento criminale.
E vediamo dunque quali sono le
caratteristiche peculiari di questa mafia cerignolana. La prima cosa da evidenziare, la
più significativa dal punto di vista criminologico, è che si tratta di una mafia
completamente non ritualizzata. La mafia cerignolana non pratica affiliazioni, non conosce
i gradi tipici della ndrangheta e della sacra corona unita, ed anzi li disprezza. In
una realtà mafiosa, quella pugliese, che è tutta intrisa di una ritualità di
importazione, esibita come una sorta di segno di emancipazione criminale, i mafiosi di
Cerignola disprezzano il rituale e lo evitano. Esso, infatti, è considerato come un
inutile e dannoso fattore di rischio per leventuale identificazione del sodalizio.
Il primo pentito della mafia cerignolana, interrogato specificamente sul punto, cioè
sullesistenza o meno di rituali, risponde: "I battesimi sono pagliacciate. Che
li facevamo a fare? Sono buoni per farsi scoprire. Il sangue, il taglio, la favella:
pagliacciate! Se uno è capace di fare lomicidio, va e lo fa". E infatti
liniziazione mafiosa di questo signore, un signore che un altro soggetto che di
omicidi se ne intendeva, Salvatore Annacondia, ebbe a definire "ottimo killer",
si svolse proprio con la commissione di un omicidio particolarmente efferato. E richiesto
dal pubblico ministero se per questo omicidio avesse ricevuto un compenso, quasi sdegnato
rispose di no. Anche qui è interessante riportare una parte del verbale. Il pubblico
ministero chiede: "Lei è stato pagato per questo omicidio?" "No, se ti
pagano sei solo un killer". "Che vuol dire? Perché avete fatto questo
omicidio?" Erano persone che non appartenevano allassociazione prima di
uccidere. Dopo una riflessione questo signore, che si chiama Ricciardi, risponde:
"Volevamo elevarci, volevamo essere qualcuno, volevamo appartenere". È tutto in
questo "appartenere", un verbo lasciato sospeso e senza il complemento, che
cogliamo un dato di interesse straordinario per capire il senso in generale dei fenomeni
mafiosi e in particolare di questo; in questo bisogno di appartenenza che in una società
rurale, come quella di Cerignola e di altri posti, assoggettata ad un impatto con la
modernità che non è stato possibile reggere, cogliamo il senso di quel bisogno che porta
molti giovani, non tutti di provenienza povera, allaffiliazione, non nel senso
formale che si è detto, e alla partecipazione ad un sodalizio che dà un senso di
identità e appartenenza, appunto.
In ogni caso, lassenza di rituali ha
indotto, nellambito del maxiprocesso che ha riguardato la mafia cerignolana, molti
difensori a sostenere che non di mafia si trattasse, ma semplicemente al massimo di bande
dedite al traffico di stupefacenti. Allora credo che sia opportuno cogliere, rapidamente,
i caratteri tipici della mafiosità di questo sodalizio, affermata da una sentenza di
primo grado, e ora anche da una sentenza di appello, che ha irrogato 15 ergastoli e circa
900 anni di carcere. I capi supremi della mafia di Cerignola sono i fratelli Piarulli, due
signori che, pur originari di Cerignola, governavano, e in parte lo fanno ancora dal
carcere, il territorio di Cerignola, quando erano in libertà da Milano. A Milano
trattavano da pari a pari, come ci è stato detto da più pentiti, con alte gerarchie
della ndrangheta e, in misura minore, di Cosa nostra. Un pentito, un appartenente di
altissimo rilievo alla ndrangheta, operante al Nord dItalia, spiega come
soggetti come i Piarulli, che sono pochissimi su tutto il territorio nazionale, vengono
definiti dai mafiosi ritualizzati, dai mafiosi delle mafie classiche; la definizione è:
"contrasti onorati". Contrasti onorati sono quei pochissimi soggetti che, pur
non appartenendo ad unassociazione di tipo rituale, vengono trattati con il rispetto
che si deve a capi potenti e ad affidabili soci di imprese criminali. Il modello del
governo del territorio di Cerignola da parte di questi signori è quello organizzativo
tipico del colonialismo classico, cioè a mezzo di un ristretto gruppo di plenipotenziari
locali che operavano per lappunto sul territorio. Ma a parte queste pochissime,
cinque o sei, posizioni di sovraordinazione e qui vi è un altro dato di
straordinario interesse secondo me la massa degli appartenenti, centinaia di
persone, è collocata, almeno formalmente, su un piano di parità. La forma di governo
dellassociazione è la democrazia assembleare. Questa non è una elucubrazione
sociologica di un magistrato che ha tempo da perdere, ma è il risultato delle carte
processuali del dibattimento: tutte le decisioni importanti per la vita del sodalizio
venivano prese nellambito di vere e proprie assemblee in cui nei casi più
importanti fra poco ne vedremo uno partecipavano anche i vertici milanesi. E
dunque vediamo le regole che governavano lassociazione ma io dico
governavano la città di Cerignola. Punto primo: lo stupefacente spacciato a Cerignola e
zone limitrofe doveva provenire esclusivamente da Milano, fornito appunto dai vertici. Fu
proprio una violazione di questo obbligo di esclusiva che scatenò la guerra che generò
poi limplosione e in qualche modo la fine, o comunque il grave indebolimento, di
questo sodalizio. Punto secondo: lorganizzazione era divisa in sottogruppi, definiti
squadre, cui era rigidamente assegnata la gestione di un pezzo del territorio ed il
traffico di un tipo di stupefacente. Qui vi è un altro dato di grande interesse: ogni
squadra gestiva una sua rete di spacciatori, circa 200 uomini operativi. Qui si viene ad
un punto di grande interesse: il prezzo al minuto per lo spaccio dellhashish
e della cocaina era fissato dallalto; la deroga a questo prezzo imposto costituiva
grave violazione. Punto quarto: in Cerignola era vietato, e lo è tuttora, spacciare
eroina. La regola era rispettata in modo rigidissimo. Infatti a Cerignola qualsiasi
statistica può dimostrarlo città di circa 60.000 abitanti, è quasi inesistente
il fenomeno della tossicodipendenza da eroina; i pochissimi tossicodipendenti da eroina si
approvvigionano nei paesi vicini. Attenzione, lorganizzazione mafiosa cerignolana
non disprezzava il traffico delleroina. Semplicemente la vendita era autorizzata nei
comuni limitrofi: San Ferdinando, Ortanova, Andria, Trinitapoli. La ragione del divieto di
spaccio è ovvia: linaffidabilità dei tossicodipendenti e il rischio che costoro
possano in un modo o nellaltro collaborare con le forze di polizia.
La commissione dei reati contro il
patrimonio era libera, ma con una importantissima eccezione: le estorsioni. Fino al 1989
le estorsioni erano libere. In quellanno vi fu una recrudescenza gravissima del
fenomeno e dati confidenziali, perché le denunce furono pochissime, indicarono
nellordine delle centinaia le estorsioni in corso. Il controllo delle forze
dellordine si accentuò; lintera sezione della squadra mobile di Foggia si
trasferì su Cerignola e la possibilità di lavorare in altri campi divenne molto più
circoscritta. In particolare era compromessa la libertà dei traffici, la libertà di
arrivo di grossi carichi di stupefacente che settimanalmente da Milano giungevano a
Cerignola. Nel corso di una di quelle assemblee di cui dicevo i capi milanesi scesero a
Cerignola e vietarono da quel momento in poi le estorsioni, che cessarono letteralmente da
un giorno allaltro. Viene alla mente naturalmente lesempio tratto
dallesperienza siciliana del divieto di sequestri di persona in territorio siciliano
per tutto quellindotto di controllo del territorio che essi implicavano.
Queste sono sostanzialmente, nella sintesi
imposta dai tempi brevi, le regole, direi quasi la Costituzione materiale
dellantistato mafioso cerignolano. Ma alcuni altri indicatori sono interessanti,
proprio per avviarci velocissimamente verso la fine di questo intervento. Il controllo del
territorio cittadino era pressoché totale, non solo prima dellintervento
giudiziario che ha portato poi ai processi, uno in particolare, e prima ancora agli
arresti, ma anche dopo. Dopo oltre 80 arresti dei soggetti più pericolosi si era alla
ricerca di uno dei capi, uno dei plenipotenziari di cui parlavo prima, il quale, pur
latitante, è sempre rimasto nel territorio di Cerignola. Il personale della DIA,
sconosciuto ai malavitosi locali, che circolava in Cerignola (che non è certo un paese di
5.000 abitanti), per compiere lattività logistica necessaria alla localizzazione di
questo signore, veniva sistematicamente intercettato, fermato da una sorta di polizia
territoriale mafiosa, richiesto della ragione della sua presenza in quel centro. A due
ufficiali della DIA che circolavano per lappunto nel centro di Cerignola, richiesti
di che cosa stessero facendo lì e avendo dato la risposta che erano rappresentanti di
enciclopedie, fu detto in modo secco che potevano andar via perché lì le enciclopedie
non le comprava nessuno.
Un altro dato? I parenti, anche lontani,
dei collaboratori di giustizia, quelli che non sono andati via da Cerignola fino ad oggi,
non hanno mai più potuto lavorare; la sentenza del maxi processo è del febbraio 1997.
Chi lavorava ha perso il posto e chi non lavorava è stato costretto ad emigrare non per
motivi di sicurezza e di incolumità fisica, bensì di sussistenza.
Dopo le operazioni che portarono alla
cattura (il cosiddetto blitz di cui ho parlato risale ad oltre 4 anni fa), durante
tutto il processo ed anche oggi non è stato commesso alcun omicidio, non solo e non tanto
perché alcuni dei più pericolosi killer erano stati arrestati, ma perché era
giunto lordine tassativo anche questo è un dato processuale di
evitare ogni situazione che potesse danneggiare per i capi in carcere, anche sotto il
profilo del condizionamento psicologico, lesito del processo. Che poi questa
strategia non abbia sortito alcun effetto in un processo che, devo dire, è stato
celebrato in tempo di record, che non ha registrato una sola scarcerazione e che si
è concluso con la condanna di oltre il 90 per cento degli imputati, è naturalmente
unaltra questione relativa a mezzi, modi e tecniche più adeguati per il contrasto
giudiziario di questi fenomeni. Ritengo che in unaltra occasione potrà essere
interessante parlarne. (Applausi).
PRESIDENTE. Passiamo ora allintervento dellonorevole Michele Saponara, componente della Commissione parlamentare antimafia, sul tema "La criminalità organizzata nelle zone non tradizionalmente interessate dallattività mafiosa".
SAPONARA
Michele, deputato, componente della Commissione parlamentare antimafia. Signor
Presidente, da tempo la Commissione, pur concentrando il massimo dellattenzione sui
problemi della lotta alle varie forme di criminalità organizzata nelle quattro regioni di
insediamento tradizionale (la Sicilia per la mafia, la Calabria per la ndrangheta,
la Campania per la camorra e la Puglia per la sacra corona unita), ha ritenuto di dover
prestare la sua attenzione anche ad altre zone, ad evitare che si pensasse che la difesa
dello Stato fosse concentrata unicamente su alcune aree dove le organizzazioni di tipo
tradizionale puntano al controllo del territorio avvalendosi dei tradizionali sistemi di
violenza, ricatto e omertà. Alla Commissione infatti risultava che vari elementi,
personaggi mafiosi, camorristi e della ndrangheta si erano infiltrati in zone del
Centro-Nord, cioè in zone ricche ed appetibili. Si è cercato di approfondire il fenomeno
e le indagini, che prima avevano avuto un andamento episodico, cominciarono ad assumere un
carattere più organico e sistematico.
E così la Commissione, che in un primo
momento si era accontentata di usare materiale giudiziario, in particolare le relazioni
dei procuratori generali, ha ritenuto poi necessario effettuare dei sopralluoghi,
traendone elementi e notizie molto importanti, che poi ha tenuto presenti nelle proposte
trasmesse al Parlamento, e sottolineando soprattutto la presenza dello Stato in queste
zone a rischio.
Nellattuale legislatura la
Commissione ha ripreso il percorso delle precedenti istituendo addirittura un Comitato,
presieduto dal sottoscritto, con il compito di verificare il livello di insediamento e di
infiltrazioni in aree non tradizionali di personaggi legati ad organizzazioni come la
mafia, la ndrangheta, la camorra e la sacra corona unita, nonché di organizzazioni
direttamente o indirettamente collegate con quelle specifiche forme di criminalità
organizzata o comunque ispirate a quello che viene comunemente denominato modello mafioso.
Si tratta di una ricerca complessa, in
quanto le forme di criminalità organizzata sono varie. Nelle aree non tradizionali,
invece, può registrarsi la presenza di una organizzazione "tipica", in quanto
ci sono varie e distinte tipologie, mutamenti abbastanza rapidi, di successione, di
sostituzione e di supremazia, accanto a fenomeni di convivenza talora cruenta ma assai
più spesso ispirata ad una sorta di pax mafiosa.
Il fenomeno dunque è assai complesso. E
unulteriore complessità deriva dal fatto che, mentre nelle aree tradizionali ciò
che ricorre con ovvia frequenza è linsediamento stabile, semmai con
unespansione nelle zone vicine tanto da costituire addirittura un vero e proprio
controllo del territorio, nelle altre zone invece si parla soltanto di infiltrazione. I
connotati di stabilità sono di livello inferiore per la mancanza di condizioni obiettive
o anche e soprattutto perché vi è una maggior resistenza da parte degli ambienti
sociale, politico e civile che si oppongono a qualsiasi forma di predominio.
E sono diversi anche i metodi. Nelle aree
tradizionali la mafia, la ndrangheta, la camorra e la sacra corona unita ricorrono
alla violenza, mentre nelle altre zone operano con metodi più insinuanti; e proprio per
questo è giusto parlare di infiltrazione. La ricerca del consenso è meno perentoria e
indiretta; qui si cerca addirittura la pace per poter attirare meno lattenzione e
svolgere più tranquillamente i propri affari.
Alla luce di questi chiarimenti, va detto
che lindagine svolta dalla Commissione, sia nel passato sia nel presente, conduce al
convincimento dellesistenza di una vastissima ramificazione di varie forme di
criminalità organizzata di tipo mafioso praticamente in tutte le regioni dItalia o
almeno in quelle che hanno formato oggetto di attenzione da parte della Commissione.
È chiaro che vi sono varie forme
peculiari proprie delluna o dellaltra criminalità organizzata, ma un fatto è
certo: non si può più affermare che in Italia vi sono delle isole felici. Occorre
prendere atto di un dato assai importante, e precisamente che questa presenza diffusa non
si esprime, in genere, nella forma del controllo del territorio, in quanto vi è la
resistenza di un tessuto economico-sociale e il rigetto di gran parte della società
italiana dei metodi tradizionali mafiosi, e soprattutto cè lesistenza di un
tessuto democratico capillarmente diffuso e meno facilmente permeabile
allinfiltrazione di soggetti dediti alla criminalità. Certo, vi sono pochi casi di
controllo del territorio da parte di organizzazioni di tipo mafioso anche nel Nord Italia,
ad esempio in Lombardia, specialmente da parte della ndrangheta.
In una delle audizioni svoltesi a Milano
dalla Commissione, il procuratore Borrelli, a proposito della Lombardia un
argomento su cui tornerò in seguito , ha detto: "Vorrei dire in primo luogo
che in questi sei anni, da quando è stata istituita la DDA, il passo in avanti che
sè fatto nella lotta alla criminalità organizzata è stato notevolissimo. Ci si
potrà domandare come mai fino al 1991 il fenomeno della mafia in Lombardia fosse rimasto
in realtà insufficientemente esplorato; forse, più che andare a ricercare le cause o le
ragioni per cui si era determinata tale situazione è il caso di sottolineare
limpulso che invece è stato dato grazie alla creazione di una forza durto
specifica, la DDA, che ha consentito una concentrazione di talenti," questo è
importante "una progressiva stratificazione di conoscenze e una
specializzazione nel settore, oltre che lallestimento di supporti di polizia come la
DIA, che si sono dedicati a tempo pieno a questo fenomeno".
Cosa si è scoperto a Milano? Il
procuratore Borrelli, sempre in quella audizione, ha affermato: "Le scoperte che sono
state fatte sono notevolissime. Si è accertata, infatti, la presenza in Lombardia di
tutte le mafie storiche: da Cosa nostra alla camorra, alla ndrangheta, alla sacra
corona unita sino alla stidda.... Ma la forma di associazione mafiosa recentemente più
diffusa è la ndrangheta, che fa capo alla organizzazione calabrese".
La ndrangheta ha impegnato
lattività giudiziaria di Milano in una decina di maxi processi con centinaia di
imputati, processi che hanno scompaginato lassetto delle associazioni mafiose e che
si sono conclusi con la condanna di centinaia di imputati a centinaia e centinaia di anni
di carcere.
Ma a Milano non cè solo la
ndrangheta, vi sono le mafie straniere, vi sono le mafie nordafricane, cè la
mafia cinese e cè la mafia albanese, che si dedica soprattutto allo sfruttamento
della prostituzione nonché al traffico degli stupefacenti.
Lo sfruttamento della prostituzione, di
cui ha parlato anche il dottor Maddalena, è un gravissimo problema; esiste la tratta
delle prostitute e il loro sfruttamento da parte degli albanesi e degli slavi.
Poi, vi è la mafia cinese, detta anche
"mano nera", che a Milano è stata individuata e sottoposta ad un processo che
ha avuto un certo esito. I cinesi insediati a Milano fanno parte di una comunità molto
laboriosa e assai silenziosa che cerca di non ostentare e di non estendere i propri affari
e i propri poteri verso altre comunità. Però, fra tanti cittadini laboriosi vi sono
anche dei criminali che hanno introdotto addirittura lestorsione cinese,
tantè che si chiama "pizzo al cinese", che hanno commesso reati di
sequestro di persona e addirittura di riduzione in schiavitù, tenendo degli operai
impegnati 20 ore su 24 a fare lavori di pelletteria o altro.
A Milano è stato celebrato un grande
processo che però non ha avuto la fortuna, secondo i pubblici ministeri e quindi secondo
laccusa, di veder affermata la mafiosità di questassociazione. Infatti, 40
imputati sono stati condannati per associazione a delinquere; pur silente, si tratta di
una mafia molto pericolosa che è tenuta sotto controllo.
Ma Milano è un importante crocevia: è
contemporaneamente collegato con lOriente, con i paesi dellAfrica e con quelli
dellAmerica Latina ed è uno dei maggiori centri del grande traffico degli
stupefacenti. È stata fatta una stima ed anche dei conti approssimativi per la
redditività e i profitti delle grandi operazioni del traffico degli stupefacenti: si
tratta sempre di cifre sbalorditive.
Tutte queste attività perseguono due
obiettivi non sempre facilmente distinguibili: da un lato, realizzare profitti o vantaggi
e, dallaltro, impiegare, reinvestire e ripulire le enormi quantità di denaro
illegalmente acquisito e che occorre, in qualunque modo, reimpiegare.
Ci sono diverse modalità di infiltrazione
e ciò dipende da area ad area. Ci sono delle infiltrazioni in Romagna, in Versilia e in
Liguria; altre addirittura in zone turistiche, come a Montegrotto e ad Abano, e poi in
quelle zone dove sono collocate le case da gioco, come Saint Vincent e Sanremo.
Non ci sono "isole felici"
come dicevo perché perfino la Sardegna, refrattaria in sé alle classiche
forme di insediamento mafioso, non può considerarsi immune da tali infiltrazioni. Lo
stesso va detto per la zona del bresciano, che in passato non fu degnata di sufficiente
attenzione. La Commissione parlamentare antimafia lasciò sempre inesplorata la fascia
orientale della Lombardia, nella diffusa convinzione che Milano esercitasse una forza
attrattiva così pregnante per i criminali mafiosi da rendere praticamente esente da
infiltrazioni tutto il resto della regione. Si delinea, quindi, un quadro davvero
allarmante: la presenza di mafiosi, di criminali specialmente meridionali (quindi,
calabresi, siciliani, pugliesi e napoletani) e, quindi, camorra, mafia, ndrangheta e
sacra corona unita infiltrate e insediate al Nord. Pertanto, bisogna subito porsi la
seguente domanda: quali sono le cause della presenza di criminali del Sud nel Nord del
Paese?
Tante sono le cause ed occorre
individuarle per cercare di intervenire su di esse. Innanzi tutto vi è stato un utilizzo
incauto e improvvido dellistituto del soggiorno obbligato. Questa misura, cui si è
ricorso frequentemente e senza adeguate garanzie di controllo, ha praticamente disseminato
in tutto il Centro e nel Nord del Paese numerosi soggetti di chiara origine mafiosa e li
ha radicati in zone che altrimenti sarebbero rimaste immuni. Inevitabilmente questi
personaggi si sono gradualmente insediati, vi hanno portato le loro famiglie ed hanno
creato un humus favorevole per la loro attività. Si è trattato, indubbiamente, di
un vero e proprio processo di inquinamento del territorio nazionale, che è stato
determinato da una evidente sottovalutazione del fenomeno criminoso.
Altre cause di tali spostamenti di
soggetti mafiosi sono state rappresentate dalla fuga dalle zone di origine o per sottrarsi
a vendette di famiglie o cosche rivali o per necessità di evitare controlli rigorosi da
parte delle autorità. Si sono registrati dei grandi flussi migratori in particolare dagli
anni Cinquanta, prevalentemente dal Sud verso il Nord, nel momento in cui grandi aziende
avevano bisogno e richiedevano manodopera. Purtroppo, assieme a tantissimi onesti
lavoratori immigrati, che si sono fatti onore nel Nord ed hanno portato limpegno e
la forza sia delle braccia che della mente, sono arrivati anche soggetti più disponibili
ad altri tipi di attività (forse non riuscivano a trovare lavoro), che hanno
rappresentato un punto di riferimento come manovalanza o basi sicure per la criminalità
che intendeva insediarsi nel Nord.
Unultima causa, infine, è
rappresentata dallappetibilità delle zone di destinazione. È chiaro che i mafiosi
e gli altri criminali cercavano le zone che offrivano più ricchezza e possibilità di
riciclare il denaro sporco e di guadagnare attraverso il traffico di stupefacenti, delle
armi e attraverso la prostituzione. Guardavano a Milano quando questa città rappresentava
il massimo dello sviluppo e della ricchezza della società e poi tentavano di infiltrarsi
in qualsiasi altra zona che, in un certo momento, potesse essere appetibile ed avere
prospettive di sviluppo. Così hanno cercato anche di inserirsi in Basilicata quando si è
insediato il grande complesso della Fiat nella zona di Melfi (con tutte le logiche
prospettive non solo per loccupazione, ma anche per lindotto nella fase di
operatività).
Per quanto riguarda i rapporti instaurati
tra le varie mafie e criminalità organizzate, cito come esempio un elemento fortemente
indiziante, rappresentato dal fenomeno dellautoparco di Milano, che per molti anni
ha prosperato. Cè stato un intreccio di mafia in cui sono confluiti criminali di
diverse origini.
Un altro episodio significativo è quello
dei sequestri di persona, ideati ed organizzati nel Sud e poi eseguiti in Lombardia o in
zone adiacenti. Un caso tipico è quello del sequestro, purtroppo tragicamente concluso,
di Cristina Mazzotti, effettuato nel 1975 in Brianza. Lo spunto organizzativo è partito
dalla Calabria, regione nella quale furono dirette le operazioni, usando intermediari
inviati sul posto, ma utilizzando per la cattura e la custodia una squadra di malviventi
locale, in parte ex contrabbandieri convinti di poter fare il salto di qualità.
Per quanto riguarda le armi, devo dire che
queste venivano fornite dalle organizzazioni delle zone tradizionali. La vicenda
dellautoparco di Milano ha evidenziato collegamenti strettissimi tra le varie mafie.
Si è accennato anche alla "mafia del Brenta", che ha instaurato un robusto
controllo su un intero territorio, sulla base di unalleanza di ferro tra soggetti
diversi (cioè una mafia locale che si è, in un certo senso, organizzata allo stesso modo
di quelle tradizionali).
I fenomeni criminali che hanno attecchito
nel Nord del Paese sono quelli tradizionali. Il traffico di stupefacenti esiste in ogni
regione, ma in alcune zone si accentuano gli aspetti distributivi. Comunque, non cè
dubbio che, se tutte le regioni sono in varia forma centrali di acquisizione e di
smistamento, Milano appare come uno dei centri più importanti, proprio perché collegata
direttamente con tutti i luoghi di produzione (il dottor Carofiglio, nel corso del suo
intervento, ha detto che determinati stupefacenti sono stati forniti soltanto dalla piazza
di Milano).
Per quanto riguarda gli appalti e le opere
pubbliche, si riscontra qualche differenza tra una zona e laltra perché, non
potendosi in genere far valere luso della forza e limpiego diretto
dellintimidazione come in altre parti del Paese, qui occorre operare con metodi più
insinuanti.
Sullargomento dellintreccio
tra mafia e politica si è sempre parlato. Si è parlato della "Duomo connection"
a Milano come della prova che la mafia aveva conquistato la città, ma fortunatamente il
tutto si è sgonfiato e il relativo processo si è concluso con la condanna di un
funzionario per il reato di abuso dufficio. Vorrei, a questo punto, spendere qualche
minuto sullargomento del gioco dazzardo, perché è molto praticato e desta
vivo interesse specialmente nella camorra, la quale riesce addirittura ad usare delle
bische a cielo aperto. Poi vorrei soffermare lattenzione sulle altre zone che
abbiamo visitato.
Abbiamo detto che la Procura della
Repubblica di Milano è molto agguerrita e che la società civile è altrettanto
agguerrita e sensibile. Il sindaco Albertini, a proposito dellinteresse che desta la
criminalità organizzata in Lombardia, ha detto una verità. Ha detto che si prende atto
dellesistenza di una criminalità organizzata e che come sindaco si deve interessare
anche di ciò che la popolazione vive sulla sua pelle ed affronta, ossia la
microcriminalità. Addirittura voleva impostare in Italia il modello Giuliani di New York.
Il presidente Formigoni, al riguardo altrettanto sensibile, ha avuto addirittura il
coraggio, in un momento particolare per la città, di ipotizzare la presenza inquinante
della mafia, della criminalità organizzata nel campo della moda. Purtroppo questa
affermazione coincideva con importanti sfilate di moda e provocò feroci e comprensibili
reazioni negli operatori del settore.
In altre zone esiste lecomafia; mi
riferisco alla raccolta dei rifiuti: addirittura si ipotizza il carico di molti rifiuti su
navi che vengono poi fatte affondare (nella migliore delle ipotesi i rifiuti vengono
portati a destinazione).
Esiste poi la situazione delle Marche, che
abbiamo visitato, che non rappresenta più quellisola felice di un tempo. Vi ricordo
il piccolo contrasto sorto tra il procuratore generale dottor Poggi che
escludeva assolutamente un inquinamento della regione, ed un procuratore della Repubblica
dottor Angelucci che, subìto un attentato, lo ha contraddetto. In ogni
caso, devo dire che la zona è a rischio, perché scorre un grande fiume di denaro.
Cè un porto in cui sbarcano centinaia di TIR (si ipotizza il trasporto di droga)
senza che vi possa essere un adeguato controllo; cè un aeroporto in cui sbarcano
migliaia di turisti russi (molte prostitute russe o ucraine) che investono fiumi di denaro
nellacquisto di scarpe, argenteria e pare che guardino anche ad aziende decotte e ad
alberghi.
Nelle altre zone dItalia si
riscontra poi lusura, lestorsione e via dicendo. Pertanto, la situazione deve
essere necessariamente posta sotto controllo. Le forze dellordine e la magistratura
si stanno attrezzando e, quindi, sono in grado di opporre una volontà ed una tecnologia
che può stare dietro alle sofisticazioni molto avanzate del riciclaggio. Dunque, occorre
essere vigili e soprattutto che la lotta alla criminalità organizzata sia condotta con
uguale impegno in tutta lItalia. (Applausi).
PRESIDENTE. Ricordo ai presenti che questa parte del Convegno è dedicata alla "Conoscenza, investigazione e contrasto alla criminalità organizzata per il controllo del territorio". Senza ulteriori preamboli, do la parola al dottor Piero Luigi Vigna, procuratore nazionale antimafia.
VIGNA Piero Luigi, procuratore
nazionale antimafia. La ringrazio, signor Presidente, e il ringraziamento si estende
al presidente Del Turco, alla Commissione parlamentare antimafia e al Comandante generale
dellArma dei carabinieri per questo invito. Mi propongo di svolgere alcune
sintetiche riflessioni, come sono imposte dai tempi che ci sono assegnati, sul tema di
questa tornata di lavori: "Conoscenza, investigazione e contrasto alla criminalità
organizzata per il controllo del territorio".
Il concetto di controllo di territorio
può essere colto in un duplice significato: controllo fisico o militare del territorio
oppure controllo conoscitivo del territorio. Io ritengo che si debba privilegiare il
controllo conoscitivo del territorio; è questo e solo questo che penetra nel tessuto del
territorio; laltro tipo di controllo, per così dire, lo sorvola.
È il controllo conoscitivo che innesca le
investigazioni; quello fisico assolve esclusivamente o quasi ad una funzione di
prevenzione generale, che poi spesso, in particolari zone mi riferisco a Napoli e
allhinterland non riesce neppure sempre a sortire i suoi effetti
perché fatti gravissimi avvengono nonostante il controllo fisico del territorio.
Il controllo conoscitivo da privilegiare
deve avere, a mio avviso, la caratteristica di essere relazionale, e ciò con riferimento
ad almeno tre parametri. Il primo parametro è quello della sua localizzazione. Il
territorio dico cose risapute va frazionato secondo opportuni criteri, per
esempio in relazione allesistenza di insediamenti economici o allesistenza di
aree di particolare disagio, anche sociale. La istituzione di un commissariato nel
quartiere Scampìa è una dimostrazione di questo. Il territorio va frazionato per
quartieri; ogni quartiere ha i suoi problemi.
Il secondo parametro di relazione del
controllo conoscitivo è il suo affidamento per un tempo sufficientemente ampio al
medesimo personale, che ovviamente ha bisogno di una professionalità del tutto specifica
e diversa da quella che richiede il controllo fisico o militare.
Il terzo parametro di relazione è che si
deve instaurare una serie di rapporti fra il personale adibito al controllo conoscitivo di
una certa frazione del territorio con le realtà sane espresse dalla società civile in
quel determinato spazio, in modo da determinare e realizzare una conoscenza costruita
insieme.
In questa visione una particolare
attenzione, a mio parere, e un particolare impegno di conoscenza devono essere rivolti
alle realtà economiche che operano nel territorio, a cominciare dalla apertura a volte
inspiegabile di negozi lussuosi che non sono frequentati da alcun cliente apparente, dal
rilievo di merci vendute a prezzi inferiori a quelli praticati usualmente sul mercato, al
monitoraggio delle licenze o dei trasferimenti di licenze di esercizi commerciali che
avvengono in quel determinato territorio, fino ad arrivare a quello che, probabilmente,
nellaggressione generale che dobbiamo compiere alleconomia criminale è il
punto cruciale: gli appalti. Questo è il grande problema del nostro momento. Noi
assistiamo a ribassi sui prezzi iscritti nei bandi di gara che vanno dal 35 al 40, al 45
per cento. Notiamo che nei cosiddetti consorzi dimpresa compare unimpresa sana
attorniata da imprese satellitari che tali non sembrano essere. È questo che può
spiegare la altrimenti inspiegabile dinamica di questi ribassi anomali.
Non cè bisogno di ricorrere al
credito bancario, il denaro affluisce probabilmente dalle imprese satelliti. Laltra
dinamica è che chiunque vince un appalto in certe zone subisce o estorsioni dirette per
una certa percentuale dei lavori che si è aggiudicato o è costretto a cedere in
subappalto a imprese infiltrate dalla economia criminale.
Anche il Presidente della Commissione
antimafia ha sottolineato che migliaia di miliardi dovranno affluire al Sud e questo ci
conferma che le organizzazioni criminali vanno dove vi è effervescenza economica e si
impadroniscono degli snodi della economia, per esempio lappalto, per rivolgere
questa effervescenza a proprio favore, impedendo che si trasformi in sviluppo sociale.
Direi che è poi nella fase della investigazione di polizia e nella fase della indagine
del pubblico ministero che queste conoscenze frazionate, che ci derivano dal controllo
conoscitivo-relazionale che ho cercato di illustrare brevemente, debbono essere ricondotte
ad unità, e lo strumento per ricondurle ad unità è il coordinamento.
Il coordinamento, come si sa, sta a
significare che più autorità sono tutte competenti in determinate materie, che queste
materie hanno momenti di collegamento fra loro, per cui il tutto deve essere coordinato al
medesimo fine. E allora provvidenzialmente già nel 1991, la legge n. 203,
allarticolo 12, comma 1, prevedeva che, per assicurare il collegamento delle
attività investigative relative alla criminalità organizzata, le amministrazioni
interessate provvedono a costituire i servizi centrali e interprovinciali, e, ancora, nel
comma 3 dello stesso articolo, stabiliva che questi servizi si coordinano fra di loro e
con gli altri organi di polizia. Ma, superata la fase della investigazione di polizia,
ecco che il coordinamento deve essere fatto dal magistrato; è il magistrato
stabilisce sempre questa norma che deve impartire le direttive (lo prevede il comma
5 dellarticolo 12) per attivare leffettivo coordinamento investigativo fra i
diversi organismi di polizia giudiziaria. Ma non basta: i magistrati si debbono coordinare
fra loro.
È così che il frazionamento di
conoscenze viene ridotto ad unità per lottimale e completo svolgimento delle
indagini. È appunto lorgano che dirigo che ha la funzione di coordinare le indagini
in tema di delitti di mafia, così come sono i procuratori generali che debbono coordinare
quelle in tema di criminalità comune ed eversiva.
Ma, signori, ogni nostro discorso sul
controllo e sullefficacia dellazione repressiva questa parola è
tornata più volte stamani delle forze di polizia non avrà sufficienti esiti e,
come diceva il presidente Violante con riferimento alla criminalità diffusa, urbana,
predatoria vedete quanti nomi , alla microcriminalità, determina lo stacco
della fiducia dei cittadini da noi, se la macchina della giustizia non funzionerà.
Una macchina della giustizia che non
funziona è produttiva di non legalità. Il creditore che per riscuotere il proprio
credito deve aspettare decine di anni sarà costretto a far ricorso a persone che
ottengono il pagamento con mezzi bruschi o agli usurai. Il poliziotto che vede la persona
arrestata una, due, tre, quattro, cinque, sei o sette volte (siamo arrivati, mi pare, a
questo record), nel giro di due o tre mesi, ricomparire sulla strada a commettere i
medesimi reati, se non è un santo, sarà demotivato.
E allora come fare? Non si può certo
tornare indietro su un modello processuale quale è stato scelto nel 1989, ma si può
sicuramente sfoltire il numero dei reati. Si possono pensare forme di mediazione sociale,
come sono ipotizzate in iniziative parlamentari, e per diminuire il carico dei processi si
può ampliare la perseguibilità a querela, ma sicuramente si dovrà anche aumentare il
numero dei giudici.
I magistrati italiani, infatti, per una
singolare interpretazione corporativa del loro ruolo, si sono sempre dimostrati non
disponibili ad aumenti del loro organico; mi sembra invece che sia giunto il momento,
anche comparando i nostri parametri con quelli di altri paesi europei, di compiere una
meditazione su questo punto. Quando sono stato a Francoforte e ho chiesto al procuratore
quanti sostituti avesse, lui mi ha risposto: "140" e di fronte alla mia sorpresa
ha replicato: "Sa, noi facciamo le indagini", perché, domando, in Italia il
pubblico ministero sta forse a guardare?
Quello relativo al numero dei giudici è
soprattutto un nodo molto importante; perché le indagini proseguono sempre: il pubblico
ministero non è mai solo ed anche ad organici ridotti può dare le opportune direttive
alla polizia giudiziaria. Lo stesso non si può dire però per il giudice per le indagini
preliminari e per il tribunale: a quel livello tutto finisce e svanisce.
Ha forse allora ragione il Ministro
tedesco della giustizia quando sostiene che è necessario cercare di colpire la
microcriminalità (dato che il processo penale ha i suoi tempi lunghi e in attesa che
divengano più brevi) con sanzioni che colpiscano immediatamente linteresse del
soggetto, del microcriminale, comminate in via amministrativa. Non sono mai state
sollevate questioni, infatti, riguardo al potere del prefetto di ritirare la patente dopo
un incidente stradale o alla possibilità del questore, in caso di violenze compiute nel
corso di manifestazioni sportive, di proibire laccesso ai luoghi dove si pratica lo
sport invitando il soggetto nei propri uffici.
Penso che, probabilmente ma il
discorso ha bisogno di meditazione certi soggetti sono molto più sensibili a
questo tipo di sanzioni piuttosto che ad una sanzione molto rimandata. Speriamo comunque
che i tempi del processo penale si abbrevino. (Applausi).
PRESIDENTE. Questa geometrica relazione merita, con il suo consenso dottor Vigna, una duplice notazione. Spero che lei, avendo detto che una giustizia che mal funziona non è tale, voglia arricchire il concetto includendovi anche quello di una giustizia che non proceda attraverso abusi.
VIGNA. Certo, questo è il presupposto!
PRESIDENTE. Inoltre, per quanto riguarda larricchimento dei ruoli, prima di provvedere a ciò, che è questione controvertibile, bisogna riformare il sistema di reclutamento dei magistrati che, allo stato delle cose, può garantire lafflusso ma non la qualità degli stessi. Ciò detto mi complimento con il dottor Vigna e lo saluto. Invito ora il dottor Cordova a svolgere la sua relazione.
CORDOVA Agostino, procuratore della Repubblica della DDA di Napoli. Signor Presidente, saluto innanzi tutto luditorio ed entro subito nel tema che sono stato invitato a trattare, ossia: "Conoscenza, investigazione e contrasto alla criminalità organizzata per il controllo del territorio". Potrei iniziare e concludere subito il mio intervento con la semplice considerazione, o meglio osservazione, se non constatazione, che non vedo come si possa assicurare il controllo del territorio laddove per ragioni nel cui merito non spetta a me entrare, non è possibile neppure il controllo dellimmigrazione clandestina, come dimostrato dagli sbarchi quotidiani, o meglio, da quelli che vengono accertati. Eppure tale controllo sarebbe in astratto di estrema facilità: dal momento dellinvasione, infatti, la presenza materiale degli immigrati ricade sotto gli occhi di tutti.
Nonostante le frequenti dichiarazioni
giornalistiche, a parte il ripetuto mito della necessità di non creare allarmismi e di
non sopravvalutare il fenomeno, ritengo che ciò costituisca un dato di fatto
inconfutabile. Per un verso, infatti, il fenomeno dellimmigrazione era in passato
limitato alla ben organizzata "spedizione", allaccoglimento ed allo
smistamento dei clandestini nella loro utilizzazione nel lavoro nero e nella
prostituzione; seguirono poi gli inserimenti degli immigrati anche nella manovalanza delle
organizzazioni camorristiche e successivamente si ebbe anche la nascita di qualche
organizzazione autonoma. Per altro verso, come è a tutti noto, negli ultimi tempi al
trasporto dei clandestini si è abbinata limportazione di droga e di armi da guerra.
Tuttavia ciò mi dà lo spunto per
proseguire, atteso che detto fenomeno è dovuto non solo ad eventuali insufficienze nel
controllo del territorio, bensì soprattutto alla normativa in materia, che rende
impossibile o effimero il controllo. Intendo dire che basterebbe una normativa penale che
consentisse larresto in flagranza di chi venga colto in situazione di clandestinità
e la sua immediata espulsione alla fine del periodo di detenzione carceraria per
sconsigliare limmigrazione clandestina in Italia. Ripeto, a me sembra del tutto
ovvio, ma per motivi che come magistrato non mi interessano, è fuori da ogni previsione.
Ritornando al tema di cui sono stato
invitato a discutere, per il vero invertirei i termini con cui è stato formulato, ossia
"Conoscenza, investigazione e contrasto alla criminalità organizzata per il
controllo del territorio", perché la conoscenza è di norma il frutto
dellinvestigazione ed in astratto proprio il controllo del territorio dovrebbe
servire per contrastare la criminalità organizzata.
Se investigazione e conoscenza fossero
strumentali al controllo della criminalità e quindi a quello del territorio, che sarebbe
il risultato finale, il discorso apparirebbe limitativo, in quanto si assumerebbe che dal
contrasto alla criminalità organizzata conseguirebbe automaticamente non solo e non tanto
il controllo del territorio, quanto la neutralizzazione delle attività delittuose.
Per confutare ciò basterebbe la
testimonianza dei fatti: il fenomeno del pentitismo e le conseguenti indagini hanno non
solo contrastato la criminalità camorristica sul territorio, ma hanno addirittura causato
lo sconvolgimento dellassetto camorristico, eppure non hanno prodotto il controllo
del territorio, che è rimasto o ai vecchi clan, in persona dei loro capi detenuti
o latitanti, oppure delle nuove leve, o viceversa ai clan che hanno assunto il
predominio approfittando del temporaneo indebolimento degli altri, maggiormente colpiti
dai provvedimenti giudiziari.
La conseguenza è che lo Stato non è
riuscito a riappropriarsi del territorio, perdendo così unoccasione storica. Le
cause di tale fallimento vanno ravvisate, in primo luogo, nella mancanza di un piano
organico unitario e generale a medio e lungo termine per la riappropriazione del
territorio ed in secondo luogo nellassoluta inadeguatezza di uomini e di mezzi.
Bisogna, infatti, superare le consuete affermazioni di rito sul fatto che a Napoli esiste
il maggior numero di magistrati e di forze dellordine rispetto a tutte le altre
città dItalia, perché si insiste nel raffrontare gli organici con la popolazione
residente e non con la popolazione delinquente, con il numero dei procedimenti pendenti e
non con il numero degli indagati per ciascun provvedimento per cui, ad esempio, il
procedimento sul caso Stano, che conta oltre 1.300 inquisiti, dal punto di vista
statistico vale per uno.
Tornando al controllo del territorio, esso
andrebbe inteso come un sistema ordinato di vigilanza e di presidio, che valga sia a
prevenire sia ad impedire i fatti criminosi, o, quanto meno, alla fine, ad individuarne
gli autori.
Mi sembra però che ciò valga unicamente
per i crimini comuni che si commettono palesemente, e non per quella serie infinita di
reati e per le attività socialmente pericolose che vengono realizzati in maniera diversa,
quasi sempre non palese (sia essa oculata, o mascherata, o addirittura legalizzata) e che
consentono alle organizzazioni criminose di controllare il territorio, con il potere che
esercitano e con il timore che ingenerano, costituendo esse lautorità che si
sostituisce a quella dello Stato, e le cui regole sono ferree e le sanzioni immediate,
inappellabili, non patteggiabili, né prescrivibili, né amnistiabili o depenalizzabili.
A parte ciò, il controllo del territorio
nel senso anzidetto presuppone la materiale controllabilità di esso, cosa possibile solo
nelle aree in cui non insistano grandi centri urbani ed in cui i residenti siano in genere
conosciuti o facilmente controllabili dalle forze dellordine e non in territori
vastissimi e ad altissima densità come quelli partenopei.
La riprova di ciò è costituita da tutta
la serie di reati che quotidianamente vengono commessi sotto gli occhi di tutti, dagli
omicidi nelle pubbliche vie, talvolta con coinvolgimento di innocenti passanti, agli
scippi, alle rapine, alla vendita di tabacchi di contrabbando.
In realtà, in zone come quella
napoletana, più che con il controllo, la sicurezza del territorio si crea ripristinando
la legalità, sgominando le organizzazioni criminali e, soprattutto, sconfiggendo quella
che un tempo era definita "lalta camorra", da cui dipendono o sono
controllate la "bassa camorra" e la criminalità comune.
Infatti, la camorra non deve essere
identificata solo con la sua parte armata: essa non impone soltanto tangenti e non
gestisce solo il contrabbando, lusura e il lotto clandestino, ma, come è noto a
tutti, o quasi, monopolizza interi settori dellimprenditoria, crea investimenti,
assicura lavoro ad una propria clientela e procaccia voti, ma di questo non si parla più.
La camorra si è inserita, con i suoi
molteplici interessi, attraverso la sua rete capillare, nei rapporti economici,
finanziari, amministrativi ed anche politici, con infiltrazioni, inquinamenti e
condizionamenti in tutti i settori da cui può trarre direttamente o indirettamente fonti
di lucro.
In conclusione, per sgominare lalta
camorra occorrono uomini e mezzi, che invece sono notoriamente del tutto inadeguati e che
non vengono mai adeguati. Non è il caso, al riguardo, di ricordare come la parte del
bilancio dello Stato destinata alla giustizia si aggiri intorno al 2 per cento.
PRESIDENTE. Lievemente di meno.
CORDOVA Agostino, procuratore della
Repubblica della DDA di Napoli. Non solo, ma al dilagare dei fenomeni criminosi
corrisponde il progressivo abbassamento degli argini della normativa penale non
entro nel merito, anche qui faccio una semplice constatazione e ciò in contrasto
con i più comuni princìpi di diritto per cui più gravi sono i fenomeni criminosi, più
severa deve essere la reazione dellordinamento. Non avvenendo, mi pare che si
assista ad un progressivo abbassamento di livello di gravità. Aggiungasi la virtualità
del sistema penale dovuto alla paralisi della giustizia, talché la pena è diventata
ormai un evento aleatorio, improbabile, remoto, eventuale, amnistiabile; in conseguenza di
tale paralisi, la maggior parte dei reati è destinata alla prescrizione, alla scadenza
dei termini di custodia cautelare: è un evento facilmente prevedibile, e vi è la
mancanza di qualsiasi funzione preventiva della sanzione penale, non avendo più la pena
alcun effetto deterrente.
Quello che dovrebbe far riflettere di
più è la generale minimizzazione dei fenomeni criminali, come un fatto su cui
ignoro perché non è opportuno attirare lattenzione. E quando ciò non sia
possibile per la loro eclatanza, si assiste, ma per poco tempo, ad una serie di ignote
reazioni: viene giustamente sollecitata la massima concentrazione investigativa, dopo di
che tutto ritorna come prima. E non è il caso di ricordare come le pur sacrosante
indignazioni generali causate dalluccisione di Silvia Ruotolo non si siano ripetute
per altri eventi simili. E lascio agli intenditori spiegarne il perché.
Oltre alla minimizzazione dei fenomeni
criminali, va aggiunto che poi in tempo di "pace", pace fra virgolette,
"pace" camorristica, chi osi incautamente ricordare lesistenza di tali
fenomeni va incontro a tutta una serie di reazioni. Nella migliore della ipotesi viene
tacciato di esagerare, gli si chiedono i nomi, le prove, come è avvenuto quando si è
parlato dellesistenza della camorra a Bagnoli, dei relativi patti. Addirittura
qualcuno disse che si facevano chiacchiere da bar dello sport. Poi quando, come avviene
normalmente, si forniscono le prove, allora si capovolge la situazione, magari da parte di
coloro che poco tempo prima avevano sostenuto il contrario, e si addebita la colpa di tale
situazione proprio a chi laveva eventualmente prevista, segnalata, ed aveva fatto di
tutto per evitarla, assai ben oltre i limiti degli esigui mezzi messigli a disposizione.
Queste relazioni obiettivamente hanno effetto delegittimante, hanno conseguenze
delegittimanti, così come in altre occasioni a chi lamentava la situazione di Bagnoli si
disse che sembrava un inviato dellONU a Napoli, un delegato internazionale dei
diritti delluomo. Chi sollecitava per questi motivi gli adeguamenti degli organici
fu definito "piagnone". Se così stanno le cose, mi sembra che manchino tutti i
presupposti per cui si possa parlare costruttivamente del tema odierno del Convegno, cioè
del contrasto alla criminalità e del controllo del territorio. A mio avviso, proseguendo
su tale via, sarà la camorra a controllare sempre più il territorio, sarà la camorra,
attraverso la sua ultima generazione pulita, che prima o poi tenterà legalmente la
scalata al potere, a meno che non si adottino soluzioni di emergenza, non vengano
eliminati i fattori ostativi che ho sommariamente indicato e non si ripudi la cultura
dellapparenza, che mi ricorda la teoria di quel personaggio del "Candido"
di Voltaire, il filosofo Pangloss, secondo cui tutto procede nel migliore dei modi
possibile e nel migliore dei mondi possibili. Si dirà naturalmente che sono pessimista;
credo invece, sia pure poco diplomaticamente, di essere realista. Comunque è inutile
discutere, sul punto a suo tempo parleranno i fatti. (Applausi).
PRESIDENTE. Il severo intervento del procuratore Cordova voleva sembrare prodotto dellosservazione della realtà che egli tratta ogni giorno, quella locale, quella meridionale. In realtà è un punto di vista che ha un valore generale e per questo va maggiormente apprezzato. Una mente ordinata, naturalmente, fa il suo accenno contro linvasione dei nostri territori da parte di torme di sventurati, ma non si consente un discorso più ampio. Cioè, nel deprecare questi arrivi di sventurati, noi tralasciamo proprio oggi il tema di coloro che entrano nel nostro territorio non dai flutti e tra gli scogli, ma essendo ricevuti come dame inguantate al soglio di una reggia. (Applausi). Do ora la parola al generale dei carabinieri Claudio Blasi, comandante della terza Divisione dei carabinieri "Ogaden".
BLASI Claudio, comandante
della terza Divisione dellArma dei carabinieri. Signore e signori, anzitutto un
saluto fervido e cordiale a tutti gli intervenuti ed un ringraziamento al Comandante
generale dellArma dei carabinieri per lopportunità offertami di prendere la
parola in un consesso così qualificato. Passando subito al tema dellodierna
sessione, premetto che la mia relazione trarrà spunto dalla conoscenza quale momento
essenziale del controllo del territorio, e ciò per due motivi: il primo perché delle
investigazioni e del contrasto alla criminalità organizzata altri hanno già trattato o
tratteranno, ed il secondo perché, come diceva poco fa il procuratore Vigna,
lefficacia dellattività di prevenzione è imprescindibilmente correlata alla
preliminare cognizione di fatti e circostanze. Controllare il territorio, a mio avviso,
non significa soltanto presidiare unarea, ma soprattutto conoscerne dettagliatamente
le caratteristiche socio-ambientali e viverla a stretto contatto con la comunità,
sentendosi parte integrante della stessa e riscuotendone la fiducia. Se facciamo un attimo
mente locale, non passa giorno senza che studiosi, opinionisti e tecnici
dellinformazione dibattano sul fenomeno della micro e della macrocriminalità, ne
analizzino le cause, ne propongano i rimedi, in una specie di rituale che poi raggiunge il
diapason nel momento in cui più alto si fa lallarme sociale per il verificarsi di
gravi episodi delittuosi.
Ed è sotto lemotività di tali
eventi che si chiede come rimedio il potenziamento delle forze dellordine,
listituzione di nuovi presidi, linvio dellesercito per consentire a
carabinieri e polizia di dirottare le proprie unità dalla vigilanza di obiettivi fissi a
compiti più dinamici e remunerativi. Tali soluzioni, certamente condivisibili, anzi
auspicabili, non sempre però sono compatibili con le risorse disponibili, ma soprattutto,
come lesperienza insegna, non sempre producono effetti risolutivi. È di tutta
evidenza, infatti, che i servizi di vigilanza, non orientati da una sottostante adeguata
conoscenza della situazione, non sono in grado di sviluppare una efficace prevenzione,
specie se la si contrappone alla ricorrente imprevedibilità dellazione delittuosa.
E non occorre qui ricordare gli omicidi, i ferimenti o altre violenze attuati in
prossimità di obiettivi cosiddetti protetti.
È pur vero che un tempo tale modalità di
controllo fisico del territorio da parte delle forze dellordine aveva una maggiore
efficacia perché la comunità era statica, e soprattutto meno individualistica, e quindi
in grado di opporre delle istintive ancorché elementari difese. La società moderna
invece, caratterizzata da un forte dinamismo di relazioni e da uno spiccato soggettivismo,
induce quasi naturalmente ad una nuova concezione della risposta dello Stato, specie nelle
grandi città. In tale contesto si sta sviluppando un salto culturale che vede il
cittadino appropriarsi del diritto alla sua sicurezza ed alla pacifica convivenza,
affidando al nucleo sociale, sia come entità singola (quartiere, rione, strada) che come
referente delle sue varie categorie, la responsabilità di assumersi lautocoscienza
della propria difesa.
Va da sé che questa nuova visione non
incide sul ruolo primario delle forze dellordine, anzi ne sollecita
lefficienza e la puntuale aderenza alle dinamiche sociali. Mi rendo però conto che
il passaggio è delicato e non vorrei essere frainteso. Per questo chiarisco che non
intendo certo ipotizzare una società armata, che si fa giustizia da sé, né teorizzare
il proliferare di agenzie di sicurezza private, o di più polizie a diversa competenza
territoriale, come lesperienza americana potrebbe suggerirci; mi riferisco invece ad
una comunità attenta e partecipe, capace di trovare in se stessa indirizzi organizzativi
per resistere al meglio allattacco del crimine. Più essa sarà solidale e
determinata, maggiori saranno le possibilità di ricondurre ad un fenomeno fisiologico
quellaggressività e quella violenza nelle sue varie forme e manifestazioni, che
sempre hanno caratterizzato luomo, ma che oggi si presentano con forme più
accentuatamente patologiche. Non a caso ricorre con sempre maggiore frequenza
linvito di autorità, politici ed operatori della giustizia ad una più partecipe e
convinta collaborazione dei cittadini, ed in concreto si ha notizia dellistituzione
di telefoni, più o meno colorati, cui rivolgersi per segnalazioni, se necessario anche
anonime, di associazioni pro vittime di questo o quel reato, di iniziative varie
per risvegliare e mobilitare le coscienze. In proposito lappassionata relazione di
don Ciotti di questa mattina mi sembra particolarmente significativa.
In questo modo nuovo di affrontare le
problematiche criminali tre, a mio avviso, sono le linee guida da perseguire. La prima,
una autentica cultura di valori civili, leducazione alla legalità, che non è fatta
però di sole parole, ma di esempi quotidiani da parte di tutti, che presuppone la
riscoperta in primo luogo della famiglia e della scuola come strutture essenziali per la
crescita dei giovani, la cui formazione, accanto ai diritti, non dovrebbe mancare di
sottolineare i doveri.
Forse avremo meno creatività, ma di certo
ci sarebbe una più diffusa consapevolezza che per vivere in comunità si deve avere un
maggiore rispetto delle regole e dei ruoli. Non per niente i recenti sondaggi sul disagio
giovanile ci parlano di "generazione invisibile", di giovani alla ricerca di
punti di riferimento certi e di maestri di vita; questo probabilmente perché
genitori/amici e insegnanti/burocrati non sempre hanno considerato appieno la centralità
del momento formativo.
In questo campo molte sono le aspettative
per quanto potrà essere realizzato in attuazione del Protocollo dintesa, siglato
pochi mesi fa dai Ministri della pubblica istruzione e della solidarietà sociale nonché
dal Presidente della Commissione parlamentare antimafia e già sperimentato, come ci ha
ricordato questa mattina lallora Ministro della pubblica istruzione ed oggi Ministro
dellinterno, onorevole Jervolino Russo. LArma dei carabinieri è ben lieta di
confermare la sua totale disponibilità a collaborare, come peraltro fa da anni, in
stretta intesa con i Provveditorati agli studi dai quali sono pervenute parole di piena
soddisfazione. Per la cronaca, nel decorso anno scolastico i nostri militari hanno tenuto
ben 1.372 colloqui/incontri in 1.052 scuole medie e superiori.
La seconda linea guida che mi permetto di
indicare riguarda lazione sinergica dei pubblici poteri, sì da rendere non più
pagante la scelta del crimine: mi riferisco, fra laltro, allesigenza primaria
di dare effettiva certezza alla pena oggi pressoché vanificata dai tempi del
giudizio definitivo, come è stato ricordato poco fa, e dalle misure alternative e
di ricorrere con maggiore frequenza ed in tempi possibilmente contenuti al sequestro ed
alla confisca dei beni illecitamente accumulati dalle organizzazioni criminali, per poi
procedere alla loro concessione per uso pubblico.
Mi riferisco anche allopportunità
da più parti e da tempo auspicata di restituire alla polizia giudiziaria
una maggiore autonomia tecnica con il duplice vantaggio di motivare, e quindi stimolare,
la migliore qualificazione dei singoli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria e di
rendere più veloce la fase delle indagini. Ma intendo riferirmi soprattutto
allesigenza di armonizzare la risposta preventiva e repressiva dello Stato con
quella sociale ed amministrativa degli enti locali, volta a creare nei quartieri e nelle
periferie urbane occasioni di lavoro e formazione, a rendere più attrezzate e vivibili
queste particolari e talvolta difficili realtà.
Non per niente si vanno facendo strada
anche nel nostro Paese forme di cooperazione tra le istituzioni statali responsabili della
sicurezza e governi locali, tendenti, da un lato, a combattere le condotte devianti
attraverso il controllo del territorio e lazione repressiva e, dallaltro, ad
incoraggiare lo sviluppo di condizioni e norme sociali produttrici esse stesse di maggiore
sicurezza. E la firma di specifici protocolli dintesa tra i prefetti e talune
amministrazioni comunali va in questa direzione: è uno dei possibili modi di concepire la
sicurezza metropolitana come servizio da garantire congiuntamente nella sinergia delle
responsabilità e delle reciproche competenze.
Questo approccio comune alla problematica
della sicurezza ha infatti il vantaggio di ampliare al tempo stesso sia la conoscenza
delle situazioni sia la valutazione delle esigenze globali di un territorio vasto e
complesso.
A questo punto viene naturale il
riferimento alla terza linea guida, vale a dire unattività preventiva adeguata ai
tempi e che quindi più direttamente riguarda noi forze dellordine.
Dicevo allinizio che per controllare
il territorio bisogna conoscere, ma che conoscere è oggi sempre più difficile o quanto
meno presuppone un aggiornamento delle modalità.
Anche in omaggio alla città che ospita
questo Convegno vorrei citare lesperienza di Napoli che, grazie al Piano coordinato
per il controllo del territorio metropolitano e al Piano sicurezza delle zone industriali,
sta dando un contributo significativo alla ricerca di soluzioni al problema, pur nella
difficoltà di una peculiare situazione della sicurezza pubblica notoriamente delicata e
complessa.
In estrema sintesi ricordo che il primo ha
lo scopo di meglio razionalizzare e rendere più remunerativi soprattutto i servizi
preventivi svolti dalle unità radiomobili, istituzionalmente destinate a rispondere alle
esigenze di pronto intervento. La pianificazione prevede infatti la ripartizione della
giurisdizione in aree di base, coincidenti in linea di massima con il territorio di
competenza di una stazione carabinieri, e lindividuazione, per ciascuna area, di
itinerari e di obiettivi da riportare su schede. Lalternanza dei controlli nelle
stesse aree tra lArma dei carabinieri, la Polizia di Stato e, per taluni aspetti
istituzionali, la Guardia di finanza consente di evitare duplicazioni a vantaggio di una
più diffusa visibilità e di garantire la più intensa ed incisiva presenza sugli
obiettivi preselezionati.
Ma il Piano ottiene un secondo risultato
che, a mio avviso, qualifica liniziativa: un più stretto contatto con i cittadini
siano essi commercianti, professionisti o altri con la conseguenza di far
scattare una sorta di solidarietà che induce i singoli o almeno dovrebbe indurli
ad avvertire una maggiore partecipazione ai problemi comuni.
I riscontri sostanzialmente positivi
ottenuti dal Piano nel contesto metropolitano ne hanno suggerito lestensione alle
aree di sviluppo industriale della provincia.
In questo caso la pianificazione (mediante
la presenza di pattuglie negli orari sensibili, quali lentrata e luscita dalle
fabbriche, nonché il contatto con gli operatori del settore) ha consentito di elevare il
coefficiente di sicurezza in zone particolarmente vitali sotto il profilo economico e,
conseguentemente, di ridurre lo specifico rischio, elemento di rilievo nella valutazione
dei fattori dimpresa.
È di tutta evidenza che tale Piano, che
come ho detto sta dando concreta prova di validità, va integrato con sistemi di difesa
passiva e di sorveglianza interna che ciascuna azienda dovrebbe attivare e correlare con
le forze dellordine, e trova un naturale implemento nellapplicazione di
tecnologie avanzate nei settori delle telecomunicazioni e dellinformatica prevista
dal Progetto sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno, finanziato con fondi europei ed in
via di realizzazione da parte del Ministero dellinterno sulla base di
unarticolata programmazione esecutiva messa a punto con il contributo delle forze di
polizia.
Nel concludere questo intervento mi è
gradito richiamare lidea del contatto fra cittadino e tutore dellordine, che
poco fa ho indicato quale elemento significativo delle citate pianificazioni e che, in
stretta sintesi, si riconduce al tradizionale essere sociale dellArma dei
carabinieri.
E soprattutto ai fini della conoscenza,
tale collaborazione è determinante in una società interattiva e solidale. Di qui la
necessità di proseguire nellimpegno e perfezionare la qualità degli interventi per
consolidare il clima di profondo e reciproco rispetto tra forze dellordine e
cittadini.
A noi forze dellordine lonere
di guadagnarci, giorno dopo giorno, la fiducia della popolazione, manifestando la
capacità di dare risposte concrete e credibili alle sempre più pressanti richieste di
sicurezza in un quadro di piena integrazione con la collettività in tutte le sue
componenti sociali ed etniche. Ai cittadini la richiesta di affidarsi con disponibilità e
soprattutto con lintimo convincimento che nulla sarà lasciato di intentato nelle
piccole e nelle grandi cose, nelle zone più calde come nelle isole felici anche se
poco fa abbiamo sentito che queste ultime non esistono più per essere
allaltezza delle aspettative e delle esigenze odierne. (Applausi).
PRESIDENTE.
Ecco un esempio di come il nostro ceto militare sia colto e sensibile nella stessa misura
delle grandi esigenze del Paese. Il generale Blasi ha così ben delineato la
situazione in quelle sue tre linee guida, che a me paiono rappresentare il desiderio di un
Paese che forse non è il nostro in questo momento.
Ununica e rispettosa osservazione al
nostro oratore a proposito se non ho compreso male della sua diffidenza
circa le misure alternative alla pena. No, questo non è un istituto che depotenzia il
magistero punitivo dello Stato, ma lo adegua alle sue funzioni rieducative, emendative e
umanitarie. Noi, oltretutto, ci accingiamo a condurre una battaglia contro
lergastolo.
Segue ora lintervento del generale
Carlo Alfiero, direttore della Direzione investigativa antimafia.
ALFIERO Carlo, direttore
della DIA. Ringrazio la Commissione parlamentare antimafia per lonore che mi ha
fatto invitandomi a questo Convegno e rivolgo un saluto cordiale alluditorio.
In tema di criminalità organizzata siamo in presenza di una fase evolutiva di
straordinaria importanza. Gli stessi concetti fondamentali che finora ci hanno guidato
vengono messi in discussione dallesplosione tecnologica, dallinformatizzazione
e dal progresso socio-economico. Lo stesso concetto di territorio sta subendo una profonda
mutazione: alla concezione fisica si va aggiungendo una concezione funzionale del
territorio. Per essere più chiari, si passa da concetti come quartieri, paesi e regioni,
ad altri come banche, finanziarie e mondo giovanile, con unestensione che ci
proietta da singole località al mondo intero.
In passato la criminalità organizzata, ed
in particolare quella di stampo mafioso, ha utilizzato lo strumento della signorìa sul
territorio fisico per raggiungere lobiettivo dellaccumulazione primaria dei
capitali, ed in parte questo vale ancora: si pensi agli appalti e, per esempio, al
pericolo del controllo della politica attraverso i voti e gli eletti.
Ora la criminalità organizzata,
soprattutto per effetto del traffico di sostanze stupefacenti che è la risorsa di
maggiore potenzialità di questo settore, dà seguito al problema dellaccumulazione
primaria verso due direzioni: limmissione nelleconomia legale degli ingenti
capitali illecitamente accumulati, in modo da renderli spendibili, e linvestimento
produttivo di tali somme in aziende, attività ed imprese in grado di garantire a loro
volta ricchezza.
Il territorio allora non è più soltanto
lambito fisico che produce ricchezza, ma anche il contesto funzionale che tale
ricchezza gestisce in modo produttivo. Il riciclaggio da mezzo per pulire i capitali
illeciti diventa il processo fondamentale per reinvestire il denaro divenuto
"lecito". Il binomio riciclaggio-reinvestimento costituisce il più importante
moltiplicatore di ricchezza (quando di essa parliamo, ci riferiamo ad una ricchezza che
attualmente può essere anche lecita, ma che ha avuto un processo di formazione illegale).
Si passa, come si può rilevare, ad una
nuova e più completa visione del problema della criminalità organizzata, senza vincoli a
stereotipi strettamente connessi al concetto di territorio in senso geografico. Ora,
davanti allevoluzione di questi concetti, quale può essere la risposta delle
istituzioni? La risposta si delinea sotto due profili. Il primo profilo è la
riappropriazione del territorio fisico, attraverso la famosa, tradizionale ed efficace
azione di contrasto punto su punto, la disarticolazione dei vari sodalizi mafiosi ed il
controllo effettivo di aree urbane degradate. Il secondo profilo, invece, consiste
nellazione di contrasto che deve svilupparsi in quello che abbiamo definito
territorio "funzionale", attraverso una maggiore collaborazione delle
istituzioni con gli organismi finanziari deputati ad azioni di controllo. Sto pensando in
questo momento allattività sulle operazioni sospette, alla responsabilizzazione di
singoli operatori finanziari per esempio anche attraverso
unapplicazione concreta se necessaria di sanzioni già previste in
tema di omessa segnalazione, ma soprattutto attraverso lacquisizione di una
professionalità specifica da parte degli operatori di polizia, che sia in grado di
garantire, nello specifico settore, profili avanzati nellazione di contrasto.
Inoltre, si tratta di anticipare i fenomeni piuttosto che reprimere le condotte
delittuose; da qui nasce il passaggio da un campo repressivo ad uno sempre più
preventivo.
Come si pone la Direzione investigativa
antimafia, che ho lonore di dirigere, davanti a questi problemi? La DIA nasce da una
felicissima intuizione del legislatore ricordo che ha solo sette anni e, quindi, è
uno strumento già moderno nel momento stesso della sua concezione con alcune
caratteristiche, quali la sua proiezione internazionale, la visione globale del fenomeno
da fronteggiare ed una posizione di centralità in tema di indagini preventive, anche se
ovviamente delimitata al campo di sua specifica competenza, ossia alla lotta alla
criminalità organizzata.
Oggi la DIA assicura in concreto
unazione di contrasto di alto profilo, attraverso una capacità di analisi e di
elaborazione delle strategie di contrasto. Offre una professionalità di livello,
attraverso lintegrazione di tre professionalità specifiche che si sono rivelate tra
loro ampiamente compatibili. Cerca sempre un maggior coinvolgimento di tutte le forze
impegnate sul territorio fisico, affinché i risultati da queste acquisiti possano essere
proiettati sul territorio che abbiamo definito "funzionale".
Lelemento centrale di tutta questa
costruzione, su cui si deve basare lintero sistema, è linformazione, che in
buona parte è patrimonio delle forze che operano sul territorio fisico (è inutile che mi
dilunghi su questo argomento, dal momento che gli oratori che mi hanno preceduto ne hanno
a lungo parlato). Queste informazioni, dopo essere state acquisite, vagliate e selezionate
dagli organismi territoriali, vengono poi trasmesse alla DIA affinché possano essere
adeguatamente sviluppate, sia a livello nazionale che internazionale, e soprattutto
rielaborate e possano essere successivamente ritrasmesse alle strutture che le avevano
originariamente acquisite, affinché vengano congiuntamente finalizzate.
La DIA è in grado così di dare una
proiezione a notizie che, diversamente, resterebbero racchiuse nellalveo di
conoscenza di singoli organismi territoriali, senza trovare gli sbocchi che invece con
tale sistema di raccordo e sviluppo potrebbero fornire. In questo caso lelemento
territoriale diventa addirittura una causa limitativa dellazione di contrasto. Siamo
così di fronte come si vede ad una circuitazione informativa evoluta,
laddove alla funzione di cooperazione si aggiunge anche quella di elaborazione specifica e
finalizzata. Cambiano gli scenari di manovra, si allargano i confini e si va ad incidere
sul fronte della accumulazione e della gestione della ricchezza, che costituisce la linfa
vitale della criminalità organizzata.
Accanto a questa prevalente funzione
strumentale al fianco delle altre forze di polizia, alla DIA può essere riconosciuto
anche un compito del tutto peculiare, di spettro più ampio ed in linea con le tendenze
evolutive manifestate dalla criminalità organizzata. Si tratta della ricostruzione dei
flussi nazionali ed internazionali di interscambio di servizi e prestazioni di ogni tipo,
da parte delle diverse organizzazioni criminali presenti su scala europea e addirittura
mondiale; prestazioni e servizi non immediatamente correlati alla commissione di specifici
reati e delitti di rilevanza penale. Lattività in questione, definibile come
tipicamente analitico-preventiva, mira ad individuare i collegamenti che legano le
cosiddette piattaforme intelligenti del crimine organizzato; sto pensando allalta
finanza, ai Governi di paesi esteri sensibili a forme di collusione e, infine, agli
investimenti produttivi. Si tratta di una ipotesi di lavoro sicuramente vasta ed
impegnativa su scenari di valenza internazionale ed in linea con una costante
globalizzazione dei mercati. (Applausi).
PRESIDENTE. Il generale Alfiero ci ha illustrato una parte del meccanismo del Servizio che dirige ed ha, in tal modo, delineato un quadro, sia pure in linea approssimativa, degli ingranaggi per coloro che non ne erano a conoscenza. Ho limpressione che talune tematiche sottolineate dal generale Alfiero si integreranno con quelle che sta per evidenziare il generale Mosca Moschini, comandante generale della Guardia di finanza, che invito a prendere la parola.
MOSCA MOSCHINI
Rolando, comandante generale della Guardia di finanza. Porgo il mio più cordiale
saluto al Presidente della Commissione parlamentare antimafia, al Comandante generale
dellArma dei carabinieri, alle Autorità e a tutti gli intervenuti. Sono molto lieto
di poter partecipare ad un così qualificato uditorio le mie valutazioni e limpegno
della Guardia di finanza nella lotta alla criminalità organizzata nel territorio. Il
tutto inserito negli aspetti di fondo già ampiamente emersi durante le esposizioni che mi
hanno preceduto. Il controllo del territorio rappresenta unesigenza vitale per
le organizzazioni criminali. Esso, infatti, consente a queste di avviare, e via via
consolidare, i propri affari illeciti.
Il primo tempo del controllo del
territorio, la "presa" dellarea geografica di interesse, è certamente la
fase che maggiormente incide sullordine e la sicurezza pubblica, essendo proiettata
attraverso lintimidazione, il sopruso e latto violento al
controllo delle più remunerative attività delinquenziali.
Lesperienza maturata dimostra che è
questa la fase in cui la criminalità si appropria, in delimitate aree territoriali, dello
spaccio di sostanze stupefacenti, della minuta vendita di tabacchi lavorati esteri, della
piccola estorsione e dellusura. Essa impiega mano dopera reclutata
approfittando di quegli enormi disagi sociali che, in particolare nel meridione del Paese,
rappresentano lhumus ideale per la crescita delle organizzazioni criminali.
Lappropriazione territoriale si
sviluppa, poi, attraverso una serie di atti corruttivi rivolti agli apparati locali della
pubblica amministrazione, innescando un subdolo ed efficacissimo scambio di favori.
Linteresse della criminalità ad inserirsi nelle procedure di aggiudicazione di
forniture e servizi dellamministrazione rappresenta lulteriore salto di
qualità delle strutture malavitose. Tale penetrazione, infatti, tende alla gestione di
appalti finanziariamente rilevanti ed alla conseguente disponibilità di mezzi, tecnologie
e professionalità via via crescenti, fino a giungere alla costituzione di società ad
hoc o ad ottenere il controllo di quelle già presenti sul mercato, specializzate nei
diversi settori economici.
Naturale, quindi, la vocazione delle
organizzazioni criminali territorializzate a trasformarsi, in tempi contenuti, in
strutture di livello superiore ovvero ad entrare negli organigrammi di sodalizi più
importanti, sia per capacità imprenditoriali sia per ampiezza e rilevanza degli
obiettivi. Il rapporto che si crea è molto simile a quello che lega lazienda madre
alle diverse filiali periferiche e, in tale momento, cominciano a fare la loro comparsa
consulenti esterni di elevata professionalità soprattutto in campo finanziario.
È questo il livello criminale che produce
una progressiva internazionalizzazione dellorganizzazione e nel quale
linteresse illecito si proietta verso linvestimento degli ingenti capitali
accumulati, frutto dei reati compiuti. Siamo qui nella fase del riciclaggio del denaro
sporco nella quale notevolissime somme di denaro, ripulite, si immettono nei circuiti
nazionali ed internazionali in cui si muove il grande capitale, assicurando così
allorganizzazione criminale nuova e legale remuneratività che consente ad essa di
poter assorbire anche settori economici strategici.
Ricordo, al riguardo, il preciso
riferimento a questo aspetto, fatto in apertura dei lavori dal presidente
Mancino e, oggi pomeriggio, dal procuratore Vigna.
A fronte dei diversi livelli organizzativi
che le associazioni criminali possono avere o raggiungere, la Guardia di finanza è
impegnata operativamente con intensità differenti ogni qualvolta gli aspetti
investigativi emergenti dalle indagini avviate riguardino o siano riconducibili ai suoi
compiti istituzionali.
Infatti, anche nel settore del contrasto
alla criminalità organizzata ed in linea con le direttive del Ministro delle finanze, gli
obiettivi che il Corpo costantemente persegue, per tendere alla massima razionalizzazione
delle risorse ed alla valorizzazione delle professionalità disponibili, sono quelli di
mantenere i propri interventi nellalveo dei settori maggiormente connessi
allattività primaria di polizia economico-finanziaria nonché di calibrare le
risorse professionali al livello di complessità del fenomeno da contrastare.
Ecco, quindi, che lazione per
fronteggiare lattività criminale nella prima fase di acquisizione del controllo del
territorio vede la Guardia di finanza, da un lato, partecipare ai piani coordinati a
livello interforze e, dallaltro, svolgere i più tradizionali servizi di vigilanza
sul trasporto delle merci su strada e nei principali scali aeroportuali e ferroviari. Nei
piani coordinati a livello provinciale viene impiegata, tranne eventi di particolare
gravità, soltanto laliquota di personale qualificato per il "pronto
impiego"; negli altri servizi si tende ad utilizzare il personale in forza ai reparti
territoriali minori.
Quale impegno di seconda fascia, possiamo
invece annoverare lesecuzione di quelle indagini di polizia giudiziaria
derivanti dallintensa attività svolta nel settore della vigilanza doganale e,
soprattutto, dallordinaria attività di ispezione tributaria mirate proprio
ad acquisire elementi probanti di traffici illeciti posti in essere da organizzazioni
radicate sul territorio e, sempre più spesso, strettamente collegate alla criminalità
internazionale.
Tra i traffici illeciti appena citati, il
contrabbando di tabacchi lavorati esteri è certamente quello che rappresenta una delle
più rilevanti frodi al bilancio nazionale e comunitario ed impegna più tradizionalmente
il Corpo. Ho già avuto modo, in precedenti occasioni, di segnalare la pericolosità
sociale e la remuneratività per la criminalità di questo fenomeno. Esso, infatti,
costituisce uno dei principali illeciti presupposti del riciclaggio quanto ad entità dei
capitali che rende disponibili. Senza ribadire considerazioni che ritengo siano ormai
convinzioni di tutti noi, mi preme qui segnalare soltanto la crescente efferatezza che in
questi ultimi tempi dimostrano i sodalizi contrabbandieri e la raffinata tecnologia di cui
si sono impossessati.
Sono purtroppo diventati quotidiani gli
episodi che vedono pattuglie del Corpo aggredite con mezzi blindati da gruppi criminali
specializzati nelle scorte ai carichi di sigarette. In due recenti episodi, verificatisi
nellhinterland barese, i contrabbandieri hanno accerchiato alcuni automezzi
in servizio e li hanno più volte speronati provocando il ferimento di militari ed ingenti
danni materiali. Complessivamente, dallinizio dellanno, si sono verificati 54
incidenti di questo tipo con il ferimento, anche grave, di 43 militari.
Inoltre, le organizzazioni hanno
pesantemente investito in strumenti altamente tecnologici, impensabili fino a qualche
tempo fa. Lestate scorsa sono state scoperte una centrale radar capace di monitorare
il traffico marittimo tra il Montenegro, lAlbania e la Puglia ed una sofisticata
postazione dotata di potentissime telecamere, di microfoni ad alta sensibilità e di
computer in grado di tenere sotto controllo i movimenti di pattuglie e mezzi del Corpo.
Tornando, invece, allordinaria
attività di ispezione tributaria, quale importante fonte di innesco di indagini volte
alla scoperta di associazioni criminali, evidenzio ancora una volta come la verifica
fiscale classica metodologia operativa della Guardia di finanza sia uno
strumento particolarmente utile soprattutto per far emergere infiltrazioni malavitose
nellimprenditoria sana.
Se, come detto, loccupazione
delleconomia legale da parte dei capitali illeciti è lindice più sensibile
della presenza della criminalità organizzata e del suo stadio di evoluzione, è evidente
quanto sia importante individuare quelle infiltrazioni ed i meccanismi attraverso i quali
si è reso possibile tale inquinamento. In questo senso, lispezione
amministrativo-contabile delle persone fisiche e giuridiche costituisce uno strumento
particolarmente penetrante e consente, ad esempio, di accertare lesistenza di
riserve occulte o di finanziamenti ottenuti al di fuori dei normali circuiti creditizi che
potrebbero rivelare richieste estorsive ovvero atti corruttivi o limmissione di
denaro sporco nellattività o, anche, la presenza di fenomeni usurari.
Le potestà riconosciute ai militari del
Corpo in materia fiscale, che consentono anche di estendere lazione ispettiva alle
movimentazioni dei flussi finanziari, abbinate ai poteri tipici di una polizia
giudiziaria, permettono di cogliere aspetti della presenza di fenomeni criminali anche se
ben occultati tra le pieghe di complesse contabilità. Inoltre, labitudine e
lattitudine ad analizzare transazioni economiche e movimentazioni finanziarie
consentono alla Guardia di finanza di poter individuare i tortuosi percorsi fatti compiere
ai capitali illeciti nelloperazione di lavaggio e di immissione nei circuiti legali.
Queste investigazioni particolarmente
complesse che potremmo definire di terza fascia sono normalmente affidate
alle competenti articolazioni dei nuclei regionali di polizia tributaria, nellambito
dei quali oggi sono ricompresi i gruppi di investigazione sulla criminalità organizzata
(GICO), ed al nucleo speciale di polizia valutaria. Si tratta dei reparti che esprimono la
massima professionalità nellambito del Corpo.
Ovviamente, lapporto di dette
articolazioni e dei richiamati reparti non si limita soltanto allintervento
"visibile", ossia al controllo fiscale o allattività di polizia
giudiziaria specializzata in materia finanziaria, ma si sostanzia anche in una qualificata
azione informativa di supporto ed investigativa tesa, in modo particolare, alla conoscenza
di patrimoni espressione di illeciti arricchimenti.
Accanto al quadro operativo, ritengo
necessario svolgere anche qualche considerazione sul piano propositivo, con particolare
riferimento a quelle iniziative utili o necessarie per migliorare e rendere più efficace
lazione di contrasto alla criminalità organizzata.
Sul piano interno resta decisiva una
cooperazione sempre più stretta tra le diverse forze di polizia impegnate sul territorio,
nel rispetto delle specifiche professionalità di ciascuna di esse, al fine di evitare
sovrapposizioni e sprechi di risorse. Questo è il principio ispiratore di tutti gli
sforzi in atto nel settore dellordine e della sicurezza pubblica.
In tale ottica, e con riferimento ad
esempio al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, reputo sempre più indispensabile che
le altre forze di polizia comunichino tempestivamente alla Guardia di finanza tutte le
notizie acquisite nel corso di interventi o di indagini autonomamente eseguiti, anche in
tema di minuta vendita o in flagranza di reato, al fine di dare sviluppo alle indagini
successive, soprattutto rivolte al controllo dei flussi finanziari illeciti.
Parimenti, con riguardo al controllo dei
capitali ai fini del contrasto al riciclaggio, si rende necessario un rafforzamento dei
rapporti tra autorità di vigilanza del sistema creditizio ed organismi investigativi del
settore economico-finanziario e, anche, una maggiore collaborazione in termini di intelligence
tra questi ultimi ed i Servizi di informazione e sicurezza.
Lintelligence economica dei
citati Servizi che, fino a tempi recenti, è stata prevalentemente orientata verso
il controspionaggio economico-industriale deve, a mio giudizio, procedere ad una
profonda trasformazione che, da un lato, tenga in debito conto il fenomeno di
globalizzazione dei mercati finanziari e la crescente infiltrazione di capitali stranieri
di illecita provenienza, e, dallaltro, tenda ad un migliore coordinamento con le
attività dei predetti organi specialistici in materia finanziaria.
Sempre sul piano nazionale, poi, appare
irrinunciabile il perfezionamento di alcune legislazioni di settore. Richiamando la
disciplina sul contrabbando di tabacchi, sono già stati portati a conoscenza
dellautorità politica gli interventi normativi frutto di un serrato
confronto tra tutte le istituzioni interessate che si ritengono opportuni ed
urgenti. Mi riferisco, ad esempio, alla consegna controllata ed al sequestro preventivo
dei beni dellinquisito.
In punto di normativa che in qualche modo
si ricollega più direttamente al riciclaggio, mi limito a segnalare la necessità di dare
concreta attuazione dellarticolo 20, comma 4, della legge n. 413 del 1991, che
prevede, comè noto, la realizzazione dellanagrafe dei conti e dei depositi.
Attraverso lanagrafe potrebbero
essere agevolmente localizzati in tempi ridottissimi i conti dei soggetti
indagati, senza dover interpellare lintero sistema creditizio. Mi conforta rilevare
una concreta volontà (politica) di risolvere definitivamente questo importante problema,
ovviamente nellassoluto rispetto dei diritti dei cittadini.
Sul piano internazionale, poi, ritengo che
gli interventi da operare debbano riguardare la omogeneizzazione delle normative dei Paesi
maggiormente coinvolti nei citati fenomeni criminali e, in secondo luogo corollario
operativo di quanto appena detto la sempre maggiore cooperazione tra gli organismi
giudiziari e di polizia dei diversi Stati.
Con il primo degli auspicati interventi
sarà possibile, da un lato, definire in modo univoco le fattispecie illecite e,
dallaltro, stabilire uniformi strumenti operativi a disposizione degli organismi di
controllo. Sono fermamente convinto che soltanto ladozione di un comune linguaggio
legislativo ed operativo consentirà di attuare unefficace azione di contrasto.
Il compito non è e non sarà semplice,
perché quella da avviare dovrà essere unazione connotata da costante dinamismo in
modo da poter cogliere, via via, le repentine trasformazioni dellattività criminale
e le carenze dellattività di contrasto, al fine di adottare tempestivamente le
necessarie contromisure. Tutto ciò presuppone la realizzazione di una perfetta sintonia
tra Parlamenti, Governi, autorità giudiziarie e forze di polizia dei singoli Stati.
Lefficace cooperazione investigativa
ed informativa rappresenta, poi, il fattore decisivo per la concreta attuazione di
qualunque iniziativa assunta sul piano legislativo e regolamentare. A tal fine, auspico
fortemente che convenzioni come quella Europol e gli accordi derivanti da Schengen possano
favorire concretamente la cooperazione in tutti i campi operativi. Sotto questo aspetto,
il Corpo da sempre si è fatto attivo interprete, anche mediante la stipula di accordi
bilaterali con le Polizie di altri Stati, comunitari e terzi.
Con queste mie osservazioni, e concludo,
ho voluto soprattutto mettere in risalto i diversi e crescenti livelli di controllo del
territorio perseguiti dalla criminalità organizzata sul piano della penetrazione e con
sempre maggiore sofisticazione; il corrispondente, mirato e calibrato contrasto operativo
esercitato dalla Guardia di finanza sui piani quantitativo, qualitativo e delle procedure;
i provvedimenti legislativi, normativi e operativi auspicabili per meglio neutralizzare il
fenomeno, per velocizzare e per snellire il contrasto delle istituzioni.
Lauspicio è che le proposte, tutte
quelle che stanno emergendo da questo nostro incontro, possono essere accolte.
Ricordiamo, infatti, che la criminalità
organizzata si muove con grande scioltezza, opera senza tener conto di vincoli o limiti
legislativi o normativi. (Applausi).
PRESIDENTE. La relazione del generale Mosca Moschini rende superfluo qualsiasi commento. Do ora la parola al prefetto Fernando Masone, capo della Polizia e direttore generale della pubblica sicurezza. Questa volta faccio una premessa: desidero, nella persona del Capo della Polizia, rappresentare allistituzione cui egli sovrintende la più intensa e convinta stima della nostra Commissione. (Applausi)
MASONE Fernando, capo
della Polizia e direttore generale della pubblica sicurezza. Signor Presidente, la
ringrazio per un duplice motivo. Innanzi tutto attraverso lei ringrazio la Commissione
antimafia per avermi invitato a questo Convegno e la ringrazio altresì per le espressioni
che ha voluto riservarmi. Ringrazio il Comandante generale dellArma, che ha
collaborato in maniera così incisiva e precisa alla buona riuscita di questa iniziativa.
La recrudescenza, la costanza di azioni criminali poste in essere con spavalda
aggressività dalle cosche lascia trasparire lesistenza di unarea di consenso
e di protezione, in fasce certo minoritarie, ma non trascurabili, della popolazione. I
recenti fatti di Napoli siamo a Napoli e quindi cito questi come le reazioni
conseguenti allarresto di alcuni delinquenti nelle regioni meridionali sono
espressioni sintomatiche di un tentativo dei clan di riappropriarsi sempre di più
degli spazi di territorio, e questo è un tentativo che deve essere analizzato con la
dovuta attenzione e contrastato con grande fermezza. Come? È già stato detto che la
conoscenza del territorio è indispensabile per indirizzare unazione valida di
contrasto. Conoscenza ed intervento sono quindi i due passaggi da cui non possiamo
prescindere, pena il doverci rassegnare alle solite speculazioni, tanto eleganti quanto
improduttive, ovvero ad interventi di tipo emergenziale.
Si tratta di seguire una logica chiara,
alla quale ricondurre rigorosamente tutte le strategie che siamo in grado di sviluppare
sul piano organizzativo, operativo e, se del caso, normativo.
Così definito lapproccio, il
controllo del territorio come è stato già detto autorevolmente trascende,
in qualche modo, la portata attribuitagli di obiettivo finale dei nostri sforzi, per
prospettarsi, al contempo, quale condizione del loro successo.
Lazione di polizia assume pertanto
una sua ideale circolarità: dal controllo del territorio alle informazioni, alimento
delle investigazioni, a loro volta produttive di ulteriori conoscenze, funzionali alla
migliore salvaguardia della legalità e della civile convivenza.
Il controllo di cui parlo va rivalutato e
soprattutto realizzato nella sua accezione più piena, quella concepita dal legislatore
con la locuzione di pubblica sicurezza, laddove lopera di prevenzione è stata non a
caso definita e disciplinata come generale, affidata al coordinamento delle autorità di
pubblica sicurezza.
Il primo passo è naturalmente il presidio
pianificato, armonico ed organizzato attuato dalle forze di polizia ad
ordinamento generale e, in tal senso, va letta la tendenza a diversificare
progressivamente gli ambiti di gravitazione per evitare sovrapposizioni.
È una tendenza costante, ulteriormente
consolidatasi nel marzo di questanno, quando le direttive ministeriali hanno
disposto che, per i potenziamenti delle dotazioni organiche, la Polizia di Stato deve
farsi carico delle esigenze dei capoluoghi di provincia e lArma dei carabinieri di
quelle degli altri comuni.
Coerentemente con tale impostazione, è
stato già avviato e continua a procedere il riassetto organizzativo e funzionale dei
commissariati di pubblica sicurezza, progetto che, già positivamente sperimentato in
diverse realtà metropolitane del Mezzogiorno, dà vita ad un nuovo ufficio che assicuri
in via pressoché esclusiva lespletamento proprio dei servizi di informazione,
prevenzione generale e controllo del territorio.
Così a Napoli, per esempio, la
riorganizzazione dei presidi ha permesso di liberare nuove energie da destinare ad
impieghi strettamente operativi e, inoltre, di istituire nuovi uffici o di potenziare
quelli già esistenti nelle zone periferiche ad elevato indice di criminalità e di
degrado quali Scampìa, Chiaiano, Pianura e Secondigliano nel quadro di un
disegno che si completerà con il previsto riequilibrio degli organici della Questura.
Del pari i compiti di polizia
amministrativa, altrettanto fondamentali quali momenti di conoscenza e quindi di controllo
della realtà, sono stati concentrati presso alcuni commissariati, definiti coordinatori,
che, opportunamente rafforzati, possono svolgerli nellautentica prospettiva indicata
dalla legge, quella di prevenzione e di informazione.
Questa è lulteriore positività
della riorganizzazione, che ha consentito di realizzare sia maggiore proiezione esterna,
sia più penetrante azione di polizia amministrativa, esaltando la capacità di controllo
che promana da entrambi i settori di attività.
Daltra parte, non ci siamo
accontentati di adeguare alle mutate ed accresciute esigenze la nostra struttura, ma
abbiamo anche percorso vie nuove, ovvero innovato la concezione di talune già esistenti.
Mi riferisco alla riorganizzazione dei
reparti anticrimine, e penso, ancora, alla valorizzazione dei comparti specialistici delle
forze di polizia, il cui coordinato apporto è stato ripensato e potenziato per offrire
risposte specializzate e differenziate alle domande di sicurezza che promanano da un
territorio tanto complesso da indurre a parlare di "territori", laddove abbiamo
il mondo rurale, la rete viaria e ferroviaria, lassetto idrogeologico, il patrimonio
ambientale e culturale, così come gli spazi immateriali delle reti di comunicazione
informatiche e satellitari.
Sembrano quindi poste le premesse per
consolidare nel circuito ideale conoscenza, intervento la sintesi tra
prevenzione e repressione, nellambito di una pianificazione complessiva delle
risorse.
La recente riorganizzazione dei servizi
investigativi, con linserimento delle strutture interprovinciali nellambito
degli uffici territoriali, recepisce proprio questa nuova filosofia operativa, perseguendo
la migliore integrazione dei diversi comparti investigativi ed operativi e favorendo,
attraverso la concentrazione e la circuitazione delle conoscenze e delle esperienze, una
più moderna ed efficiente risposta al crimine organizzato.
Si tratta di una risposta organica e di
ampio respiro che trova nel dipartimento della pubblica sicurezza la naturale sede di
pianificazione generale delle attività e di individuazione degli obiettivi di rilievo
strategico.
Ecco così delinearsi unazione di
controllo del territorio programmata, dinamica e flessibile, che si alimenta attraverso le
risultanze informative ed investigative, selezionando di volta in volta obiettivi e
priorità di intervento e che costituisce essa stessa presupposto per lavvio di
mirati interventi repressivi, da svilupparsi nellauspicato maggiore equilibrio tra
iniziativa della polizia giudiziaria e poteri peculiari della magistratura. È un concetto
che è stato espresso più volte nel corso della giornata.
Tuttavia la presenza delle forze di
polizia pur ottimamente organizzata, oltre che, naturalmente, sostenuta dalle
tecnologie più avanzate e da professionalità sempre migliori rischia di essere
sì necessaria, ma non sufficiente per il raggiungimento dellobiettivo principale,
costituito dallaffermazione della legalità e dalla salvaguardia della sicurezza
pubblica.
Mi ero ripromesso di non appesantire il
mio intervento con i dati sullandamento della criminalità e dellazione delle
forze dellordine. Mi limiterò pertanto, anche perché le cifre sono pubbliche, a
sottoporre allattenzione generale pochi spunti di riflessione la cui solo apparente
contraddittorietà merita un approfondimento.
Gli indici di delittuosità, a livello
nazionale, sono sostanzialmente stabili, ma registriamo flessioni, proprio nelle regioni a
rischio, per quanto riguarda reati gravissimi, quali omicidi e sequestri di persona; il
numero delle denunzie e degli arresti è in costante aumento; le catture di latitanti,
anche pericolosissimi, si susseguono ininterrotte, in Italia come allestero, grazie
ad una salda rete di cooperazione internazionale; gli autori di reati efferati, anche qui
a Napoli, vengono assicurati alla giustizia a conclusione di indagini tanto rapide quanto
efficaci e la lotta ai patrimoni illeciti fa registrare grandi successi in termini di
sequestri di beni, cui fa eco unattività altrettanto incisiva sul fronte delle
misure di prevenzione personali.
Tutto ciò sta a significare che le forze
di polizia lavorano, lavorano duro, ma, quel che più importa, lavorano con risultati, di
intesa e in collaborazione con lautorità giudiziaria.
Eppure è altrettanto vero, e questo
Convegno lo sta rammentando ancora una volta, che la gente non si sente sicura e che, a
dispetto dei nostri sforzi, la minaccia dellillegalità, del sopruso, della violenza
è avvertita dai consociati come incombente.
La capillarità e la paventata endemicità
del fenomeno criminale risalgono in larga misura alla fortissima attenuazione della
deterrenza penale; anche questo concetto è stato espresso più volte.
Non pare quindi fuori luogo auspicare il
supporto di un efficace sistema normativo che ridisegni, aggiornandola, la funzione della
polizia di sicurezza anche attraverso lindividuazione di un insieme di poteri e
facoltà il cui esercizio consenta allazione preventiva di esplicare appieno il suo
primario effetto dissuasivo.
Credo sia giunto il momento per avviare
una serena e non rituale riflessione sul tema della deterrenza, per valutare se la stessa
debba essere assicurata in modo esclusivo dalla fattispecie penale o se debba piuttosto
essere affiancata ed integrata da un sistema di disposizioni amministrative al passo con i
tempi, che consenta immediati interventi nelle situazioni, oggettive e soggettive,
pericolose per la sicurezza pubblica. Un nuovo impegno per la sicurezza, dunque, che deve
necessariamente coinvolgere una molteplicità di soggetti istituzionali e sociali, primi
fra tutti i sindaci, oggi diretta espressione della volontà popolare e quindi
immediatamente partecipi delle istanze di sicurezza delle rispettive comunità.
In tale quadro, occorre procedere secondo
linee di indirizzo ben più ampie di quelle tradizionalmente proprie delle forze di
polizia, dedicando particolare attenzione alla salvaguardia dei parametri di sviluppo ed
investendo quindi nella sicurezza, intesa come fattore dinamico destinato ad accompagnare
nel tempo i processi di crescita economica e civile, sino a costituirne parte integrante.
Seguendo questa logica, il Dipartimento
della pubblica sicurezza ha ricercato nuove strategie operative adeguate alla complessità
dei problemi da affrontare.
Un significativo esempio è rappresentato
dal programma operativo "Sicurezza per lo sviluppo nel Mezzogiorno
dItalia", cui ha fatto cenno anche il generale Blasi, cofinanziato dalla
Commissione europea, attraverso il quale ci si è impegnati ad innescare un circolo
virtuoso, favorendo la dialettica tra larea della legalità, liniziativa
economica e la rivitalizzazione sociale di quei territori che registrano elevati indici di
criminalità in un rinnovato rapporto con le comunità residenti, il mondo
dellimprenditoria e del lavoro e le associazioni operanti sul territorio.
Se il superamento della parcellizzazione
degli interventi costituisce effettivamente una grande conquista degli ultimi anni, è
allora maturo il tempo per dichiarare che il controllo del territorio coincide con
laffermazione della legalità statuale ovunque, senza discontinuità spaziali o
temporali.
In conclusione, mi pare che da questo mio
intervento emergano tre direttrici principali per il nostro impegno: continuare sulla via,
già seguita con tanti successi, di costante affinamento dei dispositivi preventivi e
repressivi, con le forze di polizia sempre pronte a discutere i propri moduli
organizzativi ed operativi per migliorarli nellinteresse del Paese; trovare un
valido complemento al sistema dissuasivo, nel convincimento dellormai ridotta
deterrenza penale; consolidare nei fatti la costante mobilitazione di tutti affinché
ciascuno, nel proprio ambito di competenza, possa collaborare efficacemente allo sforzo
generale contro la criminalità ed il malaffare. (Applausi).
PRESIDENTE. Come era da attendersi, il prefetto Masone ci ha fornito una sintesi e al tempo stesso una proiezione problematica del lavoro del Dipartimento. Lo ringrazio e lascio la parola allonorevole Alfredo Mantovano per concludere i lavori, dal momento che mi si avvisa che lonorevole Pietro Folena non interverrà.
MANTOVANO
Alfredo, deputato, componente della Commissione parlamentare antimafia. Signori
presidenti Del Turco e Mancuso, signor Comandante generale dellArma dei carabinieri,
signori, mi è difficile trarre le conclusioni di una sessione di lavoro tanto ricca di
spunti e di sollecitazioni. Tale difficoltà è accentuata dallora tarda, che mi
impone di essere brevissimo per lasciare in tutti un buon ricordo, per lo meno da questo
punto di vista. I termini "conoscenza, investigazione e contrasto alla
criminalità organizzata" presuppongono lesame dellestensione e della
concreta riorganizzazione di altri tre temi fondamentali, come emerso dal corso dei
lavori: la prevenzione, il coordinamento e la cultura dellinvestigazione.
Parto per cenni dalla prevenzione (tema
trattato, fra gli altri, dal generale Blasi e dal prefetto Masone), per constatare che
rappresenta un settore trascurato, sia che si intenda il termine in senso lato, sia che lo
si limiti alla promozione ed alle indagini riguardanti le misure di prevenzione. È
necessario chiedersi con molta franchezza in attesa dei risultati concreti e delle
direttive cui ha fatto riferimento il Capo della Polizia quanto incidano su questa
trascuratezza valutazioni di ordine politico, dal momento che le statistiche compilate
periodicamente dalle forze dellordine continuano lo abbiamo ascoltato
ad assumere quali indici delle attività svolte soltanto i numeri relativi alle persone
denunciate ed arrestate: la prevenzione non viene perseguita come dovrebbe perché non
paga sul piano dellimmagine o, per adoperare un termine di moda, della visibilità.
Ora, è certamente importante per le forze
dellordine lanciare messaggi rassicuranti alla popolazione, coincidenti con la
cattura di questo o di quel gruppo criminale, ma ciò non può far trascurare che i
cittadini traggono maggiori e più sostanziali motivi di sicurezza da condizioni oggettive
più tranquille, come ha fatto presente questa mattina il presidente Violante, allorché
ha incentrato la sua riflessione sulla cosiddetta criminalità di strada. Mi auguro che le
forze politiche, se condividono quanto ha detto il presidente Violante, adottino dei
comportamenti coerenti sul piano normativo, il che significa rimeditare la funzione della
pena anche questo è un aspetto che è stato più volte trattato così come
oggi viene in concreto applicata, ossia con il concorso di tante misure che di fatto ne
limitano la portata.
E a proposito della certezza della pena
non posso non condividere, in ordine alle preoccupazioni sulla sua concreta vanificazione,
quello che qualcuno, non in questa sede, ha detto a proposito di quella tappa
significativa che è stata ricordata prima dal presidente Mancuso, e cioè
labolizione dellergastolo, approvata già al Senato e in attesa di esame alla
Camera. Vorrei solo far presente che non si tratta di affrontare una guerra ideologica, ma
di aver presente che labolizione dellergastolo comporta lapplicazione
alla nuova pena della reclusione speciale di una serie di istituti, in primis il
rito abbreviato, che oggi, anche in funzione della giurisprudenza della Corte
costituzionale, sono preclusi per i delitti più gravi. Questo significa che se un delitto
viene punito con la reclusione speciale di 30 anni, con il rito abbreviato si scende a 20
anni, con le generiche si scende a 13 anni e 4 mesi (se non osta quanto previsto
dallarticolo 4-bis dellordinamento penitenziario) e così il condannato
va in semilibertà dopo 6 anni e 8 mesi e in permesso premio dopo 4 anni e 4 mesi. Senza
le attenuanti generiche, perché mi si potrebbe obiettare che con quelle non si dà
lergastolo, e quindi in presenza di una condotta che avrebbe certamente meritato
lergastolo, il discorso cambia nei seguenti termini: 20 anni con il rito abbreviato,
semilibertà dopo 10 anni, permessi premio dopo 5 anni.
Ma torno al discorso della prevenzione. La
legislazione in tema di misure di prevenzione offre notevoli possibilità di intervento
nellopera di contrasto al crimine, che tuttavia non vengono sfruttate adeguatamente
a causa delle differenti modalità e della differente intensità di applicazione che le
misure stesse conoscono nelle diverse zone del territorio nazionale. La riforma del 1988,
con la parallela deresponsabilizzazione del questore e giurisdizionalizzazione delle
misure, ha dilatato i tempi necessari per lapplicazione e ha sottratto
allautorità di polizia quei poteri di controllo che consentivano di limitare
lazione dei soggetti più pericolosi. Ma non è questo lelemento realmente
decisivo ai fini della sottovalutazione di fatto di questo strumento di contrasto del
crimine. Unindagine finalizzata allapplicazione di una misura di prevenzione
esige competenza e professionalità e costa tempo, uomini, risorse, soprattutto se mira
allindividuazione dei patrimoni di origine illecita. E allora il virus della
statistica che aleggia in alcuni uffici delle forze dellordine fa indirizzare le
energie verso ciò che appare con maggiore evidenza. Troppe procure della Repubblica
ritengono più urgente ma spesso è una situazione di necessità occuparsi
dei reati appena commessi piuttosto che della sottrazione delle possibilità operative a
coloro che sono in procinto di commetterne altri. In questo modo il baricentro
dellazione di controllo del territorio viene spostato in misura prevalente sul
contrasto repressivo del crimine. Le forze dellordine si trovano confinate in un
gioco di rimessa che, in assenza di una organica azione di prevenzione, subisce il
verificarsi dei delitti e cerca di scoprirne gli autori a posteriori.
Anche la politica è chiamata ad una seria
riflessione ed ha loccasione immediata per dimostrare attenzione al problema,
anzitutto varando nei tempi più celeri il minuscolo provvedimento, tuttavia ancora
pendente, che riconosce al Procuratore nazionale antimafia poteri di iniziativa per le
misure di prevenzione. Quindi valutando seriamente lintero complesso della materia,
il cui primo caso significativo potrebbe essere costituito dallo svincolare
lapplicazione delle misure di prevenzione e patrimoniali dal presupposto, ancora
oggi necessario, dellapplicazione di una misura di prevenzione personale. Occorre la
prevenzione, ma anche la preparazione. Ci sono organizzazioni criminose che organizzano
anche il sapere e le informazioni, e le organizzano così bene da conoscere nel dettaglio
i turni di uscita delle pattuglie, i turni delle volanti, i turni dei funzionari. Non
sempre avviene altrettanto per lorganizzazione del sapere da parte delle forze di
polizia. E allora la lotta alle mafie nel territorio esige che il personale di polizia sia
dotato di capacità culturali e professionali sempre più elevate, per competere alla pari
con quei professionisti, a cui faceva riferimento il generale Mosca Moschini, che
affiancano le organizzazioni criminali in una operazione di consulenza preziosa per le
organizzazioni, ed anche per essere in grado di sostenere i risultati delle indagini fino
allesaurimento del giudizio dibattimentale, in tal modo reggendo al contraddittorio
promosso nella logica del processo dai difensori degli accusati.
È accaduto di recente, e mi sembra
opportuno ricordarlo, in una importante città ad alto tasso di criminalità mafiosa, che
il questore ha ripristinato la presenza costante del funzionario di polizia nella sala
operativa della questura, avendo constatato limpossibilità di pretendere dagli
ispettori il corretto funzionamento di mansioni che pure sono loro affidate dalla legge e
dai regolamenti. È un segnale, a mio avviso, non solo della incapacità di prendere
provvedimenti verso ispettori che mostrano di non essere allaltezza dei compiti loro
istituzionalmente affidati, ma anche dei risultati della politica di dequalificazione
culturale e operativa dei ruoli perseguita negli ultimi anni, e in particolare dal
riordino delle carriere del 1995, la cui bontà oggi è disconosciuta perfino da quegli
stessi sindacati che fino a ieri lo avevano fortemente sollecitato. Dico questo non per
amore di polemica, ma per evitare ulteriori errori di valutazione. Latto Senato
2793-ter introduce nuove modalità di accesso alle qualifiche direttive, da vice
commissario a vice questore, secondo modelli di selezione certamente meno rigorosi
rispetto a quelli attuali. È un vero e proprio salto allindietro dal momento che,
per fare un esempio tra i tanti, viene eliminato il requisito della cultura universitaria
per entrare nella carriera dei funzionari di polizia. Quando poi il Procuratore nazionale
antimafia giustamente sottolinea la necessità di seguire la criminalità economica sul
fronte delle licenze commerciali, degli appalti, e così via, ci si chiede se tutto ciò
sia possibile attraverso strumenti normativi di questo tipo. Non servono ulteriori riforme
demagogiche; il riscatto culturale degli operatori delle forze dellordine passa da
un riassetto di funzioni e di compiti che anzitutto individui dal centro alla periferia i
responsabili effettivi ai quali attribuire i poteri e i riconoscimenti in funzione delle
reali responsabilità; in secondo luogo accresca la professionalità con un addestramento
frequente e con la mobilità dei ruoli; in terzo luogo preveda con altrettanta frequenza
limpiego attivo degli uffici ispettivi: quegli uffici che, se avessero funzionato,
avrebbero impedito il sorgere e lincancrenirsi di recenti spiacevoli esperienze.
Infine, a proposito del coordinamento, di
cui già tanto si è discusso, vorrei aggiungere che è necessaria flessibilità anche
nella dislocazione delle forze di polizia sul territorio. Flessibilità vuol dire
distribuire le forze dellordine sul territorio in relazione agli indici criminali e
alla popolazione residente diceva qualcosa in proposito il procuratore Cordova
secondo criteri di costante adeguatezza: criteri sempre enunciati, ma mai del tutto
rispettati. In tal senso giocano un ruolo fondamentale le stazioni dei carabinieri poste
nei paesi satelliti dei più grandi agglomerati urbani; dovrebbero essere adeguatamente
potenziate per assicurare un controllo preventivo effettivo sulle attività criminali, che
finiscono per interessare le periferie degli agglomerati più grandi. Parallelamente va
ripensato limpiego del personale della polizia di Stato nelle grandi città; non
può proseguire lo spreco e lesposizione a inutile pericolo di migliaia di uomini e
di risorse ingenti in scorte e in vigilanze, quando la garanzia di persone e di obiettivi
a rischio può essere assicurata, oltre che con una razionalizzazione del personale, anche
con una più diffusa e meno costosa utilizzazione di tecnologie avanzate. Razionalizzare
vuol dire anche utilizzare per tutte le forze dellordine personale civile di
supporto che sia messo in mobilità da amministrazioni che lo abbiano in eccedenza (in
particolare dalle amministrazioni più interessate: interno, difesa, finanze), o che sia
assunto per pubblico concorso. Potrebbe anzi istituirsi un ruolo amministrativo di
personale civile e di supporto, che esiste già per le forze armate, che consenta
limpiego sul territorio del personale delle forze dellordine che oggi lavora
negli uffici.
Le conclusioni di questa sessione sono
nella direzione di passare dalle parole ai fatti, e i fatti; per chi è impegnato in
Parlamento, sono quegli interventi normativi che tutti hanno reclamato come
indilazionabili. (Applausi).
PRESIDENTE.
La giovinezza matura del collega Mantovano conclude degnamente questa prima giornata del
nostro Convegno. Quanto al problema dellergastolo, fondamentale per la nostra
civiltà penale, ne riparleremo, onorevole Mantovano, alla Camera dei deputati. Intanto
gli argomenti ostativi opposti non sono in effetti risolti dal testo del Senato. Questo
non esclude che lo possano essere presso la Camera dei deputati. E tuttavia lultima
parola la voglio dire per ringraziare il nostro presidente Del Turco che mi sta
convincendo, anche contro una mia diffidenza di principio per una certa
"convegnistica", che le cose fatte bene, con sincerità di intenti e
intelligente programmazione, come sta accadendo oggi, possono giovare al compito
istituzionale della Commissione. (Applausi).
I lavori terminano alle ore 19,15.