I lavori, sospesi alle ore 13,45, sono ripresi alle ore 15,15.

Presidenza del deputato Antonino MANGIACAVALLO,
componente della Commissione parlamentare antimafia

        PRESIDENTE. Gentili signore e signori, autorità, desidero rivolgere un sentito ringraziamento al presidente Del Turco e al comandante generale della Guardia di finanza per avermi chiamato a presiedere, in sostituzione dell’onorevole Tiziana Maiolo, questa sessione pomeridiana che mi permetto di definire internazionale.

        Do subito la parola al signor Patrick Moulette, segretario del Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI), il quale svolgerà una relazione sul tema: "La globalizzazione della lotta al riciclaggio".

        MOULETTE Patrick, segretario del Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI). Signor Presidente, signore e signori, sono onorato di rivolgermi ad una tale assemblea a Palermo e ringrazio innanzi tutto per avere invitato il GAFI a questo evento importantissimo per la lotta internazionale contro il riciclaggio. È un onore cominciare a parlare questo pomeriggio ed aprire la sessione dei rappresentanti delle organizzazioni internazionali; al tempo stesso è un onore che presenta qualche timore perché è sempre difficile parlare all’inizio del pomeriggio. Cercherò quindi di richiamare la vostra attenzione fornendo una sorta di veduta d’insieme sul problema del riciclaggio e poi parlando del GAFI e delle sue raccomandazioni; dirò poi qualche parola sulla futura missione del GAFI.

        Il riciclaggio del denaro è un problema permanente, una vera minaccia per la democrazia e per la popolazione. La criminalità organizzata internazionale, la corruzione, il sovvertimento e la violenza possono prosperare solo se le attività criminose non sono poste sotto controllo. Oggi non esiste la possibilità di una localizzazione certa del riciclaggio, che è realizzato in tutto il mondo; ma sappiamo tutti che importi enormi di denaro sporco possono destabilizzare le economie e corrompere le istituzioni finanziarie, giuridiche e anche politiche. Pertanto, se non saremo in grado di affrontare con successo il "prodotto" dell’attività criminale, non riusciremo ad essere efficaci nella lotta contro la criminalità stessa.
        La natura internazionale del riciclaggio implica che dobbiamo lavorare insieme. Grazie alla cooperazione internazionale potremo fornire una risposta a tale sfida, che consiste nel creare una vera alleanza internazionale contro la criminalità organizzata pur rispettando le differenze giuridiche, politiche e culturali tra le varie nazioni. La criminalità organizzata trae profitto dall’inerzia internazionale e, pertanto, dobbiamo agire con urgenza onde porre in atto le misure più severe possibili.
        La lotta al riciclaggio costituisce una sfida permanente, in quanto le tecniche e le strutture utilizzate dai riciclatori cambiano continuamente. Essi cercano evidentemente di superare le misure di prevenzione adottate in un certo numero di paesi. Nella maggior parte dei paesi del mondo è possibile per i criminali presentarsi agli sportelli di una banca con la famosa valigia di denaro sporco, senza rischio eccessivo di farsi catturare; tuttavia, in molti paesi oggi questo non è più del tutto vero. Però, se i criminali non assumono più il rischio di immettere il loro contante direttamente nel sistema finanziario, cominciano a trasportarlo all’estero, in paesi in cui non saranno poste loro molte domande. Quindi resta un certo numero di interrogativi per la comunità internazionale da affrontare, come il trasferimento e il trasporto fisico delle liquidità e la questione delle banconote con forte valore nominale, perché i criminali utilizzano sempre di più metodi sofisticati e complessi per legittimare di fatto gli attivi che hanno ottenuto o anche per nascondere la propria identità.
        Il GAFI ha constatato un ricorso maggiore, nel quadro della complessificazione, all’utilizzo dei valori mobiliari, dei prodotti derivati e dei prodotti delle assicurazioni; in questa diversificazione si rileva anche un ricorso a esperti contabili, a consulenti legali, ad agenti mobiliari per riciclare. Inoltre, Internet e la moneta elettronica costituiscono un’ulteriore sfida che dobbiamo raccogliere insieme, perché questi nuovi mezzi di pagamento consentono di spostare denaro con estrema facilità e grande velocità, lasciando poche tracce. Questi pericoli potenziali non possono essere agevolmente evitati se sono utilizzati i centri off-shore. Per questo motivo i sistemi contro il riciclaggio dei capitali devono essere relativamente flessibili, per potersi adattare in funzione delle esperienze registrate negli altri paesi; è ciò che il GAFI consente di fare oggi.
        Il GAFI, di cui l’Italia è un membro attivo, ha avuto un ruolo importante nella promozione di misure antiriciclaggio grazie al suo approccio multidisciplinare, che permette di raccogliere professioni ed esperienze diverse di esperti giuridici e di esperti operativi di 26 diversi paesi, la maggior parte dei quali in Europa, in America del Nord e nell’Asia; raggruppa dei gruppi di azione finanziaria non in senso poliziesco: infatti non è composta da magistrati, trattandosi piuttosto di un organismo la cui funzione è tracciare la via per assicurare che in tutte le nazioni esistano delle misure effettive. Queste misure sono contenute nelle 40 raccomandazioni del GAFI adottate nel 1990, cioè un anno dopo la creazione del GAFI stesso in occasione del vertice del G-7 tenutosi a Parigi nel 1989.
        Noi pensiamo che le 40 raccomandazioni costituiscano un programma abbastanza completo della lotta contro il riciclaggio perché affrontano gli aspetti finanziari, giuridici, cooperativi ed operativi di questo problema. Fra le misure richiamate nelle 40 raccomandazioni del GAFI, vorrei citare quella per cui bisogna cominciare a varare leggi che criminalizzano il reato di riciclaggio; questo è il punto di partenza, ma viene raccomandata anche l’adozione di misure relative all’identificazione della clientela e all’obbligo della conservazione dei documenti imposto alle banche per cooperare con gli organi di repressione.
        Il riciclaggio è un fenomeno fluido, che evolve in modo costante e quindi è stato necessario adattare le 40 raccomandazioni nella lotta contro questo tipo di reato. Nel 1996 il GAFI ha riesaminato queste raccomandazioni, apportando dei cambiamenti, come ad esempio quello relativo all’estensione della definizione stessa del reato di riciclaggio, collegando quest’ultimo non solo a reati gravi quali il traffico degli stupefacenti. Inoltre, con le modifiche apportate due anni fa, abbiamo incluso nel campo di applicazione delle raccomandazioni anche le professioni non finanziarie e abbiamo invitato gli Stati a prestare particolare attenzione all’uso delle nuove tecnologie di pagamento.
        Queste 40 raccomandazioni, nonostante il loro elevato numero, sono obbligatorie per i membri del GAFI perché abbiamo un sistema di sorveglianza molto rigoroso, con valutazioni reciproche che implicano visite nei paesi membri, e questa procedura ha consentito in un primo tempo di verificare che le raccomandazioni fossero attuate in tutti gli Stati membri. Abbiamo rilevato che spesso la data di promulgazione di una legge o di un decreto coincideva all’incirca con la data della visita degli esperti del GAFI; questo meccanismo si è quindi rivelato positivo per noi e abbiamo deciso di continuare, concentrando il suo campo di applicazione sull’efficacia delle misure introdotte nelle legislazioni nazionali. Se queste misure, infatti, per quanto complesse, non si rivelano efficaci, significa che abbiamo percorso solo metà della strada.
        Benché il GAFI sia riconosciuto come autorità mondiale per mettere a punto una strategia di lotta contro il riciclaggio, esso non è un organismo internazionale permanente. Siamo un gruppo di azione e ogni cinque anni facciamo un bilancio della nostra attività per stabilire quali debbano essere in futuro le nuove priorità. Abbiamo fatto un esercizio del genere proprio quest’anno, nel 1998, ed è stato deciso di proseguire per cinque anni il lavoro del GAFI, i cui membri si sono riuniti a Parigi, presso la sede dell’OCSE, per appoggiare questa procedura. Posso inoltre aggiungere che nel vertice del G-8, al più alto livello, abbiamo ricevuto una conferma della nostra missione.
        La prima fra le priorità del GAFI, per il futuro, sarà quella di stabilire una rete mondiale della lotta contro il riciclaggio. Abbiamo constatato che le raccomandazioni cui ho fatto cenno sono state sempre più accettate in tutto il mondo, ma non riteniamo che il lavoro sia finito. Il lavoro non è concluso, perché anche nell’ambito del GAFI c’è molto da fare affinché siano messe a punto misure complete e soprattutto efficaci.
        Evidentemente all’esterno del GAFI bisogna convincere ancora molti paesi ad adottare provvedimenti contro il riciclaggio. Pertanto, abbiamo cercato di diffondere questo messaggio contro il riciclaggio in tutto il mondo, facendo leva su due principi. Innanzi tutto, abbiamo cercato di favorire l’emergere di gruppi regionali analoghi al GAFI nelle aree del mondo che attualmente sono sprovviste di tali organismi. Parallelamente, cercheremo di allargare il GAFI a nuovi paesi membri, perché attualmente il gruppo è limitato a 26 paesi.
        Lo sviluppo e l’espansione degli organismi regionali consentiranno, a nostro parere, una cooperazione internazionale e, come ho detto, i nuovi paesi membri in seno al GAFI daranno allo stesso GAFI e a questi organismi regionali un carattere più internazionale di quanto sia stato finora.
        A parte queste priorità che consisteranno nel diffondere il messaggio contro il riciclaggio in tutto il mondo, auspichiamo anche di continuare a migliorare le legislazioni nazionali in materia di riciclaggio nei nostri paesi membri. Bisogna, infatti, riconoscere che anche se molti progressi sono stati fatti in dieci anni, vi sono ancora degli Stati membri che non hanno applicato tutte le raccomandazioni e ve ne sono altri che hanno messo a punto dei sistemi che però non sono efficaci. Il GAFI ha deciso di procedere ad una terza fase di valutazioni per studiare, sorvegliare e analizzare le misure contro il riciclaggio adottate dai paesi membri.
        Il terzo obiettivo sarà quello di continuare a studiare – anche questo è un punto molto importante – e ad analizzare le tendenze del riciclaggio, per quanto riguarda tecniche e metodi utilizzati. Ciò – ripeto – è molto importante per migliorare le nostre conoscenze del fenomeno e per affinare così le misure di contrasto che noi auspichiamo vengano adottate. Questo è un compito che porteremo avanti fra quelli prioritari, con analisi più mirate su temi assai rilevanti come, ad esempio, l’utilizzazione di professioni non finanziarie da parte dei riciclatori e le nuove tecniche di pagamento.
        Ritengo che potremo realizzare tutto questo insieme di priorità se lavoreremo in cooperazione con le altre organizzazioni internazionali che sono impegnate nella lotta contro il riciclaggio. Ve ne sono molte, e il GAFI ha rinnovato una sorta di partenariato con queste organizzazioni, in particolare con quelle che hanno adottato una procedura di valutazione reciproca. Il GAFI appoggia completamente queste strategie nella misura in cui possono fornire dei risultati concreti; il Consiglio d’Europa, che ha stabilito una procedura di valutazione, ha intrapreso questa strada e il GAFI appoggia evidentemente tale iniziativa che può produrre progressi nel campo della lotta contro il riciclaggio, in particolare nei paesi dell’Europa centrale e orientale.
        In conclusione, vorrei dire che sono stato davvero contento della possibilità che mi è stata data di rivolgermi a voi su una questione fondamentale quale la lotta internazionale contro il riciclaggio del denaro. Credo che lavorando insieme, e solo a questa condizione, saremo in grado di formare un fronte unito contro la criminalità organizzata che cerca di minare le nostre economie, i nostri sistemi finanziari unicamente per il proprio guadagno personale. Ma se non riusciremo a lavorare insieme e con efficacia, i riciclatori sceglieranno semplicemente di operare in paesi in cui esistono controllo molto più blandi. Le conferenze, le dichiarazioni, i bei discorsi vanno benissimo ma non bastano ad agire in concreto. Spero che nel prosieguo dei lavori si parlerà di quegli aspetti più concreti su cui non mi sono soffermato. (Applausi).

        PRESIDENTE. Prima di dare la parola al dottor Csonka, desidero rivolgere un sentito ringraziamento all’onorevole Luciano Violante, presidente della Camera dei deputati, e ricordare che intorno alle ore 16 è previsto l’intervento, in videoconferenza, del presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Romano Prodi.

        Cedo quindi la parola al signor Peter Csonka, in rappresentanza del Consiglio d’Europa, il quale svolgerà una relazione sul tema: "L’attività di valutazione del Consiglio d’Europa. Attuazione della Convenzione di Strasburgo."

        CSONKA Peter, rappresentante del Consiglio d’Europa. Signore e signori, signor Presidente, sfortunatamente dovrò lasciare il Convegno fra un quarto d’ora e quindi il mio intervento sarà molto breve. Innanzi tutto vi ringrazio per avermi invitato: è un grande onore e un grande privilegio parlare in questo augusto consesso. Rappresento in questa sede il Consiglio d’Europa che, come sapete, è un organismo multilaterale e regionale con 40 Stati membri, che ha sede a Strasburgo, in Francia, e che ha, fra i suoi obiettivi, quello di creare un quadro giuridico armonizzato in tutti gli Stati membri.

        La Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio del 1990 è uno dei primi strumenti giuridici in questo campo, anche se non il primo. Negli anni Ottanta avevamo delle raccomandazioni relative alla custodia di denaro, che forse erano un po’ troppo avanzate rispetto ai tempi, ma quelle raccomandazioni non riguardavano specificamente il riciclaggio; inoltre il problema non aveva le dimensioni attuali, per cui era stato un po’ ignorato.
        La Convenzione è diventata questione prioritaria alla fine degli anni Ottanta, quando il gruppo che si occupava delle questioni relative agli stupefacenti comprese che il riciclaggio stava diventando un crimine molto grave, che doveva essere combattuto seriamente. La Convenzione fu aperta alla firma nel 1990; ci sono state già 22 ratifiche, compresa quella di uno Stato non membro del Consiglio, cioè l’Australia, che è fra i firmatari della Convenzione. Gli Stati Uniti d’America e il Canada sono membri osservatori del Consiglio d’Europa e possono ratificarla, ma non lo hanno ancora fatto, forse per problemi di compatibilità con la loro legislazione nazionale.
        La filosofia della Convenzione è quella di consentire indagini internazionali e la confisca dei beni derivanti da attività illecite. Lo scopo della Convenzione è quello di sottrarre ai criminali i loro beni, e quindi di togliere loro la terra sotto i piedi, come si è detto al tempo della sua adozione. La Convenzione di Strasburgo, che consente ai paesi di coordinarsi e cooperare molto strettamente nella fase delle investigazioni poliziesche, è davvero uno strumento transnazionale e faciliterà quel tipo di collaborazione internazionale a cui faceva prima riferimento la dottoressa Carla Del Ponte e a cui si sono richiamati anche i giudici di Ginevra nel loro appello. La Convenzione si riferisce a tutti i proventi del crimine, non solo quelli derivanti dal traffico di stupefacenti.
        I paesi che hanno la possibilità di adottare nella loro legislazione nazionale norme sul riciclaggio tendono ad applicare le misure relative ai proventi del narcotraffico a tutte le altre attività criminali. Si tratta in sostanza di un sistema di confisca, che è mancato per molti anni per cui non era stata possibile una buona cooperazione fra gli Stati. Grazie alla Convenzione si possono iniziare, a livello nazionale, delle procedure per confiscare all’estero i beni riciclati. È stata resa possibile una buona cooperazione fra i magistrati, le polizie, i pubblici ministeri, con un continuo scambio di informazioni. La cooperazione internazionale in materia di riciclaggio è molto forte; si è aperta una nuova possibilità anche di uno scambio libero di informazioni; e la Convenzione ora consente tutto ciò.
        Infine, la Convenzione permette di adottare misure cautelative come il congelamento di conti bancari, la confisca o il sequestro dei beni e così via. Però, questo strumento non ha solo punti di forza, ma anche punti di debolezza. Ecco perché la commissione, di cui faccio parte, nel giugno di quest’anno ha deciso di rivedere l’applicazione della Convenzione e di creare un nuovo protocollo. Probabilmente, una volta deciso a livello politico, il protocollo verrà finalmente redatto. Fino ad ora la Convenzione dà la possibilità di creare degli accordi ad hoc tra le parti contraenti, ma non vi è un regolamento preciso su come farlo. Tra l’altro, non vi è una previsione di follow-up secondo questa Convenzione. Si fa riferimento alla necessità di rivedere le legislazioni nazionali di volta in volta, ma non c’è un vero e proprio protocollo di follow-up. Tornerò sul punto in seguito, quando tratterò la questione più nel dettaglio.
        La Convenzione non consente un accordo tra le FIU (Unità di intelligence in materia finanziaria). In alcuni paesi nemmeno esiste questo tipo di organismo; riteniamo che la cooperazione tra le FIU sia necessaria e dovrebbe essere consentita anche ai sensi della Convenzione. Per molti paesi che l’hanno sottoscritta non è chiaro se ci si debba attenere ad un unico standard penale o no; bisogna cercare di portare a soluzione questo tipo di problemi, perché non abbiamo standard criminali omogenei.
        La Convenzione all’articolo 18 consente ai paesi contraenti un potere di rifiuto quando, ad esempio, il crimine per cui si chiede la cooperazione sia un reato fiscale. Negli ultimi anni i paesi hanno utilizzato tale possibilità molto frequentemente, e forse ne hanno anche abusato; questo potrebbe essere un punto oggetto di revisione, perché crea paradisi fiscali che tendono ad opporre sempre un rifiuto alla cooperazione.
        Vi è inoltre il problema della compatibilità dei sistemi legali continentali con quelli di common law che riteniamo non sia garantita dalla Convenzione soprattutto per quanto riguarda la confisca dei beni. Quindi, anche in tal senso, la Convenzione andrebbe rivista.
        Passiamo alle mutue valutazioni. Questo è un nuovo fenomeno. Nel Consiglio d’Europa abbiamo redatto strumenti giuridici per quarant’anni, ma non li abbiamo mai controllati. Penso che costituiscano la struttura portante dei nostri sistemi, ma che debbano essere effettivamente messi in pratica, e ciò va verificato di volta in volta.
        Nel giugno dell’anno scorso si sono incontrati i Ministri della giustizia e successivamente i Capi di Stato e di Governo e hanno giudicato positivamente la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca su questo fenomeno e lo strumento della confisca. Come ha già detto il signor Moulette, va diffuso il messaggio di una ricerca e di una maggiore collaborazione. I 21 paesi che non hanno ancora ratificato la Convenzione dovrebbero essere invitati a farlo al più presto. Per alcuni in particolare (Cipro, San Marino, Liechtenstein e Andorra) sarebbe di estremo interesse se lo facessero perché possono costituire dei veri paradisi fiscali e credo che abbiano qualcosa da nascondere per quanto riguarda il riciclaggio.
        Vanno, inoltre, controllati i quadri istituzionali e normativi e i sistemi giuridici dei vari paesi e va verificata la loro compatibilità con le 40 raccomandazioni del GAFI che ormai sono in vigore e ovviamente con la Convenzione in oggetto
        Passiamo ora alla questione della Slovenia e di Cipro. Abbiamo continuato i nostri contatti con questi paesi e anche con la Repubblica Ceca in giugno e non abbiamo solo verificato l’esistenza di un quadro istituzionale e giuridico, ma anche se fosse possibile un’efficace applicazione della Convenzione. Vi sono stati due incontri, uno a dicembre e uno a giugno, con le prime due relazioni di valutazione, e vorrei condividere con voi alcune idee che abbiamo visto emergere in tali occasioni. Innanzi tutto, il quadro istituzionale e il quadro giuridico in molti di questi paesi sono assai recenti oppure inesistenti in alcuni casi. Vi sono pochissime condanne per riciclaggio e ancor meno confische di denaro di provenienza illecita. Però, in molti di questi paesi vi è la volontà politica di andare avanti e di predisporre un efficace quadro giuridico. Abbiamo notato un grande impegno da parte dei Governi con cui sono già stati avviati colloqui, la Slovenia e la Repubblica Ceca in particolare.
        Per quanto riguarda le privatizzazioni, rileviamo che spesso in questi procedimenti vengono commessi abusi. Vi è un grande volume di riciclaggio in Slovenia nel settore dei beni mobiliari. Sono ancora esistenti e molto forti i controlli sugli scambi con l’estero e penso che una volta entrata nell’Unione europea questi controlli potranno essere tranquillamente rimossi.
        Uno dei problemi che è emerso e che è ancora molto importante è quello del Bureau de change. Spesso non c’è un controllo sulle persone che vi operano e i criteri che vengono utilizzati in questi paesi a volte non sono molto chiari. Ritengo che la questione dovrebbe essere analizzata in molti Stati membri.
        Infine, non si può sottostimare il fatto che la cooperazione internazionale sia di estrema importanza, perché è solo attraverso essa che possiamo vincere la battaglia contro il riciclaggio e la criminalità organizzata. Questo è il senso della Convenzione, che rappresenta un primo passo in tale direzione e che è uno degli oggetti di questo Convegno, che ritengo debba servire per far aumentare la nostra attenzione sul problema. (Applausi).

        PRESIDENTE. Do ora la parola al signor Theodore Jackson, Deputy Assistant Director of Federal Bureau of Investigations, il quale tratterà il tema: "La lotta contro il riciclaggio nell’ambito del contrasto al crimine".

        JACKSON Theodore, deputy assistant director of FBI. Grazie, sono felice e onorato di essere qui a rappresentare il direttore Louis Freeh in questa importante occasione. Sono anche onorato di essere accanto a autorevoli personalità nell’ambito della lotta contro la mafia in Italia: il presidente del Consiglio Prodi, il presidente Violante, il presidente Mancino, il ministro Napolitano, il ministro Flick, nonché il dottor Caselli, per nominarne soltanto alcuni.

        Vorrei portarvi il saluto dell’FBI e del popolo americano. Il direttore Freeh mi ha chiesto di rivolgervi i suoi saluti sentiti e vorrei anzi dividere con voi una storia che egli mi ha raccontato su come ha risolto il dilemma, consistente nello stabilire se poteva venire qui al Convegno oppure mantenere la promessa che aveva fatto alla sua famiglia di portarla in vacanza questa settimana. Trovandosi di fronte a queste due opzioni, cioè di fronte a questo dilemma, mi ha riferito di aver riflettuto su quali erano i suoi obblighi e su quanto era importante per lui trascorrere tempo significativo con i suoi sei figli piccoli in questo momento delicato delle loro vite. Poi ha considerato il potenziale impatto della discussione di oggi sui futuri sforzi e sulle future iniziative contro la mafia e la criminalità organizzata internazionale. Mi ha detto che ha riflettuto molto attentamente su questi due obblighi, in competizione tra loro, ha soppesato le priorità ed ha analizzato i benefici a lungo termine. Alla fine ha deciso che sarebbe dovuto venire qui a Palermo: era chiaramente il beneficio a lungo termine più importante.
        A questo punto ha presentato la sua decisione a sua moglie Marilyn, lei ha ascoltato attentamente, ha soppesato i vari termini della questione, dopo di che ha preso una decisione molto veloce: in pochi secondi gli ha comunicato la decisione contraria, sovvertendo quindi completamente l’argomentazione del marito e rifiutando il suo appello in modo sommario. Quindi, come ho detto poc’anzi, sono molto felice di essere qui al posto del mio direttore Freeh.
        Vorrei iniziare con il congratularmi con la Commissione parlamentare antimafia e con il Comando generale della Guardia di finanza per aver organizzato questo Convegno importante nel contesto nella lotta contro la mafia. Ritengo che l’occasione odierna rappresenti un passo importante nella dura lotta che l’Italia deve ancora combattere. Per tanti anni voi, come anche noi abbiamo fatto negli Stati Uniti, avete speso tempo, risorse, stanchezza, sudore e lacrime per lavorare e per poter porre sotto pressione la leadership della mafia e di altri gruppi della criminalità organizzata per mandare in prigione il più alto numero di membri di organizzazioni criminali.
        Negli ultimi anni i risultati da voi ottenuti sono stati eccezionali ma, come succede anche negli Stati Uniti, avete visto che i mafiosi continuano a perpetrare le loro attività criminali anche da dietro le sbarre, perché ancora possiedono la loro ricchezza che permette di continuare l’attività criminale. L’incontro odierno ci dimostra che è arrivato il momento di privare delle loro ricchezze questi predatori sociali attraverso delle regolamentazioni forti, un lavoro di indagine e il perseguimento delle violazioni, come il riciclaggio del denaro, attraverso delle leggi più determinate.
        Quindi, vorrei trascorrere questi pochi minuti che ho a disposizione parlandovi dell’esperienza americana nelle indagini sul riciclaggio di denaro, non soltanto delineando quali sono le metodologie e le tecniche investigative utilizzate dall’FBI, ma anche citando alcuni casi che, a nostro avviso, dimostrano il valore della nostra impostazione.
        Noi dell’FBI definiamo il riciclaggio del denaro come un processo attraverso il quale i redditi di origine illegale sono trasformati in denaro che sembra essere stato guadagnato o acquisito legittimamente; ma stiamo veramente parlando di una delle attività dei gruppi criminali attraverso la quale denaro di origine illecita continua ad essere immesso nei canali finanziari mondiali. Per criminalità organizzata non intendo soltanto Cosa nostra o la mafia, ma tutta la gamma di gruppi criminali che negli Stati Uniti, in Sud America, in Russia, nell’Europa orientale, in Africa e nel lontano Oriente continuano ad esistere, e per attività criminale intendo una miriade di attività, non soltanto il traffico di droga, anche se questo rappresenta una parte preponderante dei proventi illegali. Non soltanto crimini finanziari, come frodi bancarie, frodi con carte di credito e frodi negli investimenti, ma anche attività che portano al riciclaggio di denaro, come ad esempio il gioco illegale, l’estorsione, la prostituzione, la corruzione, i furti di auto e i traffici illegali di armi e di esseri umani. È importante, credo, elencare la gamma di attività perché le autorità che si occupano dell’applicazione della legge, le forze dell’ordine, devono avere impostazioni diverse per ogni tipo di crimine. Il riciclaggio di denaro è legato a tutte queste attività, ma in termini di applicazione della legge le varie categorie non sono tutte uguali. Ad esempio, nelle indagini su Cosa nostra all’FBI abbiamo incluso le violazioni consistenti in riciclaggio di denaro e abbiamo definito questa una delle maggiori fonti di reddito di Cosa nostra americana. Abbiamo anche preso atto dell’influenza illegale che queste attività possono avere nella società nel suo complesso, danneggiando l’industria, le imprese e così via.
        Negli Stati Uniti ci siamo dotati di uno strumento antiriciclaggio nel 1970, quando è stata adottata la legge statunitense sulla riservatezza bancaria. Questa legge ha permesso di tenere e aggiornare dei dati che ci hanno consentito di identificare i movimenti di denaro e di redditi illegali generati da attività criminose. Solo 16 anni più tardi, tuttavia, i nostri statuti per il controllo del riciclaggio del denaro divennero operativi con l’adozione della legge contro l’abuso di droga del 1986. Sono state scritte anche delle norme che riguardavano proprio gli strumenti per combattere il riciclaggio monetario, nonché delle disposizioni che riguardavano la confisca di beni. Questa legge ha elencato un totale di 134 specifiche attività illegali, "Specified Unlawful Activities", che praticamente hanno identificato le attività criminali che generano proventi illegali, che vanno dal trasporto da Stato a Stato di proprietà private, al rapimento, all’estorsione e così via. È sulla base di questa legge che noi stiamo costruendo la nostra azione contro questo tipo di imprese della criminalità organizzata, quindi non soltanto aggredendo i loro beni, ma privandole anche degli strumenti che permettono loro di restare nel business, cioè di concludere affari.
        Nello stesso tempo i nostri legislatori non si sono certo seduti sugli allori. Infatti, in linea con le 40 raccomandazioni avanzate dal GAFI l’anno scorso, c’è un costante lavoro di aggiornamento e di modifica delle nostre leggi e regolamenti contro il riciclaggio di denaro. Attualmente sono state proposte delle modifiche per colpire le imprese che, appunto, si dedicano al riciclaggio. Vorrei approfittare di questa occasione per congratularmi con voi per la nuova legislazione sul riciclaggio di denaro approvata l’anno scorso; certamente costituirà il fondamento dei vostri futuri successi contro la criminalità organizzata e vi permetterà di colpire i peggiori criminali nella parte più sensibile, cioè nel portafoglio.
        Oggi all’FBI iniziamo ogni importante indagine con un’impostazione basata su due aspetti: anzitutto c’è un aspetto tattico-operativo, per cui cerchiamo di identificare i membri, le infrastrutture e gli schemi della configurazione delle imprese, cercando di concentrarci poi sul resto dei soggetti; poi c’è un aspetto economico-finanziario, per cui cerchiamo di reperire documentazione sulle transazioni, cerchiamo di identificare conti bancari, intermediari finanziari, nonché la rete commerciale e finanziaria dell’organizzazione. Qui il nostro scopo è quello specifico di raccogliere dati per utilizzarli al fine di sequestrare e confiscare beni, sottraendoli quindi alle imprese criminali.
        In termini di indagini utilizziamo diverse metodologie. Anzitutto faccio riferimento alle indagini, che sono dimostrate molto efficaci, nei confronti dei crimini dei "colletti bianchi". Queste indagini utilizzano sistemi di sorveglianza elettronica, archivi di dati, analisi di atti di resoconti finanziari e tutte le tecniche tradizionali associate alle indagini finanziarie. Queste sono le indagini che noi conduciamo – per così dire – allo scoperto. Poi ci sono le operazioni sotto copertura, che includono l’uso di altri sistemi e che sono essenziali per prevenire e per perseguire le associazioni criminali. In questi casi ci sono agenti sotto copertura che riciclano essi stessi denaro per conto di gruppi criminali. Nello stesso tempo in cui conduciamo l’indagine criminale, svolgiamo anche un’analisi intensiva dei resoconti finanziari e delle transazioni che fanno parte della legge statunitense sulla segretezza bancaria. Attraverso le relazioni sulle transazioni in valuta, quelle degli organi monetari internazionali e quelle su attività sospette, sui pagamenti in denaro e sui conti in banche estere, siamo in grado di costruire profili finanziari e di capire quali sono i legami tra individui, tra imprese e tra beni. Per ottenere documentazione da altri paesi inviamo lettere rogatorie e rispondiamo allo stesso tipo di richieste dall’estero.
        Vorrei anche sottolineare che le indagini sul riciclaggio di denaro negli Stati Uniti sono migliorate moltissimo in seguito allo sviluppo della cooperazione tra le agenzie investigative a livello interno e internazionale; e anche perché negli Stati Uniti disponiamo di una fonte di informazione finanziaria centralizzata che può essere utilizzata dalle autorità preposte all’applicazione della legge e che si è dimostrata molto utile. Questa rete, che è stata creata contemporaneamente all’istituzione del GAFI, è un’agenzia di informazioni che si basa sulla collaborazione di varie agenzie e di varie fonti. Qualsiasi investigatore dell’FBI può prendere il telefono e richiedere agli analisti che si trovano nelle altre agenzie delle relazioni analitiche o degli estratti di database, che contengano una sintesi di tutte le informazioni di cui hanno bisogno. Si tratta di uno strumento veloce ed eccellente, di cui nessun investigatore può fare a meno.
        Il fine ultimo di ogni indagine sul riciclaggio è quello di individuare e confiscare beni. Passo quindi ad illustrarvi come funziona negli Stati Uniti il sistema di confisca, così come è previsto negli statuti approvati con una legge del 1986 e con i suoi emendamenti del 1988. La confisca civile è un’azione diretta soltanto contro dei beni. Bisogna notare che il perseguimento di una confisca civile non dipende dal perseguimento di un’azione criminale contro il proprietario di tali beni. L’investigatore deve mostrare quali sono le cause probabili per cui egli ritiene che i beni in questione siano interessati ad una transazione che viola uno degli statuti. Quindi questi beni possono essere confiscati prima che cominci la vera azione legale per la confisca. Poi abbiamo la confisca di tipo penale, che è un’azione contro una persona che detiene dei beni utilizzati in violazione degli statuti. In questa procedura la proprietà o i beni non possono essere confiscati fino a che il proprietario di tali beni non sia stato condannato da un tribunale. Quindi, privare i gruppi criminali dei loro profitti è la cosa più efficace. Questa è una lezione che noi abbiamo imparato e che abbiamo messo in pratica, insegnandola a tutti i nostri investigatori.
        Vorrei concludere le mie osservazioni delineando alcuni esempi. Questo è un argomento che mi sta molto a cuore. Infatti, oltre dieci anni fa, dopo l’approvazione dei nostri statuti sul controllo del riciclaggio del denaro, io ero un supervisore per la criminalità organizzata in un piccolo ufficio dell’FBI nel New Jersey, cioè nella contea del direttore Freeh, in una città chiamata Hackensack. Qui ebbi il privilegio di partecipare ad una delle prime grandi indagini dell’FBI sul riciclaggio. "Cashweb/Expressway" è il nome di un’indagine sotto copertura durata tre anni che è penetrata ai livelli più alti di tre grandi operazioni di riciclaggio di denaro e che ha portato ad un certo numero di organizzazioni colombiane dedite al traffico di droga. Io ho partecipato, in piccola parte, allo sforzo di mettere a punto questi scenari sotto copertura, che alla fine sono risultati da una collaborazione tra i nostri agenti sotto copertura e i riciclatori di denaro colombiani, che hanno trasferito milioni di dollari nel nostro paese. Allo stesso tempo questa collaborazione ha portato a rilevanti risultati, il che ha permesso di attivare una serie di intercettazioni telefoniche per un periodo di otto anni in nove città. Alla fine 137 persone sono state indiziate e oltre 100 condannate; migliaia di chili di cocaina e marijuana sono stati sequestrati, nonché 15 milioni di dollari in banconote. E soprattutto tre grandi organizzazioni di traffico di droga, che realizzavano le operazioni di riciclaggio, sono state completamente smantellate.
        Da allora abbiamo capitalizzato questi successi. Abbiamo lanciato l’operazione "Polar Cap", l’operazione "Soft Assets" e l’operazione "Big Spender". È seguita l’operazione "Red Daisy", che riguardava uno schema di evasione fiscale a cui hanno partecipato Cosa nostra di New York e le organizzazioni criminali russe che operavano in America. Prima di fermarli, erano stati riciclati oltre cento milioni di dollari da gruppi capeggiati dalla famiglia Gambino e da gruppi russi capeggiati dal Victor Zilber e Yacob Dobrer. Recentemente una delle nostre indagini ha invece riguardato un avvocato importante degli Stati Uniti che aveva un’impresa di riciclaggio di denaro che contava sull’appoggio di istituzioni finanziarie nazionali e internazionali, soprattutto in centri off-shore. I suoi clienti variavano fra trafficanti di droga ed evasori fiscali, il cui business ha comportato proventi illegali per milioni di dollari.
        Noi dell’FBI siamo molto soddisfatti dei progressi che abbiamo compiuto nelle indagini contro il riciclaggio di denaro per aggredire e smantellare alle radici la criminalità organizzata e ci congratuliamo con voi per il progresso compiuto nella stessa direzione. Nel contempo bisogna ripetere che non dobbiamo affatto fermarci, ma raddoppiare i nostri sforzi. Come il direttore dell’FBI, Freeh, ha detto nel 1996 alla sessione plenaria del World Economic Forum a Davos, l’elemento di successo nelle indagini sul riciclaggio di denaro consiste in questo: è vitale continuare un’attività di formazione delle autorità preposte all’applicazione della legge e migliorare la cooperazione a livello internazionale. Cooperazione e formazione: queste sono le pietre miliari, sono i pilastri su cui poggia la nostra impostazione. Speriamo che nei giorni che verranno saremo in grado di rafforzare e di costruire su ciò che abbiamo già fatto, sulle iniziative già prese. È estremamente importante che restiamo in contatto tra di noi, con i nostri partners dell’Unione europea e con il GAFI, non soltanto in termini di assistenza operativa, ma perché è importante la consulenza, è molto importante scambiarci informazioni e continuare nel nostro lavoro di formazione. Soltanto un’azione concertata tra nazioni può permetterci di affrontare un nemico comune e di aggredire al cuore la criminalità organizzata. (Applausi).

        PRESIDENTE. Grazie, signor Jackson. Anche a nome della Commissione antimafia le chiedo di ricambiare i saluti al signor Freeh e di ringraziarlo per l’intensa collaborazione che intercorre tra l’FBI e gli organismi italiani, che è stata confermata, tra l’altro, nel corso dell’incontro tenutosi il mese scorso fra il signor Freeh e una delegazione della Commissione antimafia.

        Parlerà ora il signor Jean Spreutels, presidente del CTIF (Cellule de traitement des informations financières), che tratterà il tema: "Collaborazione internazionale tra le agenzie antiriciclaggio – Egmont Group".

        SPREUTELS Jean, presidente del CTIF. Signor Presidente, signore e signori, è un grande onore per me partecipare a questa importantissima riunione e ci tengo molto a ringraziare vivamente la Commissione parlamentare antimafia e il Comando generale della Guardia di finanza per avermi invitato in questa sede. Io mi rallegro con loro e con la Regione Siciliana per l’eccellente organizzazione di questa riunione, in questo luogo prestigioso, ricco di storia. Sono avvocato generale presso la Corte di cassazione belga, ma non è in tale veste che sono stato invitato qui, piuttosto in quanto presidente della Cellula di elaborazione delle informazioni finanziarie (CTIF) che può essere definita l’unità di informazione finanziaria belga incaricata della lotta contro il riciclaggio. Inoltre, credo non sia strano l’invito in quanto sono anche l’ex presidente del GAFI, avendolo diretto per un anno, fino al 30 giugno scorso.

        La mia relazione si comporrà di due parti: da un lato, farò un breve scorcio sul sistema preventivo antiriciclaggio in Belgio, che si basa principalmente sul rapporto di fiducia tra il settore finanziario e la CTIF, e dall’altro, siccome il fenomeno sembra essere appunto internazionale, mi soffermerò sulla collaborazione tra i servizi antiriciclaggio mondiali, collaborazione che è stata potenziata con la creazione e l’attività del Gruppo Egmont.
        Il principale obiettivo dei dispositivi antiriciclaggio attuati in Belgio è quello di lottare contro la criminalità organizzata. D’altronde ciò è dimostrato dai primi risultati dell’applicazione dei sistemi che vi illustrerò tra un momento; infatti, se il reato penale di riciclaggio colpisce i vantaggi patrimoniali che derivano da un’infrazione penale qualunque, il dispositivo di prevenzione limita le forme più gravi della criminalità. Della collaborazione attiva degli enti finanziari e di altre professioni non finanziarie appunto si è parlato all’interno del nostro Parlamento la settimana scorsa, per il riciclaggio dei proventi dei crimini più importanti, come il terrorismo, la criminalità organizzata e le forme gravi di delinquenza economica e finanziaria. La chiave di volta del dispositivo preventivo è quindi un rapporto di fiducia che esiste fra gli enti finanziari e la CTIF.
        Istituita con la legge dell’11 gennaio 1993, questa Cellula è un’autorità amministrativa indipendente, dotata di personalità giuridica, destinata a ricevere e ad analizzare le dichiarazioni di sospetto per il riciclaggio di capitali trasmesse dagli enti finanziari belgi (banche, uffici di cambio, società di borsa, società di assicurazione eccetera), tramite appunto un sistema che consente di utilizzare questi dati. Vi sono anche altri enti che, in un ambito di collaborazione reciproca, attuano questi scopi. La Cellula è composta di esperti in materia finanziaria ed è posta sotto il controllo del Ministro della giustizia e di quello delle finanze, sotto la direzione appunto di un magistrato.
        La Cellula può farsi comunicare e segnalare – questo è un potere molto importante, è un potere informativo – non soltanto da parte di enti e di persone interessate dalla legge, ma anche da parte dei servizi di polizia e amministrativi dello Stato, tutte le informazioni complementari che giudica utili per il compimento della sua missione, prendendo conoscenza sul posto dei documenti o facendoseli trasmettere in copia o in originale. Inoltre, la Cellula ha una missione di controllo, perché è competente a verificare il rispetto delle disposizioni della legge antiriciclaggio, relative all’identificazione dei clienti, alla conservazione dei documenti e al dovere di vigilanza, attraverso gli organismi finanziari che non sono sottoposti ad un controllo di prudenza. Se l’esame delle informazioni inviate alla Cellula fa emergere un serio indice di riciclaggio dei capitali, le informazioni sono trasmesse da tale organismo al pubblico ministero per le conseguenti decisioni; dopo di che l’istruttoria giudiziaria può partire.
        Uno degli elementi fondamentali di questo sistema, che ha permesso alla Cellula di guadagnare la fiducia del settore finanziario, è che i suoi membri o gli esperti esterni cui si fa ricorso sono sottoposti a un segreto professionale molto stretto, molto rigido. Ad eccezione della loro trasmissione all’autorità giudiziaria o alle autorità di controllo, all’interno delle condizioni previste dalla legge, essi non possono divulgare le informazioni in base a disposizioni ben precise. Quando vediamo che una banca, ad esempio, non rispetta una legge antiriciclaggio, noi comunichiamo questa informazione all’autorità di controllo bancario, che può stabilire delle sanzioni, più o meno gravi; poi possiamo anche comunicare delle informazioni agli enti stranieri che svolgono delle funzioni analoghe, soprattutto per poter sviluppare una collaborazione internazionale, come già si è verificato. Ma, al di fuori di questi casi, non possiamo comunicare informazioni, anche se veniamo a conoscenza di un’infrazione penale o di un’attività di riciclaggio, che non siano considerate o previste dalla legge che ci riguarda. In questo caso dobbiamo archiviare le pratiche perché, ripeto, non possiamo comunicare le informazioni a chicchessia, chiaramente neanche al pubblico ministero.
        Quali sono allora i risultati di questa azione? La Cellula è operativa dal 1º dicembre 1993 e da allora ha ricevuto 23.600 dichiarazioni di operazioni sospette provenienti da enti finanziari su base puramente volontaristica (non ci sono dichiarazioni di sospetto automatiche in Belgio). Queste 23.600 dichiarazioni sono raggruppate in circa 4.800 pratiche, perché spesso più dichiarazioni riguardano un unico caso, e poi facciamo un’analisi accurata che viene anche inviata al procuratore. Di queste 4.800 pratiche, quasi 1.400 sono state trasmesse alla procura, cioè circa il 53 per cento del totale delle dichiarazioni, per un valore di 135 miliardi di franchi belgi, che corrispondono a circa 3,5 miliardi di dollari USA, il che fa sì che il 75 per cento di tutto il denaro sospetto è rilevato dagli organismi finanziari, a dimostrazione del fatto che tali enti collaborano in maniera attiva e che hanno fiuto nel rilevare queste informazioni di sospetto.
        Il follow-up giudiziario delle pratiche può essere ancora migliorato, ma nel periodo considerato 54 pratiche trasmesse hanno dato luogo a delle condanne penali, 45 hanno formato oggetto di rinvio davanti ai tribunali e 13 sono state trasmesse alle autorità giudiziarie estere. Le condanne pronunciate dalle nostre corti hanno riguardato 126 persone. Il totale delle pene ammonta addirittura a 286 anni di prigione e le ammende a 197 milioni di franchi belgi; sono state disposte inoltre confische per 5 miliardi di franchi belgi.
        Quali sono le forme di criminalità più spesso riscontrate nelle pratiche trasmesse alle procure? Il 48,8 per cento riguarda il traffico degli stupefacenti, che è la fonte principale del riciclaggio di denaro; poi c’è la frode fiscale, essenzialmente la truffa e l’evasione all’IVA (22,3 per cento); infine abbiamo altre forme di criminalità organizzata (14,4 per cento).
        Il Parlamento ha adottato una legge, propria la settimana scorsa, che tenta di migliorare queste disposizioni, tenendo conto dell’evoluzione delle tecnologie e del contesto normativo internazionale. In particolare, il campo di applicazione è stato esteso anche alle professioni non finanziarie, quali notai, ufficiali giudiziari, revisori delle imprese, ragionieri esterni, agenti immobiliari, nonché agenzie di trasporto di beni e case da gioco.
        Chiaramente, per via della natura di questo fenomeno, la lotta contro il riciclaggio di capitali deve anche collocarsi a livello internazionale. È proprio in questo senso che la Cellula ha concluso degli accordi di cooperazione amministrativa con dodici autorità estere simili, tra cui in Italia con la Guardia di finanza e l’Ufficio italiano dei cambi. Partecipa, inoltre, attivamente alle riunioni con le delegazioni della maggior parte degli enti e delle organizzazioni internazionali che lottano contro il riciclaggio dei capitali; in particolare, con il suo omologo americano, il Financial Crimes Enforcement Network (FinCEN), il CTIF ha contribuito alla creazione, nel giugno 1995, del Gruppo Egmont, il quale riunisce a livello mondiale il totale delle unità incaricate di ricevere e analizzare le dichiarazioni di sospetto per riciclaggio trasmesse dagli organismi finanziari. Tale organismo si è già riunito sei volte allo scopo di gettare le basi di una collaborazione internazionale efficace in questo settore.
        Gli obiettivi generali del Gruppo Egmont sono quelli di stabilire la lista di tutti i servizi esistenti o in via di formazione incaricati di analizzare queste dichiarazioni di sospetto; di organizzare incontri in cui si elaborano strumenti operativi, attraverso la condivisione delle esperienze del Gruppo a vantaggio dei paesi che preparano la creazione di un reparto di ricezione delle dichiarazioni di sospetto; infine di incentivare e agevolare la cooperazione internazionale e lo scambio di informazioni tra i diversi reparti di ricevimento di queste dichiarazioni.
        Beninteso, il tema della cooperazione internazionale viene studiato a seconda delle priorità. Attualmente esistono tre gruppi di lavoro che affrontano questa problematica da diversi punti di vista: gli ostacoli giuridici, i mezzi di comunicazione e la formazione. In particolare, è stato messo a punto un modello di accordo di cooperazione (Memorandum of Understanding-MOU) che consente a ciascuna di queste unità di poter cooperare con le altre, qualunque sia la natura giuridica, cioè che sia che si tratti di autorità amministrative, che di servizi di polizia o di autorità giudiziarie.
        È stato fatto anche un passo in avanti con la riunione del Gruppo Egmont tenuta a Roma nel novembre 1996 perché, in quella occasione, è stata adottata la definizione dell’unità di informazione finanziaria (Financial Intelligence Unit-FIU). Durante l’ultima riunione del Gruppo Egmont a Buenos Aires, 38 servizi hanno voluto rispondere a questa definizione: penso che sia un dato molto incoraggiante per il futuro. Vorrei infine aggiungere che il Gruppo ha istituito un sito Internet che consente di scambiare diverse informazioni.
        Signor Presidente, signore e signori, il riciclaggio del denaro che proviene dalla criminalità organizzata è una minaccia permanente per l’economia mondiale e per la stabilità politica di numerosi paesi. La risposta è una necessità assoluta e per essere efficace ed efficiente deve essere universale. (Applausi).

        PRESIDENTE. Siamo ora collegati in videoconferenza con l’onorevole Romano Prodi, presidente del Consiglio dei ministri, al quale cedo subito la parola.

        PRODI Romano, presidente del Consiglio dei ministri. Ho ascoltato alcuni interessantissimi interventi in questo Convegno; difficile si possa dire qualcosa di più interessante. E ho capito quanto sia complesso tecnicamente il problema e quanto importante sia, nell’ambito della lotta al riciclaggio, una rete di informazioni aggiornatissima.

        Il riciclaggio è per definizione un fenomeno mondiale, intersettoriale, globale: sono brutti termini che si usano oggi, ma purtroppo questo è lo stato delle cose e trovo sia straordinariamente efficace questa rete di interconnessioni fra le diverse funzioni bancarie e finanziarie che emerge e si rinnova.
        Vorrei anzitutto ringraziare moltissimo il senatore Del Turco il quale mi ha invitato ad essere presente. Chiedo scusa a tutti se non ho potuto farlo, ma oggi a Roma è una giornata di confronto politico; quindi non sono potuto venire a Palermo. Ritenetemi comunque presente; soprattutto considerate il Governo vicino e impegnato per la creazione di strutture forti, moderne e di reti di interconnessione con il sistema internazionale per potenziare le operazioni contro il riciclaggio. Non ci sono alternative: o questa lotta viene portata avanti con un’energia straordinaria o si perde.
        In base all’esperienza che ho potuto accumulare, devo dire che le possibilità di lotta sono notevoli. Non è affatto un cammino senza speranze; c’è consapevolezza intorno a questi temi di cui, fra l’altro, abbiamo discusso nelle ultime due riunioni del G8, chiedendo anche a paesi come la Russia di cominciare a mettersi in rete perché o la rete è globale o i pesci scappano. A questo tema è sempre stato riservato un interesse straordinario; ciò comunque non basta, bisogna agire anche con misure sanzionatorie che incidano sui patrimoni e sulle ricchezze accumulate illecitamente. Evidentemente, però, se non abbiamo strumenti efficaci e connessione internazionale per lavorare sull’accumulazione primitiva, diventa difficile colpire successivamente il denaro accumulato.
        Il fatto nuovo è proprio il complicarsi della situazione internazionale, ma nuovo è anche il grande desiderio di cooperazione manifestato da Stati come quelli dell’Est europeo, prima completamente fuori, estranei a questo circuito di solidarietà, per quanto vada detto che erano fuori, quanto meno più di ora, dalla catena della criminalità. Questi paesi sono ora consapevoli della necessità di interconnettersi, di dotarsi di normative simili alle nostre che consentano loro di collegarsi alle nostre reti per cooperare con il nostro lavoro.
        Oltre ad aggiornare questi sistemi di monitoraggio e le tecniche di contrasto, dobbiamo anche porre l’accento – vedo che è presente il Comandante generale della Guardia di finanza – sul coordinamento delle strutture specializzate dei corpi di polizia e sulla cooperazione degli organismi bancari e finanziari internazionali. La cooperazione delle forze in campo è sempre più richiesta, così come è sempre più richiesta una specializzazione fino a pochi anni fa del tutto inesistente. Ormai la formazione di specialisti in materia sta raggiungendo livelli di raffinatezza prima sconosciuti e, a tale riguardo, la Guardia di finanza è all’avanguardia. Quindi, l’obiettivo italiano è di stringere accordi ad ogni livello, per una cooperazione tra le forze di polizia, ora molto più facile in ambito europeo.
        Inoltre, come Governo, siamo molto interessati ad una cooperazione internazionale per combattere l’evasione fiscale, che è un altro degli espedienti sempre più spesso usati; e questa è una offensiva che ha enormi conseguenze per il successo degli sforzi di contrasto del riciclaggio. È, dunque, necessaria una maggiore sorveglianza sulle società finanziarie; soprattutto su quelle non bancarie che spesso fanno da triangolo in questo sistema di evasione internazionale.
        Per riassumere, dal punto di vista della cooperazione internazionale abbiamo i seguenti obiettivi: in primo luogo, convinto sostegno alla diffusione in campo mondiale delle misure antiriciclaggio; in secondo luogo, individuazione degli strumenti politici e tecnici necessari alla cooperazione internazionale, sapendo – lo ripeto – che vi è finalmente a tale riguardo una sempre maggiore attenzione da parte dei leaders mondiali.
        Il problema della criminalità internazionale è finalmente ritenuto drammatico. La moltiplicazione delle mafie e delle strutture di criminalità organizzata nel mondo sta raggiungendo livelli enormi. All’ultimo Summit del G8 il cancelliere Kohl ha detto che nel territorio tedesco operano 103 strutture criminali internazionali, con forte organizzazione e legami sovranazionali. Pensate quale livello di complicazione assume il problema; quindi, l’individuazione di strumenti di cooperazione è fondamentale.
        Infine dobbiamo coinvolgere, con forme comunque rispettose delle sovranità nazionali, il maggior numero di paesi terzi, anche se non siedono né nel consesso del G8 né nell’Unione Europea, al fine di promuovere una comune percezione di questo fenomeno. Debbo dire che non tutti i paesi rispettano queste regole internazionali contro la criminalità. È chiaro che la comune coscienza che si crea tra paesi che hanno legami di cooperazione può portare a risultati migliori, non dico facilmente, ma in modo progressivamente sempre più efficace.
        L’area del Mediterraneo e la zona dei Balcani sono proprio vicine a noi e sono sempre più scoperte nella rete di collaborazione della lotta a questi traffici illeciti e il riciclaggio. È chiaro che, non a caso, gli strumenti tradizionali usati per convincere alla cooperazione – il famoso do ut des che si realizza in questi casi e l’accorato richiamo alla solidarietà – valgono certamente meno nelle zone in cui vi sono turbolenze e tensioni politiche o addirittura guerre civili. Ecco allora l’altro problema, quello di perseguire una cooperazione molto forte tra tutti i paesi che si affacciano sull’Adriatico e sul Mediterraneo, proprio perché questi mari stanno diventando pericolosi punti di riferimento e pericolosi centri di cooperazione per la criminalità organizzata.
        Queste sono osservazioni che derivano dalla mia esperienza piuttosto che osservazioni generali di chi possiede conoscenza scientifica della materia; mi è sembrato utile esporle. Vorrei esprimere a tutti voi una profonda gratitudine per quello che fate e la richiesta di essere sempre più attivi e più vigorosi in tale direzione, perché il paese ha bisogno di questa opera che non è mai facile; un’opera complicata e in molti casi eroica. Ma di fronte alle organizzazione criminali c’è bisogno di eroi.
        Grazie a tutti voi e buon lavoro. (Applausi).

        PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Prodi per questo suo intervento.

        Do ora la parola al signor William Baity, direttore del FinCEN (Financial Crimes Enforcement Network-USA), il quale svolgerà una relazione sul tema: "Segnalazioni delle operazioni sospette."

        BAITY William, direttore del FinCEN. Signor Presidente, vorrei anzitutto portarvi il saluto del FinCEN. Mi fa molto piacere essere con voi e parlare di un argomento al quale siamo molto interessati, cioè le segnalazioni delle operazioni sospette e la nostra capacità di condurre indagini in questo senso. Ringrazio il presidente del Consiglio Prodi per le sue parole. So che lui e il presidente Clinton hanno parlato di questi argomenti all’ultima riunione del G8 ed è stato interessante per tutti noi seguire ciò che è stato detto, perché si tratta di temi estremamente importanti per tutti i paesi.

        Recentemente abbiamo avuto un incontro molto interessante con le autorità italiane e siamo molto lieti oggi di poter parlare con la Commissione antimafia. Quando si fa una comunicazione in un Convegno, come quello odierno, di solito si impara più di quanto si riesca a comunicare al pubblico. Vorrei quindi congratularmi con l’Italia per i progressi compiuti negli ultimi anni nel campo della lotta al riciclaggio.
        L’altra osservazione che vorrei fare è che abbiamo problemi comuni, che vanno quindi evidenziati, e voglio qui sottolineare come sia necessario lavorare insieme per trovare una soluzione comune a questo problema.
        E vengo ora a descrivere come avvengono le segnalazioni su operazioni sospette negli Stati Uniti. Negli ultimi 25 anni abbiamo basato i nostri sforzi contro il riciclaggio sul controllo delle operazioni in denaro. Come tutti sapete, la riservatezza bancaria, per sua stessa natura, pone un limite alla nostra attività, perché noi abbiamo sempre bisogno di informazioni per portare avanti le nostre indagini e questo si scontra con il segreto bancario.
        Abbiamo cercato di concentrare la nostra attenzione sui movimenti di valuta; abbiamo chiesto alle nostre banche e istituzioni finanziarie di fornirci segnalazioni sulle transazioni in valuta. Abbiamo ricevuto molte segnalazioni in questi anni, 12 milioni. Come mai avviene questo e soprattutto quanta utilità possono avere questi dati? Noi stiamo cercando di ridurre il numero di segnalazioni sulla valuta del 35-40 per cento, ma il motivo per cui non vi riusciamo è che abbiamo spostato l’accento sulle segnalazioni delle attività sospette. Vorrei quindi cominciare la mia esposizione soffermandomi proprio su questo aspetto. Desidero sottolineare che le segnalazioni sulle operazioni sospette sono un pilastro della nostra lotta contro il riciclaggio di denaro sporco; esse rappresentano un aspetto importante del nostro sistema operativo, e producono benefici perché, questo tipo di segnalazione, è più efficace rispetto alla segnalazione dei movimenti di denaro. Anche questo fa parte del modo in cui risolveremo i nostri problemi comuni.
        Perché le segnalazioni sulle attività sospette costituiscono il programma che vogliamo seguire per il futuro? Innanzi tutto tali segnalazioni – che, come dicevo, rappresentano un pilastro della nostra attività – sono in linea con le 40 raccomandazioni del GAFI alle quali dobbiamo attenerci. In particolare, le raccomandazioni dalla 14 alla 19 prescrivono proprio l’uso di segnalazioni da parte di istituzioni finanziarie sulle operazioni sospette che esse osservano. Si tratta, quindi, di un obbligo al quale le istituzioni finanziarie devono conformarsi e che devono sottoscrivere.
        A seconda dello strumento, si parla di reporting o di disclosure, cioè di resoconto o di segnalazione sulle attività considerate sospette. Quali membri del Gruppo Egmont, siamo lieti di poter contare su queste unità che trasmettono resoconti e segnalazioni sulle attività sospette. Dopo il nostro incontro di Buenos Aires, la scorsa settimana, abbiamo visto che ci sono dieci nuove agenzie che hanno avuto la responsabilità di ricevere e analizzare questo tipo di resoconti e questo genere di relazioni. Tuttavia, in Sud America, in Africa e in Asia si evidenzia un’assenza di agenzie. Questa assenza dimostra che c’è bisogno di estendere i nostri sforzi per rendere la nostra rete più diffusa perché alcune zone del mondo non partecipano all’azione comune. Se noi non mondializziamo i nostri sforzi, sarà difficile risolvere questo problema comune.
        Vediamo insieme quali sono i benefici di questo sistema di segnalazioni. Anzitutto esso dev’essere basato sulla creazione di database che non solo contengano le informazioni suscettibili di essere utilizzate dagli investigatori, ma ci permettano di analizzare le attività sospette e vedere quali sono i metodi operativi che possiamo utilizzare a livello di agenzie. È quindi un sistema – lo ripeto – basato sullo strumento del database che ci permette di identificare i potenziali reati finanziari che intendiamo perseguire e che potrebbero non essere chiaramente identificabile da parte delle agenzie in assenza, appunto, di tale strumento. Questo ci permette di sorvegliare i flussi delle transazioni e le loro direzioni.
        È chiaro che per questo abbiamo bisogno della collaborazione delle istituzioni finanziarie, e anche dell’aiuto della parte investigativa, delle agenzie deputate all’applicazione della legge. Questi sono gli elementi che dobbiamo utilizzare e gli attori dei quali dobbiamo avvalerci in termini di cooperazione in modo da poter raggiungere l’obiettivo. E mi ha fatto molto piacere – voglio ribadirlo ancora – sentir parlare rappresentanti di altri paesi e sapere che anche in Italia sono state create unità efficaci per la lotta alla criminalità organizzata.
        Fino al 1986 noi operavamo con sei sistemi separati, e quindi avevamo tre sistemi di resocontazione sulle attività sospette, che abbiamo dovuto in seguito integrare. Abbiamo 19.000 banche che ci hanno trasmesso segnalazioni con questi sei sistemi. Ognuno dei nostri regolatori bancari aveva un proprio modulo che riempiva riguardo alle attività criminali sospette che osservava. Vi è un modulo che noi presentavamo alle istituzioni bancarie per sapere se vi fossero operazioni sospette effettuate con transazioni in valuta.
        Nonostante vi fossero sei sistemi diversi, abbiamo cercato di integrarli, e di escludere questa frammentazione di moduli. Oggi abbiamo solo un modulo che viene compilato per segnalare attività sospette; non vi è più quindi una frammentazione delle attività. Devo riconoscere che è stato difficile far concordare sei agenzie statali, ma alla fine abbiamo ottenuto che collaborassero e che lavorassero in modo unitario, e questo è già un grande risultato.
        Ecco come funziona il nostro sistema: le nostre banche riempiono questi moduli, facendo delle segnalazioni, che vengono poste in un database centrale, messo a disposizione di tutti i regolatori bancari, di tutte le agenzie che si occupano dell’applicazione della legge federale, come la DEA, l’FBI eccetera; ma ci sono anche le leggi dei nostri 50 Stati. Abbiamo quindi molti "clienti" a cui far pervenire i nostri dati nel modo più veloce possibile.
        L’altra differenza del nostro sistema, cioè l’altra sua importante caratteristica, concerne le sue dimensioni. Vi farò comprendere cosa intendo dire. Pensiamo ad un taglio delle disposizioni che regolano la nostra attività, anzitutto ad una proibizione per le banche di fornire dati a chi è sospettato di aver condotto delle operazioni illecite. Quindi, anche se il cliente si reca presso la banca e desidera delle informazioni, non può riceverle qualora sia sospettato.
        Importante è anche una disposizione che riguarda i paradisi fiscali, e cioè se una banca degli Stati Uniti invia una segnalazione su un’attività sospetta va avanti una negoziazione con le nostre banche, per cui queste ultime possono farci sapere se esistono quelli che sono considerati dei paradisi fiscali.
        Il nostro sistema si occupa delle sanzioni civili e penali; il terzo pezzo importante del puzzle riguarda le informazioni trasmesse dalle banche, elaborate dalle forze della legge. Ciò che noi chiediamo alle banche è di inviarci un resoconto sulle attività anomale che esse incontrano; magari si tratta di attività che risultano perfettamente innocue, magari ci viene fatta una segnalazione su un cinema o su un teatro che negli ultimi cinque anni ha condotto un’attività in modo da sembrare illecita, ma poi, magari dopo aver controllato l’attività commerciale espletata, risulta che non si tratta di nulla di perseguibile. Però, l’indagine viene naturalmente posta in essere perché la banca ci ha fatto sapere che vi possono essere delle attività sospette. Il fatto che la banca comunque pensi che vi sia un qualcosa di illecito obbliga la comunità ad occuparsi di tale sospetto. E questo è importante, perché rende la comunità più sensibile e quindi più propensa ad adottare delle legislazioni che vadano incontro a questo tipo di esigenze.
        La nostra agenzia, che è abbastanza recente, ha pubblicato il terzo rapporto sulle segnalazioni delle attività sospette che evidenzia lo sfondo sul quale ci muoviamo, si occupa dei problemi e dei nostri programmi futuri, e spiega più in dettaglio il sistema di operazione che ho cercato quest’oggi di delineare.
        Dal 1º aprile 1996 al 30 settembre 1997 abbiamo ricevuto circa 186.000 segnalazioni e il 40 per cento di esse concerne operazioni segnalate appunto dalle banche. Le nostre banche, peraltro, ci inviano una quantità eccessiva di segnalazioni, per cui, probabilmente, dovremo aiutarle a capire quali sono le transazioni effettivamente sospette. Questo significa che vi sarà un processo di formazione continua, perché le banche stesse svolgono questa attività da poco tempo e, di conseguenza, dovremo contribuire a rendere questo sistema più efficace.
        Il 50 per cento delle violazioni riguardanti il riciclaggio di denaro concerne transazioni prive dei requisiti di resocontazione, previsti dalla legge. Ciò è considerato un reato e quindi viene incluso nelle segnalazioni. Però, il restante 50 per cento concerne casi nei quali vi è una tendenza ad un’attività di riciclaggio di denaro – ma non solo – con l’aiuto di altri tipi di trasferimenti, utilizzando anche i nuovi sistemi di comunicazione elettronica che rendono molto più difficile rintracciare queste operazioni.
        Vediamo quali sono alcune delle questioni di cui ci occupiamo attualmente e che rispondono alle osservazioni che sono state fatte questa mattina. Innanzi tutto, credo sia cruciale chiedere alle istituzioni finanziarie di fornire informazioni e di inviarci i commenti dei loro informatori sulle attività anomale che potrebbero riscontrare, in quanto danno informazioni anche sulle tendenze in atto al momento, perché abbiamo detto che le transazioni finanziarie sono in continua evoluzione. Quindi, questo feedback è importante.
        Abbiamo detto che le resocontazioni e l’archiviazione dei dati avvengono in modo manuale, ma dobbiamo passare ad un sistema di archiviazione elettronica; poi dobbiamo procedere ad una standardizzazione per l’immissione di dati nei nostri database. In altre parole, dobbiamo rendere standardizzata l’immissione dei dati da parte delle varie istituzioni finanziarie e delle varie banche, e cioè rendere queste informazioni il più possibile omogenee. Infatti, dobbiamo migliorare i meccanismi per rintracciare le varie transazioni. Quindi, dobbiamo fare in modo che le informazioni siano non solo omogenee, ma anche chiare e trasparenti. Inoltre, dobbiamo migliorare i meccanismi di rintracciamento delle transazioni. Abbiamo bisogno quindi di sistemi che ci permettano anche di seguire che cosa le varie agenzie che si occupano dell’applicazione delle leggi stanno attuando.
        Quali sono i piani per il futuro? Naturalmente ci stiamo muovendo verso un sistema di archiviazione elettronica, che corrisponde, come ho detto prima, a uno dei nostri obiettivi principali, in modo da poter utilizzare le tecniche elettroniche, che d’altra parte vengono utilizzate da coloro che compiono transazioni illegali: dobbiamo quindi anche noi adeguarci. Dobbiamo anche fare in modo che il sistema di segnalazione delle operazioni sospette sia più efficiente e più lineare di quanto non sia stato fino ad ora. Riscontriamo che i gruppi che si occupano di attività criminali sono spesso furbi, sono intelligenti, si muovono rapidamente, passando dall’uso di uno strumento all’altro. Dobbiamo quindi adeguarci e basarci anche sull’aiuto di istituzioni finanziarie non bancarie.
        Abbiamo parlato, fra le varie attività criminali, del gioco d’azzardo, e quindi delle case da gioco. Siamo in una fase in cui stiamo cercando di regolamentare nel modo migliore le centinaia di case da gioco esistenti negli Stati Uniti, che producono cifre annuali impressionanti e che costituiscono un ottimo canale per il riciclaggio di denaro. Per lo meno negli Stati Uniti si tratta di una situazione estremamente grave, che ha cominciato ad espandersi da Stati come il Nevada e da Las Vegas per estendersi poi in molti altri Stati; e non solo negli Stati Uniti, ma anche nei vicini Stati dove esistevano delle riserve indiane, negli Stati in cui esiste una legislazione basata sulla tradizione indiana, e che permette loro di avere una regolamentazione più blanda per quanto riguarda l’istituzione di case da gioco. Stiamo anche cercando di creare dei servizi che ci permettano di effettuare un controllo monetario più forte. Abbiamo stabilito una procedura per cui è possibile includere in questo tipo di attività delle imprese commerciali per ottenere la loro cooperazione; inoltre, stiamo cercando di basarci sulla cooperazione di intermediari finanziari che lavorano sul mercato mobiliare. Anche questo è estremamente importante perché essi stessi devono essere tra i primi che devono volontariamente fornirci informazioni su presunte attività illegali.
        Dobbiamo quindi contare sulla collaborazione di diversi attori; dobbiamo arrivare ad una standardizzazione delle norme; dobbiamo arrivare ad un più efficiente sistema di archiviazione, a migliori database. Dobbiamo raggiungere questi obiettivi perché le informazioni sono estremamente importanti e costituiscono la base del nostro lavoro. Questo è utile dal punto di vista della regolamentazione, perché essere forniti delle informazioni necessarie aiuta gli enti regolatori, le autorità che devono stabilire le leggi riguardanti il controllo delle attività illegali, come il riciclaggio di denaro. Inoltre, ottenere informazioni è importante in termini strategici, per poter delineare le strategie del futuro e per poter far fronte alla minaccia delle tecnologie che stanno emergendo e di cui si avvalgono sempre più le associazioni criminali. Inoltre, è molto importante avere le informazioni necessarie in termini di indagine, perché per i nostri investigatori è assolutamente essenziale essere dotati di database di informazioni di eccellente qualità. E questo è importante per tutti coloro che lavorano in questo campo. Se non lavoriamo tutti insieme, noi e gli altri attori, noi e le altre istituzioni, le forze della legge, le autorità, gli investigatori e così via, per risolvere questo problema comune, non sarà possibile ottenere i risultati sperati. Dobbiamo quindi lavorare in strettissima collaborazione per mantenere alta la qualità del nostro lavoro.
        Ricordiamo ancora una volta che è estremamente importante poter contare sul giusto feedback, e cioè su quei commenti alle informazioni che ci vengono date dalle nostre agenzie investigative, dalle istituzioni finanziarie e così via. Questi sono i pilastri su cui si basa la nostra attività. Signor Presidente, ci auguriamo che saremo in grado nei prossimi anni di portare avanti questo lavoro e arrivare al punto in cui potremo dire che il problema comune di cui abbiamo parlato non è più un problema. (Applausi).

        PRESIDENTE. Ha ora la parola il signor Herald Von Koppe, capo del MOT (Meldpunt Ongebrvikelijke Transaktranfactief, Olanda), che, tradotto alla lettera, è il punto di segnalazione delle operazioni sospette, l’equivalente del nostro Ufficio italiano dei cambi. Presenterà una relazione dal titolo: "Utilizzo e efficacia delle transazioni anomale. Integrità dell’agenzia antiriciclaggio. Cooperazione tra le agenzie antiriciclaggio in materia di Euro".

        Von KOPPE Herald, capo del MOT. Grazie, signor Presidente. Poiché domani si parlerà ampiamente di Euro, sarò molto sintetico sul tema della nuova valuta europea, e quindi parlerò sommariamente delle minacce e delle opportunità che offre.

        Ci sono due o tre punti di cui vi vorrei parlare, prima di tutto del perché il MOT è così efficace. Non lo dico io, ma il GAFI che ha dichiarato che il MOT è veramente un organismo molto efficace per due motivi. Il primo dato è che noi in effetti concludiamo degli accordi con la polizia olandese su quali sono i casi da trattare, perché non c’è necessità di indagare molto e fare troppi sforzi inutili per trattare tutti i piccoli casi; la polizia non ha tempo per farlo, quindi bisogna pensare come si trattasse di una catena che non deve avere nessun anello debole. Dobbiamo avere un’organizzazione in cui il personale deve essere tutto qualificato e provenire da branche diverse: polizia, banche, servizi fiscali eccetera. Se posso dirlo così, bisogna evitare che un poliziotto pensi come un banchiere e viceversa. Pensano in modo diverso, ma bisogna fare in modo di mettere insieme queste differenti mentalità. Non è possibile insegnare ad una mucca a volare, non è neanche probabile che queste persone si comprendano molto, e quindi bisogna metterle insieme e fare in modo che si comprendano. Bisogna interpretare: io ho un grande rispetto per gli interpreti, devono assicurasi che ciò che io dico arrivi a voi, che arrivi il messaggio giusto, e che quello che voi dite arrivi a me. La stessa cosa dobbiamo fare noi: dobbiamo fungere da interpreti tra la polizia e le istituzioni finanziarie, dobbiamo passare da una lingua all’altra, il che richiede tempo, ma è meglio riuscire a mettere insieme questi due mondi, all’interno di un’organizzazione, che cercare di convincere l’altra parte che noi abbiamo ragione.
        Il MOT è un organo amministrativo, ma ne fanno parte anche delle persone che provengono dalla polizia. È vitale e utile perché l’onere della prova dipende dal MOT, non dall’istituzione finanziaria; non sta a loro decidere se una transazione può essere oggetto di un’azione penale o no, non sono loro a fare questo. Una su quattro delle transazioni anormali da noi viene valutata sospetta e dunque siamo noi a decidere che questa viene perseguita. E noi ci rivolgiamo alla polizia nel caso in cui abbiamo appurato che la transazione è veramente anomala. Quindi, questo è un compito che ricade sul Governo, non sulle istituzioni finanziarie.
        Bisogna dire che per le banche, come per le case da gioco o per le compagnie assicurative, è molto costoso formare il proprio personale, ma tutto ciò permette di evitare frodi e truffe ai loro danni; quindi è conveniente ed importante formare il personale bancario, perché esso aiuterà ad evitare delle perdite future. Quando ci viene fatta una segnalazione, non è inutile per loro, perché milioni e milioni di fiorini vengono così salvati dalle truffe e dalle frodi grazie a questo tipo di segnalazioni. Bisogna cercare di far comprendere alle banche che il costo in termini di denaro e di tempo non è a fondo perduto. Perciò è molto importante il feedback, cioè l’informazione di ritorno. Noi diamo agli operatori bancari la possibilità di avere dei video e assicuriamo loro che i loro dati siano sempre protetti. Bisogna però stare molto attenti perché le banche non devono cercare – se mi è consentito – di farci fessi; devono collaborare con il Governo, il che dà loro un plus.
        Avrei anche voluto parlare dell’Euro, ma ho poco tempo e comunque se ne parlerà ampiamente domani. (Applausi).

        PRESIDENTE. Dopo il validissimo contributo degli oratori di questa mattina, questo Convegno si è arricchito di un rilevantissimo contributo in termini di proposta e di esperienze personali. È stato ancora una volta ribadito il concetto dell’importanza della collaborazione nazionale ma più ancora, come ha detto il presidente Prodi, della collaborazione tra gli organismi internazionali. È quello che tutti auspichiamo, in modo da poter assicurare una più forte e determinata lotta al riciclaggio.

        Sospendo brevemente i nostri lavori.

        I lavori, sospesi alle ore 16,50, sono ripresi alle ore 17,40.

Presidenza del deputato Carmelo CARRARA
componente della Commissione parlamentare antimafia

        PRESIDENTE. Riprendiamo i lavori del Convegno. Dagli interventi della mattinata e anche della prima parte del pomeriggio mi pare sia emerso un filo rosso abbastanza consistente, cioè che la lotta al riciclaggio – come del resto al narcotraffico – esige una sfida globale. La globalizzazione dell’economia, infatti, ha fatto crescere il novero dei cosiddetti reati internazionalizzati. Però ci sono delle scadenze.

        Questa mattina, il signor Csonka ha richiamato – non dimentichiamolo – la Convenzione di Strasburgo, che non è stata ratificata da alcuni Stati e che, a suo avviso, si può addirittura rivedere; credo sia un’impostazione condivisibile, soprattutto laddove egli ha fatto riferimento al tipo di reati fiscali che oggi permettono un refus nei confronti di richieste di collaborazione internazionale. Vi è stata anche la sessione speciale dell’ONU sulla droga appena conclusasi a New York (è fissata un’altra scadenza al 2003) per cui le nazioni aderenti dovranno adeguarsi alla normativa antiriciclaggio.
        Abbiamo verificato la posizione di alcuni paesi ed abbiamo ora la possibilità di ottenere un altro apporto contributivo, da parte di esperti internazionali, che ci forniranno il portato dell’esperienza dei loro paesi. Alludo, in particolare, al signor Fond e al signor Goddard, esponenti della agenzie antiriciclaggio rispettivamente francese ed inglese.
        Do quindi subito la parola al signor Pierre Fond, segretario generale aggiunto del Traitement du Renseignement et Action contre les circuits financiers (TRACFIN), il quale tratterà il tema: "L’esperienza francese: bilancio dell’attività di TRACFIN e ultimi sviluppi legislativi".

        FOND Pierre, segretario generale aggiunto del TRACFIN. Signor Presidente, signore e signori, è un grande onore per me prendere la parola oggi di fronte a voi ed è anche un grande piacere, perché l’organismo in cui lavoro in Francia, il TRACFIN, dopo la sua creazione, ha stabilito la sua prima relazione internazionale proprio con l’Italia nel 1992: è stato l’inizio di una proficua collaborazione con la Guardia di finanza. Quindi per me è un piacere particolare partecipare a questo Convegno, proprio in nome di questa prima collaborazione.

        TRACFIN esiste in Francia dal 1990, anche se la data di partenza dovrebbe essere considerata piuttosto il 1991, anno di prima applicazione della legge. All’epoca, il legislatore aveva dato a tale organismo due missioni: la prima consisteva nel coordinare l’informazione in materia finanziaria nell’ambito del Ministero delle finanze (una missione abbastanza importante, che consente a TRACFIN di avere relazioni continuative con l’insieme delle amministrazioni che compongono questo Ministero); la seconda, in termini di ricevimento delle dichiarazioni di sospetto, come attualmente è previsto espressamente nell’ambito della legge del 12 luglio 1995.
        Nel corso degli anni, dalla data di istituzione di TRACFIN, è stato necessario superare due ostacoli e credo che abbiamo fatto molta strada in questo senso. Il primo ostacolo consisteva nel vincere la diffidenza degli organismi finanziari; il secondo – che non era meno importante, ma forse più difficile da superare – consisteva nel regolare i problemi di coordinamento amministrativo.
        Per quanto riguarda il primo punto, vincere la diffidenza degli organismi finanziari, la situazione in Francia è quella comune alla maggior parte dei paesi. Ci sono degli organismi finanziari che sono d’accordo nel lottare contro il traffico della droga ed evitare il riciclaggio, ma all’inizio erano molto diffidenti di fronte a quella che sembrava ad alcuni come una collaborazione troppo stretta con l’amministrazione dello Stato. Tale diffidenza degli organismi finanziari è stata tuttavia vinta abbastanza rapidamente: TRACFIN ha potuto tessere dei legami di fiducia con le banche, con le compagnie di assicurazione, con un gran numero di uffici di cambio ed altri organismi individuati dalla legge.
        Per raggiungere questo obiettivo si è agito in modo abbastanza semplice, ponendo innanzi tutto un imperativo di riservatezza al fine di garantire alle banche e agli altri enti che le informazioni fornite a TRACFIN sarebbero rimaste strettamente confidenziali. Da 7 anni a questa parte in nessun momento tale segreto è stato tradito.
        La seconda garanzia – un po’ meno etica, ma molto efficace – è stata quella di assicurare che l’informazione trasmessa non sarebbe stata utilizzata a fini fiscali. Il punto è stato fortemente dibattuto nel 1990, in quanto i banchieri affermavano di essere d’accordo nel lottare contro il traffico della droga e contro il riciclaggio, ma era fuori questione porre in gioco gli aspetti fiscali. Il Ministro delle finanze ha preso allora l’impegno davanti al Parlamento che le informazioni trasmesse non sarebbero state utilizzate a fini fiscali: è quanto avviene oggi, anche se regolarmente si apre un dibattito in Francia su questo argomento.
        Il terzo punto importante per vincere questa diffidenza naturale è il fatto che la dichiarazione di sospetto non può essere trasmessa se non da un corrispondente nominato dai direttori delle banche. In poche parole, la legge impone ad ogni banca di designare un corrispondente, che è il punto di contatto obbligato tra TRACFIN e l’istituto bancario. Ciò riveste notevole interesse, in particolare per il fatto che questo corrispondente – che molto spesso è l’ispettore generale della banca, responsabile dei controlli interni – ha poteri importanti e col tempo risulta essere un ausiliario molto fedele ed efficace in aiuto all’amministrazione, perché nell’ambito della banca permette di far risalire le informazioni verso le amministrazioni. Quindi anche questo corrispondente è una figura importante.
        L’ultimo punto – Baity ne ha parlato poco fa – riguarda l’importanza di un feedback, di un ritorno delle informazioni verso il settore bancario; ciò non è sempre facile da organizzare perché tutta l’informazione è comunicata all’autorità giudiziaria, quindi interviene il segreto istruttorio, ma si cerca di superare tale ostacolo perché è un elemento importante di motivazione per i quadri bancari nel continuare a collaborare al meccanismo della dichiarazione di sospetto.
        Fornirò ora alcune cifre per illustrare il grado di fiducia instaurata. Abbiamo un centinaio di dichiarazioni di sospetto al mese, che danno praticamente tutte luogo ad inchiesta, il cui contenuto quindi è interessante. Ogni dichiarazione è preceduta da un gran numero di contatti telefonici diretti tra noi inquirenti e i responsabili bancari. Questo sistema funziona molto bene con le banche, funziona sempre meglio con le compagnie di assicurazione, ma non è sempre al vertice della sua forma con gli uffici di cambio. Perché? Semplicemente perché gli uffici di cambio in Francia sono, nella maggior parte dei casi, piccole strutture, per cui è un po’ difficile convincerle a partecipare al meccanismo della dichiarazione di sospetto, anche se si registrano ultimamente dei progressi.
        L’altro aspetto, altrettanto complicato, che si è cercato di superare col tempo è quello del coordinamento amministrativo. In Francia, nel 1990, diverse amministrazioni auspicavano di partecipare attivamente alla lotta contro il riciclaggio dei capitali; si può muovere loro questo rimprovero, ma era in ogni caso difficile in quel momento organizzare in pieno la ripartizione del lavoro: da una parte, il Ministero delle finanze e, dall’altra, il Ministero di grazia e giustizia e, accanto a questo, il Ministero dell’interno con le forze di polizia nazionale. Inoltre, vi erano anche altre strutture a carattere disciplinare che partecipavano al meccanismo globale, quali la Commissione bancaria, la gendarmeria, gli organismi di controllo delle compagnie di assicurazione e degli uffici di cambio.
        Per vari anni il nostro sistema ha incontrato difficoltà a causa di tale compartimentazione amministrativa; oggi la maggior parte dei progressi da noi registrati riguarda appunto questo aspetto, in quanto nel corso degli anni si è venuta a intessere una relazione anche umana tra i vari responsabili, il che ha consentito di superare le difficoltà e soprattutto una certa situazione di concorrenza.
        Per quanto riguarda il modo di lavorare, TRACFIN privilegia innanzi tutto il contatto con il procuratore della Repubblica, considerato che la finalità della nostra azione è la trasmissione dei dossiers contenenti le dichiarazioni di sospetto, arricchite dalle informazioni e dalle osservazioni di TRACFIN, al procuratore della Repubblica; questi ha l’onere e la responsabilità della designazione delle inchieste giudiziarie da condurre. Primo punto, quindi, è la collaborazione con il magistrato.
        Il secondo punto è una collaborazione molto stretta con la polizia nazionale o la dogana, fin dall’inizio dell’inchiesta. Per un certo periodo si sono registrati dei ritardi nella trasmissione di dichiarazioni di sospetto perfettamente redatte, ma adesso le cose avvengono con maggiore celerità, il che permette alla polizia nazionale, soprattutto giudiziaria, alla gendarmeria, di intervenire molto più a monte. Ciò agevola, da parte delle varie agenzie, il superamento di un atteggiamento di riserbo e l’assunzione al contrario di un atteggiamento di collaborazione, dal quale ognuno ha da guadagnare. Questo sistema di collaborazione è sempre più efficace, perché ognuno può utilizzare le potenzialità dell’altro. La missione di TRACFIN si ferma nel momento in cui viene condotta un’inchiesta giudiziaria, ma a monte abbiamo degli strumenti che consentono di arricchire il lavoro della polizia.
        Un altro strumento è quello della cooperazione internazionale: nel corso degli anni – ritornerò poi sull’argomento – abbiamo tessuto una rete di cooperazione internazionale che ci consente di avere delle informazioni in pochi giorni, a volte anche in poche ore, il che è estremamente efficace e più rapido che non il canale abituale della collaborazione giudiziaria o poliziesca. La legge ci ha messo a disposizione uno strumento molto utile, che è il diritto di comunicazione con le banche; indipendentemente dall’apertura di un’istruttoria giudiziaria possiamo porre qualsiasi domanda a un istituto finanziario e questo è tenuto a risponderci. È uno strumento molto flessibile, rapido che ci consente di sapere se le informazioni che abbiamo sono quelle utili, dirette, se meritano di essere approfondite, se si tratta di informazioni che possiamo conservare o abbandonare, qualora gli elementi a disposizione non indichino che vi sia riciclaggio o altra infrazione. Oggi siamo, quindi, in una situazione molto più confortante rispetto a quella degli anni dal 1991 al 1993 e abbiamo una collaborazione con le altre amministrazioni di migliore qualità.
        Quanto alle prospettive, le definirei sotto due profili: in primo luogo l’approfondimento e in secondo luogo l’ampliamento. Approfondimento significa sviluppare le relazioni che abbiamo intessuto a livello internazionale. Abbiamo oggi relazioni continuative e regolari con un certo numero di paesi sulla base di accordi o di scambi di lettere. Questi paesi sono: l’Australia, gli Stati Uniti, l’Italia, il Belgio, la Spagna, il Regno Unito, l’Argentina, il Messico, la Repubblica Ceca, i Paesi Bassi e altri. Vi è, in sostanza, un certo numero di paesi con i quali collaboriamo regolarmente; vi sono poi altri paesi che oggi auspicano di collaborare con TRACFIN, in particolare i paesi dell’America latina, come recentemente il Cile o la Colombia. Riusciamo, inoltre, ad intessere relazioni bilaterali dirette fra inquirente e organismi, relazioni che danno frutti interessanti.
        L’approfondimento avviene anche nel rispetto di un certo numero di professioni: dicevo poco fa che la relazione con le banche è solida, mentre sul rapporto con gli uffici di cambio occorre ancora lavorare. Gli uffici di cambio peraltro ci forniscono informazioni estremamente utili perché molto spesso si collocano all’inizio dell’azione di riciclaggio, cioè proprio nel momento in cui i riciclatori hanno ancora dei contanti e cercano di cambiare il denaro per allontanarsi dalla fonte della loro valuta. Questo è proprio il momento in cui può essere portata facilmente la prova del riciclaggio. Il lavoro nei confronti degli uffici di cambio è un’attività che è opportuno condurre giorno dopo giorno, è un lavoro che necessita di una presenza sul campo molto forte. Per questo collochiamo la nostra azione presso i servizi di dogana che hanno competenza in Francia per controllare gli uffici di cambio e presso la polizia nazionale.
        Giorno dopo giorno, anzi quasi ora dopo ora, questa azione ci ha permesso di giungere al punto che, nel giro di 48 ore dopo la trasmissione di una dichiarazione di sospetto, possiamo procedere a dei fermi di polizia per accertamenti. È un’azione molto utile se viene svolta sul campo e se si è in grado di sensibilizzare quotidianamente gli uffici di cambio sulla necessità della lotta contro il riciclaggio. Probabilmente il passaggio all’Euro modificherà la situazione perché un certo numero di uffici di cambio che oggi operano sulle valute europee dovranno riorientare la propria azione.
        Quindi, come dicevo all’inizio, occorre un approfondimento in materia di relazioni internazionali e altresì un approfondimento in materia di relazioni con gli organismi finanziari e anche con quelli disciplinari, perché la commissione bancaria è incaricata di infrazioni disciplinari nei confronti delle banche che non rispettano la legge. La regolamentazione sul riciclaggio dei capitali è un argomento sul quale abbiamo fatto dei progressi. Oggi la commissione bancaria moltiplica le sue indagini e può sanzionare gli istituti che non applichino correttamente la legge.
        L’altro punto, dicevo, è l’ampliamento, innanzi tutto ampliamento legislativo, perché la Francia era partita da una concezione del riciclaggio abbastanza delimitato che collegava il reato di riciclaggio al traffico di droga; del resto era questa la concezione degli anni Novanta. La definizione penale del reato di riciclaggio era: il denaro proveniente dal traffico di droga. Nel 1993 ha avuto luogo una prima modifica e la competenza di TRACFIN non è stata più limitata ai proventi del traffico di droga, ma si è estesa al denaro proveniente da attività criminali in genere. Ultimamente sono intervenute due modifiche importanti, in particolare una nel 1996 che ha interessato il codice penale francese. Oggi il concetto di riciclaggio si estende a tutte le attività illegali, qualunque sia il reato o il crimine commesso; si va quindi, come ho già detto, oltre il traffico di droga. Ultimamente vi è stata un’estensione molto importante in materia di dichiarazione di sospetto perché l’elenco degli organismi tenuti a farla è stato ampliato. Finora vi erano i seguenti soggetti: le banche, le compagnie di assicurazione, gli uffici di cambio, le società di borsa, le strutture che fondano una banca senza averne lo statuto, l’amministrazione postale e tutti gli organismi che fanno capo al Ministero delle finanze.
        Alcune settimane fa è stata votata all’unanimità dall’Assemblea nazionale una legge, anche se non è stata ancora promulgata, in base alla quale chiunque lavori nel campo immobiliare dovrà essere sottoposto a questa dichiarazione di sospetto. Vi leggo rapidamente il testo: la dichiarazione di sospetto è estesa alle persone che realizzino, controllino, consiglino operazioni riguardanti l’acquisizione, la vendita, la cessione o la locazione di beni immobiliari. Sono quindi interessati da questa misura gli agenti immobiliari così come i notai. Abbiamo richiesto questa dichiarazione da vari anni perché ci siamo accorti che in Francia eravamo interessati da due fasi di riciclaggio: un primo stadio con il denaro liquido che arriva – è il caso degli uffici di cambio – e una fase di integrazione, che riguarda in particolare l’acquisizione di beni immobiliari, sia sulla Costa Azzurra sia nella regione parigina. Pertanto, avevamo difficoltà a individuare questa realtà perché molto spesso erano coinvolti nella vicenda un notaio e un agente immobiliare. Le banche, che avevano rapporti con il notaio e non con l’acquirente, avevano la tendenza ad effettuare una vigilanza piuttosto limitata. Ad esempio, nel Mezzogiorno della Francia si è verificato il caso di un notaio che ha cercato di piazzare presso varie banche tre milioni di franchi liquidi di un cliente russo che aveva acquistato una villa. È stata fatta una dichiarazione di sospetto. Oggi queste professioni saranno sottoposte a dichiarazioni di sospetto.
        Pensiamo anche – ma non immediatamente, dal momento che la legge deve essere ancora promulgata – di vagliare la possibilità di estendere il meccanismo della dichiarazione di sospetto agli esperti contabili, ai revisori dei conti, i quali sono maggiormente interessati, e alcuni dei quali auspicherebbero di poter dichiarare i loro sospetti a TRACFIN, perché il giudice francese ha ravvisato delle responsabilità in casi in cui essi hanno dato prova di negligenza e trascuratezza.
        Ho svolto queste osservazioni nella consapevolezza che in Francia la lotta contro il riciclaggio è argomento non solo amministrativo e giudiziario, ma anche un tema eminentemente politico. Il fatto che il Senato e l’Assemblea nazionale si esprimano all’unanimità su argomenti come questo dimostra molto bene il carattere imperativo che in Francia ha assunto la lotta contro il riciclaggio ed il crimine organizzato. (Applausi).

        PRESIDENTE. Ringrazio il signor Fond per l’esaustivo spaccato che ci ha dato circa lo stato della legislazione francese in materia di antiriciclaggio.

        Dico subito che dopo il vertice di Birmingham e il trattato dei G8 sull’High Tech Crime, la maggior parte dell’interesse si è spostato sulla Convenzione che si sta studiando a Vienna riguardante la criminalità organizzata. Le convergenze fra i vari paesi sono sostanzialmente polarizzate su due punti: la possibilità di ottenere una rete incrociata fra polizie che riesca a stanare tutte le fonti di redditualità per le cosche e le criminalità organizzate e la possibilità di ottenere una legislazione sulla confisca analoga a quella italiana.
        Riguardo a questo ultimo aspetto, è stato solo sfiorato, questa mattina, un punto che è invece molto importante, soprattutto per la legislazione italiana. Tutti convengono sul fatto che occorre aggredire i patrimoni mafiosi. In Italia c’è il sistema del doppio binario, non solo per la confisca prevista dal codice di rito, ma anche per il sequestro e la confisca previsti dalle misure di prevenzione. Abbiamo una legislazione molto frammentaria, frutto anche dell’emergenza. Basti pensare che la misura patrimoniale è necessariamente agganciata alla misura personale per cui oggi si è nell’impossibilità di operare nei confronti dei beni del mafioso deceduto, e soprattutto manca un testo unico sulle misure di prevenzione.
        Fatta questa premessa, cedo la parola al signor Simon Goddard, del NCIS (National Criminal Intelligence Service), il quale svolgerà una relazione sul tema: "Cooperazione internazionale. Informazione di ritorno. Questioni strategiche".

        GODDARD Simon, rappresentante del NCIS. Signor Presidente, vorrei fare alcune brevi osservazioni prima di presentare la mia relazione. Innanzi tutto grazie da parte mia e della organizzazione che rappresento per essere stato invitato a prendere parte a questo incontro. Continua la tradizione di collaborazione tra le forze italiane e quelle britanniche; vi sono stati, infatti, sempre ottimi rapporti fra la DIA e le nostre organizzazioni.

        L’NCIS si occupa dei crimini economico-finanziari; io sono un funzionario di polizia, non un agente segreto, non sono un membro dell’Intelligence Service, e alla fine della mia relazione ricorderò che le segnalazioni finanziarie di operazioni sospette costituiscono intelligence criminale e così vanno considerate.
        Senza dubbio i tentacoli della criminalità stanno diventando più coordinati e più diffusi e l’internazionalizzazione del problema è riconosciuta da tutte le forze di polizia, compresa la nostra. Oltre alle dimensioni del problema, vanno anche considerati il livello di sofisticazione raggiunto dalle grandi organizzazioni criminali, la loro spregiudicatezza, le loro capacità di comprare e utilizzare le più recenti tecnologie e tecniche perseguendo le loro attività criminali. L’uso della crittografia nelle comunicazioni da parte delle organizzazioni criminali è ormai comune; si sa anche nell’Europa occidentale che questi clan usano sistemi sofisticati, elicotteri, granate a propulsione attraverso razzi, minisottomarini eccetera. Bisogna quindi cercare di utilizzare al meglio le limitate risorse a nostra disposizione.
        È necessario un approccio multinazionale, ma anche una strategia nazionale, proprio per utilizzare le nostre risorse al meglio. Vi è anche la necessità di una risposta tempestiva, ma ogni risposta dipende da un’intelligence capace di agire in tempo. L’intelligence è chiave non solo per comprendere gli attuali problemi e anticipare i prossimi, ma anche per sapere come e quando rispondere.
        L’NCIS è stato creato nel 1992 per fornire intelligence agli organi di repressione del crimine. Oltre alla raccolta e allo sviluppo di intelligence operativa e tecnica, realizziamo anche valutazioni strategiche di varie manifestazioni di criminalità, così che le nostre forze di polizia e il nostro Governo possano prendere decisioni informate sulle priorità e sull’allocazione delle risorse. Queste valutazioni sono strategiche, nel senso che si cerca di avere una visione per lo meno nazionale, ma talvolta anche internazionale, del problema e si tenta di prevederne le tendenze.
        Le nostre recenti valutazioni strategiche sulla minaccia per la sicurezza e gli interessi britannici mostra la dimensione della criminalità internazionale all’interno delle aree tradizionali, e cioè narcotraffico, truffa, riciclaggio e prostituzione, ma rivela anche le possibilità di nuove forme di imprese criminali, alcune delle quali si distaccano completamente dalle attività storiche, come ad esempio le discariche abusive, il furto di proprietà intellettuale e il contrabbando transfrontaliero.
        Vi sono tre punti chiave che noi sottolineiamo in particolare in questo momento ed essi valgono per tutta la criminalità internazionale in tutto il mondo. I criminali organizzati delle varie nazionalità cooperano per aumentare il profitto e, ad esempio, si aiutano a vicenda nella produzione, nel traffico e nella distribuzione delle droghe. Nel Regno Unito la cooperazione tra la criminalità organizzata viene percepita come un’attività che segue delle strutture molto elastiche e non rigide. I criminali organizzati non si concentrano su un’unica attività criminale, ma tendono a massimizzare il profitto diversificando i loro traffici; e questo vale per la maggior parte delle organizzazioni criminali.
        Per quanto riguarda il riciclaggio, il suo obiettivo è convertire i proventi del crimine in beni che non possono essere associati alla criminalità: ogni conversione di proventi illeciti in vari beni può essere considerata riciclaggio. I grandi criminali sanno bene che le forze dell’ordine hanno a loro disposizione notevoli strumenti giuridici per individuare i proventi illegali e per entrare e muoversi attraverso il sistema finanziario; di conseguenza, essi tendono a raffinare i propri metodi e ad utilizzare dei sistemi sempre più complessi per riciclare il denaro, cercando di usare reti e coperture per ingannare gli investigatori e ridurre al minimo i rischi di identificazione.
        I criminali che si trovano nel territorio britannico e che svolgono attività di riciclaggio in tale paese fanno sempre più uso di avvocati, contabili ed agenti per la costituzione di società, in modo da utilizzare, per così dire, persone pulite e che comunque hanno un’alta capacità professionale. Di tutte le segnalazioni ricevute dall’NCIS nel 1997 – oltre 14.000 – solo il 2 per cento sono state fatte da questo tipo di professionisti. Vi è anche una tendenza all’allontanamento dalle banche e dalle società edilizie per ricercare invece i mercati dei titoli, delle operazioni a premio, dei future e i mercati assicurativi.
        I criminali che si trovano nel Regno Unito tendono sempre più ad inviare i proventi del crimine all’estero a causa di leggi sempre più stringenti poste in atto a livello nazionale; quindi, tendono a ricercare i cosiddetti paradisi fiscali ed utilizzano sistemi bancari informali per evitare di essere scoperti.
        Il narcotraffico rimane la maggiore componente del riciclaggio nel Regno Unito, ma le quote che derivano dal contrabbando, dal furto e dai crimini finanziari sono aumentate; questo è ciò che risulta anche dai territori d’Oltremare.
        La riluttanza di alcuni paesi a mettere in pratica legislazioni antiriciclaggio continua a renderli particolarmente attraenti ed interessanti per i criminali. Lo sviluppo dei sistemi di pagamento elettronico con le cosiddette "carte intelligenti" – bancomat, servizi bancari in linea eccetera – crea il rischio di far nascere livelli ancor più elevati di anonimato. I sistemi bancomat e i sistemi bancari in linea possono potenzialmente permettere ai criminali di operare su conti a distanza protetti dall’anonimato. L’inesperienza tra le agenzie che si occupano della repressione del crimine ed una legislazione che non prevede ancora questo tipo di commercio elettronico possono far crescere l’impatto di questa minaccia nel breve e medio termine.
        Per quel che riguarda le frodi sulle accise, va detto che esse sono aumentate drasticamente dall’entrata a regime del mercato unico nel 1993; è quanto risulta ai nostri servizi doganali. Le truffe sulle accise avvengono su larga scala e sono molto redditizie. Non è difficile intravedere attività criminali interconnesse con organizzazioni, i meccanismi e il finanziamento di operazioni fraudolente. Tutto ciò vale in particolare per attività di contrabbando su larga scala.
        Vi sono tre aree se si interconnettono: il contrabbando transfrontaliero, le frodi per distrazione e il contrabbando commerciale.
        Per quanto riguarda il contrabbando transfrontaliero, esso concerne un’attività per cui un bene viene acquistato per proprio consumo senza pagare la relativa accisa, e quando esso viene rivenduto vi è un altissimo profitto. I criminali più astuti sono addirittura riusciti a prendere il controllo di grandi gruppi di contrabbandieri. La possibilità di avere profitti veloci, oltre ad una crescita della domanda e del consumo, e le pene relativamente esigue hanno consentito il prosperare di questo tipo di criminalità. Molti gruppi criminali dediti a tale attività hanno la loro base regionale e vi sono violenti incidenti e lotte tra bande.
        Per quanto concerne la cosiddetta frode per distrazione, essa consiste nella fornitura illecita di beni commerciali sottoposti ad accisa sul mercato senza pagamento di quest’ultima. I profitti sono immensi e tale attività richiede ingenti capitali, organizzazione e conoscenza tecnica: non si tratta di un tipo di reato opportunistico. Sappiamo che vi sono organizzazioni criminali internazionali che si sono collegate con gruppi britannici e altri gruppi europei.
        Poi vi è poi il contrabbando commerciale; si tratta del semplice contrabbando di quantità commerciali, soprattutto di alcolici e di sigarette, mascherate da altri beni. Si tratta di una frode per l’Europa che richiede una grande quantità di capitali.
        Abbiamo notato che, anche se vi sono delle somiglianze, i criminali dediti al contrabbando transfrontaliero e i contrabbandieri tradizionali tendono a non mescolare le proprie attività anche se non vi sono grandi conflitti tra di loro. Diciamo che l’evasione fiscale delle imposte raggiunge un miliardo di sterline.
        Il successo del sistema britannico di segnalazioni verificatosi negli ultimi anni ha creato un ambiente finanziario in cui i proventi del crimine erano a rischio di segnalazione all’ECU (Economic Crime Unit) e quindi di sottoposizione ad indagini. L’ECU ha osservato i cambiamenti negli schemi operativi dei criminali e dei gruppi criminali nel tentativo di ridurre il rischio di essere scoperti. Tali schemi comprendono diverse tecniche, come l’uso sempre maggiore di servizi finanziari non regolamentati per un cambio valutario o trasferimenti a distanza o cessione a terzi incensurati per evitare la confisca dei beni. Inoltre, si tende ad un sempre maggiore uso di intermediari, come avvocati, contabili eccetera, per il movimento fisico della valuta al di fuori del Regno Unito, in direzione di quei paesi dove le leggi sono meno stringenti.
        Io ritengo che le forze di repressione del crimine non debbano mai avere cedimenti per riuscire a tenere il passo con le attività criminali. Ogni anno l’ECU analizza le segnalazioni che provengono da ogni possibile settore finanziario per vedere se vi sono dei notevoli cambiamenti nel comportamento relativo alle segnalazioni stesse; una riduzione del volume di queste ultime può indicare o un cambiamento nelle attività criminali o una diminuzione nella consapevolezza o nella formazione del personale in prima linea, oppure un miglior livello di comunicazione tra le forze di polizia e le istituzioni finanziarie.
        Nel 1997 abbiamo notato che il numero di segnalazioni ha raggiunto le 14.148 e alcune di queste, dal 20 al 25 per cento, hanno avuto una grande importanza dal punto di vista dell’intelligence. Infatti, le segnalazioni di operazioni sospette sono una fonte preziosa di intelligence per l’NCIS nella lotta contro le gravi attività criminali a livello regionale, nazionale ed internazionale.
        Le segnalazioni, inoltre, permettono di dare un contributo nella prevenzione, individuazione e cattura dei criminali e nel sequestro dei beni. Il contributo in termini di intelligence non va sottovalutato e il potenziale sfruttamento di queste informazioni va riconosciuto ed incoraggiato, allocando le necessarie risorse sia per il FIU (Unità di intelligence in materia finanziaria) che per le unità investigative. (Applausi).

        PRESIDENTE. Do ora immediatamente la parola al presidente della Camera dei deputati, onorevole Luciano Violante, per un breve saluto anche perché sappiamo che deve andare subito via.

        VIOLANTE Luciano, presidente della Camera dei deputati. Sono davvero grato al presidente Ottaviano Del Turco e alla Regione Siciliana per questo Convegno che segna una svolta significativa sulle questioni in esame. Credo sia la prima volta che viene posta in essere un’iniziativa di questo tipo, integrando esperienze internazionali e nazionali; si tratta di un modo per iniziare a far circolare informazioni e conoscenze, per poi metterle in sinergia.

        La scoperta della frontiera finanziaria nella lotta alla criminalità organizzata non è recente, ma negli ultimi tempi si stanno intensificando le azioni dirette a far emergere questo problema con una sua autonomia per tre ragioni principali.
        La prima è che ormai generale la consapevolezza che il denaro sporco intacca il mercato legale e crea pericolose alterazioni della concorrenza; quando un imprenditore entra nel mercato con denaro sporco le regole della concorrenza sono profondamente alterate.
        La seconda ragione è che questa grande quantità di denaro (il Fondo monetario internazionale ha calcolato nel 2 per cento del prodotto mondiale lordo le entrate del grande crimine organizzato) conferisce alla mafia e alle altre organizzazioni criminali un potere aggiuntivo oltre a quello dell’intimidazione e della violenza, cioè il potere corruttivo. La capacità di corrompere costituisce oggi uno dei rischi maggiori che hanno i meccanismi legali nei confronti di questo tipo di fenomeni.
        La terza ragione e che il denaro "nero" è uno dei fattori di globalizzazione della criminalità organizzata, perché il denaro si sposta, si modificano e si integrano le relazioni internazionali, si creano qua e là aree di tutela di questo tipo di denaro, per cui quello della circolazione del denaro sporco è un meccanismo che favorisce la sinergia tra diversi gruppi criminali e quindi la tendenza alla globalizzazione della grande criminalità.
        Un recente rapporto redatto da uno specialista – credo proprio della Guardia di finanza – in questa materia segnalava che sulla base di conti fatti da autorità italiane e statunitensi occorrono 20 minuti per spostare denaro per via telematica da un posto all’altro del mondo. In un giorno si possono quindi realizzare 72 spostamenti, mentre occorrono circa 6 o 7 mesi per individuare le tracce di uno solo di questi spostamenti. In questo differenziale di velocità risiede sostanzialmente il nostro problema.
        Possiamo dire che, mentre il riciclaggio è un fenomeno globale, la risposta è ancora un fenomeno nazionale. Il nostro sforzo è colmare l’enorme divario che c’è fra fenomeno globale e fenomeno nazionale e un’iniziativa come questa, tutto ciò che importa collegamento, network, rete, aiuta a colmare questo divario e va perciò fortemente sostenuto.
        Quali sono le frontiere sulle quali, a mio avviso, anche sulla base delle cose qui autorevolmente dette nel pomeriggio, occorre investire molto? Le cito non in ordine di priorità. La prima frontiera è quella della corruzione. È uno dei grandi problemi delle democrazie oggi. Le grandi democrazie naturalmente devono lasciar prosperare il mercato e la circolazione del denaro, devono garantire, come è giusto, tutto ciò che va garantito e le frontiere istituzionali sono tutte ancor più esposte alla corruzione di quanto non lo fossero ieri. Non si può combattere la corruzione soltanto con mezzi repressivi, va combattuta anche con mezzi preventivi; e alcuni paesi hanno fatto dei passi avanti in questa direzione. La Camera dei deputati ha approvato tre progetti di legge in questa materia, che ora sono all’esame del Senato. Se saranno approvati, quando il Senato avrà compiuto le sue valutazioni, credo che potremo avere un insieme di norme che aiuteranno notevolmente la prevenzione della corruzione. Quindi il primo fattore è la lotta contro la corruzione.
        Secondo fattore: far scattare un meccanismo di convenienza della lotta al riciclaggio. Non possiamo ignorare che in molti paesi la lotta al riciclaggio è vista come un rischio per attività commerciali, finanziarie ed economiche, nel senso che molti soggetti presenti sul mercato in forma legale ritengono che uno sviluppo eccessivo, diciamo così, delle strategie di attacco sul versante del riciclaggio possa portare turbamento nell’ambito degli affari legali. Questo è un problema molto delicato perché qualche volta, se non si ha la necessaria competenza per intervenire sui processi finanziari ed economici, si rischia di fare come gli elefanti in cristalleria, quindi di produrre più danni che vantaggi. Il problema, quindi, è quello di avere una competenza tecnica talmente elevata da consentire di distinguere cose che all’apparenza sono difficilmente distinguibili, pur se in sostanza sono profondamente diverse. Occorre far capire che una lotta di questo genere è una lotta conveniente, perché tutela il mercato legale, tutela gli imprenditori legali, tutela l’economia legale; è una campagna che ancora non è stata fatta fino in fondo e ritengo che iniziative quali l’odierno Convegno aiutino a sviluppare questa cultura della difesa del mercato e delle attività legali prima ancora che l’attacco all’illegalità.
        Un ulteriore aspetto della convenienza riguarda un elemento nel quale, per quello che io so, l’Italia ha il primato, cioè l’utilizzazione sociale dei beni confiscati. Una legge varata nel 1996 dal Parlamento italiano consente l’utilizzazione sociale dei beni confiscati alla mafia; cioè la villa del mafioso diventa una scuola, una biblioteca, un luogo dove i ragazzi vanno a giocare, una casa per anziani, il giardino del mafioso diventa un parco. Questi sono fatti che si verificano qui a Palermo, a Corleone e altrove; nel Nord ci sono molti beni confiscati alla mafia che sono diventati beni socialmente utilizzati. Non cito i dati, perché perderei troppo tempo, ma si tratta di circa 70 beni per un valore di 70 miliardi che sono stati restituiti alla collettività in questo modo. Non è molto, dal punto di vista degli affari complessivi, ma certamente per quelle collettività – non dimentichiamo – è un segno importante. Perché il fatto che laddove entrava Riina entrino i ragazzi per andare a scuola, io credo che sia un simbolo importante di un passo avanti fatto dallo Stato nella lotta contro la mafia.
        Il terzo profilo è quello della cooperazione internazionale; qui è stato detto tutto. Francamente aggiungerei soltanto parole ai concetti che sono già stati espressi; condivido totalmente tutto quanto si è detto in questa sede sulla cooperazione internazionale. Aggiungo soltanto un punto: la questione di uno spazio giudiziario antimafia, che è un elemento assolutamente essenziale. Spazio giudiziario che non può essere basato soltanto sulla cooperazione; deve essere basato o su una circostanza aggravante dei reati comuni, o su un’ipotesi di reato, tipo associazione per delinquere, che entri nel maggior numero possibile di ordinamenti, in modo da consentire che in relazione a quel tipo di reato, o a quel reato aggravato dalla circostanza di essere stato commesso allo scopo di agevolare un’associazione criminale, scattino forme di cooperazione particolare tra autorità giudiziarie, naturalmente con la possibilità di utilizzare anche come elemento di prova ciò che è raccolto all’estero, ovviamente garantendo il contraddittorio, i diritti della difesa eccetera. È un problema molto delicato, ma stiamo attenti, se continuiamo a rispondere in modo disorganizzato ad una criminalità che è organizzata, rischiamo di concedere punti di vantaggio a questa criminalità.
        L’ultimo aspetto è quello del coordinamento interno nella lotta contro la mafia; se ne parla molto. Stiamo attenti a non fare della lotta al riciclaggio l’impegno di un’aristocrazia investigativa, cioè l’impegno di una fascia alta di autorità giudiziarie e di polizia che però non guarda a ciò che c’è alla base. Dico questo per due motivi. Innanzi tutto perché c’è uno stretto nesso – stiamo attenti – tra le tre frontiere della criminalità organizzata: la frontiera tradizionalmente criminale, quella dell’omicidio, dell’estorsione, dell’usura e così via; la frontiera che chiamerei pubblica (politica, affari, pubblica amministrazione, appalti eccetera); e la terza frontiera che è quella finanziaria. Non perdiamo di vista lo stretto intreccio che c’è tra questi tre aspetti; un’azione soltanto sul riciclaggio che non sia strettamente connessa a tutte le altre rischia di farci perdere di vista una serie di fattori importanti, e soprattutto non ci fa risalire all’organizzazione criminale di base. Dico questo perché è mia impressione che una quota di ricchezze la mafia la investe pur sempre sul territorio operativo perché non può trascurare la necessità di apparire potente economicamente.
        Non è che voglio nazionalizzare l’indagine antimafia, ma vorrei che fosse chiaro questo doppio livello: accanto al livello internazionale della cooperazione c’è un livello che riguarda la presenza sul territorio, perché su quel territorio la capacità di spesa è un elemento di forza, di intimidazione, di dignità criminale. In tal senso, quanto emerso in questo Convegno aiuta proprio ad integrare la lotta sulle tre frontiere che ho prima indicato e che sono l’una connessa all’altra. Evitare un’aristocrazia investigativa significa cercare di far crescere le competenze tecniche per svolgere anche questo tipo di attività ed io sono particolarmente d’accordo con le cose che diceva l’onorevole Carrara, cioè la necessità di redigere un testo unico delle misure di prevenzione. Ricordo che il Governo Ciampi ne fece uno in termini tecnici, una raccolta razionale dei testi di legge; poi la cosa non ebbe veste formale. Credo che successivamente altri tentativi furono fatti anche dal Governo Berlusconi e da altri Governi successivi, ma ora, anche avvalendosi di alcune deleghe contenute nella cosiddetta "legge Bassanini", credo che sarebbe particolarmente utile stare su questo terreno, perché esso offrirebbe un grosso strumento di razionalizzazione normativa.
        Infine ci sono due aree – vi faceva cenno il presidente Prodi – a ridosso dell’Italia, o a ridosso dell’Europa occidentale, che sono di particolare interesse. Mi riferisco al Centro Europa ed al Mediterraneo, aree di grande potenzialità per il domani, ma aree che per la loro collocazione geo-economico-politica sono attraversate fortemente dai fenomeni che qui oggi studiamo. Quindi una particolare attenzione a sviluppare relazioni democratiche, relazioni politiche, relazioni economiche con queste aree è fondamentale per poter frenare meglio questi processi. Nel senso che non consideriamo queste aree soltanto come aree di rischio e di pericolo; sono aree di democrazia fragile, o di non democrazia per alcuni aspetti, ma nei confronti delle quali vanno fortemente incentivati tutti i tipi di rapporti. Se si instaura un sistema di comunicazione economica, democratica, sociale, con queste aree, tutto il resto delle collaborazioni sarà molto più facile. Credo, tra l’altro, visto che siamo nella più importante regione del Mezzogiorno italiano, che anche le questioni, che qui non affronto, dello sviluppo e del futuro del Mezzogiorno siano strettamente legate alla nostra capacità di valorizzare l’area nella quale si trova il Mezzogiorno. Uno degli errori più gravi che si possono commettere è che l’unico mercato dei prodotti siciliani sia la Germania, quando c’è la Tunisia o il Marocco a un’ora di distanza. Ciò non è indifferente rispetto ai contenuti del Convegno, perché uno sviluppo ricco con una cultura nuova, non unidirezionale, del Mezzogiorno del nostro paese sarebbe un aiuto importante anche nella lotta contro la mafia. (Applausi)

        PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Violante, del cui contributo veramente non ci potevamo privare; credo che abbia arricchito il bagaglio che oggi abbiamo accumulato con la serie di interventi tenuti nell’ambito di questo Convegno.

        Ritornando sulla linea delle agenzie di riciclaggio, do ora la parola al dottor Renato Righetti, capo del Servizio antiriciclaggio dell’Ufficio italiano dei cambi, il quale svolgerà un intervento su: "Funzioni ed attività dell’Ufficio italiano dei cambi nel contrasto finanziario al riciclaggio".

        RIGHETTI Renato, capo del Servizio antiriciclaggio dell’Ufficio italiano dei cambi. Signor Presidente, vorrei fare alcune considerazioni e fornire alcuni dati, ancora non diffusi, relativi alle operazioni "sospette" segnalate dal sistema degli intermediari.

        Le segnalazioni pervenute alla data del 22 giugno 1998 sono state 2.753, comprese quelle relative al fenomeno Unigold, di cui si è già parlato.
        Di queste, 1.523 sono state già inviate alla DIA e al Nucleo speciale di polizia valutaria, mentre le altre sono attualmente in fase di lavorazione presso gli analisti del Servizio antiriclaggio. Questo trend porterebbe ad un numero di operazioni di circa 3.500 all’anno, consuntivo che potrebbe anche risultare soddisfacente.
        Quello che non soddisfa è che solo 7 SIM hanno segnalato casi di sospetto riciclaggio negli 11 mesi considerati, a fronte di 251 banche, che peraltro rappresentano solo il 20 per cento del sistema.
        Anche le società finanziarie hanno effettuato pochissime segnalazioni. Dunque molto resta da fare nel settore delle segnalazioni di operazioni sospette. Al riguardo, infatti, mi dichiaro pessimista sull’esito di questa battaglia; alcune indicazioni lasciano presumere che la potremmo anche perdere.
        E questo non perché manchino le capacità e la volontà di contrastare il fenomeno, ma perché abbiamo di fronte nemici agguerriti, che hanno impegnato seriamente per decenni magistrati e investigatori sul piano militare ma che ad oggi non vedono ancora scalfito il proprio potere finanziario, che è l’aspetto in definitiva più importante.
        Del resto, da alcune province non sono pervenute segnalazioni: Agrigento, Isernia, Campobasso, Vibo Valentia, Crotone, Chieti, Rovigo, Belluno, Verbania, Aosta e Sondrio.
        Dalla Calabria ne sono pervenute 8 in 11 mesi, 9 dalla Basilicata, 193 dalla Campania e 94 dalla Sicilia.
        I motivi di "sospetto" che ricorrono più frequentemente nelle segnalazioni sono: l’inadeguatezza del profilo economico del soggetto rispetto all’entità dell’operazione; l’assenza apparente, nell’operazione, di giustificazioni di carattere economico; l’utilizzo del contante spesso legato a presunte evasioni fiscali o a reati societari.
        Questo dato induce ad una riflessione sull’utilità, ai fini del contrasto al riciclaggio, dell’estensione del reato presupposto a tutti i delitti non colposi.
        Nessuno può mettere in discussione che l’evasione fiscale rappresenti un fenomeno contro cui occorre lottare con molta determinazione; probabilmente però con armi diverse da quelle necessarie per contrastare il riciclaggio collegato alla criminalità organizzata che è quello effettivamente in grado di stravolgere gli equilibri del mercato ed alterare i principi stessi della concorrenza.
        Per il riciclatore, il sistema finanziario assume connotati di neutralità; ciò che interessa non è il profitto ma la possibilità di riuscire ad inserire, in maniera apparentemente lecita, i proventi del crimine nel sistema finanziario.
        Il riciclaggio è stato sino ad oggi sempre considerato prioritariamente come delitto, piuttosto che come fenomeno finanziario. Sotto tale punto di vista, il riciclaggio è stato preso in considerazione esclusivamente dal lato dell’offerta di denaro sporco, dal lato cioè di chi ha necessità di immettere nel circuito pulito i proventi del crimine. Nasce spontaneo un interrogativo: è possibile che una massa di migliaia di miliardi a basso costo – perché il riciclatore mira alla ripulitura, non tanto al profitto – possa non far gola a chi va alla ricerca di capitali a buon mercato per finanziare i propri investimenti a tassi di favore o a chi ha bisogno di contante in nero, per sue finalità? In altri termini, ritengo sia il tempo di pensare, oltre che all’offerta di denaro sporco che fanno i riciclatori, anche alla domanda che ne fanno altri settori.

        PRESIDENTE. Dottor Righetti, recupero soltanto una parte del suo pessimismo. Convengo che si tratta di una lotta titanica, però mi pare che molto si sia fatto negli ultimi tempi. Prima si guardava all’Italia nel panorama europeo come un paese che legiferava soltanto nell’emergenza – questo in parte è vero – e si pensava che la legislazione in materia di misure di prevenzione fosse ai limiti della costituzionalità. Oggi, dopo la Convenzione di Strasburgo, non solo la Francia ma tutta l’Europa si è orientata sulla praticabilità di procedimenti ablativi indipendentemente dall’incolpazione e quindi per la possibilità di poter aggredire tutte le forme di redditualità di tipo illecito. C’è la vexata quaestio dell’assoggettabilità o meno a tassazione dei redditi di natura illecita, ma io dico che per definizione tutti i proventi della mafia sono redditi di natura illecita.

        Resta ora l’ultimo intervento, previsto nel programma odierno, dell’onorevole Pietro Folena, componente della Commissione antimafia.

        FOLENA Pietro, deputato, componente della Commissione antimafia. In questo importante seminario, in cui alcuni operatori molto qualificati della magistratura, delle forze di polizia, del mondo economico e bancario hanno insegnato molto a noi operatori della politica parlamentare sarebbe davvero del tutto improprio portare anche l’eco più lontana delle polemiche politiche, spesso di basso livello, di questi giorni e di queste ore. Alla fine della prima giornata le considerazioni di base sono due.

        In primo luogo, è giunto il momento di una strategia di attacco economico alla mafia e alla criminalità organizzata, non solo con singoli provvedimenti oppure con deleghe a singoli corpi o settori delle istituzioni ma con una strategia che, in quanto tale, finora è mancata nel nostro paese. L’Italia degli anni passati è diventata un paese di avanguardia nel mondo per la strategia di attacco militare al sistema di relazioni della criminalità organizzata, avanguardia che fa sì che oggi siamo un esempio positivo per molte altre nazioni. Ma siamo anche consapevoli che senza una strategia di carattere economico, senza un’antimafia dell’economia, anche i successi militari non saranno sufficienti.
        La seconda considerazione è che i processi di globalizzazione e di finanziarizzazione dell’economia, dei mercati e della comunicazione hanno nell’ultimo decennio fortemente accelerato, anche in considerazione della caduta del muro di Berlino, i processi di globalizzazione e di finanziarizzazione della criminalità organizzata. Il procuratore Vigna parlava di 1.000 miliardi di dollari di PIL a livello mondiale della criminalità e le risposte nazionali – su questo insisteva il presidente Violante, con parole molto condivisibili – sono necessarie ma da sole insufficienti e fragili.
        Il concetto di fondo sta quindi in un’idea di "trasparenza globale", cioè di un insieme di fattori che determinino sul piano internazionale nuove possibilità di controllo e di governo internazionale dei processi economici. Qui c’è anche un punto culturale di analisi che vorrei sottoporvi e che, a mio avviso, è molto significativo, del tutto al di là delle divisioni politiche tra sinistra e destra nel nostro paese; un punto su cui nel passato il presidente Violante si è più volte soffermato. Mi riferisco al rapporto tra liberismo, spesso ultraliberismo e deregulation spinta fino agli estremi, fino a nuove forme, non dico di semplificazione istituzionale, pur necessaria, ma di antistatalismo – politiche ed ideologie che hanno fortemente segnato in modo dominante l’ultimo periodo storico – e valori indefettibili, anche nella nostra Costituzione, come la proprietà privata, il diritto di impresa, la concorrenza.
        Ebbene, io credo che tali valori, anche costituzionali, in una globalizzazione opaca e appunto non trasparente di questa fase delle relazioni internazionali rischino anch’essi, insieme a quelli del diritto al lavoro e alla salute, della solidarietà, dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, di essere messi in discussione dal carattere naturalmente e intrinsecamente monopolistico, onnipotente, totalitario, corrosivo e corruttivo della criminalità e soprattutto della criminalità economica.
        La libertà di mercato ha bisogno di regole – forse dovremmo dirlo con un po’ più forza – in nome dei principi liberali. Del resto, gli amici americani – e non solo, anche di altri paesi – ce lo hanno concretamente dimostrato: occorrono poche semplici regole, non farraginose e contraddittorie come le nostre, ma rispettate e condivise. Oggi il problema delle regole, di una nuova nozione di legalità, se così posso dire, si pone in termini assolutamente inediti sul piano internazionale. L’esperienza del GAFI (che qui è stata giustamente citata e sottolineata), le recenti iniziative delle Nazioni Unite (l’onorevole Carrara parlava della Convenzione su cui si sta lavorando a Vienna e non si può non ricordare la sessione speciale dell’ONU sulla lotta alla droga da poco tenutasi a New York), l’attenzione nei vertici del G8 a questi temi (ne parlava il presidente Prodi), la faticosa discussione sul terzo pilastro dell’Unione europea (dopo il Trattato di Amsterdam che prevede un’ipotesi di comunitarizzazione delle politiche di sicurezza nel prossimo quinquennio), fino al sistema delle convenzioni internazionali e dei trattati bilaterali, tutto questo insieme rappresenta l’avvio e solo l’avvio di un non breve processo storico di regolazione internazionale.
        Si può affermare, come suggerisce il generale Mosca Moschini, che la minaccia internazionale oggi è prima di tutto quella che viene da tali forme di criminalità economica, che spesso si connettono anche ad eventi bellici e a minacce militari di tipo più tradizionale, in modo particolarmente forte in quelle aree – penso alla Russia e ad alcuni paesi dell’Est – che sono faticosamente impegnate in una transizione democratica e che in questi anni sono diventate i principali paradisi fiscali del riciclaggio internazionale.
        Muovendo da queste considerazioni si impone anche in Italia una svolta da parte del Governo e delle amministrazioni pubbliche, del Parlamento, della maggioranza e dell’opposizione, delle istituzioni, per dare forza ad una strategia antimafia sul piano economico. Le piste di lavoro che si possono suggerire e su cui io farei una riflessione mi sembrano di conseguenza due.
        La prima è quella di un forte sviluppo della collaborazione internazionale nella lotta al riciclaggio. Per realizzare l’obiettivo della comunitarizzazione delle politiche del terzo pilastro dell’Unione europea, occorre una ferma volontà politica, altrimenti non vi riusciremo in cinque anni.
        Gli Accordi di Schengen, con la fine delle frontiere, e la creazione della moneta unica e la successiva istituzione della Banca centrale europea, rappresentano un’opportunità straordinaria. Dobbiamo vederne i rischi – di questo si discuterà molto nel workshop di domani mattina –: ad esempio che, nella disarmonia attuale dei sistemi fiscali e dei sistemi di giustizia all’interno dell’Unione europea, alla libera circolazione delle merci e delle persone non si accompagni la libera circolazione del diritto, dei magistrati – come sottolineava la dottoressa Carla Del Ponte –, della polizia: questo è un problema.
        Dobbiamo però anche cogliere le opportunità di darci nuovi strumenti a livello europeo – insisto su questo punto –, semplici e comuni, di trasparenza e di controllo. Mi riferisco anche al sistema fiscale, perché la prospettiva di un’armonizzazione dei sistemi fiscali a livello europeo, la progressiva unificazione dei regimi scioglierà la commistione tra la circolazione di ricchezze sottratte al fisco e quella di ricchezze proventi di attività criminose, imponendo in qualche modo un fattore più forte di cooperazione internazionale. La Banca centrale europea, in particolare, imporrà a cascata un sistema di controlli e di armonizzazione dei sistemi bancari e dei mercati finanziari.
        Considero quindi molto importante l’idea – richiamata poco fa dal presidente Violante – di una collaborazione organica fra magistratura e forze di polizia anzitutto all’interno dell’Unione europea, dell’armonizzazione di uno spazio giuridico antimafia europeo, fino all’ipotesi, suggerita da qualcuno nei termini di provocazione culturale qualche mese fa, di lavorare anche per una Procura europea antimafia.
        In particolare credo che vadano definiti con molta forza – è questo un impegno cui dovremo chiamare il Governo – fra i tanti accordi tra Unione europea ed altri paesi, quelli per l’accelerazione delle rogatorie e per tutte le forme di collaborazione in questi campi. E il problema va posto in particolare rispetto alla transizione democratica dei paesi dell’Est.
        Il Governo dovrebbe stabilire forme di sanzioni – di cui hanno parlato sia il procuratore nazionale Vigna che il procuratore Caselli nei loro interventi odierni –, magari anche parziali e progressive, nei confronti dei paradisi fiscali, volte ad affermare uno scambio democratico, sanzioni qualora non vi siano forme di trasparenza, di informazione e connessione a livello internazionale.
        La seconda pista di lavoro, che riguarda più il nostro impegno italiano, soprattutto del Parlamento, è quella di varare un testo unico delle norme antimafia ed antiriciclaggio intese in senso complessivo. Si tratta di uscire dalla cultura dell’emergenza, realizzando quella "straordinaria ordinarietà" di cui abbiamo parlato in passato; occorre in particolare concentrare il lavoro – accanto alla razionalizzazione delle norme penali, processual-penalistiche e relative all’ordinamento penitenziario in materia di lotta alla mafia – soprattutto sull’aspetto dell’attacco ai capitali illeciti e della loro restituzione alla società per il lavoro e la coesione sociale.
        La legge sulla confisca dei beni, con i suoi primi risultati, la legge sull’usura, la legge sul racket, le norme che ci siamo dati in questi anni sul riciclaggio vanno tutte ricondotte ad una visione d’insieme che porti fin dai primi momenti delle indagini a stabilire, ad esempio per quanto riguarda i collaboratori di giustizia, l’obbligo anche alla collaborazione in materia economica.
        Il testo unico, quindi, su cui credo che il Ministro domani annuncerà un impegno – almeno così ci ha detto – può presentare novità rilevanti anche sul piano del metodo. Negli anni passati abbiamo agito in Parlamento in modo abbastanza improvvisato. Nel nostro ordinamento penale e processuale sono state inserite spesso delle norme trascurando il progetto, il profilo complessivo, l’aspetto della verifica dell’adeguatezza e della effettività delle leggi e delle conseguenti norme regolamentari, come anche la valutazione dei risultati concreti, dei costi sostenuti e del grado di professionalità delle risorse impegnate. Ritengo che, dal punto di vista della qualità legislativa, sia giunto il momento di chiudere quella pagina e di puntare a norme chiare, semplici, efficaci, organiche, nella prospettiva di un diritto penale non ipertrofico e in generale di un sistema amministrativo orientato a conseguire degli obiettivi. Per questo credo che sia giunto il momento di avviare un monitoraggio serio e continuo dei risultati raggiunti e dei gradi di efficienza degli apparati preposti all’applicazione delle leggi.
        Abbiamo conseguito – è stato detto – dei risultati importanti: il rapporto del GAFI di quest’anno è estremamente significativo per quanto riguarda l’Italia. Tuttavia, quel rapporto ci invita a definire una questione: quella della responsabilità della persona giuridica, per aprire in modo più coraggioso la questione del diritto penale dell’economia. Sono stati conseguiti risultati importanti anche per quel che riguarda il Gruppo di contatto sull’attuazione della direttiva comunitaria antiriciclaggio. E proprio per quanto concerne il reato di riciclaggio, vorrei proporre solo una rapidissima riflessione assolutamente non conclusiva. Il reato di riciclaggio – come tutti sappiamo – è previsto con due distinte fattispecie, la cui concreta configurabilità è resa difficoltosa dal dogma della non punibilità del post factum, che è residuo della loro derivazione originaria dal delitto di ricettazione.
        Credo che sarebbe necessario affrontare culturalmente il tema di un possibile collocamento sistematico di questa figura delittuosa, riconducendola nell’ambito di un concetto – sappiamo di sollevare dei dubbi – di ordine pubblico economico, inteso come sintesi di trasparenza, libertà di impresa e legittimità dei modi di acquisto delle proprietà. Questa non è solo una questione teorica complessa, ma produce anche importanti conseguenze pratiche, rendendo, ad esempio, punibili per riciclaggio anche gli autori di delitti produttivi di proventi illeciti.
        Pur riconoscendo che il nostro sistema prevede già norme particolari che lo pongono all’avanguardia in questo campo – e oggi se n’è parlato ampiamente – non può essere sottaciuto come la questione fondamentale del nuovo testo delle misure antimafia dovrà essere, prima di tutto, quella di un nuovo testo unico delle misure di prevenzione e di norme tese ad assicurare una compiuta disciplina del procedimento di applicazione della particolare ipotesi di confisca ex articolo 12-sexies della legge n. 356 del 1992. Ma l’insieme di questi esempi dimostra, senza dubbio, la necessità di rielaborare organicamente tutta la disciplina antiriciclaggio in testi chiari, assicurando il più adeguato coordinamento con il sistema della misure di prevenzione reale.
        Tutto questo però non basta, in quanto la particolarità di questa materia impone anche uno sforzo aggiuntivo per conoscere i risultati applicativi delle norme vigenti. Ne conseguono sia la necessità di una elaborazione statistica continua, senza veli, essenziale per un orientamento del legislatore e per la comprensione della realtà, sia il bisogno di attribuire grande importanza al tema – di cui hanno parlato il generale Mosca Moschini, il generale Alfiero e altri – della professionalità degli operatori. Le più recenti valutazione degli esperti del GAFI – come ho già detto – hanno sottolineato i nostri passi in avanti. Questo incoraggiamento da parte del GAFI ci deve spingere a definire ulteriormente un organico progetto di formazione di adeguate professionalità, con un nuovo ruolo attivo dell’Ufficio italiano dei cambi, inteso sempre più come un network da cui attingere esperienze e modelli operativi, rafforzando e potenziando i poteri effettivi della Consob, riflettendo anche su altre forme di garanzia della legalità nel mercato, per esempio interrogandoci se l’Autorità garante della concorrenza e del mercato non possa svolgere una certa funzione in questo campo, fino alla questione dell’indispensabile opera di completamento della modernizzazione e della trasparenza del sistema bancario, e soprattutto del sistema finanziario.
        In altri settori è assolutamente indifferibile una più puntuale applicazione di leggi già esistenti: non c’è bisogno di varare nuove leggi in certi settori. Come ha detto l’onorevole Mantovano oggi in una trasmissione radiofonica – ed io sono d’accordo con lui – è indispensabile che si realizzi la normativa in tema di trasparenza di assetti societari e proprietari, la cosiddetta "legge Mancino", tuttora priva di un’adeguata disciplina di attuazione.
        La stessa preoccupazione voglio esprimerla – anche perché domani saranno presenti i rappresentanti del Governo, che dovranno fornire delle risposte – circa l’entrata in vigore dell’archivio unico dei conti e dei depositi, questione essenziale. Dobbiamo porci il problema del più rigoroso rispetto della privacy e della tutela dei cittadini, garantiti da norme chiare e rigide, ma dobbiamo andare con decisione in questa direzione, perché essa è in qualche modo propedeutica per il miglioramento dei tempi e dei metodi del contrasto all’accumulazione di ricchezza di origine malavitosa.
        Questo sforzo di razionalizzazione e di efficienza impone un miglior coordinamento di tutte le politiche del settore e un continuo aggiornamento in questo campo. Credo che anche sul terreno del coordinamento dobbiamo adoperarci per incentivare il lavoro positivo svolto in questi anni, per ispirare cioè interventi nell’ambito dell’organizzazione delle forze dell’ordine, come già fatto in questi mesi fra Guardia di finanza e DIA, tenendo conto anche dei progressi compiuti in molti settori. Penso, ad esempio, alla positiva esperienza della Direzione antidroga in questo campo e anche alla necessità – sottolineata dal generale Mosca Moschini – di attivazione, e direi anche di riforma dei Servizi di informazione e sicurezza, in collegamento con i Servizi di altri Stati, nel quadro della ricerca di informazioni, in questo grande campo della sicurezza rispetto alla criminalità economica.
        Come si vede, quindi, in queste mie riflessioni ho voluto riportare la complessità dell’intervento e la pluralità dei Dicasteri e delle autorità interessati all’applicazione della legge; ciò rende necessaria – ma non ho una soluzione operativa da indicare – l’individuazione di effettivi sistemi di coordinamento complessivo nel campo delle politiche antiriciclaggio e più in generale una sensibilità complessiva del Governo nella definizione di una strategia e di tutti i moduli organizzatori necessari.
        Sebbene interessata da pericoli non tenui derivanti dall’esistenza di grandi patrimoni nelle mani del crimine organizzato, l’Italia sa di avere risorse umane e materiali anche nelle università, quindi risorse giovanili, nel mondo bancario ed economico, necessarie a mobilitare l’efficace contrasto a questo forme di criminalità. Questo progetto unificante, se saremo capaci nelle prossime settimane e nei prossimi mesi di elaborarlo, a mio modo di vedere attende la Commissione antimafia e il Parlamento, i quali – ne sono assolutamente convinto, ed è questa l’unica nota politica – non si sottrarranno al necessario impegno per garantire la massima attenzione ad iniziative legislative rivolte a conseguire obiettivi di questa portata e di questo rilievo.
        Solo così si potrà dire che non si torna al pendolarismo nella lotta alla mafia e che la tensione comune non solo non scema, ma è talmente forte da spingere oggi le forze politiche, il Parlamento e il Governo, pur nella diversità di opinioni, ad assumere un progetto attivo e forte in questo campo per una politica che non sia solo difensiva. (Applausi).

        PRESIDENTE. Ringrazio l’onorevole Folena; con il suo intervento si concludono i lavori di questa giornata.

        Gli interventi che abbiamo ascoltato non si sono limitati ad un’analisi del fenomeno, ma ci sono stati anche spunti propositivi, ritengo, di pregio. Credo che rispetto alla prima fase in cui si muovevano solo le forze dell’ordine qualcosa stia cambiando; la presenza di molti parlamentari e soprattutto il fatto che la Commissione antimafia abbia, unitamente alla Guardia di finanza, organizzato questo convegno, testimoniano l’interesse della politica non soltanto al tema del narcotraffico, ma soprattutto alla questione del riciclaggio.
        Ringrazio tutti i presenti per la loro attenzione e la loro pazienza, e do a tutti appuntamento a domani alle ore 9,30.

        I lavori terminano alle ore 19.