I lavori, sospesi alle ore 13,45, riprendono alle ore 17,20.

        PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori per la seduta conclusiva del Convegno.

        Desidero rivolgere un saluto ed un ringraziamento molto sentito al Presidente del Senato, senatore Mancino, che ha accettato il nostro invito e che parteciperà con un suo contributo personale alla nostra discussione.
        Naturalmente ringrazio anche il ministro Napolitano, il ministro Flick, il ministro Visco e il sottosegretario Ayala. Un grazie a lei, presidente Cristaldi, per essere ancora qui insieme a noi, e grazie anche al dottor Masone, capo della Polizia di Stato, al generale Siracusa, comandante generale dell’Arma dei carabinieri e al generale Mosca Moschini, comandante generale della Guardia di finanza.
        Vorrei dare subito la parola al presidente Mancino per il primo intervento di questo pomeriggio.

        MANCINO Nicola, presidente del Senato della Repubblica. Credo che questa "due giorni" palermitana abbia messo a fuoco problemi di tutta attualità. Ringrazio il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia, senatore Del Turco, per aver realizzato un luogo di confronto fra posizioni e sensibilità anche diverse, che si sono registrate intorno ad un fenomeno che non ci interessa direttamente solo come cittadini italiani. Il fenomeno del riciclaggio era già largamente presente sul piano internazionale quando i due blocchi si contrapponevano l’uno all’altro, andando al di là dei confini di carattere politico. Io ho avuto anche modo di interessarmi più direttamente di tale questione da Ministro dell’interno e dirò subito che era così evidente il bisogno di collegamenti di carattere internazionale da convincermi a continuare una preziosa esperienza fatta grazie ad iniziative dei Ministri dell’interno che mi avevano preceduto, in particolare da parte dell’attuale Presidente della Repubblica, onorevole Scalfaro.

        Sul piano generale abbiamo tenuto in Italia, a Roma, una Conferenza internazionale sul fenomeno della criminalità organizzata, in particolare sul riciclaggio e il terrorismo; eravamo di fronte alle bombe del 1993 ed alla manifestazione parteciparono ben 42 paesi. Inoltre, ritenendola utile, proseguii nell’iniziativa di stipulare accordi con paesi come la Croazia, la Bielorussia, la Romania, la Slovenia, l’Ucraina, la Federazione russa, la Germania e il Cile. Poi questo approccio ha avuto ulteriori applicazioni e fino ad oggi possiamo dire che gli accordi bilaterali di cooperazione di polizia, sottoscritti dal nostro paese dal 1984 al 1992, sono stati 25; successivamente, dal 1994 ad oggi, altri 10 sono stati gli accordi stipulati in via bilaterale. Questo per sottolineare che il fenomeno si è ulteriormente esteso e la via balcanica di un tempo, che era la rotta del traffico, è diventata una via a ondulazioni varie sul piano europeo.
        La legislazione italiana è stata molto apprezzata sul piano internazionale. Non possiamo dire di essere stati intempestivi rispetto al fenomeno, ma anzi possiamo affermare che la nostra legislazione è stata attentamente seguita. Non so cosa potrà dire della sua esperienza nelle relazioni con gli altri paesi l’attuale Ministro dell’interno, ma a me risultava, con motivo di soddisfazione, che c’era e c’è una curiosità anche scientifica per la legislazione che era stata approntata e approvata dal Parlamento.
        Ritengo che il fenomeno del riciclaggio originato dalla compravendita della droga stia a valle di un’attività di tipo criminale; ma la nostra legislazione differenziata mostra ancora oggi la sua attualità. Per quanto sia meritevole di aggiustamenti, tuttavia possiamo dire che grazie alla legislazione differenziata, che ha trovato il suo precedente in una lotta anch’essa difficile, affrontata e vinta dal nostro paese contro il terrorismo, è stato possibile segnare punti attivi sul piano generale. Se c’è una presenza più forte dello Stato, questo è dovuto ad un’intensa collaborazione da parte delle forze di polizia e della magistratura.
        Del resto, vorrei fare qui soltanto alcune elencazioni. Ho letto sui giornali la presa di posizione del procuratore Vigna sulle case di gioco. Un Presidente di Assemblea parlamentare difficilmente deve assumere posizioni su questi problemi, perché tutto è rimesso alla valutazione dell’Assemblea parlamentare stessa, alla riflessione dei singoli Gruppi. Ritenere che, nel momento in cui si accentua la presenza di denaro riciclato sul piano internazionale, possiamo liberamente dare vita a case da gioco mi sembra un po’ esagerato, per non dire irresponsabile. Ho preso posizione anche in Assemblea, in più di un’occasione; ho registrato consenso durante la finanziaria 1998. Il fenomeno va visto anche con riferimento a ciò che le case da gioco possono realizzare nel rapporto tra il denaro pulito e quello sporco.
        Sono da tempo preoccupato di fronte al fenomeno della facile compravendita per quanto riguarda gli esercizi commerciali, soprattutto in alcune aree del nostro paese. Il presidente Billè meglio di me potrà dire a che punto è giunto il fenomeno di appropriazione degli esercizi commerciali, anche attraverso forme surrettizie di presenza della malavita organizzata. Da Ministro tentai di ottenere una sorta di censimento degli esercizi commerciali compravenduti; non so che esito abbia avuto quella disposizione: non ho abbandonato quella preoccupazione. Censire i movimenti in ordine alla compravendita degli esercizi commerciali, a mio avviso, è utile: questo fenomeno si sviluppa attraverso simulazione di atti che vengono posti in essere.
        Per combattere il fenomeno del riciclaggio occorrono una maggiore determinazione e un contributo collaborativo, soprattutto da parte dei funzionari delle banche. Posso comprendere i rischi che possono correre i dipendenti degli istituti di credito; può esserci condizionamento o intimidazione o collusione, tutti fenomeni che naturalmente riconducono ad un’utilizzazione del denaro sporco con dirottamenti laddove è maggiormente possibile e più facilitato il suo percorso.
        L’ultima valutazione riguarda il trasferimento di beni mobili e servizi e il trasferimento dell’immobile. Questo è un altro fenomeno che dovrebbe essere sempre al centro di una attenta radiografia, sapendo molto bene che c’è bisogno di una grossa collaborazione. Del resto, la nostra legislazione oggi richiede una maggiore e mirata collaborazione dei notai: in un loro convegno a Capri, da Ministro dell’interno, rilevai che, come pubblico ufficiale, il notaio nella stipula degli atti un contributo poteva anche offrire. Questa mia riflessione ebbe un’accoglienza inizialmente fredda, poi ci fu coinvolgimento e collaborazione. Quando gli atti posti in essere dinanzi al notaio possono essere tempestivamente valutati da parte delle autorità di pubblica sicurezza, si realizza un alto contributo proprio per comprendere come avvengono alcuni movimenti di capitali e alcuni trasferimenti di beni e servizi.
        Si tenga conto che la caduta del muro di Berlino non ha portato solo in evidenza le difficoltà di quei paesi dal punto di vista del sistema produttivo ed economico, ma ha anche fatto registrare un bisogno di utilizzazione di denaro riciclato. Il fenomeno della mafia russa è di antica data; in Italia è arrivato attraverso gli Stati Uniti, anche quando era presente una conflittualità tra i due maggiori paesi e i due blocchi. Questa presenza non può non preoccuparci sul piano generale.
        Credo che ci sia bisogno di una collaborazione sempre attiva da parte delle forze dell’ordine e, al loro interno, dell’organismo più specializzato, la Guardia di finanza; come c’è bisogno di quel coordinamento, che è parola magica che sempre invochiamo e che mai riusciamo ad applicare sul terreno concreto. Fino a quando il coordinamento viene visto come una non gradita gerarchia, anche nella forma più debole della cosiddetta gerarchia impropria, fino a quando il coordinamento non viene assunto con vincolo, difficilmente possiamo ottenere ulteriori risultati nella lotta al crimine organizzato.
        Intorno alla legislazione speciale c’è una non sempre oggettiva riflessione. C’è chi vorrebbe abolirla, perché utilizzata a danno delle garanzie, e chi vorrebbe adeguarla, soprattutto per quanto riguarda l’attività della magistratura. Noi dobbiamo essere sempre grati alla magistratura per quello che ha fatto nella lotta contro la criminalità organizzata. Vorrei sottolineare ad alta voce una mia riflessione: se in questa isola sono presenti la testa e la radice della mafia, questo fenomeno non interessa solo Palermo, o solo Napoli, o solo Catanzaro, o solo Lecce e Bari. Questo è un fenomeno che possiamo tranquillamente riscontrare in parti consistenti del territorio nazionale: sì, il riciclaggio è un fenomeno nazionale ed internazionale.
        Concludo con un ringraziamento al presidente Del Turco ed attendo di ascoltare le relazioni dei Ministri dell’interno, delle finanze e di grazia e giustizia, soprattutto per quanto riguarda eventuali propositi del Governo circa l’aggiornamento di alcune leggi. Resto un patito dell’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario, convinto come sono che quella normativa, sia pure suscettibile di adeguamento rispetto ai tempi che viviamo, abbia consentito alla magistratura, alle forze dell’ordine e al paese di realizzare risultati tutti positivi. Si tenga anche conto che la lotta alla criminalità organizzata ha ottenuto questi risultati grazie a un risveglio delle coscienze. Ho l’impressione che dobbiamo elevare non il livello di guardia, che già c’è, ma quello di partecipazione della gente intorno a fenomeni che sono una piaga, non solo al nostro interno, ma anche sul piano internazionale. (Applausi).

        PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Mancino per il suo autorevole contributo e anche per il suo richiamo. Non le faremo mancare, Presidente, gli atti di questo Convegno, visto che il Parlamento sarà chiamato, anche su sollecitazione della Commissione antimafia, a qualche conseguenza sul piano dell’attività legislativa.

        Cedo quindi la presidenza all’onorevole Giacalone per la prosecuzione dei nostri lavori.

Presidenza del deputato Salvatore GIACALONE,
componente della Commissione parlamentare antimafia

        PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Sergio Billè, presidente della Confcommercio, il quale svolgerà una relazione sul tema "Il riciclaggio e la penetrazione della criminalità nel tessuto economico e commerciale".

        BILLÈ Sergio, presidente della Confcommercio. Debbo innanzi tutto ringraziarvi per aver consentito l’esposizione del punto di vista della nostra Confederazione. È un fatto di assoluto rilievo per quanto ci riguarda, e quindi il mio ringraziamento è più che dovuto.

        Ritengo che dopo due intense giornate di lavoro tre considerazioni emergano con molta forza. La prima è che le tecniche di penetrazione e di infiltrazione criminale nel tessuto economico hanno di fatto spazzato via le linee di difesa fin qui esistenti, come è successo durante la seconda guerra mondiale con la linea Maginot. Il ritardo che vi è stato nel percepire questo fatto ha complicato ulteriormente la situazione.
        La seconda considerazione è che alla globalizzazione dell’economia, come ha appena ricordato e sa meglio di me il Presidente del Senato, è seguita anche una mondializzazione degli affari gestiti dalla criminalità, per cui è assolutamente normale che affari siano gestiti insieme da mafia siciliana e russa, da Sacra corona unita e mafia turca o albanese, da cartelli colombiani e Cosa nostra.
        Terza e ultima considerazione: emerge, anche in conseguenza di quel ritardo appena ricordato, una scarsa uniformità delle normative degli Stati, soprattutto per quanto riguarda il controllo dei flussi finanziari del denaro sporco che quindi trova mille vie per poter entrare senza ostacoli nell’economia legale, contaminando anche la tenuta del mercato.
        Oggi possiamo dire che ogni ora vengono convertiti in denaro pulito 2.500 miliardi di lire; il 35 per cento di questa somma viene reinvestito in affari sporchi, quali droga, armi e prostituzione, ma il 20 per cento confluisce nei settori immobiliari e commerciali, quindi settori puliti, e il 45 per cento va a finire in operazioni finanziarie ad alto tasso speculativo. Questo la dice lunga sul fatto che ormai i maggiori investimenti di denaro criminale non avvengano nei settori criminali, ma nei settori legali dell’economia. Solo il 5 per cento di questa enorme torta a livello mondiale arriva oggi ad essere confiscata.
        Capirete bene dunque che il ritardo, non solo nostro ma di tutto il sistema di controllo e di difesa immunitaria mondiale, deve essere compensato nel più breve tempo possibile. Questo accade da un lato per la fortissima capacità, anche scientifica, delle organizzazioni criminali, che si possono avvalere di superconsulenti, di superesperti e supermanager essendo in grado di pagarli assai meglio di quanto possa una multinazionale legale, ma anche in conseguenza dell’attuale livello di legislazione di contrasto e di alcune connivenze che si verificano nei singoli Stati e nei vari sistemi.
        I settori in cui operiamo, e che qui rappresento, hanno avuto percezione di questo stato di cose essendo, come ha ricordato il presidente Mancino, in prima linea su questo fronte già da diverso tempo. Lo abbiamo anche evidenziato: ricordo che presentammo nel 1992 un primo rapporto su questo, e ricordo anche l’incredulità con la quale fu accolto un rapporto a Milano con il quale denunciammo il fatto che a Lecco, ma anche sotto l’ombra del Duomo, sotto l’ombra della Madonnina, ormai c’erano fortissime infiltrazioni di criminalità calabrese e di altre parti d’Italia, quasi come se fosse impossibile trasferire al Nord sistemi criminali, mentre ormai il problema, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino, è diventato la finanziarizzazione del sistema criminale.
        Il processo ha subito negli ultimi anni una forte accelerazione. Oggi siamo in grado di dire che negli ultimi cinque anni sono stati recuperati da parte dell’economia criminale quasi 50.000 miliardi, che sono diventati patrimonio imprenditoriale di organizzazioni criminali.
        Potrei aggiungere anche che l’entità del fenomeno può condurre a stime che portano ad oltre il 20 per cento per le imprese commerciali operanti in Italia controllate direttamente o in direttamente dalle organizzazioni criminali, al 30 per cento per le imprese private impegnate nel settore dei servizi, al 25 per cento per quelle che operano nel settore delle pulizie, della raccolta dei rifiuti, e ad una percentuale altrettanto consistente per quanto riguarda il settore alberghiero e dei pubblici esercizi. Va quindi data una risposta urgente, e credo che lo stimolo che il Presidente del Senato ha oggi rivolto in questo Convegno meriti una risposta tempestiva.
        Il varo della cosiddetta "legge Mancino" è stato importante, ma si è trattato di una barriera – oggi possiamo dirlo – di natura statica. L’entità del fenomeno e il flusso di capitale criminale sono tali che probabilmente l’unica risorsa sarà quella di avvalersi, da un lato, di investigatori altissimamente e specificamente preparati che non debbano svolgere indagini su altri versanti e per altri reati, ma che si dedichino con costanza e con continuità a questo tipo di controllo e, dall’altro, dell’informatica in maniera più consistente e costante.
        La "legge Mancino" ha bloccato i passaggi delle società, ma il problema vero è vedere come questi dati sono stati gestiti successivamente, quali risultati hanno portato perché spesso nel circuito criminale una società viene spostata da una prestanome a un altro e qualche traccia il più delle volte resta.
        Credo che il segnale che una Confederazione fortemente presente sul territorio e molto interessata a una soluzione del problema – altrimenti si altera l’equilibrio del mercato fatto da piccole e medie imprese, da gente che non può contrapporre grandi risorse a questo intervento massiccio del capitale derivante dal riciclaggio – possa dare, sia quello di aggredire questi beni al sole della criminalità, di verificare, con un’operazione di scavo approfondita, come sono quantificati e qualificati i patrimoni criminali. Solo in questo modo riusciremo a demolire il grande castello di potere che in questo momento l’organizzazione criminale sta costruendo in tutto il mondo. (Applausi).

        PRESIDENTE. Do la parola all’onorevole Alfredo Mantovano, coordinatore del I Comitato di lavoro della Commissione antimafia (sul riciclaggio, il racket, l’usura, sul sequestro e la confisca dei beni mafiosi, sugli appalti delle opere pubbliche) , il quale svolgerà una relazione sulle "Sinergie istituzionali nel contrasto al riciclaggio".

        MANTOVANO Alfredo, deputato, componente della Commissione parlamentare antimafia. Signori Presidenti, signori Ministri, signore e signori, "sinergia" è un termine di moda: significa azione comune frutto di collaborazione. È un termine mutuato dalla esperienza medica, con riferimento all’effetto di più farmaci compatibili che vengono somministrati contemporaneamente.

        Esistono delle significative sinergie nel campo dell’illecito, che ruotano attorno al riciclaggio, e che sono state ricordate nel corso del Convegno: l’azienda in crisi trova utile rendersi disponibile all’intervento dell’organizzazione criminale che le chiede di ripulire i proventi dei traffici delinquenziali. Vi è una reciproca convenienza fra l’imprenditore che svolge le funzioni di paravento e il finanziatore occulto, per lo meno nel breve e medio periodo, cioè sino a quando l’organizzazione criminale non acquisisce il controllo di fatto dell’impresa. Da quel momento in avanti la convenienza sarà esclusivamente del finanziatore occulto.
        Ieri l’onorevole Folena ha ricordato il danno che provoca una sinergia criminosa di questo tipo all’interno del sistema dell’economia legale. L’esistenza e la gravità di questi danni, se preoccupano l’onorevole Folena, preoccupano certamente chi ha sempre sostenuto l’importanza dell’economia di mercato. Un mercato senza regole non ha vita; la lotta alla criminalità deve essere individuata con sempre maggiore chiarezza come l’altra faccia della tutela della concorrenza dei mercati.
        Il riciclaggio provoca alterazioni plurime: altera la funzione dell’impresa che si presta al riciclaggio medesimo, perché l’obiettivo dell’impresa non è più la massimizzazione del profitto, bensì la reintroduzione nel sistema legale di flussi di liquidità illecita. Altera la concorrenza sotto due profili. L’azienda che ricicla di fatto realizza il dumping e quindi provoca un artificioso abbassamento dei prezzi, estraneo ed anzi confliggente con le regole del mercato. Non solo, in momenti di carenza di liquidità o di difficoltà di finanziamento, il flusso di denaro che raggiunge questa o quella azienda e che deriva dal riutilizzo dei traffici illeciti fa assumere all’azienda che ricicla una posizione migliore sul mercato.
        L’alterazione assume particolare rilievo nel mondo delle piccole e medie imprese che, per le loro naturali caratteristiche, meglio si prestano al riciclaggio per radicamento sul territorio, maggiore possibilità di sottrazione ai controlli fiscali, capacità di occultamento. Vi è, più in generale, un’alterazione della certezza delle relazioni economiche dal momento che imprese prossime alla decozione risorgono improvvisamente, evitando probabili declaratorie di fallimento e spingendo alla crisi le loro concorrenti.
        È allora ineludibile rintracciare sinergie di altro tipo, istituzionali e no, sul fronte del contrasto al riciclaggio, partendo dal presupposto – ovvio sul piano teorico, lo hanno sottolineato in tanti in questo Convegno, ma meno ovvio sul terreno dei comportamenti concreti – che in questa materia non esistono scorciatoie o ricette rapide e di immediata efficacia. L’indicazione di queste sinergie costituisce il terreno privilegiato del lavoro della Commissione parlamentare antimafia e in modo particolare del Comitato che ho l’onore di coordinare. Allora, quelle che esporrò per cenni sono le linee di massima di un lavoro di approfondimento che è già iniziato.
        Le sinergie devono muoversi su terreni profondamente distinti, che richiamano autonome responsabilità, ma essi sono organicamente collegati nella realtà quotidiana. Provo ad indicare i più significativi.
        Il primo è quello delle istituzioni di governo dell’economia. Ho ascoltato con interesse, come tutti, l’intervento del presidente Billè, al vertice di una delle più importanti associazioni di categoria, da sempre in prima fila nella denuncia dei rapporti tra economia e criminalità; non può tardare un incremento di sensibilità da parte delle camere di commercio, che occupano un posto privilegiato nell’osservazione del mercato e del sistema di distribuzione e che quindi hanno gli strumenti per rilevare le anomalie del mercato stesso.
        Altrettanto importante, perché emblematico, è il ruolo che possono svolgere, soprattutto in zone significative del territorio nazionale, le aziende a partecipazione pubblica e le forze sindacali. Una recente indagine della procura della Repubblica di Palermo, che è approdata al dibattimento e che è oggetto di attenzione anche da parte della Commissione parlamentare antimafia, ha evidenziato non poche anomalie nella gestione dei Cantieri navali del capoluogo siciliano, nel passato non sempre adeguatamente denunciate dai sindacati. Se non provengono esempi di trasparenza economica e di chiara contrapposizione a ogni tipo di penetrazione criminale da parte di realtà che si muovono sotto il controllo del Ministero dell’industria, è poi difficile esigere comportamenti di resistenza da parte di imprenditori piccoli e medi.
        Il secondo fronte di sinergie riguarda il Ministero dell’interno. Come è stato ricordato, nel 1993 è stata varata una legge importante, la cosiddetta "legge Mancino" n. 310, il cui scopo era quello di accertare fenomeni di attività finanziarie di riciclaggio, nonché la cessione di più imprese o l’accumulazione di immobili su aree territoriali circoscritte (penso, tra tutte, alla vicenda della baronessa Cordopatri). I cardini della legge sono gli articoli 7 e 8. L’articolo 7 obbliga i notai roganti o autenticanti a trasmettere al questore competente i dati relativi al trasferimento di terreni o di esercizi commerciali, mentre l’articolo 8 pone un obbligo simile a carico dei segretari comunali, che sono tenuti a trasmettere, al questore territorialmente competente, gli estremi delle autorizzazioni rilasciate per l’esercizio delle attività commerciali e dei trasferimenti della gestione di tali imprese commerciali.
        Purtroppo questa legge è inattuata, perché i dati centralizzati dalle questure non sono trattati, in quanto è mancata una regolamentazione amministrativa del trattamento; per cui, facendo eco anche a riflessioni e a spunti venuti dal workshop di questa mattina, mi consentirete di approfittare della presenza del Ministro dell’interno per chiedergli quanto dovremo attendere prima che i soggetti tenuti alle segnalazioni siano compiutamente informati delle modalità esatte di adempimento degli obblighi loro gravanti e perché gli archivi delle questure siano messi nelle condizioni di elaborare utilmente i dati. È ovvio che un beneficio ancora maggiore ai fini della trasparenza del mercato può derivare dalla realizzazione del registro informatico delle imprese.
        Il terzo fronte è il sistema creditizio. La Banca d’Inghilterra lavora da tempo ad un sistema integrato di linee guida con l’associazione delle banche inglesi teso a garantire non tanto il profilo quantitativo delle segnalazioni delle operazioni sospette, quanto la selezione qualitativa delle stesse, includendo tra gli indici di anomalia i comportamenti degli operatori bancari. Non comprendo perché un sistema del genere non possa essere avviato anche in Italia, sul presupposto del riassetto di tutte le segnalazioni e della verifica, a scadenze ricorrenti, del rispetto dei decaloghi.
        Ho ascoltato nel corso del Convegno il riferimento a dati statistici relativi alle segnalazioni effettuate in Italia, ma non so quanto sia produttivo accontentarsi del dato quantitativo. Il blocco del sistema e la sua paralisi può derivare anche da un surplus di segnalazioni, che hanno perduto qualsiasi seria efficacia. Se, per esempio, si è segnalato come sospetto il deposito in banca della buonuscita di un insegnante – è accaduto! – vuol dire che c’è qualcosa che non funziona, anzitutto sul piano culturale.
        Non ci si può accontentare dei controlli cosiddetti di front office, cioè allo sportello, perché altrimenti non si fanno grandi passi avanti. È necessario andare oltre e controllare le operazioni di tipo discrezionale, come la concessione di mutui, i prestiti a se stessi, i rientri troppo rapidi da esposizioni debitorie. Gli attori della sinergia illecita tra impresa che ricicla e finanziatori criminali sono comunque costretti a porre in essere manovre che rivelano l’origine delle ricchezze illegalmente percepite. Come ha ricordato autorevolmente il procuratore Vigna in un suo scritto recente, oggi pecunia olet e lascia tracce visibili, sempre che si sia pronti a tenere gli occhi aperti.
        La resistenza da parte degli operatori bancari a comunicare agli organi preposti quanto accade sotto la loro percezione, o a trasmettere dati informativi completi, può essere economicamente pagante – salvi ovviamente i profili di illiceità – nel breve periodo, poiché fa individuare nel singolo istituto di credito un interlocutore affidabile e riservato, ma ha effetti negativi a medio e lungo termine sull’intero sistema del credito, a causa dello sconvolgimento del mercato che è in grado di provocare.
        Il quarto fronte riguarda gli enti locali. Può sembrare strano farvi cenno, dopo aver ascoltato scenari internazionali, ma il discorso si inserisce – ed è stato richiamato dal presidente Billè – in un interessante dibattito in atto da tempo sul ruolo degli amministratori locali ed in particolare dei sindaci nell’opera di contrasto alla criminalità. Il sindaco ha un contatto immediato con la realtà territoriale che lo ha espresso, per le sue conoscenze dirette e per la disponibilità della polizia municipale, ed è quindi in possesso di informazioni e di capacità di analisi che altri soggetti, pur impegnati sul fronte dell’ordine pubblico, non hanno o possiedono in certi casi in modo meno dettagliato. Spesso si raccolgono, dai sindaci più sensibili, segnali di preoccupazione in ordine all’apertura nel territorio del comune di loro pertinenza di esercizi commerciali che presentano disponibilità finanziarie oggettivamente inspiegabili per chi conosce bene la zona e vi opera. Manca però lo strumento formale perché, con la riservatezza del caso, il sindaco sia posto nelle condizioni di rappresentare la situazione al questore, al prefetto o al procuratore della Repubblica.
        L’inserimento del sindaco, per lo meno allo scopo di fornire questo tipo di informazione, all’interno dei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica può essere utile. In questa ottica il protocollo di intesa del 25 aprile di quest’anno, sottoscritto dal sindaco e dal prefetto di Milano, è un esperimento interessante poiché impegna il prefetto non soltanto ad invitare il sindaco alle sedute del Comitato quando vengono affrontati i temi di rilievo per la città, ma anche a convocare il Comitato su richiesta del sindaco.
        Quinto fronte: il Parlamento nazionale. Qui c’è veramente poco da dire dopo tutto ciò che è stato enunciato. Certamente da questo Convegno emerge la necessità di una riflessione di insieme sugli organi centrali del sistema sanzionatorio, penale e amministrativo, per far sì che il sistema non abbia zone d’ombra.
        Il sesto fronte riguarda gli uffici finanziari accertatori. Quando un’impresa legale si lascia coinvolgere nell’attività di riciclaggio, non perché costretta da difficoltà finanziarie ma perché intende perseguire scopi di evasione fiscale, gli uffici d’imposta – naturalmente dopo la Guardia di finanza – possono svolgere una parte importante solo che si diano loro le informazioni e i modulari utili per farlo.
        Ultimo e importantissimo aspetto: la repressione penale. Le segnalazioni e gli accertamenti devono avere come esito lo svolgimento delle indagini e queste, a loro volta, sono finalizzate ad una sentenza di condanna dei responsabili ma al tempo stesso di confisca dei proventi illeciti. Anche su tale fronte, come su quelli prima segnalati, il mutamento di mentalità contestuale ad un più serio investimento di uomini e mezzi nell’opera di repressione è essenziale, nel senso di riconoscere un rilievo centrale all’indagine patrimoniale. Fino ad oggi questo tipo di indagine o è stata trascurata o è stata utilizzata nei limiti in cui appariva strettamente indispensabile, salvo ovviamente eccezioni, per acquisire elementi di prova a carico di questo o quell’indagato, in ordine al reato associativo o a determinati reati simili. Capita però con una certa frequenza che, una volta che siano stati raccolti i dati bastevoli a sostenere l’accusa a carico di persone fisiche, l’indagine patrimoniale per lo più venga messa in disparte; ciò accade perché essa è eccessivamente impegnativa rispetto agli attuali organici degli inquirenti, in particolare della Direzione distrettuale antimafia, e onerosa rispetto al tempo e alle energie da dedicare. Tale indagine deve fare i conti poi con i limiti temporali delle indagini preliminari, ma si tratta innanzi tutto di un problema di atteggiamento culturale, per così dire, da modificare. Basta convincersi che quando si fronteggiano le molteplici forme della delinquenza economica, sotto inchiesta non sono soltanto le persone, alle quali andranno irrogate le sanzioni penali di varia entità, ma pure le ricchezze illecitamente accumulate con i provvedimenti di confisca. Dunque, non vanno raccolti solo gli elementi di accusa a carico delle persone, ma anche quelli contro le ricchezze, tenendo conto che – come è stato ben spiegato da tanti – mentre le organizzazioni criminali non trovano difficoltà insormontabili nel sostituire i loro aderenti, quando questi vengano arrestati o condannati, le stesse non riescono con altrettanta facilità a rimpiazzare le ricchezze confiscate.
        In questo contesto – e concludo – si situa l’attenzione mirata da parte della Commissione parlamentare antimafia che, in quanto strumento conoscitivo e di indagine, intende apportare il proprio contributo alla rimozione degli ostacoli per la costruzione di autentiche sinergie nel contesto dell’azione di contrasto al riciclaggio. Gli spunti di riflessione raccolti nelle due giornate di questo Convegno costituiranno altrettante piste di approfondimento da parte della Commissione antimafia e spunti per nuove proposte che saranno formulate nell’immediato futuro. (Applausi).

        PRESIDENTE. Passiamo ora agli autorevoli interventi dei rappresentanti del Governo, cominciando dal ministro delle finanze, onorevole Visco. 

        VISCO Vincenzo, ministro delle finanze. Il risanamento del bilancio pubblico realizzato nel corso degli ultimi due anni e il raggiungimento dell’obiettivo della moneta unica europea hanno creato i presupposti indispensabili per dare possibilità di successo agli interventi sulle patologie e sulle disfunzioni del paese che devono essere rimosse: quelle di cui si sono occupati i lavori di questo Convegno sono sicuramente fra le più urgenti.

        Sarebbe miope, infatti, non vedere come la criminalità economica abbia influenza diretta su fenomeni ai quali si stanno dedicando, in questa fase, molte energie, come la disoccupazione e l’arretratezza nello sviluppo economico di aree importanti del paese, ma anche, più in generale, sul funzionamento complessivo dei mercati; e sarebbe miope non riconoscere alla criminalità economica una capacità di innovazione e di espansione che obbliga ad un costante aggiornamento e ad una incessante vigilanza l’impegno di chi ha il compito di contrastarla.
        La criminalità economica rappresenta oggi lo snodo forse più insidioso con cui deve confrontarsi quella "cultura della legalità", recentemente richiamata dal Presidente della Repubblica, senza la quale il patto sociale tra i cittadini e lo Stato perde consistenza. La criminalità economica, che trae linfa vitale da fenomeni tra loro molto diversi, come il traffico di droga e di armi, la corruzione e il contrabbando, le frodi fiscali e i falsi in bilancio, le estorsioni e l’usura, crea percorsi lungo i quali il mescolarsi di lecito e illecito rende arduo l’intervento repressivo e opinabile la stessa applicazione dei tradizionali criteri di discriminazione. E ciò dà luogo a situazioni che minano nel profondo la coscienza civile e il senso dello Stato nel tessuto civile del paese.
        Il riciclaggio di beni provenienti da attività illecite è l’ultimo anello della catena di fenomeni che contraddistinguono l’azione della criminalità organizzata, ma è anche quello che ne moltiplica la pericolosità e che dà concretezza all’effetto inquinante che essa determina sui flussi dell’economia trasparente e lecita impedendone la crescita. Si tratta, del resto, di attività che non soltanto configurano comportamenti criminali in senso stretto, ma producono sui mercati effetti distorsivi difficilmente sostenibili sia perché immettono nei circuiti finanziari regolari risorse di illecita provenienza, sia perché, grazie alla provenienza illecita, quelle risorse godono di un regime di totale esenzione fiscale che spezza il meccanismo della concorrenza.
        Ma l’estrema pericolosità del riciclaggio è data anche dalla concomitanza della vastità e capillarità del danno che esso arreca all’economia sana e dell’estrema difficoltà di individuarne e contrastarne i flussi. Il riciclaggio, infatti, si manifesta nelle forme più svariate, moltiplicate negli ultimi anni dalla progressiva liberalizzazione dei flussi finanziari internazionali.
        Mai come oggi i "paradisi fiscali" – le aree, cioè, in cui i capitali possono essere collocati con il doppio vantaggio dell’esenzione d’imposta e del più rigoroso segreto – proliferano e prosperano, come ha illustrato ieri il procuratore Caselli, rendendo difficilissime le indagini. E, insieme ad essi, prosperano le organizzazioni che si sono specializzate in queste operazioni finanziarie, le quali trattano indifferentemente la ripulitura di capitali provenienti dall’evasione fiscale, dalla corruzione, dal traffico di armi e droga e quant’altro.
        Il riciclaggio, come ho ricordato, oltre alle tradizionali attività criminali, è strettamente intrecciato oggi alla corruzione e all’usura, alimenta speculazioni e acquisti di attività economiche e commerciali, si attua attraverso false fatturazioni da cui, non di rado, scaturiscono rimborsi IVA truffaldini, utilizza in maniera crescente i canali elettronici che consentono flussi finanziari anche via Internet, contribuisce alla costituzione di provviste di denaro occultate al fisco e alla pubblicità dei bilanci, configurandosi anche come frode fiscale e falso, e sempre si avvale o della circolazione di contanti (che l’introduzione dell’euro, eliminando la necessità del cambio, renderà più agevole) o dell’anonimato bancario, sempre gelosamente protetto.
        Per queste ragioni, la lotta contro il riciclaggio deve essere condotta con alti livelli di preparazione, con una forte capacità di aggiornamento sia delle tecniche finanziarie sia di quelle che richiedono l’uso di informatica ed elettronica, sia – soprattutto – con il concorso, coordinato e sinergico, di differenti professionalità e competenze sia operative che istituzionali, a livello nazionale e internazionale.
        Il Consiglio europeo del 28 aprile dell’anno scorso approvò un "Piano d’azione contro la criminalità organizzata" che dedicava ampio spazio al tema del riciclaggio e della criminalità finanziaria. In particolare, venivano segnalate alcune misure ritenute urgenti: la creazione di un sistema per lo scambio di informazioni relative al sospetto di riciclaggio a livello europeo; la creazione di una base giuridica tale da ampliare i poteri di investigazione; una più stringente normativa in tema di confisca dei beni; l’adozione di tecniche informatiche idonee a fronteggiare il riciclaggio di capitali veicolato attraverso la rete Internet o comunque attraverso i mezzi telematici; una limitazione il più possibile stringente dell’uso dei contanti nelle transazioni finanziarie. Quest’ultimo punto, in particolare, trova l’Italia in condizioni di grande arretratezza rispetto all’Europa: oltre il 90 per cento delle transazioni – secondo i dati dell’ABI – avviene per contanti, e il rapporto fra le transazioni effettuate con mezzi diversi dai contanti in Italia e in Francia, ad esempio, è di 30 a 150.
        Su queste direttrici sono stati mossi alcuni passi e credo che la presenza, in questa sede, dei Ministri dell’interno, di grazia e giustizia e delle finanze, renda chiaro a tutti che la volontà dell’intero Governo, su questo versante, è mobilitata con la massima energia. In particolare, c’è, in questo impegno, la forte integrazione fra le diverse competenze, i diversi poteri dello Stato, i diversi strumenti di cui esso dispone.
        Lo strumento fiscale, in questa prospettiva, assume un rilievo particolare. Non c’è bisogno di ricorrere all’abusato esempio dell’arresto e della condanna di Al Capone che venne ottenuta grazie alla scoperta e all’utilizzazione a fini giuridici dei suoi reati fiscali per ricordare che lo strumento fiscale possiede potenziali valenze e possibilità di applicazione capaci di fornire alla magistratura un terreno d’intervento non sempre praticabile direttamente dall’azione penale. L’amministrazione finanziaria, quindi, deve essere in prima linea in questa lotta, ma deve anche disporre degli strumenti idonei a condurla con successo.
        Non sono pochi, infatti, i problemi che derivano dal sostanziale blocco che le indagini tributarie subiscono quando riguardano situazioni su cui intervengono inchieste penali; e la defatigante lentezza dei processi per reati tributari e non, è a sua volta causa di una sostanziale impossibilità di colpire efficacemente i reati di quella natura.
        Una sempre più stretta collaborazione con la magistratura, una più tempestiva capacità di monitoraggio da parte dell’amministrazione e dei suoi organismi territoriali, il più serrato intreccio fra le attività dell’amministrazione e quelle della Guardia di finanza rappresentano elementi capaci di consentire importanti progressi. Ma non è da escludere che siano necessarie innovazioni più profonde.
        Un fattore di rilievo, per quanto riguarda l’Italia, è oggi rappresentato dalla sempre rinviata istituzione dell’anagrafe dei conti correnti bancari. Prevista da una legge di molti anni fa, coerente con la normativa europea e già attuata in diversi Stati d’Europa, l’anagrafe bancaria appare come strumento decisivo e irrinunciabile per l’attuazione di controlli su flussi finanziari che godono dell’enorme flessibilità consentita dalla liberalizzazione dei mercati. L’attuazione di questo strumento permetterebbe di compiere un decisivo salto di qualità nelle potenzialità di contrasto alle diverse forme di riciclaggio e, più in generale, a tutti i fenomeni di criminalità economica.
        Verso questo ordine di questioni è necessaria una più avvertita sensibilità e una più pronta capacità di iniziativa. Da questo punto di vista, infatti, desta qualche sconcerto la circostanza che, salvo in alcuni casi, i patrimoni e le ricchezze illecitamente accumulate da soggetti condannati in sede penale non formino oggetto di provvedimenti adeguati. La possibilità di tassare alcune forme di proventi illeciti, pur essendo sancita dalla legge, trova soltanto una sporadica applicazione; anche nei casi di sequestro dei beni, il provvedimento di confisca avviene molto raramente e solitamente con grande ritardo. Ciò deriva spesso dalle oggettive difficoltà di individuare l’illiceità della provenienza dei beni, ma anche forse da una diffusa sottovalutazione del rilievo che gli aspetti patrimoniali possiedono rispetto a quelli penali.
        Proprio per affrontare questi aspetti nel modo più approfondito e pertinente, sono al lavoro due distinti gruppi istituiti presso il Secit: il primo, secondo la direttiva generale, incaricato di esaminare i comportamenti delle società finanziarie in relazione ai fenomeni di usura e di riciclaggio; il secondo – istituito con una direttiva del febbraio scorso – con il compito di verificare tutti gli aspetti patrimoniali e tributari dei soggetti implicati in vicende penali collegate alla criminalità organizzata, nonché i comportamenti delle strutture amministrativo-finanziarie preposte agli accertamenti fiscali. Tali compiti sono svolti in stretta collaborazione e coordinamento con i Ministeri di grazia e giustizia e dell’interno, con la Procura nazionale antimafia, con le Direzioni regionali delle entrate e con la Guardia di finanza. Dal lavoro di questo gruppo dovranno scaturire risultati importanti relativi, in particolare, a due settori: la confisca dei beni di cui risultino titolari esponenti della criminalità organizzata e la posizione di soggetti implicati in inchieste penali per reati di corruzione o concussione quali amministratori pubblici, imprenditori, pubblici funzionari.
        Si tratta di un campo d’azione vasto e complesso, ma di grande rilevanza, nel quale per la prima volta viene impegnata l’amministrazione finanziaria con un’attività che va oltre la gestione occasionale di fenomeni patologici: un’altra direttiva del novembre scorso ha infatti disposto che le Direzioni regionali delle entrate siano dotate di servizi di intelligence in grado di svolgere un monitoraggio puntuale capace di segnalare le anomalie al momento della loro insorgenza. Ovviamente ci vorrà del tempo prima che i risultati di queste innovazioni si manifestino, poiché l’efficacia di simili cambiamenti richiede prima di tutto mutamenti culturali interni all’amministrazione finanziaria che non si producono automaticamente per effetto di un ordine di servizio. Ma la linea di marcia è tracciata e la riforma dell’amministrazione alla quale stiamo lavorando permetterà di procedere sempre più speditamente.
        Se un’amministrazione finanziaria risanata è condizione per un’efficace azione di contrasto delle diverse forme di criminalità economica – come, del resto, anche dell’evasione fiscale e di ogni altro illecito tributario – da un punto di vista più generale si deve sapere che lo strumento migliore per combattere l’illegalità diffusa è la ricostruzione di un tessuto economico e amministrativo sano ed efficiente.
        È vero, naturalmente, che una delle condizioni essenziali per la ripresa economica e per la lotta alla disoccupazione, soprattutto nel Mezzogiorno, è lo sradicamento dell’illegalità e la lotta contro la criminalità organizzata. Ma è anche vero il contrario: per combattere la criminalità occorre anche sconfiggere la disoccupazione e restituire fiato ai processi economici e produttivi sani e concorrenziali. Non si tratta di un circolo vizioso, ma della necessità di procedere contestualmente sui diversi fronti: lotta alla criminalità economica e lotta per lo sviluppo e per l’occupazione devono essere azioni contestuali e fra loro strettamente connesse.
        Fatti recenti – come gli arresti di pochi giorni fa proprio qui, a Palermo – dimostrano che gli intrecci tra affari, criminalità e settori della pubblica amministrazione non sono stati eliminati dal terremoto di alcuni anni fa: sarà necessario un lungo, massiccio e constante impegno di tutte le energie dello Stato per imprimere al paese la correzione di rotta necessaria per ricondurlo alla normalità. È lo Stato tutto intero, con le sue istituzioni e con l’azione politica del Governo, che ha il compito di agire per affermare il primato della legalità e del diritto, che è condizione per il sano esercizio delle attività civili, economiche e sociali di un paese democratico.
        A questi compiti il Governo intende far fronte, nella convinzione che, senza un simile impegno, né le prospettive dischiuse dall’unità europea né gli obiettivi prioritari di occupazione e sviluppo soprattutto per il Mezzogiorno potrebbero avere senso e possibilità di affermazione. (Applausi).

        PRESIDENTE. Do la parola all’onorevole ministro di grazia e giustizia, professor Giovanni Maria Flick.

        FLICK Giovanni Maria, ministro di grazia e giustizia. Signor Presidente, signori, parlare di bilancio delle prospettive della lotta al riciclaggio crea un problema. Il bilancio va redatto in relazione al passato e guardando alle prospettive del futuro; va evitato dunque, e a maggior ragione dal Ministro della giustizia, di fare un bilancio falso.

        Ecco perché, nel parlare di lotta al riciclaggio, di fronte alla denuncia del rischio o dell’effettività di un abbassamento della guardia, ho pensato di munirmi di un certificato di un’autorevole "società di revisione", il GAFI, che mi dica se il bilancio nella lotta al riciclaggio è stato positivo o negativo. Nella relazione annuale 1997-1998 del GAFI si afferma che il Governo italiano ha compiuto dei progressi notevoli nella lotta contro il riciclaggio del denaro, dopo l’ultima valutazione mutua del 1993. Certamente conoscete questo testo: è il frutto di un’analisi assai articolata della nostra situazione, in cui è stata registrata una crescita senz’altro positiva, e sono stati segnalati obiettivi non meno impegnativi, ancora da realizzare nella lotta al riciclaggio. Questo mi tranquillizza perché consente di guardare agli impegni futuri con la consapevolezza di avere svolto un lavoro utile e soprattutto – è stato detto prima ed è stato più volte ribadito in questi due giorni di convegno – tenendo conto dello strettissimo rapporto tra la dimensione nazionale e la dimensione internazionale della lotta al riciclaggio.
        Abbiamo finalmente capito – non è stato semplice, perché è innanzitutto un problema di cultura – che la lotta al riciclaggio è soltanto un aspetto, pure fondamentale, della più generale strategia di contrasto alla criminalità organizzata: non soltanto nella configurazione "classica" di questa, ma anche alle nuove forme che essa ha assunto. Dirò subito che, a mio avviso, e volendo tradurre tali considerazioni in un impegno per il futuro, il discorso va affrontato non soltanto in una ottica di repressione, ma guardando anche al momento preventivo e, prima ancora, a quello della trasparenza fiscale, economica e societaria in particolare.
        Dico questo perché, negli ultimi due anni, in cui abbiamo realizzato un obiettivo molto importante in materia di euro, contemporaneamente, con il collega Napolitano, si lavorava a quelle ipotesi, richiamate dal collega Visco, sul piano globale di azione contro la criminalità, che appaiono anni luce distanti dal punto di partenza.
        Ancora nel 1988, la Convenzione di Vienna in materia di riciclaggio si poneva il problema se quest’ultimo dovesse riguardare soltanto i proventi del narcotraffico. La risoluzione del Consiglio d’Europa del 1990, cui ha fatto eco il Consiglio delle Comunità europee del 1991, ha allargato – in Italia ci siamo adeguati – la tematica del riciclaggio a tutte le ipotesi di proventi da serious crimes, compresa la corruzione, aprendo una strada che ci consentirà auspicabilmente di comprendere tutte le forme di evasione fiscale.
        Sebbene non abbia avuto grande evidenza, in questi ultimi due anni, ma nell’ambito dell’Unione europea si sono segnate tappe importanti e assegnate precise scadenze con il Piano d’azione comune contro la criminalità, in materia di trasparenza finanziaria, di raccordi fiscali, di definizione comune della criminalità organizzata e di scambi di cooperazione di polizia giudiziaria: un piano d’azione che, tra l’altro, abbiamo utilizzato anche nel rapporto bilaterale con singoli Stati al di fuori dell’Unione europea. Mi riferisco, in particolare, al discorso avviato con la Svizzera per la disciplina della cooperazione giudiziaria anche in questa materia, nel quale sono stati utilizzati proprio i moduli definiti in sede di Unione europea.
        Quindi, risultati soddisfacenti e prospettive amplissime da sviluppare. Mi rifaccio alla mia esperienza di studioso prima ancora che di Ministro, quando ricordo che, un tempo, il problema del riciclaggio veniva affrontato esclusivamente in una dimensione statica, cioè mediante la previsione di norme repressive, le quali, oltretutto, necessitano oggi di una rivisitazione. A questo proposito, raccolgo ben volentieri l’invito del Presidente del Senato a studiare una modifica dell’articolo 648-ter del codice penale, che finisce per essere oggi inapplicato perché sussidiario anche alla fattispecie, molto più lieve, della ricettazione.
        Un altro momento, ancora da ben definire, ha riguardato il passaggio da una collaborazione meramente passiva delle banche e degli intermediari bancari ad una loro collaborazione attiva. Concordo con l’onorevole Mantovano e non ho quindi bisogno di sottolineare quanto questi ha già ricordato in merito alla necessità di una forte professionalizzazione del settore, al fine di evitare che la collaborazione attiva, attraverso la segnalazione di tutte le operazioni, anche di quelle assai poco sospette, si traduca nella parafrasi della vecchia collaborazione passiva, e riversi sull’autorità giudiziaria tonnellate di dati inutili.
        Ritengo che nell’ambito della collaborazione attiva degli intermediari finanziari, e non solo delle banche, si possa seguire l’esempio della Svizzera, ed introdurre la fattispecie, anche colposa, di omesso controllo dell’entrata del denaro sporco nei circuiti finanziari. Sul punto, la Svizzera ha fornito dati positivi ed incoraggianti, che stiamo studiando.
        Oltre che sul fronte della repressione del momento terminale del riciclaggio, oltre che sul fronte dell’attività – chiamiamola così – preventiva, della scoperta del riciclaggio attraverso gli intermediari finanziari (e non solo delle banche), mi sembrano apprezzabili i progressi – di questo ci dà atto sia l’Unione europea, sia il GAFI – anche nell’ambito dell’aggressione ai patrimoni illeciti. Penso ai risultati della commissione presieduta dal senatore Ayala sulle misure di prevenzione e all’introduzione della confisca di valore, la confisca, cioè, dei beni di cui il condannato non possa giustificare la provenienza, ma di cui risulti essere titolare o avere la disponibilità in misura sproporzionata rispetto al reddito: un istituto che consente l’aggressione al patrimonio reale e assai simile ad analoghe, interessanti, esperienze di ordinamenti stranieri, quali la confisca del bene sostituto, la confisca basata sul calcolo presuntivo degli affari illeciti condotti da persona condannata per un singolo episodio di traffico di droga o la confisca del sistema statunitense.
        In prospettiva, poi, il GAFI ci segnala e ci chiede di perseguire altri due obiettivi importanti.
        Innanzitutto, ci chiede di affrontare il tema della responsabilità delle imprese, cioè delle persone giuridiche. È una questione che un gruppo di lavoro sta già studiando, partendo a tal fine da alcune forme particolari di reati d’impresa. Penso ai reati di inquinamento ambientale, tra le espressioni più tipiche dei reati di impresa: in particolare, al discorso della cosiddetta ecomafia e della criminalità organizzata.
        Il secondo obiettivo che il GAFI ha fissato nel "certificarci il bilancio" dell’operato dell’ultimo quinquennio in materia di lotta al riciclaggio, è la riorganizzazione in forma organica della normativa antiriciclaggio. Con il Ministero del tesoro stiamo lavorando alla elaborazione di un articolato di legge delega per un testo unico in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio sul piano finanziario.
        Questa considerazione apre un altro fronte: quello della necessità – lo ha preannunciato nella giornata di ieri l’onorevole Folena, e si tratta di una verifica che stiamo portando avanti sulla base delle indicazioni fornite dalla magistratura – di una ricognizione, non soltanto della normativa in materia di riciclaggio, ma di tutta la legislazione che riguarda la tematica della criminalità organizzata sul piano sostanziale, sul piano processuale e sul piano ordinamentale, per vedere se effettivamente ed in quale misura abbiamo bisogno di intervenire con degli aggiustamenti: dove dobbiamo colmare le lacune, dove dobbiamo pensare ad ipotesi di discipline specifiche e dove si tratti semplicemente di razionalizzare l’esistente, come nel caso, che citavo prima a titolo di esempio, del rapporto tra la fattispecie di reimpiego dei capitali di provenienza illecita ed i reati affini.
        Per lungo tempo abbiamo pensato al riciclaggio come ad un problema legato esclusivamente al narcotraffico. Poi abbiamo iniziato a renderci conto, e in questo è stato fondamentale il confronto con gli altri paesi dell’Unione europea, che il riciclaggio ha dimensioni più ampie e che riguarda l’intera economia criminale.
        La seconda fase, molto importante e che richiede a tutt’oggi un impegno, ha riguardato l’affinamento degli strumenti volti a contrastare l’economia illegale, perché sommersa, che corre costantemente il rischio di essere attratta dall’economia criminale se non si riesce a farla emergere per riportarla alla economia legale.
        Adesso ci troviamo nella terza fase, ancora più preoccupante. Vi è tutta una fascia di economia apparentemente legale, ma in realtà "criminale riciclata". Ritengo di non poter trarre indicazioni positive dal fatto che, per la prima volta, in sede di Nazioni Unite e in sede di Unione europea si è parlato del problema dei paradisi fiscali, considerandoli paradisi del riciclaggio. L’Italia si è resa fautrice, nell’ambito del "Progetto Falcone", di uno studio a livello di Unione europea – che rispecchia anche le indicazioni del Piano di azione contro la criminalità – sulla tematica dei paesi off-shore. Abbiamo posto, come obiettivo prioritario nell’ambito del Piano di lotta contro la criminalità, il controllo delle operazioni finanziarie; ne abbiamo nuovamente discusso a Washington in occasione del vertice del G8, a proposito dei trasferimenti cibernetici di denaro. Ci siamo posti e abbiamo posto il problema di un più stretto raccordo con le procedure tributarie, perché convinti che la trasparenza tributaria sia una delle prime strade da percorrere nella lotta al riciclaggio; ci siamo posti e abbiamo posto nell’ambito dell’Unione europea l’obiettivo della trasparenza nel mondo degli affari e, in particolare, della trasparenza societaria.
        Non ritengo che il percorso sia agevole, ma è l’unico possibile; e il fatto che, dopo avere parlato per molto tempo di euro soltanto nell’ottica dei parametri finanziari, si cominci ad affrontare il discorso dell’euro nella prospettiva del terzo pilastro di Maastricht – sicurezza, giustizia, libertà – mi fa ben sperare per il futuro. (Applausi).

        PRESIDENTE. E con questa certificazione di sicurezza e di garanzia proseguiamo con l’intervento del ministro dell’interno, dottor Giorgio Napolitano.

        NAPOLITANO Giorgio, ministro dell’interno. Questa iniziativa, per la quale desidero esprimere attraverso il presidente Del Turco il più vivo apprezzamento alla Commissione parlamentare antimafia e al Comando generale della Guardia di finanza, che le ha prestato preziosa collaborazione, costituisce un contributo significativo a quella visione non declamatoria della lotta contro la mafia, contro la criminalità organizzata che Governo e Parlamento sono chiamati ad esprimere e a tradurre in impegno concreto. Si misura anche su iniziative di questa natura la volontà di non attenuare in alcun momento quell’impegno, di tenerlo fermo e di accrescerlo, garantendone la continuità e la qualità. Ritengo stia in ciò la migliore risposta alle preoccupazioni sincere ed anche alle esasperazioni polemiche.

        Quello della lotta al riciclaggio rappresenta un fronte cruciale da considerare anche nei suoi aspetti più strettamente tecnici, come si è fatto in modo eccellente in questo Convegno, e da collocare nello stesso tempo in una visione unitaria dell’azione nazionale ed internazionale di contrasto al crimine organizzato.
        Non tornerò sugli argomenti sviluppati, con specifico riferimento alle loro responsabilità, dai colleghi Visco e Flick, per raccogliere piuttosto gli spunti offerti dagli interventi degli alti rappresentanti delle forze di polizia al cui coordinamento ho il compito di presiedere; interventi che hanno messo bene in luce linee di ricerca e di azione suggerite da ricche esperienze investigative e di polizia giudiziaria, rispondenti a compiti peculiari, in particolar modo e congiuntamente della Direzione investigativa antimafia e della Guardia di finanza, e per essa del Nucleo speciale di polizia valutaria, così come della Criminalpol e del Ros dei carabinieri.
        Si conviene in sostanza sulla decisiva portata e nello stesso tempo sulla crescente complessità del confronto con la capacità di penetrazione ed affermazione delle organizzazioni criminali nel flusso delle attività finanziarie in presenza di un processo di sempre più vasta globalizzazione; e si conviene ugualmente sulle difficoltà della sfida rappresentata dalle rispettive capacità di internazionalizzazione di quei traffici da parte del crimine organizzato e degli interventi di contrasto da parte degli Stati; e vorrei insistere su quest’ultimo punto.
        Notevoli sono i progressi che si vanno realizzando nell’avvicinamento delle legislazioni nazionali e nella cooperazione giudiziaria in seno all’Unione europea, come ha poc’anzi ricordato il ministro Flick. Ed ancor più notevoli forse sono stati e sono i progressi sul piano della cooperazione di polizia; sta tra l’altro per diventare operativa, a processo di ratifica ormai concluso, la Convenzione con la quale è stata istituita l’Europol. Ma è un fatto che ancora contrasta con la globalizzazione dei flussi di riciclaggio una persistente disomogeneità, più specificamente nelle legislazioni antiriciclaggio, con forti segmentazioni, rappresentate in particolar modo da paradisi fiscali e bancari. Il discorso non riguarda solo l’Europa dei quindici, ma deve estendersi ben oltre quei confini e il presidente Mancino, come si sa, da tempo ha intrapreso quella strada.
        È importante sottolineare l’impegno cui sono stati sollecitati e hanno aderito i paesi dell’Europa centrale e orientale candidati all’ingresso nell’Unione, sottoscrivendo di recente un vero e proprio patto di preaccesso all’Unione stessa che detta indirizzi precisi per la lotta contro la criminalità organizzata anche sul piano finanziario; ma bisognerà procedere ben più in profondità. Occorrerà lavorare ad una sempre più fitta rete di accordi bilaterali e multilaterali, puntare su più centri di cooperazione internazionale, tra i quali ricorderò il più ampio, la riunione dei Ministri dell’interno e dei Ministri della giustizia del G8 tenutasi lo scorso dicembre a Washington con una sessione particolarmente dedicata al High Tech Crime.
        Il buon livello delle normative italiane contro il riciclaggio, riconosciuto e "certificato", e il nostro impegno ad affinarlo ulteriormente non possono farci perdere di vista come sia determinante l’ulteriore ricerca di una sempre più efficace via di contrasto internazionale. È una ricerca che va decisamente accelerata, direi drammatizzata, nei rapporti politici con i nostri partners, tenendo tra l’altro conto della ormai prossima introduzione dell’euro che, come rilevava in un precedente Convegno il ministro Ciampi, renderà obiettivamente più facile il riciclaggio. Qui in Italia l’attacco ai patrimoni mafiosi e alla capacità di reinvestimento dei proventi illeciti che la criminalità organizzata dimostra costituisce una priorità cui dare maggiore evidenza. Questo Convegno cade a pochi giorni di distanza da un’importante seduta del Consiglio generale di lotta alla criminalità organizzata, che ha appunto concentrato la sua attenzione su queste priorità.
        Mi si permetta di dire che sono soltanto dispersive e fuorvianti certe polemiche sulla portata dei risultati raggiunti, in particolare nell’ultimo biennio. Svalutare quei risultati – parlo dell’azione generale di lotta alla criminalità organizzata – può soltanto suggerire l’idea di una mafia impermeabile a qualsiasi colpo. Abbiamo bisogno, specie pensando alla lotta al riciclaggio, di una partecipazione crescente da parte dei cittadini e delle forze sociali, dei soggetti economici e finanziari e, ancora, degli organi d’informazione, della scuola e della cultura per un grande, tenace sforzo collettivo di contrasto della criminalità organizzata di cui sono protagonisti quotidiani la magistratura e le forze di polizia. Ma una tale partecipazione non è realizzabile senza un’equilibrata valutazione dei risultati e delle prospettive della lotta. Quindi né denunce catastrofiste né pericolose euforie e ingenue illusioni; oggi possiamo parlare di successi riportati nel disarticolare sodalizi mafiosi, nel mettere in crisi determinate strategie e sfere di influenza, ma nello stesso tempo dobbiamo dire che procede ben più difficilmente e faticosamente l’azione volta a contrastare la capacità della mafia di fare profitti e di reinvestirli penetrando nello stesso tessuto legale delle attività economiche e finanziarie. Bisogna dunque spostare in tale direzione un impegno crescente.
        Di fronte al fenomeno del riciclaggio occorrono iniziative sofisticate, occorre elevare la professionalità degli investigatori specializzati, occorre poter disporre di basi informative ampie e gestite con tecnologie avanzate e dunque investire nella formazione e nelle tecnologie informatiche, anche per consentire alle questure di trattare adeguatamente – come si è poc’anzi sollecitato – i dati raccolti. Nello stesso tempo la lotta al riciclaggio non può essere separata da una visione unitaria, da una strategia globale di lotta alla criminalità organizzata. C’è sempre da colpire alla radice la capacità di accumulazione di ricchezze delle organizzazioni criminali, quale si esplica attraverso i molteplici traffici vecchi e nuovi che conosciamo. In questo intreccio di vecchio e nuovo alcuni traffici si svolgono certamente attraverso le frontiere, da quello degli stupefacenti a quello delle armi come a quello degli esseri umani; ma ce ne sono altri che presuppongono un insediamento sociale, un più o meno esteso controllo del territorio nazionale in contrapposizione alle istituzioni e alle forze dello Stato democratico. Mi riferisco anzitutto all’attività estorsiva (quella diffusa pressione che né Cosa nostra né altre organizzazioni criminali nelle regioni a rischio del Mezzogiorno hanno cessato di esercitare, lo sappiamo, nonostante i colpi subiti) e all’usura (quest’ultima come fonte di accumulazione di proventi illeciti, come canale di riciclaggio, come moltiplicatore di profitti).
        Il Parlamento è impegnato col Governo a rivedere normative e procedure per combattere questi due fenomeni – l’estorsione e l’usura – anche attraverso una migliore incentivazione di scelte di resistenza e di denuncia ed una migliore tutela delle vittime. Domani a Siracusa cercheremo di contribuire al rilancio del movimento associativo antiracket. E siamo ugualmente impegnati a rivedere procedure defatiganti per il passaggio dal sequestro alla confisca di beni mafiosi e per la loro gestione, evitandone il deterioramento e giungendo alla loro liquidazione e destinazione finale.
        Deve dunque trattarsi di multiformi e interconnesse attività di contrasto che tendano a dirigere i colpi in modo speciale contro la minaccia che la criminalità organizzata è venuta e viene sempre più portando al sistema dell’economia legale e di mercato nel nostro paese. Un sistema che rischia di essere gravemente minato – e di vedere innanzitutto pesantemente condizionate le possibilità di sviluppo del Mezzogiorno – dall’estorsione e dall’usura prima ancora che dal riciclaggio sul piano internazionale ed anche – non dimentichiamolo – dalla penetrazione negli appalti pubblici e dal condizionamento mafioso dovunque sia possibile nelle amministrazioni pubbliche e, alternativamente, dall’intimidazione verso gli amministratori locali rigorosi e coraggiosi. Si sa quanto stiamo operando per sostenere i sindaci e acquisirne l’apporto nei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica, anche attraverso protocolli di sicurezza come quelli sottoscritti a Milano, Palermo, Napoli, Cagliari e in numerose altre realtà. Infine, il sistema dell’economia legale di mercato è minacciato – non dimentichiamo neppure questo aspetto – da una diffusa forma di corruzione.
        Su tutti questi versanti, dunque, si deve vigilare e colpire. Il Governo è grato a quanti intervengono coraggiosamente e tenacemente su ciascuno di tali versanti: alle Direzioni distrettuali e alla Direzione nazionale antimafia, alla magistratura nel suo complesso, alla Direzione investigativa antimafia ed ai servizi centrali ed interprovinciali di lotta alla criminalità organizzata, nonché alle forze di polizia nel loro insieme. Per quanto riguarda queste ultime, debbo sollecitare la massima circolarità informativa e sinergia investigativa e operativa: ciascuna forza ha solo da guadagnarci, anche per la valorizzazione della propria personalità e del proprio ruolo.
        Per concludere, devo richiamare a noi stessi l’inscindibilità del fenomeno della criminalità organizzata, nel suo volto più sofisticato, della criminalità economica e finanziaria e, nella sua faccia più brutale, dell’aggressione anche sanguinosa alla convivenza civile. È in virtù di questa consapevolezza che tra il piano dell’analisi finanziaria e il piano più complessivo dell’analisi criminale, quindi fra le istanze preposte all’una e all’altra, non dovranno esserci compartimenti stagni: meno ce ne saranno in generale, nel complesso degli interventi, delle istituzioni e degli apparati pubblici contro il crimine organizzato, meglio si potrà contrastarlo e debellarlo, nella prospettiva di una lotta incessante e peraltro di lunga lena quale sta ormai diventando comune a tutti gli Stati democratici. (Applausi).

Presidenza del senatore Ottaviano DEL TURCO,
presidente della Commissione parlamentare antimafia

        PRESIDENTE. Faccio appello all’ultimo refolo di pazienza che avete, ma sarò veramente breve: come vedrete, si tratta soltanto di ringraziamenti.

        Intanto un grazie pieno di rispetto e di riconoscenza per il contributo che la Guardia di finanza ha offerto alla Commissione parlamentare antimafia nell’organizzare questo Convegno. A lei, generale Mosca Moschini, allo Stato maggiore che ha seguito i lavori con tanta attenzione, ai suoi uomini in Sicilia, alle strutture del Corpo e ovviamente al generale Marchetti, che ha lavorato più direttamente con noi nell’organizzare il Convegno, va il mio, il nostro grazie.
        Come sapete, questo è il primo di tre Convegni. Il prossimo in autunno – ne abbiamo già parlato – lo organizzeremo con l’Arma dei carabinieri e avrà come tema il controllo del territorio. La questione centrale che porremo in quel Convegno sarà relativa alle grandi aree metropolitane, al rapporto tra la criminalità organizzata storica insediata in quelle aree e i fenomeni di microcriminalità giovanile, di devianza, di disperazione che stanno rendendo difficile il governo del territorio da parte delle forze dell’ordine. I sindaci saranno probabilmente gli interlocutori fondamentali di questa ricerca.
        Il terzo Convegno – ne abbiamo già parlato col prefetto Masone – lo faremo in collaborazione con la Polizia di Stato e avrà ad oggetto il tema delle nuove mafie. Un tema di grande rilievo, anche tenendo conto del fatto (lo avete sentito anche ieri dal Presidente del Consiglio) che i due ultimi incontri tra gli otto grandi di quest’anno a Dallas ed a Birmingham hanno avuto come tema fondamentale le insidie che da questo punto di vista si manifestano in tutti i paesi. Ciò che mi preme è verificare, in quella circostanza, col sostegno e l’esperienza della Polizia di Stato e in rapporto con le forze di polizia degli otto paesi, quali sono i punti di analisi che avvicinano la nostra esperienza a quella degli altri Stati.
        Naturalmente rivolgo un ringraziamento all’Assemblea regionale siciliana per la splendida ospitalità in questo ineguagliabile palazzo, un pezzo della storia e della cultura, ed in particolare a lei, presidente Cristaldi, che è stato un padrone di casa straordinario. Un grazie particolare agli ospiti che vengono da altri paesi. Vedete, per noi, questo è il segno di un’autorevolezza delle istituzioni italiane che ci riempie di orgoglio.
        Il ministro Flick ha voluto parlare di apprezzamenti che vengono dall’estero, e ha ragione: quelli che ci guardano da lontano ci vogliono più bene di chi ci guarda da vicino. Con una delegazione, molto rappresentativa della Commissione antimafia, sono andato a Washington qualche settimana fa e ho sentito esprimere dal Ministro di grazia e giustizia americano riconoscimenti sul valore dei magistrati, delle forze dell’ordine, del sistema legislativo e dell’esperienza del nostro paese in questo campo davvero straordinari. Dal ministro Janet Reno e da Louis Freeh sono stati formulati giudizi e apprezzamenti nei confronti dell’Italia che ci riempiono di orgoglio. La presenza e il contributo davvero straordinario che è venuto dagli ospiti stranieri conferma il grande prestigio del nostro paese quando affronta temi di questa complessità e rilevanza.
        Naturalmente un grazie di cuore agli ospiti italiani. Non posso farne l’elenco; sarebbe troppo lungo, e voi sapete che quando si fanno degli elenchi, si rischiano anche omissioni ingenerose: consideratevi tutti ringraziati allo stesso modo.
        Penso che i risultati di un Convegno si giudichino da molti fattori, e, in primo luogo, dal livello della partecipazione. Lo so, il padrone di casa dovrebbe evitare riferimenti di questo tipo, ma quando intervengono il Presidente del Senato e il Presidente della Camera, quando interviene il Presidente del Consiglio, sia pure con l’ausilio della telematica, come ha fatto il presidente Prodi in videoconferenza da Palazzo Chigi, quando prendono la parola i Ministri dell’interno, di grazia e giustizia e delle finanze – mi fermo qui per non correre quei rischi di cui parlavo prima – ritengo che queste presenze, che onorano e ripagano in qualche misura il nostro lavoro, siano un elemento per giudicare il valore di un Convegno. Fra qualche secondo dirò anche qualcosa riguardo alle assenze.
        Un Convegno si giudica anche dal livello dei contenuti, dalle indicazioni che emergono dai suoi lavori, dalla concretezza estrema degli interventi. Badate, per gli esperti è facile parlare di un argomento facendo grande attenzione a restare nel tema, ma voi sapete che gli uomini politici – parlo innanzi tutto per me – fanno una gran fatica a rimanere nel tema, eppure questa volta vi sarete accorti dai molti interventi dei colleghi parlamentari che siamo riusciti a evitare il rischio di uscire dal tema. Credo che anche questo sia un fatto di un certo rilievo.
        Se questi sono criteri per giudicare se un Convegno sia andato bene o male, allora ritengo che si possa essere soddisfatti del risultato. Qualcuno ha detto che non vi sono precedenti di questo tipo nei lavori della Commissione antimafia. La verità è che la Commissione antimafia opera sulla base di prescrizioni di legge, e se generalmente si attiene ai precedenti, qualche volta tenta invece di sperimentare strade nuove.
        Dico spesso ai miei colleghi, in Commissione, sia a quelli della maggioranza sia a quelli dell’opposizione, che noi maneggiamo materiale altamente infiammabile, e spesso vedo troppa gente che fuma vicino all’esplosivo con eccessiva disinvoltura. Quando cominciamo a lavorare su questi temi e organizziamo Convegni di questa dimensione, cercando di sperimentare nuove strade, lo facciamo con tutta l’attenzione e la prudenza necessarie.
        Un grazie ai giornalisti. La stampa ha ritenuto di dare molta importanza alle polemiche che hanno accompagnato questo Convegno, soprattutto in queste ultime ore. Non posso discutere tale scelta, la debbo rispettare perché non c’è scelta diversa che si possa fare se non rispettare le priorità che la stampa liberamente decide nel riportare le notizie. Voglio solo dire che noi insisteremo, con grande ostinazione, nell’indicare la luna, cioè i nostri obiettivi, cercando di nascondere il dito perché spesso si fa più attenzione al dito che non all’obiettivo del nostro lavoro che, invece, è molto importante.
        Adesso bisogna fare buon uso del Convegno. Sul piano legislativo abbiamo avuto indicazioni preziose da tutti gli interventi. Ma quando rileggeremo gli atti di questo Convegno scopriremo che c’è un percorso già tracciato. Da questo punto di vista il workshop di questa mattina è stato esemplare: il generale Nanula, il dottor Carpentieri e il dottor Donadio hanno fornito indicazioni che raccoglievano molti preziosi contributi venuti da numerosi esperti, tecnici, magistrati, uomini delle forze dell’ordine, per formulare alcune prime ipotesi di lavoro.
        Vorrei, a questo proposito, sottolineare un piccolo fatto che si è verificato oggi; tutti conoscono il modo in cui il presidente Mancino interpreta la sua funzione e il suo ruolo di Presidente del Senato, il rispetto che porta per l’autonomia dei lavori delle Commissioni e dell’Assemblea: egli ha il compito di dirigere l’orchestra, non di indicare lo spartito. Ebbene, il presidente Mancino oggi ha sentito il bisogno di far riferimento ad un disegno di legge che si sta discutendo in Senato, che riguarda le case da gioco.
        Il 21 luglio prossimo saremo chiamati, io e altri senatori, a partecipare ad una seduta di due Commissioni del Senato che si dovranno occupare congiuntamente di questo provvedimento. Non ripeterò quel che ha detto il presidente Mancino, perché sono d’accordo con lui, ma porterò una testimonianza tratta dal verbale di un collaboratore di giustizia, volgarmente detto pentito, che si chiama Annacondia e che è importante nella storia dei pentimenti di mafia in questo paese. In particolare, vorrei citare una frase con cui egli ha definito il rapporto tra criminalità organizzata e case da gioco; dice testualmente Annacondia: "Un’associazione criminale che ha nel proprio territorio una casa da gioco e non la controlla è un’organizzazione di ladri di polli, non un’organizzazione criminale che si rispetti". E Annacondia si riferiva specificamente alla capacità delle organizzazioni criminali di influenzare l’attività criminale in un determinato territorio della Repubblica italiana e in una città non secondaria dal punto di vista dell’immagine internazionale di questo paese.
        Invito il ministro Napolitano a valutare l’ipotesi che si possano aprire nove case da gioco in Campania, per effetto di una legge che potrebbe essere varata se passasse l’ipotesi di cui si sta discutendo. Con tutti i guai che abbiamo in quella regione, francamente non vedo per quale motivo dovremmo andarcene a cercare degli altri, connessi a iniziative di questa natura.
        Occorre rafforzare – è un’altra indicazione che viene dal Convegno – non solo i legami con le strutture nazionali, ma anche con le strutture internazionali che si occupano di riciclaggio. Penso al GAFI, signor Ministro, ma anche all’Ufficio italiano dei cambi che è un organismo tecnico in grado di garantire serenità a un mercato difficile, anzi difficilissimo, nervoso, come dimostrano le vicende di questo periodo, ma che è anche uno strumento che può tutelare i diritti dei singoli in un momento in cui si attribuisce grande ruolo al tema della privacy. Se ci rivolgiamo un severo rimprovero nell’organizzazione di questo Convegno, e penso che possiamo farcelo tranquillamente, è quello di non aver pensato di utilizzare questa circostanza per discutere con il professor Rodotà, dall’alto della sua rilevante funzione istituzionale, sulle questioni relative alla privacy, in particolare sul rapporto che c’è fra gli argomenti di cui stiamo discutendo e la tutela della privacy.
        Poi, al termine di questo trittico di Convegni, la Commissione antimafia dovrà avere il coraggio politico di riflettere, di studiare, ma anche di presentare una proposta globale; vedremo se si tratterà di un testo unico delle leggi in materia di lotta alla mafia. Ma, più in generale, c’è un problema che riguarda il nostro paese e i paesi più vicini a noi, anche dal punto di vista dell’esperienza politica internazionale: penso in particolare agli otto grandi. Si tratta di avanzare una proposta sull’uso di quell’enorme potenziale di mezzi, di uomini, di esperienze tecnico-scientifiche, di intelligence che è stato accumulato in 50 anni di guerra fredda nel mondo. Un potenziale straordinario che per tutto quel lungo periodo si è occupato di questioni fondamentali della storia di questo secolo, questioni che ora però non esistono più.
        Qualche anno fa uno scrittore nostro contemporaneo, il quale fra l’altro è anche un collega senatore, scriveva che abbiamo un nome per cose che non ci sono più, ma non siamo ancora riusciti a dare un nome a cose che sono davanti a noi. Siamo di fronte a un fenomeno misurabile con indicatori economici che non dicono nulla a nessuno: il 2 per cento del PIL mondiale. Che cos’è? Nessuno lo capisce, se non quando viene quantificato in mille miliardi di dollari e tradotto in lire e quando ci viene detto, in questo Convegno, che questa massa di denaro, o una parte molto cospicua di essa, si può muovere rapidissimamente, in venti minuti, con operazioni bancarie, in tutte le parti del mondo. Allora ci rendiamo conto che non stiamo affrontando solo un problema di difesa dalla criminalità organizzata ma stiamo affrontando – come è stato detto autorevolmente dai rappresentati delle forze dell’ordine – anche un grande problema della vita democratica del nostro paese e del mondo.
        Questo era il Convegno che avevamo pensato; questo è stato il nostro Convegno, e questo resterà il tema del nostro lavoro. Partecipare ai lavori parlamentari è un dovere che deriva da un mandato elettorale, ma non è un obbligo, non è una coscrizione obbligatoria. Oltretutto, in questo secolo ci sono stati episodi gloriosi di diserzione su cui stanno discutendo da decenni gli storici del nostro e di altri paesi. Non è di questo, quindi, che si discute. Io affronterò il tema delle assenze dal nostro Convegno con grandissimo rispetto, come ho cercato di fare anche di fronte a polemiche che hanno infuriato sui giornali, con il rischio di attribuire all’iniziativa un carattere che non doveva avere. Insisto nel portare rispetto a chi ha deciso liberamente di non partecipare, anche dopo aver discusso con me, per molti giorni, persino i dettagli di questo Convegno.
        Ma io credo che spetti a ogni parlamentare, sia esso della maggioranza che dell’opposizione, usare un linguaggio che il popolo italiano, che i giovani di questo paese possano comprendere nel suo significato preciso, senza bizzarrie e senza isterismi. Io non dirò mai, quale che sia la mia collocazione in Parlamento, oggi di maggioranza e domani di opposizione: "Con quello lì non siederò mai nella stessa stanza". Questo è un messaggio devastante da un punto di vista della tolleranza democratica e occorre impedire che circoli nel dibattito politico del nostro paese.
        Mi sento di concludere così questo Convegno. Silvio Berlusconi è il capo dell’opposizione con cui la maggioranza confligge in Parlamento e nel paese; altri si sono assunti la responsabilità di trasformarlo, sia pure per qualche riga di giornale, in altra cosa. Ma, come siete testimoni tutti, in due giorni di lavoro noi abbiamo avuto la forza di volare alto e di non occuparci delle miserie di questo dibattito politico (Vivi e prolungati applausi).

        Ha ora la parola, per rivolgere un saluto finale ai partecipanti al Convegno, il generale Rolando Mosca Moschini, comandante generale della Guardia di finanza.

        MOSCA MOSCHINI Rolando, comandante generale della Guardia di finanza. Consentitemi di aggiungere al brillantissimo ed esaustivo intervento conclusivo del presidente Del Turco un breve saluto e un ringraziamento. Un grazie al presidente Mancino, al presidente Violante, agli onorevoli ministri, ai membri del Parlamento intervenuti. La loro presenza è già la chiara dimostrazione di quanta sensibilità vi sia sulla rilevanza del fenomeno esaminato in questi due giorni. Un grazie anche agli ospiti e, soprattutto, agli illustri relatori per i loro qualificatissimi interventi, tutti di alto profilo e densi di indicazioni e ammaestramenti che risulteranno preziosi per sostenere gli sforzi che la Guardia di finanza compie nell’azione di contrasto nel settore.

        Non posso poi esimermi, presidente Del Turco, dall’esprimere alla Commissione parlamentare antimafia profonda gratitudine per aver realizzato questa iniziativa che, a mio avviso, ha il pregio di aver fatto emergere un dato fondamentale. Se noi vogliamo, come vogliamo, fare un salto di qualità, dobbiamo attuare la strategia del doppio binario.
        Uno, interno alle strutture operative, sul quale deve correre il potenziamento, la qualificazione del personale e l’impiego razionale delle risorse. Ho toccato questi aspetti – con riferimento ai reparti del Corpo impegnati nel contrasto alla criminalità organizzata – durante il mio intervento di ieri.
        Il secondo binario è quello esterno alle strutture operative, sul quale devono correre la cooperazione a livello nazionale ed internazionale, il riordinamento, l’ampiamento, il perfezionamento e l’armonizzazione della normativa nazionale e internazionale nonché un’attività più pregnante di controllo, di vigilanza, di stimolo sugli intermediari finanziari, per migliorare le segnalazioni sul piano soprattutto qualitativo. Non ci possiamo permettere di lavorare a vuoto.
        Infine, è indispensabile realizzare un’attività di intelligence, sia sul piano amministrativo che investigativo, a tutto campo e senza limiti territoriali, che veda impegnati tutti gli organismi preposti all’attività informativa, sia quelli del nostro paese e sia quelli dei paesi amici.
        Come comandante generale della Guardia di finanza esco confortato da questo Convegno sia perché le tematiche che ho elencato sono ampiamente emerse, come ha ricordato anche il presidente Del Turco, durante i lavori, sia perché è anche emersa – e questo è molto importante – la ferma volontà politica di affrontarle con decisione e sollecitudine. Questo consentirà alla Guarda di finanza di esprimersi al meglio, come efficace tessera operativa di un mosaico di azioni che sia in grado di sconfiggere questo fenomeno che – a mio avviso – rappresenta una delle maggiori minacce ad uno sviluppo ordinato, pacifico e democratico della comunità internazionale. (Vivi applausi).

        PRESIDENTE. Dichiaro conclusi i lavori del Convegno.
        I lavori terminano alle ore 19,10.