Giovedì, 9 luglio 1998

        I lavori hanno inizio alle ore 9,50.

Presidenza del senatore Ottaviano DEL TURCO,
presidente della Commissione parlamentare antimafia

        PRESIDENTE. Ringrazio coloro che hanno accettato il nostro invito a riflettere in questi due giorni sul primo dei temi che la Commissione parlamentare antimafia ha scelto come oggetto di approfondimento della propria attività programmatica: quello del riciclaggio.

        Come già sapete il Convegno è stato organizzato e si svolge con l’ottima collaborazione della Guardia di finanza, ed è il primo di tre convegni che la nostra Commissione ha deciso di organizzare da qui alla fine dell’anno o forse all’inizio dell’anno prossimo.
        L’odierno Convegno – lo ripeto – ha per tema la questione del riciclaggio, mentre il secondo, che dovrebbe svolgersi nella prima parte dell’autunno, avrà per tema il controllo del territorio e la Commissione parlamentare antimafia lo organizzerà con la collaborazione attiva dell’Arma dei carabinieri con una particolare attenzione al tema della criminalità organizzata nelle grandi aree metropolitane. Il terzo convegno, che pensiamo di organizzare per la fine dell’anno o l’inizio del prossimo, vedrà la collaborazione della Polizia di Stato, ed avrà come tema le nuove mafie.
        L’obiettivo fondamentale dell’odierno appuntamento è di mettere insieme le organizzazioni di contrasto degli otto paesi che danno vita alla Conferenza degli 8 Grandi perché vogliamo mettere a disposizione dei Capi di Stato che si riuniscono annualmente materiale per una riflessione più puntuale sul tema della lotta alla criminalità organizzata, giacché come sapete tale questione è diventata nel corso degli anni uno degli argomenti fondamentali dei colloqui degli otto Capi di Stato che si riuniscono di volta in volta nei singoli paesi.
        Questo è il trittico dei convegni che organizzerà la Commissione parlamentare antimafia; abbiamo pensato e assunto tale indirizzo all’unanimità, come sempre è capitato in questo anno e mezzo di attività, giacché consideriamo questa serie di temi – riciclaggio, controllo del territorio e attenzione ai nuovi fenomeni criminali che provengono da altre aree del mondo – come fondamentali nell’azione della Commissione parlamentare antimafia, la quale continua a svolgere il suo lavoro di indagine sul territorio nazionale – come abbiamo fatto fino ad oggi – e contemporaneamente cerca di aggiornare l’analisi del Parlamento attorno ai fenomeni criminali attraverso iniziative di questa natura.
        Voi avete il programma dei lavori e sapete qual è il livello di partecipazione a questo Convegno, l’altissimo livello di rappresentatività degli ospiti stranieri che hanno accettato il nostro invito e che ci daranno il loro contributo per sviluppare il tema in esame.
        Penso di poter concludere qui questo breve discorso introduttivo, lasciando la presidenza effettiva all’onorevole Nichi Vendola, vice presidente della Commissione parlamentare antimafia, che dirigerà la prima parte del dibattito di questa mattina.

Presidenza del deputato Nichi VENDOLA,
vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia

        PRESIDENTE. Nel rivolgere un saluto a tutti i presenti, do la parola all’onorevole Nicolò Cristaldi, presidente dell’Assemblea regionale siciliana.

        CRISTALDI Nicolò, presidente dell’Assemblea regionale siciliana. Onorevole presidente Del Turco, onorevole Vendola, signor Comandante generale della Guardia di finanza, autorità militari e civili, vi porto il saluto dell’Assemblea regionale siciliana per questo importante appuntamento. Palazzo dei Normanni è onorato di ospitare un incontro di questo livello. Prima di raggiungere la Sala Duca di Montalto, dicevamo che qualche anno fa un appuntamento di questa natura sarebbe passato inosservato a Palermo; un appuntamento di questo livello sarebbe stato giudicato dalla gente come un involucro pieno di parole dopo il quale vi sarebbe stato solo qualche articolo di giornale per occupare per qualche ora la memoria di alcuni addetti ai lavori. Oggi Palermo e la Sicilia sono un’altra cosa: c’è una società in trasformazione ed un incontro di questo livello non è soltanto un incontro tra addetti ai lavori.

        Discuterete per due giorni di uno dei temi più importanti legati alla lotta contro la criminalità organizzata e il risultato dei vostri lavori costituirà un’altra pietra che si aggiungerà alla costruzione dell’edificio positivo della nuova Sicilia. L’occasione è utile al Parlamento siciliano che ritiene che questo incontro è stato organizzato a Palazzo dei Normanni non soltanto perché è una sede straordinaria dal punto di vista architettonico; credo che organizzare un Convegno di questo livello a Palazzo dei Normanni sia anche doveroso sul piano delle collaborazioni istituzionali che devono aprirsi nel momento in cui si discutono materie così complesse e così travolgenti nel cambiamento della società civile.
        Onorevole presidente Del Turco, la Sicilia ha fatto molta strada in questi anni. Qualche mese prima dell’assassinio di Giovanni Falcone, intervenendo ad un convegno a Siracusa e facendo riferimento a qualche articolo giornalistico che diceva che lo Stato si era arreso alla mafia, Paolo Borsellino ebbe a dire che lo Stato non può essersi arreso alla mafia per la semplice ragione che non ha mai combattuto contro la mafia: ci si arrende soltanto dopo aver combattuto. Credo che se Paolo Borsellino potesse parlare oggi non direbbe le stesse cose, perché naturalmente nel frattempo tutti hanno lavorato, dalla politica ad ogni forma istituzionale, per il cambiamento della società. Credo che questo sia già un grande risultato.
        Ecco allora le ragioni per le quali, in qualità di Presidente dell’Assemblea regionale siciliana, desidero non soltanto salutarvi per aver scelto fisicamente Palazzo dei Normanni ma anche perché simbolicamente è giusto che uno tra i più antichi Parlamenti del mondo accolga con tutta la sua autorevolezza un Convegno su un tema così importante. Grazie a tutti e buon lavoro. (Applausi).

        PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Cristaldi e senza ulteriori indugi entriamo nel vivo dei lavori del nostro Convegno.

        Do la parola al professor Bruno Bianchi, direttore centrale per la vigilanza creditizia e finanziaria della Banca d’Italia, il quale svolgerà una relazione sul tema "Vigilanza sugli intermediari finanziari e contrasto al riciclaggio".

        BIANCHI Bruno, direttore centrale per la vigilanza creditizia e finanziaria della Banca d’Italia. Desidero anzitutto rivolgere un vivo ringraziamento al presidente della Commissione parlamentare antimafia, senatore Del Turco, per l’invito a partecipare all’incontro odierno, su un tema di grande attualità come quello della lotta al riciclaggio dei capitali di provenienza illecita.

        L’azione di contrasto al riciclaggio è un elemento strategico nell’esercizio della vigilanza sugli intermediari e sui mercati finanziari. Essa, in una visione di ampio respiro, è uno strumento di tutela dell’ordine economico e riguarda non solo la funzione di vigilanza, ma anche la politica del credito. Infatti, uno sviluppo economico equilibrato e duraturo del paese richiede un sistema finanziario composto da imprese che operano in modo corretto, trasparente ed efficiente. L’azione di operatori criminali, in grado di manovrare ingenti capitali di provenienza illecita, costituisce una minaccia per il sistema creditizio e per il mercato finanziario, distorce il gioco della concorrenza, determina gravi inefficienze allocative e gestionali ed aumenta il rischio di crisi.
        L’apertura delle economie nazionali, l’integrazione dei mercati e lo sviluppo dell’attività bancaria internazionale hanno reso più difficile la lotta al riciclaggio e richiesto un aumento della cooperazione fra le autorità nazionali di vigilanza.
        Il diffondersi dei conglomerati finanziari, costituiti da società operanti in segmenti di mercato differenti, rende complessa l’individuazione delle relazioni intragruppo e meno agevole la ricostruzione della loro operatività.
        L’estesa applicazione della telematica nelle transazioni finanziarie e la diffusione dell’uso della moneta elettronica possono essere di ostacolo all’analisi delle operazioni, in special modo quando sono effettuate da soggetti non sottoposti a vigilanza oppure localizzati in paesi dotati di una legislazione antiriciclaggio inadeguata.
        Questi fattori, singolarmente e nel loro complesso, possono indebolire il sistema dei controlli tradizionali e rendono necessario un costante adeguamento delle tecniche di analisi e delle modalità di controllo.
        Il prevalere dei principi dell’economia di mercato e della concorrenza ha reso necessario orientare il sistema di vigilanza bancario verso l’uso di regole generali e di coefficienti di bilancio che non ledono l’autonomia imprenditoriale del banchiere; infatti, l’azione di supervisione si rivolge non a singoli fatti di gestione, come avveniva in passato, ma alla valutazione del complessivo andamento dell’impresa bancaria.
        Tuttavia, un’analisi meramente quantitativa non è sufficiente a neutralizzare i rischi di fragilità finanziaria dell’intermediario. Accanto ai rischi quantificabili che devono essere misurati e fronteggiati da adeguate risorse patrimoniali, cresce l’importanza degli aspetti qualitativi della gestione e la possibilità, in un contesto di spiccata autonomia, di comportamenti infedeli o fraudolenti. Diviene fondamentale, pertanto, per la Banca d’Italia mantenere un dialogo continuo con i soggetti sottoposti alla sua vigilanza, nel quale la fiducia e la riservatezza sono funzionali alla significatività ed all’efficienza dell’azione di monitoraggio.
        La maggiore complessità dei sistemi finanziari accresce le possibilità di penetrazione criminale. Questa può avvenire mediante l’acquisizione da parte delle organizzazioni criminali di un’influenza diretta sulla gestione dell’azienda bancaria. Più esposti a tale rischio sono gli intermediari di piccole dimensioni, collocati in contesti ambientali economicamente arretrati e caratterizzati da un minor grado di competitività e di trasparenza; questi costituiscono in qualche modo un terreno fertile per lo sviluppo di attività illecite.
        L’asservimento di un intermediario è potenzialmente più agevole in presenza di un eccessivo accentramento dei poteri di gestione all’interno di un’azienda; l’assenza di dialettica comporta l’affievolimento dell’efficacia dei controlli interni, che possono assumere caratteristiche meramente formali.
        Le organizzazioni criminali necessitano peraltro, per riciclare le disponibilità rivenienti dalle proprie attività, di operare su mercati adeguatamente sviluppati. Gli ingenti flussi di denaro che affluiscono su tali mercati e la dimensione internazionale delle transazioni creano un elevato grado di mimetismo di queste operazioni. L’infiltrazione criminale nel sistema finanziario, in questo caso, può avvenire attraverso il coinvolgimento inconsapevole dell’intermediario bancario. L’inserimento in uno degli snodi dell’operazione di riciclaggio di un intermediario, specie se conosciuto sul mercato per la sua affidabilità ed integrità, può far conto sull’abbassamento della soglia di attenzione, naturale in un ambiente sano, e permette di meglio raggiungere gli scopi criminali.
        Il testo unico delle leggi bancarie individua le finalità dei poteri della Banca d’Italia nella sana e prudente gestione degli intermediari vigilati, nella stabilità, nel buon andamento e nella competitività del sistema finanziario nel suo complesso. Tali finalità per loro natura sono incompatibili con il coinvolgimento, anche inconsapevole, di un intermediario in operazioni di riciclaggio. Una gestione bancaria sana e prudente significa, da un lato, ricerca dell’efficienza e della redditività ed estraneità a interessi impropri, dall’altro, rispetto dei canoni di avversione al rischio tipici dell’attività bancaria.
        I fini dell’azione di vigilanza mettono in luce il contributo che la Banca d’Italia può fornire nel quotidiano esercizio delle proprie funzioni per prevenire il coinvolgimento del sistema finanziario in attività criminali. Innanzi tutto, i controlli sull’accesso al mercato e la verifica delle caratteristiche dei requisiti di professionalità e di onorabilità degli amministratori delle banche; in secondo luogo, la verifica della qualità degli assetti proprietari delle banche e in particolare gli azionisti delle banche; in terzo luogo, la tutela della concorrenza nel settore creditizio. Tutti questi fattori concorrono a prevenire, a scoraggiare e a far emergere eventuali strumentalizzazioni degli intermediari per finalità illecite.
        L’accentuazione dei profili di autonomia dell’azienda bancaria nel nuovo quadro legislativo si accompagna evidentemente all’assunzione di maggiori responsabilità da parte degli amministratori della banca. L’attenzione del legislatore e delle autorità di vigilanza si è spostata verso l’adeguatezza delle strutture di governo societario, che devono essere atte a garantire un’amministrazione corretta nell’interesse dei risparmiatori e degli investitori. In questo schema di autonomia ne risultano valorizzati i profili dei controlli interni degli intermediari: un efficace sistema di controlli interni previene le deviazioni dalle regole della sana e prudente gestione, rappresenta un valido strumento di difesa dalle aggressioni criminali al tessuto connettivo dell’impresa e garantisce la corretta applicazione delle regole sulla circolazione del denaro.
        Accanto agli strumenti propri della vigilanza sul sistema creditizio e finanziario, ulteriori possibilità di intervento sono attribuite alla Banca d’Italia, che agisce in questo ambito d’intensa con l’Ufficio italiano dei cambi (UIC), dalla normativa antiriciclaggio. Questa disciplina pone limitazioni, come è noto, all’uso del contante e degli altri mezzi di pagamento anonimi, vieta che i pagamenti siano effettuati da intermediari non abilitati, prevede regole di identificazione della clientela nonché di registrazione dei relativi dati in appositi archivi informatici, stabilisce un obbligo di segnalazione all’UIC, in caso di fondato e ragionevole sospetto circa la provenienza illecita del denaro o di altri beni oggetto di operazioni finanziarie. Agli operatori si richiede una collaborazione di intensità crescente nella prevenzione dell’utilizzo illecito degli intermediari e del sistema dei pagamenti. La Banca d’Italia, allo scopo di facilitare i compiti di collaborazione attiva delle banche e dei vari intermediari finanziari, ha emanato le "Indicazioni operative per le segnalazioni di operazioni sospette", conosciute con il termine di "decalogo", che offrono elementi per valutare i profili di anomalia delle operazioni finanziarie, e sono basate sul principio fondamentale di conoscere le controparti con le quali si opera.
        Il decreto legislativo n. 153 del 1997, di riforma della disciplina antiriciclaggio, ha affidato all’UIC il compito di accentrare e verificare le segnalazioni di operazioni sospette. La Banca d’Italia in questo contesto collabora alla fase di approfondimento dell’analisi delle segnalazioni; si incrementa così la significatività dell’informazione trasmessa che, arricchita di altre notizie disponibili presso le autorità di vigilanza, può fare ingresso nell’area delle indagini penali in modo più intelligibile ed efficace. Le ispezioni di vigilanza della Banca d’Italia sono volte in tale materia a verificare l’adeguatezza degli assetti organizzativi, mediante il sondaggio di campioni significativi di attività operativa.
        Le autorità creditizie hanno tradizionalmente posto i meccanismi di prevenzione al centro della strategia antiriciclaggio; è qui che l’azione amministrativa può giocare un ruolo specifico e importante. Peraltro è evidente che la prevenzione non esaurisce la gamma degli strumenti di lotta. Essa deve essere accompagnata da un’efficace azione di repressione dei comportamenti fraudolenti. Il contributo della Banca d’Italia si estende anche a tale versante: essa garantisce il supporto tecnico necessario per l’analisi finanziaria nel corso dei procedimenti penali di particolare rilevanza; sono costantemente alimentati flussi informativi con le forze di polizia e la magistratura. La legge espressamente prevede che, anche nel corso di un’indagine penale e in deroga al segreto istruttorio, il Governatore della Banca d’Italia sia informato dal giudice quando vi sia motivo di ritenere che fatti di riciclaggio siano avvenuti attraverso il coinvolgimento di intermediari bancari. Di particolare rilievo sono poi gli accordi raggiunti con la Direzione nazionale antimafia, in forza dei quali è stato attivato un agile meccanismo di scambio di informazioni utili per il perseguimento delle rispettive finalità istituzionali.
        Nell’esercizio della funzione di vigilanza possono riscontrarsi talora anomalie gestionali di rilievo penale. L’intermediario che opera in modo illecito immette, per ostacolare la ricostruzione della propria reale operatività, dati inattendibili nei circuiti informativi che lo legano alle autorità. Tuttavia, un flusso continuo di dati non fedeli può far emergere aspetti di incoerenza e alla lunga determinare una situazione insostenibile per l’intermediario "deviante"; la complessiva attività di vigilanza, in particolare l’ispezione in loco, può portare all’accertamento della falsità.
        All’azione dei pubblici poteri si affianca il contributo della comunità finanziaria. Gli intermediari assumono una posizione privilegiata, che può fornire un contributo di rilievo nel contrastare il riciclaggio, soprattutto attraverso le segnalazioni di operazioni sospette, che ho poc’anzi ricordato. Nel disegno del legislatore, il tentativo di far affluire nel circuito finanziario legale capitali di provenienza illecita dovrebbe mettere in allarme le terminazioni nervose del sistema, generando in esso una pronta reazione. Ma perché il meccanismo possa funzionare è necessaria una convinta adesione degli intermediari allo spirito delle norme antiriciclaggio, prima ancora che alle regole formali di dettaglio. La scelta di affidare agli operatori un ruolo attivo pone delicate questioni al legislatore e alle autorità di vigilanza. Aver inizialmente considerato le disposizioni antiriciclaggio quali costi estranei alle finalità dell’impresa, unitamente alle innegabili carenze dell’impianto normativo originario, può aver ritardato il recepimento da parte degli intermediari dei valori che sorreggono tale disciplina. Dietro queste difficoltà iniziali si celava una tensione tra lotta al riciclaggio e regole imprenditoriali, quasi che il perseguimento dell’una fosse di ostacolo al rispetto delle altre. Invero, il rispetto della normativa antiriciclaggio è coerente con il perseguimento del fine di profitto; non snatura certamente le regole dell’impresa. Queste si sono affermate nel settore bancario dopo un lungo e faticoso cammino; si tratta di una conquista da difendere, contro le tendenze talvolta emergenti ad una funzionalizzazione dell’attività creditizia per finalità ad essa estranee.
        Gli interventi di modifica a cui è stata sottoposta la pur giovane disciplina antiriciclaggio riflettono un processo di assestamento ancora in corso; sono spesso orientati a tutelare esigenze tecnico-operative degli intermediari. Credo che la sensibilità che il legislatore dimostra adeguando l’ambiente normativo alle esigenze degli operatori conferma che le norme antiriciclaggio non intendono porsi come una sovrastruttura che intralcia la speditezza delle transazioni. Le limitazioni alla circolazione del contante, le norme sulla registrazione delle operazioni, l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, costituiscono un ulteriore, importante capitolo della disciplina dell’intermediazione, che completa lo statuto normativo del mercato finanziario. Il filo che rafforza la trama dell’azione di contrasto ai fenomeni criminali nel settore finanziario può essere individuato nel riconoscimento del valore etico di comportamenti professionali corretti; si ricompongono, così, interessi non immediatamente percepibili come convergenti, quali, appunto, la lotta al riciclaggio e la logica d’impresa.
        Su un piano generale, le imprese mostrano una sensibilità particolare al tema della reputazione e delle fiducia che lega l’impresa stessa al suo mondo e alla sua clientela. Le imprese sono disposte ad affrontare costi ingenti per riparare ai possibili danni di immagine derivanti dal lancio sul mercato di un prodotto difettoso, confermando, in tal modo, il rilievo economico della reputazione e del rapporto di fiducia con la clientela. In questa logica, i costi che la disciplina impone si configurano come ordinari oneri d’esercizio dell’impresa. L’adesione a modelli etici di comportamento finisce con l’acquisire rilievo certamente anche economico; illumina le connessioni tra la dimensione sociale del contrasto al riciclaggio e la logica d’impresa; arricchisce di principi l’agire nella finanza; ricompone, in sintesi, in un quadro coerente e razionale le direttrici di sviluppo della normativa finanziaria. L’integrità dei mercati è stata di recente recepita, a livello normativo, tra gli obiettivi verso i quali deve tendere il comportamento degli intermediari nell’esercizio dei servizi di investimento (articolo 21 del decreto legislativo n. 58 del 1998). Si tratta di un’acquisizione ancora parziale, riferita ad un particolare settore, ma l’affermazione conserva tutta la sua rilevanza; mostra il cammino che la normativa del mercato finanziario ha intrapreso, rendendo possibili ulteriori prese di posizione da parte del legislatore.
        Passo ora a darvi qualche elemento di valutazione prospettica. Il diffondersi della consapevolezza delle ragioni, soprattutto economiche, della lotta al riciclaggio non significa che gli obiettivi fissati dalla disciplina del settore siano stati pienamente raggiunti. Il quadro normativo, credo, richiede ulteriori interventi di razionalizzazione. Il decreto legislativo n. 153 del 1997, nel prevedere uno stretto coordinamento tra l’azione amministrativa di vigilanza e le indagini penali, costituisce un solido fondamento per un’efficace azione di contrasto. Permangono talune carenze, riconducibili alla frammentarietà degli interventi succedutisi nel tempo. Appare imprescindibile il consolidamento di queste disposizioni di settore in un corpus. Il testo unico delle disposizioni di settore dovrà collocarsi in modo coerente al fianco dei testi unici bancario e della finanza, contribuendo a costruire un’organica disciplina dell’intermediazione creditizia e finanziaria.
        Anche sul piano dell’azione di vigilanza occorre una continua opera di adeguamento alle nuove realtà. La forte interdipendenza tra i mercati impone, in particolare, un potenziamento dei già stretti rapporti di collaborazione tra le autorità di controllo a livello nazionale e internazionale, e particolare attenzione richiedono le relazioni con gli intermediari provenienti da paesi non appartenenti all’Unione europea, talvolta dotati di una legislazione bancaria e antiriciclaggio inadeguata. La Banca d’Italia è fermamente impegnata nel verificare il rispetto delle disposizioni antiriciclaggio, in particolare attraverso lo strumento ispettivo. L’accertamento dell’adeguatezza degli assetti organizzativi permette di cogliere il grado di adesione dell’intermediario all’approccio "collaborativo". È in corso la messa a punto di un aggiornamento delle "Indicazioni operative per la segnalazione di operazioni sospette", il cosiddetto "decalogo", che terrà conto dell’evoluzione del mercato finanziario, delle novità introdotte dal decreto legislativo n. 153 del 1997, nonché dell’esperienza in materia di lotta al riciclaggio.
        Mi avvio ora a concludere queste mie brevi valutazioni. Nel campo dell’antiriciclaggio agiscono forze che non sempre muovono nella stessa direzione. La velocità raggiunta dagli scambi, la competizione tra ordinamenti, la dimensione privatistica dell’attività di intermediazione e le esigenze dell’indagine penale sono espressione di interessi e valori che possono essere tutti pienamente coerenti e tutelati allo stesso momento. Si accentua la necessità di trovare un equilibrio dinamico tra gli interessi generali in gioco. La disciplina antiriciclaggio può essere paragonata ad un metal detector: deve essere sensibile nell’individuazione di soggetti malintenzionati, ma flessibile e rapida in modo da evitare inutili ritardi a chi non è animato da fini criminali. Nella misura in cui l’ordinamento sarà in grado di adottare soluzioni equilibrate ed efficaci si compirà un ulteriore passo verso un mercato nel quale i tentativi di infiltrazione criminale siano isolati e respinti dagli stessi intermediari: e ciò non tanto per il timore di sanzioni, ma perché l’agire in conformità ai principi etici è una scelta economicamente razionale. (Applausi)

        PRESIDENTE. Grazie, professor Bianchi. Le relazioni che ascolteremo saranno messe a disposizione di quanti ne sono interessati, ed in seguito il resoconto completo degli atti del convegno sarà raccolto in un volume.

        Do ora la parola al dottor Pier Antonio Ciampicali, direttore dell’Ufficio italiano dei cambi, che svolgerà una relazione sul tema: "L’attuazione del decreto legislativo n. 153 del 1997: la nuova organizzazione dell’Ufficio italiano dei cambi".

        CIAMPICALI Pier Antonio, direttore dell’Ufficio italiano dei cambi. Grazie, presidente Vendola, e grazie alla Commissione antimafia e al suo presidente, senatore Del Turco, per questa iniziativa che ritengo di particolare valore e di grande utilità per lo sviluppo della lotta e degli approfondimenti in materia di contrasto al riciclaggio. Complimenti anche per l’organizzazione di questo convegno, che vanno estesi alla Guardia di finanza e alla Regione Siciliana.

        Il mio intervento sarà molto breve e circostanziato. Esso si baserà sulle innovazioni introdotte dal decreto legislativo n. 153 del 1997 in materia di contrasto antiriciclaggio, con riferimento ai compiti che questo decreto ha affidato all’Ufficio italiano dei cambi (UIC). Cercherò di analizzare molto rapidamente ciò che è stato fatto, ciò che resta da fare, quali sono i problemi ancora in piedi e sui quali occorre intervenire. La logica del decreto legislativo n. 153 credo sia nota a tutti; è una logica che ha dato un’impostazione operativa, distinguendo la componente dell’analisi finanziaria dalla componente investigativa. Questo nel convincimento che il riciclaggio è innanzi tutto un problema finanziario; pertanto con un approccio che si rifà ad una componente di analisi finanziaria è possibile avere dei punti di attacco innovativi rispetto a quelli che sono stati finora applicati, che sono connessi essenzialmente alla metodologia di indagine di tipo investigativo della magistratura e delle forze di polizia. Solo in questo modo si giustifica l’affidamento di compiti ad una struttura specializzata dal punto di vista finanziario come l’UIC, che altrimenti non avrebbe ovviamente né i mezzi né la competenza per essere un competitore – lo dico in questi termini sportivi – della magistratura specializzata e delle forze di polizia.
        Quindi, la logica è di trovare nell’approccio finanziario delle vie di accesso alla scoperta di forme di riciclaggio che le modalità di indagine investigativa finora applicate non sono state idonee a far emergere. È un’analisi complessa perché, quando si tratta di riciclaggio l’atto criminale presupposto è già arrivato a compimento ed ha realizzato il suo obiettivo, quello del profitto. Pertanto, una struttura che è stata capace di portare a compimento un atto criminale complesso e ha realizzato il relativo profitto è sicuramente capace anche di manovrare dal punto di vista finanziario in maniera tale da nascondere gli elementi di conoscenza degli autori dell’atto criminale stesso.
        In questo contesto all’UIC sono stati affidati dal decreto legislativo n. 153 del 1997 dei compiti molto precisi, che io illustrerò molto rapidamente indicando – come ho detto all’inizio – quali sono state le cose fatte e quali problemi sono ancora in piedi.
        Per quanto riguarda le cose fatte, dal punto di vista della normativa concernente il trasferimento all’UIC delle segnalazioni delle operazioni sospette rilevate dagli intermediari finanziari abilitati, il provvedimento ha affidato all’Ufficio il compito di emanare istruzioni applicative sull’utilizzo delle procedure informatiche e telematiche per la trasmissione delle segnalazioni; questo è stato avviato e sta funzionando bene. Il sistema informatizzato infatti è in grado di dare in tempo reale una specifica della morfologia delle operazioni segnalate e dello stadio di avanzamento dell’analisi delle operazioni medesime.
        L’UIC deve poi effettuare i necessari approfondimenti su tali segnalazioni, prima di trasmetterle alle autorità investigative. Anche in questo caso è stato avviato un sistema molto accurato di approfondimento delle segnalazioni; c’è una struttura, appositamente organizzata all’interno dell’UIC, che realizza in maniera efficiente e continua questo processo dal momento dell’arrivo della segnalazione dall’intermediario finanziario fino alla trasmissione all’autorità investigativa, che – come è noto – è costituita dalla DIA e dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza.
        Il decreto legislativo specifica inoltre che l’Ufficio può avvalersi, per gli approfondimenti relativi a queste segnalazioni, dei dati contenuti nell’anagrafe dei conti e dei depositi di cui all’articolo 20, comma 4, della legge 30 dicembre 1991, n. 413; questo non è ancora avvenuto perché tale anagrafe non è stata ancora costituita.
        Il decreto legislativo n. 153 del 1997 inquadra altresì in maniera più corretta e completa il ruolo di questa anagrafe, spostandolo da quello prevalente di tipo tributario, che aveva nella sua configurazione originaria, ad un aspetto più specificamente connesso alla problematica dell’antiriciclaggio; quindi la collocazione logica di questa anagrafe è definita, ma manca ancora l’attuazione pratica.
        L’Ufficio poi – continua a specificare il decreto – può acquisire ulteriori dati e informazioni presso i soggetti di cui all’articolo 4, cioè presso gli intermediari abilitati in ordine alle segnalazioni trasmesse.
        L’altro compito attribuito all’Ufficio, quello di utilizzare i risultati delle analisi effettuate ai sensi dell’articolo 5, comma 10, della legge n. 197 del 1991, è uno dei punti di maggiore interesse per quanto concerne gli approfondimenti futuri in questa materia. L’articolo 5, comma 10, prevede infatti che l’UIC possa effettuare delle analisi statistiche mirate ad identificare anomalie di tipo statistico che si verifichino nell’ambito delle operazioni che a norma di legge sono inserite negli archivi unici informatici degli intermediari finanziari abilitati. L’integrazione tra questo tipo di analisi e la segnalazione delle operazioni sospette è la via che, ad avviso dell’UIC, può portare ai risultati più significativi. Come abbiamo sentito anche dall’intervento del dottor Bianchi, la logica del coinvolgimento dell’intermediario abilitato, nel responsabilizzarsi al momento della rilevazione di anomalie di operazioni compiute presso di esso, presenta dei punti di difficoltà che sono connessi sia alla conoscenza, sia al fatto che soggetti operativi noti possono all’improvviso passare sotto il controllo di organizzazioni criminali e quindi rimanere nascosti nei confronti dell’intermediario abilitato. Sotto questo aspetto riteniamo essenziale uno strumento idoneo ad individuare segnali di anomalia che prescinda dalla conoscenza del soggetto.
        Lo strumento statistico basato su una modalità di indagine informatica di tipo probabilistico, particolarmente complessa e sofisticata dal punto di vista tecnico, costituisce la speranza maggiore, a nostro avviso, per il futuro. Per il funzionamento dei sistemi di analisi basati su grandi masse di dati è necessario avvalersi di una serie storica di una certa consistenza, che si è formata nel tempo (sostanzialmente a partire dal 1994, quindi disponiamo di oltre tre anni interi di informazione). È una base dati di grande importanza perché ogni anno si arricchisce di informazioni relative a quasi 400 milioni di operazioni superiori a 20 milioni di lire, che sono compiute presso gli intermediari abilitati e che sono automaticamente immagazzinate nell’archivio unico informatico dell’intermediario e poi trasmesse in forma aggregata all’UIC.
        C’è la possibilità, dal punto di vista statistico, matematico, probabilistico, di rilevare alterazioni nei flussi e nei comportamenti degli intermediari e di certi soggetti identificabili per categorie, in modo da poter arrivare ad un approfondimento mirato che consenta di verificare poi, con la conoscenza dell’intermediario, la realtà dell’operazione compiuta. Naturalmente, in questo caso bisogna concentrare le analisi nei settori che sono più a rischio.
        In questo momento l’attenzione dell’UIC è indirizzata verso le operazioni compiute nei confronti dei paesi cosiddetti off-shore, dove le norme fiscali, contabili e di vigilanza sono particolarmente permissive. Quindi, oltre ad attrarre soggetti che operando correttamente nell’ottica degli obiettivi aziendali, cercano di risparmiare sui costi avvalendosi dei vantaggi di questi centri, tali paesi attirano anche coloro che hanno interesse a nascondere l’origine di flussi di denaro e ad inserirli nel circuito bancario legale, nella maniera più soft possibile, meno suscettibile di attrarre l’attenzione.
        Dell’analisi delle operazioni sospette parlerà nel pomeriggio il capo del servizio antiriciclaggio dell’UIC, dottor Righetti; non mi soffermerò quindi su di esse. Voglio soltanto sottolineare, tuttavia, che si sta avviando in questa fase di analisi innanzi tutto una collaborazione molto positiva sia con gli altri enti preposti alla vigilanza sugli intermediari finanziari (in primo luogo la Banca d’Italia, l’Isvap e la Consob) sia per quanto concerne le modalità di trasmissione delle informazioni agli enti preposti all’analisi e all’approfondimento investigativo.
        Ci sono degli aspetti che possono essere ancora meglio definiti, in particolare quelli relativi ai rapporti tra magistratura e UIC per quanto concerne il segreto previsto dalla legge sulla gestione delle operazioni sospette, segreto che per la sua parte l’Ufficio sta proteggendo nella maniera più rigorosa possibile; infatti, sono stati realizzati dei software che prevedono delle forme di crittografia, anch’esse particolarmente avanzate, affinché nel flusso tra l’intermediario segnalante e l’UIC si eviti assolutamente il rischio di fughe di informazioni.
        Proprio per quegli aspetti che devono essere ancora meglio approfonditi e messi a punto, si ritiene particolarmente importante procedere in tempi brevi alla realizzazione del testo unico sull’attività antiriciclaggio. Ormai la normativa in materia ha una vita ultradecennale; infatti, anche se l’atto formale di nascita è la legge n. 197 del 1991, essa è stata preceduta da altri provvedimenti specifici. È arrivato il momento di definire un testo unico attraverso il quale emergano con certezza i ruoli e i compiti e che soprattutto miri alla completezza del sistema delle informazioni, senza nel contempo rappresentare un costo troppo elevato per i soggetti tenuti all’invio delle informazioni di base. Questo è un elemento particolarmente importante, nel momento in cui si sta realizzando a livello europeo un’unità monetaria e quindi una convergenza dei sistemi bancari e finanziari, che deve necessariamente accompagnarsi anche ad un’omogeneizzazione della normativa antiriciclaggio. Il passaggio dalle valute nazionali all’Euro comporterà problemi nuovi e di difficile soluzione; ci sono studi, ovviamente basati su ipotesi, per capire se il passaggio dalle valute nazionali ad un’unica valuta rappresenterà per i paesi che faranno parte del sistema una facilitazione o un ostacolo all’attività di riciclaggio: ci sono elementi a favore dell’una tesi ed elementi a favore dell’altra. Credo che questo potrà essere un settore di approfondimento di particolare interesse da parte di tutti noi e soprattutto della Commissione parlamentare antimafia.
        Ritengo che nessuno possa prescindere dal convincimento che per procedere e ottenere dei risultati effettivi in materia di antiriciclaggio occorre avere una normativa assolutamente omogenea a livello dei paesi industriali evoluti. Per quello che è il nostro ruolo e il nostro compito, come UIC, cerchiamo di muoverci su questa linea, sia nell’ambito del GAFI sia all’interno del Gruppo Egmont, che riunisce le Financial Intelligence Units di gran parte dei paesi economicamente avanzati.
        Concludo il mio intervento ringraziando per l’attenzione e ovviamente assicurando che l’UIC fornirà nei confronti di tutte le autorità coinvolte nella lotta e nel contrasto al riciclaggio la collaborazione formale e informale che è nelle sue capacità. (Applausi).

        PRESIDENTE. Prenderà ora la parola l’ingegner Marco Martini, direttore generale della Consob, il quale svolgerà una relazione sul tema: "Riciclaggio e mercati mobiliari".

        MARTINI Marco, direttore generale della CONSOB. Desidero innanzi tutto ringraziare il Presidente della Commissione parlamentare antimafia, senatore Ottaviano Del Turco, e le autorità della Regione e della Guardia di finanza che ci hanno invitato a questa interessante iniziativa.

        Il confronto e lo scambio di esperienze tra le autorità costituisce un momento essenziale nella lotta contro il riciclaggio. L’incontro odierno riveste un’importanza fondamentale nella discussione sulle nuove forme di riciclaggio di denaro di provenienza illecita, sul ruolo degli operatori finanziari e sull’interazione tra le autorità antiriciclaggio e quelle preposte al controllo dei mercati finanziari. Il mio intervento toccherà brevemente ognuno di questi tre punti. Si riprendono alcune considerazioni già espresse dalla Consob in occasione dell’audizione resa dal Presidente dell’Istituto alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia nel maggio dello scorso anno.
        La lotta al riciclaggio di denaro sporco, contrastando le attività criminali tramite le quali tali ricchezze assumono una veste di legalità, consente di tutelare in modo indiretto anche la sicurezza e la buona salute del sistema finanziario: questi elementi sono essenziali per assicurare una corretta allocazione delle risorse e la crescita dell’intera economia. Per un’autorità pubblica quale la Consob, impegnata nella tutela del risparmio, questi sono aspetti di primaria importanza e proprio in tale ambito si inserisce il contributo che il nostro Istituto può offrire nella lotta al riciclaggio.
        Il fenomeno del riciclaggio del denaro di provenienza illecita ha, da diverso tempo, assunto dimensioni sovranazionali. La globalizzazione dei mercati consente ai capitali e alle persone di muoversi con estrema facilità e rapidità. In tale contesto è altamente probabile che la ripulitura del denaro sporco venga effettuata in un paese diverso da quello di provenienza. Il carattere transnazionale del fenomeno è stato amplificato, oltre che dalla crescente integrazione dei mercati dei capitali, anche dal notevole grado di sofisticazione raggiunta dagli strumenti finanziari e dallo sviluppo della tecnologia.
        Alcune stime indicano che il flusso mondiale di ricchezza di provenienza illecita sarebbe superiore ai 500 miliardi di dollari. Ma attorno a questi numeri non vi è alcuna certezza dal momento che il fenomeno è, per ovvi motivi, difficilmente quantificabile.
        A tali sviluppi non ha ancora fatto seguito la completa armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia a causa della diversa intensità con cui il fenomeno interessa i singoli paesi e, in alcuni casi, della volontà di attirare comunque i capitali esteri, indipendentemente dalla loro provenienza. Anche il coordinamento internazionale per la lotta al riciclaggio è stato avviato solo in anni recenti. La prima iniziativa di rilievo del Comitato di Basilea di vigilanza bancaria è del dicembre del 1988, con il cosiddetto Statement on Prevention of Criminal Use on the Banking System for the Purpose of Money Laundering. Il GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale contro il riciclaggio del denaro di provenienza illecita) è stato costituito dai Capi di Stato e di Governo dei 7 maggiori paesi industrializzati e dal Presidente dell’Unione europea nel luglio del 1989: esso rappresenta l’organismo più importante per la definizione di politiche contro il riciclaggio e le sue raccomandazioni contengono precise linee di intervento e prescrizioni.
        Anche la IOSCO, l’organizzazione internazionale che riunisce le Commissioni per la sorveglianza dei mercati mobiliari di oltre 60 paesi, è intervenuta in materia con alcune raccomandazioni nel luglio 1992. Obiettivo delle raccomandazioni IOSCO è di estendere ai propri membri le raccomandazioni del GAFI, al fine di diffondere alcune regole basilari volte a prevenire l’infiltrazione criminale nel settore delle intermediazione mobiliare.
        A tutt’oggi, la presenza di centri finanziari off-shore e la tutela offerta da legislazioni nazionali poco attente a sollevare i veli che danno opacità e segretezza alle transazioni sono elementi che rendono arduo il compito delle autorità nazionali. La lotta al riciclaggio in un paese non può prescindere da un’efficace azione internazionale; l’azione interna può, pur con molte difficoltà, essere sufficiente a conseguire risultati importanti sul piano nazionale, ma senza un vero coordinamento internazionale, che colpisca i meccanismi di ripulitura del denaro, difficilmente si può sperare di reprimere completamente il fenomeno.
        Libertà e controllo dei movimenti di capitale sono due concetti non necessariamente in antitesi. Il controllo sulle attività illecite e la trasparenza delle transazioni sono infatti elementi che favoriscono i movimenti di capitali "leciti" in quanto garantiscono l’uniformità delle informazioni fra i soggetti che scambiano i fondi e consentono di tutelare il valore fiduciario della moneta.
        Il contributo che ciascun paese può offrire deve incentrarsi sullo stadio iniziale del processo di riciclaggio del denaro di provenienza illecita. Come è noto, tale processo viene normalmente distinto in tre fasi. La prima fase consiste nel collocamento del denaro di provenienza illecita, il cosiddetto placement, presso l’intermediario finanziario. Il secondo momento consiste nella separazione dei proventi illeciti dalla loro fonte, il cosiddetto layering, cercando in vario modo di rendere non individuabile la provenienza del denaro, e infine si ha l’integrazione, ossia la reimmissione dei fondi illeciti, di illecita costituzione, nel circuito economico "lecito". Dopo quest’ultima operazione il provento delle attività criminose è divenuto perfettamente "pulito" e parte integrante dell’economia.
        L’intermediario bancario o finanziario può intervenire in ciascuna delle fasi sopra descritte. Il momento in cui però il denaro di fonte illecita è maggiormente identificabile e vulnerabile è quello iniziale di immissione nel sistema di lavaggio, quando esso si presenta sotto forma di banconota. In tale momento il denaro sporco è più facilmente riconoscibile soprattutto in relazione all’ammontare delle transazioni, alla loro eventuale atipicità, all’affidabilità del soggetto che lo pone in atto.
        In considerazione di ciò, lo sforzo del legislatore e delle autorità impegnate nel contrastare tale fenomeno deve essere volto a rendere più efficaci i controlli preventivi, dal momento che nelle fasi successive della catena del riciclaggio diventa più difficile identificare la provenienza illecita del denaro.
        In tale contesto è cruciale il ruolo svolto dagli intermediari finanziari. Prescindendo dall’ipotesi di comportamenti non in buona fede a causa di un inquinamento a monte dell’intermediario e/o della sua proprietà, deve essere chiaro che quando gli intermediari acquisiscono un cliente nuovo in qualche modo gli offrono una veste di legalità e di rispettabilità.
        La conoscenza del cliente è, perciò, il primo passo fondamentale per impedire l’ingresso del denaro di provenienza illecita nel sistema dei pagamenti. A tal fine, gli intermediari devono rendere effettive le procedure di identificazione e controllo e provvedere ad un’idonea formazione degli operatori a diretto contatto con il pubblico che sono incaricati di segnalare le operazione sospette. Costituisce poi il compito delle autorità garantire a questi ultimi tutela e riservatezza.
        Come indicato nel decalogo predisposto dalla Banca d’Italia, è compito degli intermediari finanziari registrare e tenere memoria delle varie operazioni e segnalare quelle che per ammontare o per costruzione risultano sospette.
        Il crescente utilizzo della moneta elettronica pone ulteriori problemi. Se da un lato la modernizzazione del sistema dei pagamenti consente infatti una maggiore evidenza delle operazioni, dall’altro la rapidità, l’ammontare e il volume delle transazioni che avvengono elettronicamente sono elementi che costituiscono un ostacolo all’identificazione delle operazioni anomale.
        L’azione antiriciclaggio è portata in primo luogo a concentrare le proprie forze sul sistema bancario in quanto verso le banche si dirige maggiormente il flusso delle banconote. Di qui la centralità dei controlli sul sistema dei pagamenti – il cui fulcro è costituito dalle banche – nel contrastare il riciclaggio. Tuttavia la criminalità può sfruttare altre forme di intermediazione per celare la provenienza illecita dei fondi. Il rapporto annuale del GAFI individua il settore dei servizi di investimento, e in particolare quello della negoziazione di strumenti finanziari, come uno dei settori di sviluppo della criminalità organizzata e di canalizzazione del riciclaggio di denaro.
        In Italia, l’attuale organizzazione del sistema di vigilanza in materia di riciclaggio appare razionale in virtù della ripartizione chiara dei compiti fra le autorità di vigilanza. L’accentramento di responsabilità tecniche in capo all’Ufficio italiano dei cambi (UIC) consente unitarietà di prospettiva sul fenomeno del riciclaggio; nel contempo viene lasciata autonoma azione di controllo alle autorità di settore che, attraverso il monitoraggio costante degli operatori, sono a conoscenza di situazioni, prassi operative, caratteristiche dei soggetti fondamentali per condurre un’azione efficace.
        Tra la Consob e l’UIC vige un protocollo di intesa siglato nel 1996. Tale documento è nato dall’esigenza di conseguire risultati più efficaci nella lotta al riciclaggio tramite una più efficiente collaborazione fra le autorità di vigilanza, stante in particolare la necessità di comprendere a fondo le complesse modalità tecniche di alcune operazioni. In particolar modo, il protocollo prevede che gli ispettori Consob, nel corso di ispezioni di carattere generale, effettuino controlli relativamente anche alle disposizioni della legge n. 197 del 1991. Prevede inoltre che possano essere condotte ispezioni congiunte Consob-UIC sullo stesso intermediario, ognuno agendo per la parte di propria competenza, e che possano avvenire scambi di informazione fra le due autorità.
        Il principio della collaborazione fra le autorità di vigilanza, al fine di agevolare lo svolgimento delle rispettive funzioni, è sancito a livello normativo dall’articolo 4 del testo unico sulla finanza. Quest’ultimo afferma altresì il principio della non duplicazione dei controlli. L’articolo 5 del decreto legislativo n. 58 del 1998 pone infatti una particolare attenzione alla riduzione degli oneri sui soggetti vigilati e prevede che la "Banca d’Italia e la Consob operano in modo coordinato anche al fine di ridurre al minimo gli oneri gravanti sui soggetti abilitati".
        Il principio della non duplicazione dei controlli è chiaramente affermato nella disciplina comunitaria, in particolare dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea. Essa ha appunto sancito il principio di non duplicazione e proporzionalità, nel senso che gli Stati membri possono applicare norme a soggetti residenti in altri Stati membri solo se non vi siano norme corrispondenti nel paese di origine e se esse siano proporzionate allo scopo che ci si prefigge.
        La Consob è interessata al successo dell’azione dei pubblici poteri al fine di impedire la contaminazione del sistema finanziario, in considerazione del suo compito generale di tutela dei risparmiatori e di promozione della trasparenza del mercato.
        L’Istituto esercita la vigilanza sugli intermediari autorizzati allo svolgimento dei servizi di investimento, al fine di assicurare il rispetto degli obblighi di informazione al mercato, di correttezza professionale nei confronti dei risparmiatori, nonché la regolarità delle negoziazioni di valori mobiliari. Inoltre, curando la trasparenza, la Consob promuove il funzionamento di un mercato dove si formino prezzi non alterati da movimenti di denaro sporco.
        La Consob, nel corso della propria attività ispettiva, che resta lo strumento prevalente per individuare anomalie nel comportamento dei soggetti vigilati, ha individuato a carico di taluni intermediari (SIM, fiduciarie, agenti di cambio) modalità operative giudicate sospette alle quali potrebbero essere sottese operazioni di riciclaggio di denaro di provenienza illecita.
        Quando, sulla base degli elementi a disposizione, le operazioni soggette presentavano il fumus del reato, la Consob ha provveduto a segnalarle all’autorità giudiziaria e all’UIC; nei casi di mero sospetto ha trasmesso la relativa documentazione al solo UIC per le ulteriori attività investigative di competenza.
        Nel quadriennio 1993-1996, la Commissione ha segnalato all’autorità giudiziaria due casi di operazioni sospette riguardanti altrettante società di intermediazione mobiliare (SIM) e 16 casi di omissione di obblighi di registrazione nell’archivio unico informatico (articolo 13, comma 7, della legge n. 15 del 1980) riguardanti 9 SIM, 3 agenti di cambio, 2 banche, una società fiduciaria iscritta nella sezione speciale dell’Albo delle SIM e una commissionaria ammessa negli antirecinti alle grida di Borsa. In alcuni casi essa ha anche accertato, oltre all’omissione di tali obblighi, la falsa indicazione delle generalità del soggetto per conto del quale era stata eseguita l’operazione (articolo 13, commi 7 e 8, della legge citata).
        Se quindi proprio il settore dell’intermediazione mobiliare sembra in generale essere sotto le pressioni della criminalità organizzata, è opportuno interrogarsi su quale sia il rapporto ottimale fra il grado di controllo dell’apparato di vigilanza e l’onere sostenibile per il sistema finanziario. È necessario trovare un giusto punto di equilibrio fra le esigenze di controllo e la necessità di non incrementare eccessivamente gli oneri a carico degli intermediari finanziari e congiuntamente di non ledere la libertà di movimenti di capitali che è uno dei principi cardine del Trattato dell’Unione europea.
        In sintesi – e mi avvio a concludere questa breve relazione – gli elementi principali emersi paiono essere: massimo rilievo della cooperazione internazionale (e su questo terreno verosimilmente resta ancora molto da fare); importanza di un assetto razionale di controlli all’interno del territorio nazionale, con un’unica agenzia di carattere tecnico antiriciclaggio che promuova la collaborazione fra le autorità di vigilanza al fine di non duplicare i controlli, ma che nel contempo valorizzi le esperienze maturate nella vigilanza dei singoli settori dell’intermediazione finanziaria; fattivo apporto degli operatori finanziari.
        Su quest’ultimo punto in particolare, se le regole di trasparenza e correttezza poste a presidio della fiducia non ricevono adeguato sostengo da parte degli operatori finanziari, la fiducia del sistema finanziario ne viene profondamente danneggiata e quel sistema è destinato a decadere o a divenire luogo di attrazione di "cattivi soggetti". L’impegno della Consob è costantemente volto a far sì che ciò non accada. (Applausi).

        PRESIDENTE. Ringrazio l’ingegner Martini.

        Do ora la parola all’avvocato Enrico Granata, direttore centrale dell’Associazione Bancaria Italiana, il quale svolgerà una relazione sul tema: "Bilanci e prospettive del ruolo degli intermediari finanziari nella lotta al riciclaggio".

        GRANATA Enrico, direttore centrale dell’Associazione Bancaria Italiana. Vorrei anch’io ringraziare il senatore Del Turco, presidente della Commissione parlamentare antimafia, per l’invito fatto all’ABI a partecipare a questo incontro; una partecipazione che si inscrive nella continua presenza dell’ABI presso le sedi istituzionali, sia nel momento della definizione e della gestione delle regole sul campo sia nell’ambito delle varie audizioni sul fenomeno del riciclaggio e su altri reati.

        È stato già più volte sottolineato come la tipica operatività delle banche sia quella afferente al sistema dei pagamenti ma anche, in definitiva, quella relativa all’intermediazione sui valori mobiliari nonché all’attività creditizia che espone il sistema al rischio di contaminazione e penetrazione da parte della criminalità, anche organizzata, e al rischio dell’utilizzo per finalità di riciclaggio del denaro sporco. Altro rischio è quello della penetrazione nella stessa struttura proprietaria delle banche.
        In questo contesto, l’impianto del nostro sistema antiriciclaggio affida al sistema bancario, in particolare agli operatori bancari, un ruolo assolutamente forte e decisivo per il successo del contrasto. Basti pensare che l’intero impianto si impernia sostanzialmente su tre fattori fondamentali: la canalizzazione delle transazioni più significative attraverso il sistema degli intermediari autorizzati, la rilevazione e la gestione di dati relativi alle operazioni attraverso l’archivio unico informatico e, infine, la segnalazione delle operazioni sospette. È ovvio che il fine ultimo di tali fondamenti della legislazione è quello di assicurare la presenza delle tracce relative per ricostituire ed identificare i percorsi delle transazioni e i loro riferimenti, nonché assicurare nel contempo un’attiva collaborazione da parte degli intermediari che, accresciuta la consapevolezza degli intermediari stessi in ordine a pericoli di riciclaggio, siano in grado di colmare il divario informativo tra sistema finanziario e organi preposti istituzionalmente all’analisi finanziaria delle transazioni e alle loro repressioni.
        Quello della segnalazione delle operazioni sospette rappresenta, come è noto, il punto e l’aspetto più originale di tutta la costruzione e anche sostanzialmente quello che ha connotato e rilevato aspetti di maggiore criticità.
        Nella relazione annuale del GAFI si legge che "il precedente sistema di segnalazioni è apparso connotato da fattori di debolezza". Credo che ci si sia voluti riferire piuttosto all’impianto delle trasmissioni e della gestione delle segnalazioni stesse in carenza di un organo centralizzato preposto all’analisi finanziaria che fungesse – il che oggi non è – da cerniera tra gli intermediari finanziari, gli organi investigativi e l’autorità inquirente.
        Il ruolo delle banche nella collaborazione attiva per l’azione di contrasto antiriciclaggio presuppone l’effettuazione di segnalazioni fondate sulla rilevazione delle caratteristiche oggettive delle operazioni e dei connotati soggettivi dell’autore delle operazioni stesse. Questa è un’endiadi posta a fondamento dalla nostra stessa legislazione. Si tratta di una questione che va affrontata perché, nell’innegabile certezza che occorre assicurare la più scrupolosa e profonda conoscenza della clientela, si assiste, peraltro con favore da parte del sistema finanziario e delle stesse autorità di vigilanza, a dei processi di crescente oggettivizzazione dei presidi che possano predisporre il sistema ad una migliore gestione e ad una migliore funzionalità delle segnalazioni.
        È stato citato il cosiddetto decalogo della Banca d’Italia che individua una serie di situazioni di anomalie e rappresenta quindi una sorta di dead-line per gli operatori ai fini delle segnalazioni. A questo decalogo della Banca d’Italia l’ABI ha fornito un’ampia collaborazione e lo stesso decreto legislativo n. 153 del 1997 attribuisce esplicitamente agli intermediari nell’ambito della loro autonomia organizzativa la facoltà di predisporre procedure di esame dell’operazione anche mediante l’utilizzo di strumenti informatici e telematici.
        Mi pare sia un riconoscimento molto importante e che ritengo testimonia il segnale di un processo di oggettivizzazione spinto – che occorre rafforzare – dei presidi informatici e quindi, in definitiva, dei fattori di oggettivizzazione che possano presidiare le segnalazioni da parte delle banche non solo in funzione delle caratteristiche intrinseche delle operazioni ma anche per quanto riguarda i connotati della clientela.
        Del resto, occorre da una parte rammentare che ci troviamo di fronte ad un incremento dei sistemi di dialogo a distanza con le banche, quindi a processi di interlocuzione con la clientela attraverso i sistemi remoti e, in definitiva, attraverso un processo di virtualizzazione stessa della banca, dall’altra sottolineare che la complessità delle operazioni di riciclaggio è estremamente forte.
        Nell’esperienza data, le operazioni di riciclaggio nascono dalla giustapposizione e dalla reciproca interconnessione di operazioni complesse, di frammenti di operazioni che nella loro totalità determinano il fattore antiriciclaggio. È difficile, se non impossibile, per il singolo operatore di sportello percepire di per sé le potenzialità criminali di un’operazione finanziaria.
        Il mondo bancario si è dotato autonomamente di un meccanismo di rilevazione informatica di operazioni sospette attraverso il sistema Gianos che copre ormai il 96 per cento degli sportelli bancari. Si tratta di una griglia basata su vari indici di anomalia, un sistema che non pretende di essere esaustivo quanto alla rilevazione di operazioni segnalate, ma che rappresenta un importantissimo presidio e un importantissimo filtro perché gli operatori possano in modo più compiuto e concreto procedere, se del caso, alle successive segnalazioni.
        Ritengo che l’esperienza sul campo del sistema Gianos sia molto rassicurante e il fatto che esso adegui in continuazione la rilevazione dell’indice di anomalia è anche testimonianza del fatto che non rappresenta un sistema granitico ed astratto, ma segue nel concreto anche l’evoluzione delle pratiche criminali.
        Per quanto riguarda il complesso delle segnalazioni, esse si ragguagliano dal 1991 a circa 9.000 e hanno registrato un incremento costante nel corso degli anni, tenuto conto anche della dilatazione della fattispecie del reato di riciclaggio.
        Non sono in grado, né voglio indicare, se questo rappresenti un numero che costituisce il bench-mark del numero totale delle segnalazioni che possono provenire dal sistema finanziario. Mi limito soltanto ad evidenziare che quelle provenienti da banche rappresentano più del 96 per cento del totale delle segnalazioni effettuate. Ovviamente, si tratta di una cifra non ponderata e che non tiene conto dell’incidenza delle transazioni bancarie sul complesso delle transazioni potenzialmente interessate, ma mi sembra sufficientemente indicativa per confermare e dare anche evidenza di cifra al peso e all’incidenza delle segnalazioni provenienti dal sistema bancario nell’ambito totale delle segnalazioni effettuate.
        Sul punto della riservatezza delle segnalazioni è stato già detto qualcosa. Essa è sicuramente favorita anche dall’accentramento delle segnalazioni presso l’Ufficio italiano dei cambi (UIC) e quindi dal superamento della precedente dispersione di segnalazioni presso le autorità locali di polizia. Ma più in concreto il decreto legislativo n. 153 del 1997 ha governato e disciplinato questa materia, assicurando che le segnalazioni da inviare all’UIC vengano effettuate senza indicare i nominativi dei segnalanti e prevedendo che le denunce e il rapporto dell’UIC agli organi investigativi e al magistrato penale non debbano fare menzione dell’identità degli intermediari e dei funzionari segnalanti. Va detto a questo proposito che la stessa normativa prevede che il magistrato possa, con apposito decreto, assumere le notizie in questione qualora le ritenga indispensabili ai fini dell’accertamento dei reati per cui si procede. È chiaro che in conseguenza dell’esercizio di tale facoltà i dati entrano nella disponibilità legale di tutte le parti del procedimento ed inoltre decade ogni riservatezza con la chiusura delle indagini preliminari e la definizione degli ulteriori sviluppi processuali. Ciò detto, è sul campo che rileveremo quale sarà l’uso concreto di tale facoltà e quale sarà l’eccezionalità con cui i magistrati procedenti provvederanno a disporre con decreto l’acquisizione dei dati relativi all’individuazione degli intermediari e dei funzionari segnalanti.
        Mi pare molto importante notare come si sia data anche risposta ad un’esigenza più volte sottolineata, cioè quella di assicurare agli intermediari segnalanti un flusso di ritorno e quindi di concepire il rapporto fra sistema bancario e autorità come un raccordo non solo unidirezionale ma in qualche senso biunivoco. Il decreto legislativo n. 153 del 1997 prevede che l’UIC dia notizia all’intermediario segnalante qualora gli organi investigativi non abbiano dato ulteriore corso alla segnalazione. Questo è un passo in avanti molto importante e riguarda nello specifico la sorte della segnalazione e quindi la sua incidenza sull’operazione considerata, in definitiva sul cliente interessato.
        Occorre consolidare ciò che già in buona parte avviene: fornire, in particolare da parte di chi provvede all’analisi complessiva finanziaria dell’operazione, quelle notizie e quegli elementi utili al sistema finanziario per massimizzare l’azione di contrasto anche in funzione degli elementi di acquisizione che l’UIC potrà detenere più in generale in funzione delle tematiche e delle modalità di attuazione delle operazioni di riciclaggio.
        Il professor Bianchi ha poc’anzi segnalato come occorra che il sistema bancario esprima una convinta adesione allo spirito della normativa antiriciclaggio e alle sue ultime finalità, prima e più ancora che alle regole formali che ne costituiscono il tessuto. Credo di poter dare assicurazione assoluta della piena consapevolezza da parte del mondo bancario, della funzionalità del sistema; esso non è funzionale al solo contrasto del riciclaggio ma anche alla stabilità e alla tutela della reputazione degli operatori medesimi. Quindi, vi è un interesse generale, etico e deontologico ed anche un interesse d’impresa che presidia il rispetto delle regole contro il riciclaggio di denaro sporco. La formazione dei dipendenti non è soltanto un obbligo di legge per quanto riguarda la cultura antiriciclaggio, ma anche una previsione esplicita dei contratti collettivi nazionali di lavoro.
        Ma più che una mia testimonianza, la quale provenendo da un dirigente dell’ABI può anche essere considerata di parte, credo che valga anche quanto ravvisabile nel rapporto del GAFI che sottolinea favorevolmente la bontà delle procedure interne assai innovative e i capillari programmi di addestramento presenti e adottati a livello di sistema finanziario italiano.
        Mi avvio ora alla conclusione. Ci avviciniamo alla moneta unica e credo non sia prematuro considerare e rilevare già da oggi quali saranno gli effetti dell’Euro sul fenomeno del riciclaggio nell’ambito dell’Unione europea. Già si pensa, in particolare, per quanto riguarda alcuni profili operativi, alle potenzialità di riciclaggio implicite nell’immane operazione che avverrà nel primo semestre del 2002 per sostituire e cambiare banconote e prezzi monetari in lire con banconote e prezzi monetari in Euro. Potrà essere l’occasione per operazioni di riciclaggio, quindi l’attenzione dovrà essere molto vigile al riguardo.
        Il giudizio che l’ABI dà della legge credo sia sostanzialmente positivo. Molte cose erano già state segnalate anche dal sistema bancario e credo che molte richieste siano state accolte. Ma, proprio in rapporto alle regole, bisogna tener conto della crescente valenza della componente degli ordinamenti, e quindi della crescente potenzialità distorsiva della concorrenza, che possono avere regole difformi nell’ambito di uno stesso spazio economico-finanziario.
        Nell’ambito dell’Unione europea tutti i paesi interessati definiscono il riciclaggio come reato; non era così all’inizio di questo decennio. Peraltro, la latitudine e l’ampiezza del reato varia da paese a paese. Il reato presupposto afferisce a situazioni di particolare gravità in alcuni paesi (traffico di droga, estorsione e rapina); in altri, come nel nostro paese, include tutti i delitti non colposi. C’è dunque una differenza di trattamento del riciclaggio sotto il profilo penale che si riflette anche sull’ampiezza delle potenziali segnalazioni. Il commissario Monti, in un discorso di qualche giorno fa, ha già manifestato la propria intenzione di introdurre una modifica alla direttiva comunitaria sul riciclaggio, estendendo il concetto di reato presupposto ad una serie di reati seri. Io non so quale sia il confine tra reati seri e delitti non colposi, ma è sicuramente questione da affrontare per assicurare non solo identità di trattamento, ma pari funzionalità all’azione di contrasto.
        Un’ultima riflessione. È stata segnalata l’opportunità dell’istituzione dell’anagrafe centralizzata dei conti e dei depositi. Ricordo che si tratta di una disposizione contenuta nella legge finanziaria per il 1992, approvata nel dicembre 1991. Siamo quindi a circa sette anni di distanza da una disposizione legislativa a cui non si è dato corso. Il sistema bancario è stato piuttosto perplesso su questa previsione, come su tutte le previsioni che hanno una ricaduta sui rapporti con la clientela, a meno che non si tratta di misure da gestire con tutte le cautele necessarie per assicurare il rispetto della necessaria riservatezza che deve informare i rapporti tra banca e clienti. Se si darà corso a questa previsione normativa – sottolineo quanto è già stato detto dal dottor Ciampicali – l’allocazione dell’anagrafe centralizzata dovrà avvenire nell’ambito delle autorità istituzionali, o comunque di loro espressioni, più vicine, più contigue, più funzionali all’attività del sistema finanziario e bancario italiano. È noto che questa anagrafe potrebbe essere anche una risposta in qualche misura all’esigenza di efficienza e contenimento di costi che oggi sconta il sistema bancario nei confronti non solo della magistratura, ma anche dell’amministrazione finanziaria, perché potrebbe consentire di individuare immediatamente l’allocazione delle posizioni della clientela, senza coinvolgere inutilmente, con spreco colossale di risorse, l’intero sistema bancario per capire dove un certo soggetto detiene la propria posizione di conto o di deposito. (Applausi)

        PRESIDENTE. Ringrazio l’avvocato Enrico Granata e cedo la parola al vice capo della Polizia di Stato, prefetto Gennaro Monaco, che svolgerà una relazione dal titolo: "Le prospettive del coordinamento delle forze di polizia nella lotta al riciclaggio". 

        MONACO Gennaro, vice capo della Polizia di Stato. Vorrei innanzi tutto rivolgere un saluto cordiale a tutti i presenti ed un ringraziamento particolare al Presidente della Commissione parlamentare antimafia ed ai suoi componenti per aver organizzato questo convegno su un tema di grande interesse e di estremo rilievo nell’ambito delle strategie di lotta al crimine organizzato. È ormai opinione condivisa, anche nei fori internazionali, che la lotta al riciclaggio rappresenta uno dei settori di interesse primario per il contrasto alla criminalità organizzata, che sempre più si sta rivelando una temibile minaccia all’ordine, non solo economico, mondiale. Questo tema va affrontato ovviamente tenendo conto del particolare scenario che si è andato sviluppando in questi ultimi tempi, in quella che è stata definita "l’era della globalizzazione". Le sue caratteristiche sono: la mondializzazione dei mercati, l’integrazione dei circuiti finanziari, l’abbattimento di storiche frontiere ed il crollo delle ideologie. A tutto ciò ha contribuito, in maniera notevole, anche lo straordinario sviluppo dell’informatica e della telematica che ha consentito di annullare le distanze fisiche, trasportando le attività umane in un mondo "senza spazio e senza tempo" in cui è possibile operare sempre e dovunque.

        Questo mondo senza confini ha messo insieme paesi ad economia avanzata con quelli in via di sviluppo e con quelli in transizione. Questi ultimi, che stanno compiendo il delicato passaggio dall’economia amministrata a livello centrale a quella del libero mercato, vedono grandi opportunità nell’economia mondiale e stanno velocemente liberalizzando i mercati finanziari, rimuovendo le barriere che impediscono il libero scambio ed andando in cerca di investitori stranieri. Ne sono risultate nuove potenzialità d’azione anche per la criminalità organizzata, che ha sviluppato le sue propaggini transnazionali sfruttando a proprio vantaggio gli spazi virtuali e le difficoltà di reazione degli apparati di contrasto al di là delle frontiere nazionali. Del resto, molte organizzazioni criminali, tra cui la malavita italiana di tipo mafioso, avevano già da tempo assunto caratteristiche di vere e proprie holdings e non si sono certo lasciate sfuggire le occasioni offerte da questo nuovo mondo senza confini. Il processo evolutivo di tali sodalizi, come è a tutti noto, inizia con attività "tradizionali" strettamente legate al territorio (racket, usura, traffici di sostanze stupefacenti eccetera). Queste consentono l’accumulazione di un proprio patrimonio da investire in ulteriori attività e traffici illeciti. L’ultimo stadio del processo evolutivo vede un’associazione, o meglio un’impresa criminale, dotata di una cospicua disponibilità economico-finanziaria, impegnata anche e soprattutto in settori leciti.
        Il riciclaggio accompagna, come momento strumentale, la crescita e lo sviluppo dell’organizzazione criminale. I suoi metodi e tecniche dipendono dallo stadio del suo processo evolutivo. All’inizio sono semplici e rudimentali; in seguito arrivano ai complessi intrecci societari, all’impiego di circuiti finanziari ed al coinvolgimento di qualificate figure professionali. Alla fine il riciclaggio, consente il "traghettamento" dell’impresa criminale nel mondo del lecito. È questa la fase critica: essa rappresenta il momento in cui l’azione di contrasto può aggredire con gli strumenti antimafia l’organizzazione criminale in quanto tale, prima che si integri nel tessuto legale, acquistando una veste di rispettabilità e sottraendosi così alle tradizionali metodiche di lotta da parte delle istituzioni. Una volta, infatti, che un patrimonio è stato riciclato, è estremamente complesso risalirne all’origine e distinguere i capitali "lavati" da quelli leciti.
        L’attenzione dedicata alla materia nelle sedi politiche e tecniche, il susseguirsi di iniziative volte alla definizione o all’aggiornamento di programmi e di direttrici di contrasto sono significativi sia dell’importanza che il fenomeno del riciclaggio sta sempre più assumendo, sia delle difficoltà per contrastarlo efficacemente. Questo perché: genera enormi profitti e consente al crimine di infiltrarsi nei settori legali dell’economia; è un fenomeno in rapida e costante evoluzione; anche gli ordinamenti più avanzati, come quello italiano, necessitano di continui adeguamenti e aggiornamenti; un’azione di contrasto al riciclaggio condotta su scala nazionale consente esiti limitati e comunque non esaustivi; una risposta vincente a livello internazionale presuppone un’applicazione omogenea e senza lacune delle strategie di contrasto. Non a caso l’esigenza di perfezionare i meccanismi di lotta al riciclaggio viene ribadita dai grandi organismi internazionali, come l’ONU, l’Unione europea, il GAFI, il Consiglio d’Europa.
        Questo sia pur sintetico quadro indica chiaramente che il piano strategico internazionale sostanzialmente è ancora in una fase evolutiva, in particolare non si è ancora trovata alcuna soluzione per un’efficace azione internazionale nei confronti dei cosiddetti "paradisi fiscali". Anche la legislazione antiriciclaggio italiana, introdotta già nei primi anni Novanta, che pure risulta una delle più aggiornate, non ha ancora raggiunto una assetto tale da rappresentare quella garanzia di risultati soddisfacenti già conseguiti in altri settori di lotta alla grande criminalità; d’altra parte, essa ha recepito tutte le indicazioni emerse nei fori internazionali ed ha potenziato gli strumenti e le strutture di prevenzione.
        Si può perciò affermare che è stato fatto tutto quanto era in astratto possibile; ma è abbastanza? Proprio il tecnicismo e la complessità della disciplina, lo stesso procedere dell’aggiornamento legislativo attraverso norme settoriali sparse in tanti testi di legge rappresentano un ostacolo per la formazione di professionalità antiriciclaggio a tutto tondo. Anche sul fronte più ristretto dell’attività tradizionale di polizia, si avverte l’esigenza di una semplificazione (che nel nostro paese considero necessaria per tutta la legislazione) che recuperi la frammentazione normativa già tipica della logica emergenziale antimafia, per favorire la più completa conoscenza degli strumenti antiriciclaggio tra gli operatori. Si guarda, pertanto, con estremo interesse a progetti, come quello del testo unico in materia di misure di prevenzione, cui si augura una rapida conclusione, ed a tutte le iniziative comunque tese ad una diffusa ottimizzazione delle attuali potenzialità di un settore che spazia dalle misure patrimoniali di prevenzione a quelle penali, dall’accertamento patrimoniale all’accessibilità di archivi elettronici specializzati, dalle metodiche classiche di polizia giudiziaria alle operazioni sotto copertura, dagli illeciti societari e fiscali all’associazione di tipo mafioso, dalla cooperazione Interpol a quella Europol.
        L’ultimo intervento del legislatore, in ordine di tempo, è rappresentato dal decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 153, che ha soprattutto inciso sulla disciplina delle cosiddette operazioni sospette, di cui hanno parlato anche gli oratori che mi hanno preceduto. La nuova norma, come è noto, ha perfezionato l’efficacia degli strumenti operativi e ha ridisegnato il quadro delle strutture chiamate a intervenire; in particolare, ha rimesso compiti di prima analisi ad organismi altamente specializzati del Ministero del tesoro. Questi si interfacciano, per gli approfondimenti informativi ed investigativi, con la Direzione investigativa antimafia e il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza: strutture di specifica professionalità che rappresentano, nel settore, la punta di diamante dell’azione complessiva degli apparati di polizia.
        La DIA e la Guardia di finanza hanno adottato, il 16 marzo ultimo scorso, un protocollo di intesa volto a disciplinare la ripartizione delle rispettive aeree di intervento. Esso prevede la competenza della DIA per le segnalazioni che risultino attinenti a fenomeni associativi di tipo mafioso e quella della Guardia di finanza per tutte le altre. Al riguardo, il comandante generale della Guardia di finanza e il direttore della DIA forniranno sicuramente nei loro interventi elementi di informazione e di analisi ad ampio spettro.
        La scelta legislativa di affrontare l’accertamento delle cosiddette operazioni sospette attraverso l’attivazione complementare di apparati dotati di culture diverse rappresenta sicuramente una risposta valida alle tecniche criminali più avanzate. È questo, infatti, un problema complesso che va necessariamente affrontato sotto varie ottiche (finanziaria, antimafia, fiscale, anticorruzione e così via) e quindi con un approccio multidisciplinare.
        Il circuito fissato dalla norma risponde ad un’esigenza di approfondimento specialistico della segnalazione di operazione sospetta, che però ha in sé il rischio di un accertamento eccessivamente mirato, in grado di focalizzare fino al massimo ingrandimento solo taluni aspetti della realtà, senza poter avere della stessa una visione globale. Ciò per due motivi: innanzi tutto, i vari apporti specialistici traguardano il fenomeno dal loro particolare angolo prospettico; inoltre, un approfondimento completo non può prescindere dalla conoscenza del contesto socio-economico e criminale in cui l’operazione è stata realizzata.
        I passi successivi da compiere, nella medesima ottica multidisciplinare, richiedono pertanto il coinvolgimento nel circuito di verifica delle segnalazioni di operazioni sospette di eventuali ulteriori comparti specializzati e, comunque, delle strutture territoriali di polizia, per un riscontro informativo il più ampio possibile e per il migliore sfruttamento operativo della segnalazione; richiedono altresì l’integrazione degli approfondimenti sulle operazioni sospette nell’ambito della più ampia strategia complessiva di aggressione ai patrimoni criminali (mi riferisco alle misure di prevenzione patrimoniale, al perseguimento penale delle associazioni, alla lotta alla corruzione, agli accertamenti patrimoniali, alle verifiche fiscali eccetera), realizzando un più marcato raccordo tra attività preventiva e attività repressiva.
        Il conseguimento di tali obiettivi passa necessariamente attraverso la funzione di coordinamento delle diverse forze di polizia che sia in grado di esaltare le diverse professionalità, correlare unitariamente le informazioni disponibili, valorizzare appieno la capillarità territoriale dell’intero sistema delle forze di polizia.
        Presupposto indispensabile per l’esplicazione di qualsiasi momento di coordinamento è la piena attuazione del principio della circolarità informativa, che si realizza attraverso la condivisione del patrimonio informativo affinché ogni professionalità possa attingervi. Sarà così possibile leggere gli stessi dati con lenti diverse ed integrare le varie analisi con spunti ed indicazioni diversificate. È noto infatti che, in tema di attività di intelligence, il mosaico risultante dalle diverse analisi è qualcosa in più della mera somma delle singole tessere che lo formano.
        È prioritario perciò accelerare ancora di più i processi di condivisione delle informazioni tra le forze di polizia, per far mettere a disposizioni delle strutture anticrimine ed antiriciclaggio anche spunti provenienti da settori di indagine non tradizionali, come quelli degli illeciti finanziari o tributari curati dalla Guardia di finanza.
        A riprova dell’importanza di tale circuito per la lotta alla criminalità organizzata ed al riciclaggio, vorrei ricordare l’intervento del signor Ministro di grazia e giustizia il 28 maggio ultimo scorso a Bruxelles, nel corso della seduta del Consiglio dei Ministri dedicata agli affari interni e di giustizia. In quella sede il ministro Flick ha indicato, quale priorità nella lotta al crimine organizzato, l’aggressione del fronte economico della malavita organizzata ed ha individuato i seguenti obiettivi, tra loro collegati: il controllo delle operazioni finanziarie come momento specifico della lotta al riciclaggio nella strategia anticrimine; la revisione legislativa e delle procedure tributarie per creare meccanismi di cooperazione tra il settore tributario e la repressione della criminalità; la realizzazione di una maggiore trasparenza nel mondo degli affari, con particolare riferimento agli assetti ed alle proprietà societarie. Significativi passi in tal senso si stanno già compiendo e al riguardo mi piace ricordare la recente apertura, a tutte le forze di polizia, della banca dati dell’anagrafe tributaria, già accessibile alla sola Guardia di finanza.
        Un’ulteriore considerazione, a questo punto, è da fare in ordine alla necessità di integrare i meccanismi di verifica delle cosiddette operazioni sospette nell’ambito di una strategia complessiva di lotta ai patrimoni illeciti. È noto infatti che le verifiche sulle operazioni sospette hanno fornito un contributo tendenzialmente crescente nel tempo, ma non particolarmente significativo per lo sviluppo delle più importanti operazioni antiriciclaggio condotte nei confronti del crimine organizzato.
        Del resto, le verifiche sulle operazioni sospette costituiscono solo uno dei momenti della lotta al riciclaggio e al reinvestimento dei soldi sporchi. L’esperienza completa della lotta al riciclaggio realizzato da sodalizi di tipo mafioso si è, infatti, per lo più giovata delle attività informative di polizia in termini di conoscenza del tessuto economico locale, del vissuto dell’impresa e della personalità degli investitori, della struttura del sodalizio e dei suoi collegamenti.
        Significativi in tal senso sono i risultati conseguiti sul piano dei provvedimenti patrimoniali adottati nei confronti di esponenti mafiosi, non solo nelle aree a rischio, ma un po’ in tutte le regioni d’Italia. Ciò costituisce una riprova della capacità di aggredire i patrimoni delle organizzazioni criminali partendo dall’approfondimento investigativo e di prevenzione nei confronti dei soggetti e dei sodalizi. Ciò dimostra altresì che una mirata azione di contrasto che non voglia affidarsi alla mera casualità dell’accertamento o della segnalazione deve partire dai seguenti tre elementi: la conoscenza del territorio e dei personaggi criminali; le investigazioni condotte sul campo; la circolarità delle informazioni a livello di uffici territoriali.
        Nella stessa ottica sono orientate le recenti direttive del signor Ministro dell’interno sui servizi specializzati centrali ed interprovinciali, che affidano i compiti operativi alle ordinarie strutture territoriali di polizia e riservano agli uffici centrali i compiti di impulso, supporto e coordinamento.
        D’altra parte, anche le indicazioni provenienti dai circuiti finanziari potrebbero essere oggetto di accertamenti più approfonditi, laddove venissero coinvolte anche le diverse strutture (territoriali e di intelligence) di polizia, che potrebbero disporre o acquisire ulteriori elementi di riscontro. Il valore aggiunto di un tale sistema integrato traspare in tutta la sua evidenza laddove si consideri che il riciclaggio non è un’attività tipica della malavita di tipo mafioso, ma è piuttosto un’impresa criminale.
        La necessità di un approccio multidisciplinare che vada oltre i profili specialistici, tributario e della lotta alla mafia, appare infatti ancora più vistosamente ove si colga il rilievo del riciclaggio per fenomeni delinquenziali diversi dalla criminalità organizzata in senso pieno, come la corruzione, gli illeciti societari, il narcotraffico, il traffico di auto rubate. Non è per caso che queste ultime attività criminali costituiscono, a livello di cooperazione internazionale, uno dei temi più rilevanti. Peraltro, non si possono ignorare i traffici degli essere umani e tutti i fenomeni criminali collegati ai flussi di immigrazione clandestina. È facile pertanto riconoscere come il riciclaggio non sia un settore criminale autonomo, ma un momento strumentale alla concreta realizzazione di diversificate attività illecite.
        Prendendo esempio dall’esperienza europea, non è casuale che la Convenzione Europol non indichi il riciclaggio come autonoma materia di intervento, ma preveda una competenza sul riciclaggio di denaro collegato alle altre forme di criminalità. Ne deriva, in ultima analisi, la necessità di considerare l’azione antiriciclaggio nel contesto più ampio della strategia di lotta alla criminalità, che a sua volta è parte integrante dell’azione di tutela della sicurezza pubblica affidata al Ministro dell’interno. Egli, invero, quale autorità nazionale di pubblica sicurezza, è l’unico che dispone di una visione unitaria delle esigenze anticrimine per delineare le opportune strategie e priorità di intervento, assicurando che questo si realizzi comunque in un contesto sinergico ed armonico.
        Il Dipartimento della pubblica sicurezza, in tale prospettiva, ha a sua volta il compito di assicurare il coordinamento tecnico-operativo delle forze di polizia, attuando quindi un’azione di contrasto unitaria e avvalendosi del loro supporto. Quindi, risposta unitaria pur nella diversità delle singole professionalità.
        Resta comunque chiara la coscienza che la lotta al riciclaggio rappresenta una delle priorità di azione contro la criminalità, e in tale visione prospettica va orientato ogni sforzo. Il riciclaggio rappresenta non solo un pericolo grave per gli assetti sociali ed economici delle comunità, ma anche per i sistemi politici delle diverse nazioni, in una parola per la democrazia. L’augurio è che tutti si sentano partecipi a questa comunità d’azione senza gelosie e con spirito di servizio, ben sapendo che alta è la posta in gioco. (Applausi)

        PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto Monaco e do la parola al generale Mario Mori, comandante del Raggruppamento operativo speciale dell’Arma dei carabinieri, il quale svolgerà una relazione sul tema: "L’esperienza dell’Arma nella lotta al riciclaggio".

        MORI Mario, comandante del ROS. Signor Presidente, signori, nelle sue linee generali il fenomeno del riciclaggio è schematicamente suddivisibile in tre fasi: l’accumulazione primitiva dei capitali illeciti, la trasformazione dei capitali da illeciti a leciti, mediante l’inserimento dei primi nei circuiti delle banche e di altre attività finanziarie, e l’investimento di capitali originariamente illeciti, di cui una parte viene nuovamente destinata a potenziare e alimentare i traffici illeciti, mentre altra parte viene dirottata verso l’investimento, inteso nel senso capitalistico del termine.

        La trasformazione di capitali da illeciti a leciti attraversa a sua volta tre diversi momenti di progressione verso la completa mimetizzazione del denaro sporco: la fase del collocamento, ossia dell’ingresso nel circuito lecito, ed è questa la fase che rappresenta il momento di massimo rischio per l’investitore criminale; lo stadio della stratificazione, ovvero del mascheramento, realizzantesi mediante l’interposizione di schermature idonee a distinguere il provento dalle sue origini illecite; il momento dell’integrazione, cioè della soluzione di un’apparente legittimità della ricchezza nel sistema, così da consentire nel futuro la produzione di arricchimenti giustificati.
        Le metodologie impiegate dalle organizzazioni criminali nell’azione di riciclaggio di capitali di provenienza illecita sono ormai estremamente diversificate. Mi limiterò qui a citarne alcune particolarmente interessanti, oggetto di investigazione da parte dei reparti dell’Arma dei carabinieri. Una tecnica di riciclaggio molto semplice e lineare è quella, ad esempio, usata da un’organizzazione criminale che, partendo dalla constatazione che la ripulitura del denaro a mezzo di professionisti della materia costava e costa tuttora molto in termini economici, con una perdita calcolata in circa il 35 per cento del capitale, e non garantiva né l’utilizzazione immediata del denaro né l’immunità da eventuali accertamenti, provvedeva a costituire in forma societaria una finanziaria, un’agenzia immobiliare e un magazzino all’ingrosso per forniture di materiale edile, inizialmente con la titolarità di prestanome, quindi con il controllo diretto da parte di esponenti dell’organizzazione stessa.
        Successivamente, la finanziaria, individuate alcune imprese edili in difficoltà economiche e facenti capo a imprenditori incensurati, offriva loro finanziamenti a tasso vantaggioso, esigendo di contro l’obbligo di avvalersi dell’immobiliare per la vendita degli appartamenti, con l’accordo, solo verbale, di servirsi del magazzino per l’approvvigionamento di materiale edile. Il finanziamento erogato all’impresa era quindi comprensivo in parte di denaro reperito dalla finanziaria nel circuito bancario, e in parte, quella più consistente, di denaro sporco elargito in nero. L’operazione veniva assicurata da una serie di compromessi di vendita degli immobili costruendi fittizi ed intestati a persone di comodo o inesistenti. A realizzazione e vendita reale avvenute, i compromessi falsi venivano sostituiti con quelli veri; contestualmente veniva fornito il materiale edile, il cui pagamento costituiva di fatto la restituzione da parte dell’imprenditore della somma prestata, restituzione che poteva anche essere effettuata in natura, con la cessione di alcuni immobili, che venivano successivamente trasferiti per la vendita dal magazzino all’ingrosso all’immobiliare. Veniva in tal modo saldata una connessione fra la finanziaria, l’immobiliare e l’azienda commerciale, benché ciascuna agisse separatamente dall’altra e non fosse visibile il legame strutturale che consentiva il recupero del denaro investito. Agli utili di detta società partecipavano quindi i componenti dell’organizzazione criminale che, con il progressivo acquisto di quote societarie direttamente o mediante prestanome, di fatto ne acquisivano il controllo.
        Le operazioni così realizzate, dalle quali traspariva la sola sottoscrizione delle azioni e la percezione dei dividendi ad esse relativi poi reinvestiti nell’acquisto di ulteriori azioni, non destavano sospetti né depauperavano il capitale inizialmente investito.
        Nel caso descritto, un ruolo centrale nell’attività di riciclaggio è svolto da una società finanziaria costituita ad hoc dall’organizzazione criminale. Indipendentemente da tale caso limite, è opinione diffusa che le società finanziarie siano ormai potenzialmente in grado di gestire il patrimonio delle organizzazioni criminali, trasferendo nell’economia legale e sfruttando la forza della liquidità per ogni forma di condizionamento nel contesto sociale e finanziario.
        Sempre in tema di società finanziarie, esemplare è l’attività di un’articolata organizzazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti collegata a cosche della ’ndrangheta, che riciclava il denaro attraverso una finanziaria che, elargendo prestiti a tassi usurari – 130 per cento – tendeva ad acquisire capitali immobiliari e attività imprenditoriali delle vittime insolventi. Strettamente collegato al riciclaggio è dunque anche il fenomeno dell’usura, riproposto costantemente all’attenzione dell’opinione pubblica da pressoché quotidiani fatti di cronaca.
        Infatti, in una fase come questa di difficoltà economica, in cui l’accesso al credito è sempre problematico, soggetti potenzialmente in grado di disporre di consistenti quantità di denaro liquido, sono senz’altro i grandi gruppi criminali che possono utilizzare i canali usurai come forma di riciclaggio.
        Partendo dalla considerazione che l’esercizio dell’intimidazione è connaturale alla fase di riscossione degli interessi, si può affermare che l’attività di usura si moltiplichi qualora sia legata direttamente o indirettamente alla presenza di associazioni criminali di tipo mafioso, anche in aree geograficamente non tradizionali.
        Le operazioni di polizia giudiziaria e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia hanno confermato l’utilizzo sempre maggiore delle tecniche usuraie per riciclare i proventi di altre attività illegali. Un collaboratore di giustizia dell’area pugliese, ad esempio, ammette che una delle attività più lucrose del suo gruppo era rappresentato proprio dall’usura, con la concessione di prestiti al tasso del 150 per cento per affari di miliardi. Sempre secondo lo stesso collaboratore, il ricorso a questa forma illegale di credito è spesso determinato da richieste estorsive da soddisfare.
        D’altra parte, impiegato come strumento di pressione, l’usura notoriamente può innescare meccanismi di esproprio di piccoli esercizi commerciali o di aziende di medie dimensioni, favorendo il riciclaggio di capitali sporchi. Tali dinamiche sono avviate in genere proprio da società finanziarie apparentemente al di sopra di ogni sospetto, ma di fatto collegate alle organizzazioni criminali. Individuate aziende ed esercizi commerciali in difficoltà, le finanziarie dapprima offrono prestiti a tassi inferiori a quelli proposti dalle banche, poi, in un secondo tempo, chiedono l’acquisto di quote azionarie fino ad ottenere l’effettivo controllo dell’impresa ad un prezzo sensibilmente inferiore a quello di mercato.
        Altrettanto ricorrenti sono i casi in cui, mediante un’estorsione continuata, si costringe la vittima a fare ricorso a prestiti usurari e, ancora più frequenti, i casi in cui lo stesso prestito viene trasformato in una forma di taglieggiamento che prelude all’ingresso forzato nella gestione delle imprese. Per le organizzazioni mafiose dunque la riscossione dell’interesse usurario non sempre ha un valore primario, ma è sovente strumentale al riciclaggio e all’acquisizione di attività imprenditoriali.
        La pratica del riciclaggio di denaro operato su scala internazionale, con attività borsistiche o cambiarie, comportava necessariamente in passato il ricorso a professionisti esterni all’organizzazione. Attività investigative più recenti confermano invece un rapido processo evolutivo delle maggiori organizzazioni criminali, con l’acquisizione di una progressiva autonomia dell’attività di riciclaggio e di reinvestimento attraverso l’integrazione organica del supporto professionale, così da ottenere la riduzione dei costi ed evitare i rischi delle transazioni.
        Tale evoluzione della criminalità nel settore economico, oltre a quanto già detto precedentemente, emerge chiaramente anche da un altro complesso di indagini che ha consentito di accertare l’esistenza di una struttura criminale collegata ad una cosca della ’ndrangheta calabrese e dedita ad una estesa attività di investimenti finanziari su scala internazionale, attraverso la quale trovavano puntuale reimpiego ingenti capitali provento in prevalenza di attività illecite riconducibili all’organizzazione stessa.
        In particolare, le investigazioni hanno posto in risalto come, attraverso speculazioni valutarie effettuate sia clandestinamente, sia tramite referenti bancari internazionali, il denaro dell’organizzazione criminale venisse non solo sostituito, ma anche moltiplicato. Vediamo dunque con quali modalità concrete agiva l’organizzazione. Il capitale illecito in lire italiane veniva in primo luogo convertito attraverso canali clandestini in dollari USA, offerti ad un tasso di cambio inferiore a quello ufficiale e pertanto da ritenersi anch’essi sporchi. Questi dollari, attraverso referenti mediorientali, venivano convertiti ulteriormente in dinari libici presso una banca del Cairo. Il denaro veniva poi trasferito presso istituti finanziari e creditizi svizzeri o mediante corrieri o transitandolo su conti correnti accesi presso istituti bancari ciprioti o libanesi. Presso le banche elvetiche, infine, il capitale veniva riconvertito ad un tasso di cambio superiore a quello praticato in Egitto, o reinserito nel circuito finanziario e valutario attraverso investimenti in certificati di deposito o in un’altra valuta oppure ancora rientrava in Italia attraverso bonifici su conti bancari.
        Quanto acquisito consente di valutare l’eccezionale crescita attuata in campo economico e finanziario dalle organizzazioni criminali ove si consideri che fino a qualche anno fa – e qualcuno mi può in questa sede dare ragione – era normale rinvenire nel corso delle perquisizioni pacchi di denaro contante occultati nei divani, nei materassi o negli stipi delle cucine.
        L’indagine in questione ha inoltre confermato aspetti del fenomeno particolarmente preoccupanti. Le organizzazioni criminali sono da tempo in grado di accedere agevolmente ai mercati finanziari internazionali eludendo ogni forma di controllo valutario. L’evoluzione del circuito finanziario attivato dalle consorterie mafiose consente ormai contatti qualificati con noti faccendieri internazionali e strategie sempre nuove.
        Più indagini hanno evidenziato un sistema di riciclaggio utilizzato in particolare dalle cosche siciliane, basato essenzialmente sullo sfruttamento delle proiezioni criminali verso insediamenti di origine migratoria in alcune regioni del Nord. È il caso del commercio delle carni macellate, che già nei primi anni Sessanta ha visto esponenti di Cosa nostra insediarsi nel Lazio, in Emilia, in Lombardia, per creare aziende che nel tempo hanno raggiunto una buona competitività.
        In alcune di queste aree, o inserendosi in aziende in fase di chiusura, o sfruttando aziende di proprietà di congiunti o di correi, oppure dando vita a scatole vuote, sono state costituite varie imprese da parte di emissari delle cosche, utilizzando spesso dei prestanome. I proventi delle attività illecite svolte per lo più in Sicilia venivano materialmente portati presso le sedi delle aziende dell’Italia settentrionale, per le quali era usuale operare per contanti, come quelle che trattano la compravendita di bestiame per la macellazione. Presso la stessa azienda venivano anche fatti confluire altri capitali che erano stati trasformati in assegni presso le case da gioco, secondo il sistema tradizionale dell’acquisto di fiches e della restituzione delle stesse alla cassa che rilascia il controvalore in assegno.
        Il denaro sporco veniva utilizzato per ricapitalizzare l’azienda, con l’acquisto di macchinari, immobili e automezzi, facendola così crescere rapidamente. Dopo queste operazioni il responsabile dell’azienda veniva sostituito con un prestanome, normalmente nullatenente, che non aveva molto da perdere, e l’azienda o veniva trasferita all’estero o veniva avviata al fallimento, attraverso il trasferimento degli utili, dei macchinari, degli immobili e del portafoglio clienti a società collegate normalmente con sede all’estero.
        Prima dell’avvio della procedura concorsuale, tutti i documenti contabili venivano fatti sparire, o simulando furti o provocando incendi. Il prestanome, ben remunerato, subiva, senza controbattere, le sanzioni civili e penali del fallimento, mentre la società collegata beneficiava dell’iniziativa truffaldina, monetizzava i beni e con i nuovi capitali riavviava lo stesso circuito o provvedeva alla distribuzione degli utili, spesso immobilizzandoli in conti presso banche di paesi ove aveva sede l’impresa beneficiaria o investendoli in immobili in zone ad alta remunerazione.
        Altro sistema particolarmente usato dalla criminalità organizzata per riciclare i proventi illeciti è la fatturazione di operazioni inesistenti. Esso infatti soddisfa nella maniera migliore l’esigenza dissimulatoria della provenienza, caratteristica del riciclaggio, e nel contempo consente di realizzare ulteriori guadagni attraverso il soddisfacimento di vari interessi, quali, ad esempio, la riduzione dell’attivo nella dichiarazione dei redditi, l’evasione dell’IVA e la copertura di eventuali tangenti, occultandone l’erogazione sotto prestazioni commerciali.
        L’ipotesi più semplice è quella di un’azienda, controllata o comunque "influenzata" dall’organizzazione criminale, nel cui ambito debbano, ad esempio, affluire proventi del traffico della droga.
        Indipendentemente dal problema degli strumenti finanziari utilizzati, laddove esista un’altra impresa, che nulla ha a che vedere con la prima ma che necessita di fatture false (ad esempio per meri fini fiscali), si può determinare il seguente meccanismo: l’impresa mafiosa fattura operazioni inesistenti (caso tipico: prestazioni di servizi mai effettuate); l’impresa "terza" paga regolarmente il corrispettivo dell’operazione (compresa l’IVA); l’organizzazione provvede a restituire (il più delle volte all’estero) il suddetto corrispettivo, naturalmente decurtato di una congrua "provvigione", in genere pari a circa il 30 per cento del corrispettivo stesso.
        Questo meccanismo consente all’impresa mafiosa un duplice vantaggio: l’immissione senza problemi dei fondi nel patrimonio aziendale, grazie alla schermatura di un’operazione economica con terzi del tutto insospettabili (almeno riguardo a collegamenti con la criminalità organizzata); l’assorbimento, anche totale, degli eventuali costi fiscali a proprio carico attraverso la detta provvigione.
        Un ultimo cenno merita una recentissima attività condotta nel settore, concreto esempio di efficace ricorso alla normativa prevista dall’articolo 12-quater della legge n. 356 del 1992. L’intera attività si è articolata, infatti, su una serie di delicatissime operazioni sotto copertura avviate parallelamente sul continente europeo e su quello americano dall’Arma e dal Customs Service americano e protrattesi per oltre due anni, allo scopo di individuare i circuiti finanziari utilizzati dai vertici mondiali dei cartelli del narcotraffico per riciclare i proventi del commercio di cocaina e per reimpiegarli in attività imprenditoriali in più paesi del mondo, tra cui l’Italia.
        Personaggio chiave dell’indagine, sia sul fronte italiano che su quello statunitense, risultava un broker colombiano fiduciario dei più importanti cartelli di Cali, Medellin e Bogotà, ma anche di imprese e uomini d’affari di primo piano del Venezuela, degli Stati Uniti, della Spagna e del Messico. Quest’ultimo paese era divenuto una delle aree privilegiate dai colombiani, non solo per farvi transitare lo stupefacente destinato agli Stati Uniti, ma anche per riciclarvi, attraverso banche compiacenti, gli ingentissimi profitti.
        Il cartello messicano di Juarez risultava così aver assunto, da tempo, un ruolo di assoluto rilievo proprio grazie alle capacità collusive con il sistema bancario che offriva successivamente ai trafficanti la possibilità di reimpiego in direzione dello stesso Nord America e di altri Stati. Veniva pertanto creata, in base alla citata normativa, un’apposita società che offrisse al personale incaricato di entrare in contatto con gli emissari dei trafficanti, una credibile copertura alle proposte illecite di costoro, che intendevano appunto servirsene per il lavaggio del denaro rastrellato e per il suo reimpiego. Parallelamente, gli agenti del Customs Service avevano predisposto analoghe strutture negli Stati Uniti, allo scopo di seguire i flussi e la destinazione del denaro raccolto sul continente americano e convogliato verso le aree prescelte dal broker colombiano indagato e dai suoi complici per il reinvestimento finale. In tal modo, gli operatori sotto copertura ricevevano numerosi versamenti di denaro contante, ad iniziare dalle aree di Los Angeles e Houston, che permettevano agli investigatori di individuare la predisposta rete bancaria venezuelana e statunitense.
        Successivamente, gli stranieri, verificata l’apparente solidità dell’organizzazione italiana, proponevano ai militari operanti non solo il trasferimento bancario verso gli USA del denaro che essi ricavavano dal narcotraffico in Italia ed in Spagna, ma anticipavano l’intendimento di procedere ad investimenti mobiliari ed immobiliari, dettagliatamente pianificati, nel nostro paese per un ammontare di diverse decine di miliardi. Nell’arco di circa sei mesi – poi l’operazione si è conclusa – avevano così luogo cinque versamenti di denaro al personale sotto copertura, per un ammontare complessivo di oltre dieci miliardi di lire, che venivano trasferiti su conti correnti di copertura statunitensi e da qui infine alle Isole Cayman. Tali conti correnti, ad operazione conclusa, venivano posti sotto sequestro, recuperando, altresì, il denaro depositatovi.
        Per concludere, vorrei portare la nostra esperienza sottolineando che l’indagine sul riciclaggio, specificatamente mirata sull’ipotesi di reato così come prevista dall’articolo 648-bis del codice penale italiano, risulta oltremodo difficoltosa (e gli esperti che sono qui presenti lo sanno), perché è arduo venire normalmente a capo degli artifizi di mascheramento creati da persone da considerare ormai maestri nel settore. Piuttosto è conveniente partire dai reati mezzo, tipici dei grandi gruppi criminali, che danno la possibilità e maggiori appigli per inquadrare modalità d’azione, componenti e settori d’intervento di un’associazione per delinquere, così da farne emergere le reali finalità e stroncarne l’azione. Questo è un dato incontrovertibile che si ricava dalla quotidiana esperienza dei reparti operativi e che noi investigatori abbiamo imparato a tenere in debito conto, pena cocenti delusioni nei risultati. (Applausi)

Presidenza del deputato Giuseppe LUMIA,
componente della Commissione parlamentare antimafia

        PRESIDENTE. Ringrazio il generale Mori e do la parola al generale Rolando Mosca Moschini, comandante generale della Guardia di finanza. Approfitto per ringraziarlo per aver accolto l’invito che gli è stato rivolto dalla Commissione parlamentare antimafia ed anche per il contributo organizzativo e tematico che ha offerto alla stessa Commissione.

        Egli svolgerà una relazione sul "Ruolo della Guardia di finanza nella lotta al riciclaggio".

        MOSCA MOSCHINI Rolando, comandante generale della Guardia di finanza. Grazie, signor Presidente, autorità e signori. Rivolgo il mio caloroso saluto a tutti i presenti. Lo faccio a nome della Guardia di finanza e mio personale ed esprimo la mia piena soddisfazione per questa iniziativa che investe un settore operativo a contrasto della criminalità organizzata che vede l’impegno centrale e prioritario del Corpo.

        Infatti, l’azione di contrasto al riciclaggio è indubbiamente uno dei più importanti, delicati e complessi impegni operativi che vedono coinvolta la Guardia di finanza quale organo di polizia giudiziaria e tributaria.
        È ben noto che la destabilizzante immissione di capitali illeciti nei circuiti dell’economia legale – oltre ad alterare profondamente le regole dei mercati economici e finanziari – si lega normalmente alla commissione di violazioni di carattere fiscale, così come sono altrettanto evidenti i pericolosi riflessi che la circolazione del "denaro sporco" riverbera anche sul versante dell’ordine e della sicurezza pubblica. Per tale ultimo aspetto è sufficiente riferirsi – come è stato già detto – alla sua capacità di alimentare continuamente l’attività criminale ovvero di finanziare quelle altre attività criminali dalle quali è possibile trarre profitti ragguardevoli.
        Partendo da questa considerazione, tre sono i punti che desidero illustrare.
        Innanzitutto, le metodologie operative seguite dal Corpo e la struttura organizzativa predisposta per la loro attuazione; in secondo luogo, con un brevissimo cenno, i risultati conseguiti e, infine, le possibili linee di sviluppo.
        In merito alle metodologie operative ed al dispositivo per il contrasto del riciclaggio, l’elemento che caratterizza – anche in questo settore – l’azione del Corpo è la capacità di esaminare in modo globale i contesti sottoposti ad approfondimento. Infatti, la Guardia di finanza – in forza delle penetranti potestà e delle specifiche competenze ad essa conferite da diverse disposizioni legislative per fini di tutela degli interessi economici, finanziari e tributari nazionali e comunitari – può intervenire tenendo contemporaneamente in considerazione tutti gli aspetti che possono emergere nel corso di indagini, sia amministrative che penali.
        I militari del Corpo sono nelle condizioni di poter svolgere indagini di polizia giudiziaria anche mediante l’impiego delle moderne tecnologie in materia di intercettazione di comunicazioni ed avvalendosi dell’opportunità di differire gli atti così come previsto dal decreto-legge n. 419 del 1991. Inoltre, sono nelle condizioni di svolgere accertamenti patrimoniali, sviluppati in base alla normativa antimafia, approfondimenti delle segnalazioni di operazioni finanziarie sospette che pervengono dall’UIC, controlli valutari ai fini della verifica delle disposizioni in materia di monitoraggio fiscale, previste dal decreto legislativo n. 125 del 1997 e, altresì, verifiche fiscali rivelatesi strumenti ispettivi di straordinaria incisività per l’individuazione e l’emersione di fatti di riciclaggio.
        Tre sono – sostanzialmente – gli obiettivi verso i quali è rivolta l’attività del Corpo a contrasto della particolare fenomenologia illecita. Il primo è quello di individuare e disarticolare le reti di riciclaggio e di pervenire al sequestro delle somme movimentate, avvalendosi delle indagini di polizia tributaria e giudiziaria ed utilizzando le operazioni sotto copertura previste dal D.L. n 306 del 1992. Il secondo è rappresentato dal sequestro e dalla confisca delle ricchezze illecitamente accumulate in passato. Il terzo è un obiettivo di natura preventiva, perseguito attraverso controlli prevalentemente di tipo amministrativo consentiti dalla legge n. 197 del 1991.
        Per perseguire tali obiettivi, il Corpo ha, nel tempo, provveduto ad adeguare ed orientare la propria struttura ordinativa, in modo da ottimizzare le diverse specializzazioni dei propri reparti. Oggi – oltre agli ordinari Nuclei di polizia tributaria ed ai reparti territoriali – agiscono soprattutto due strutture particolarmente specializzate: il Servizio Centrale ed i Gruppi interprovinciali per la lotta alla criminalità organizzata, rivisitati e rafforzati in attuazione delle recenti direttive emanate il 25 marzo ultimo scorso dal Ministro dell’interno (ricordo al riguardo che i GICO della Guardia di finanza passano da 14 a 26, cioè uno per ogni sede di Direzione Distrettuale Antimafia); poi il Nucleo speciale di polizia valutaria che, direttamente o delegando i Nuclei di polizia tributaria, esercita la vigilanza nei confronti delle società finanziarie, svolge attività investigative in materia di abusivismo bancario, di usura e di intermediazione finanziaria mobiliare, provvede ad eseguire gli approfondimenti delle operazioni sospette segnalate dagli intermediari finanziari all’UIC.
        L’attività è condotta: utilizzando le banche dati esistenti; attraverso, come è già stato detto, la cooperazione con la DIA con la quale è stato siglato un protocollo d’intesa tesa a favorire un intenso interscambio informativo ed avvalendosi, soprattutto, degli elementi informativi forniti dal II Reparto del Comando generale che costituisce la struttura di intelligence del Corpo deputata a mantenere, tra l’altro, il collegamento con gli organi collaterali esteri.
        L’attività operativa viene sostenuta dalla ricerca di accordi in sede internazionale tesi a favorire l’indispensabile cooperazione.
        Con riferimento a tale ultimo aspetto, infatti, la Guardia di finanza oggi: partecipa al Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI) ed al Gruppo Egmont, ed ha inserito un proprio ufficiale nel programma di mutue valutazioni recentemente avviato dal Consiglio d’Europa; organizza, sulla base di accordi stipulati, appositi moduli formativi a favore di personale appartenente ad organismi stranieri; fornisce attiva collaborazione nell’ambito del programma PHARE dell’Unione Europea, finalizzato a creare presidi antiriciclaggio nell’Europa centro-orientale (area, come noto, molto sensibile).
        Ora un brevissimo cenno ai risultati conseguiti. Dal 1º gennaio 1996 al 30 maggio ultimo scorso sono stati complessivamente accertati 296 casi di riciclaggio e denunciate 1.033 persone, di cui 201 colpite da provvedimenti restrittivi. Lo sviluppo delle operazioni sospette, nel suo complesso, ha invece consentito di accertare il riciclaggio di somme per circa 213 miliardi. Sono risultati significativi ma ancora contenuti anche se, nello stesso periodo, sono stati condotti accertamenti patrimoniali nei confronti di 7.490 persone fisiche e 396 persone giuridiche, con il conseguente sequestro di beni per un valore di circa 2.800 miliardi.
        In tema di lotta al riciclaggio, se possiamo affermare che molti passi avanti sono stati compiuti sul piano normativo e su quello investigativo, credo anche che debbano essere ricercati ulteriori margini di miglioramento.
        Il decreto legislativo n. 153 del 1997 ha certamente razionalizzato il nostro sistema, individuando con precisione gli organismi a cui spettano determinate funzioni. Occorre ora sfruttare al massimo le potenzialità offerte dalle nuove norme, accentuando, innanzitutto, l’analisi e gli incroci dell’intera massa di dati e di informazioni disponibili per orientare l’azione ispettiva.
        L’obiettivo è quello di selezionare gli interventi da operare, evitando così la dispersione delle risorse investigative in attività che non siano proficue.
        Al riguardo, è stata recentemente decisa la costituzione presso il Comando Generale di un gruppo di lavoro permanente – composto da ufficiali del Reparto Operazioni, del Reparto Informazioni e del Nucleo Speciale di polizia valutaria – che avrà il compito di monitorare costantemente l’andamento delle investigazioni e valutare gli interventi di indirizzo e di coordinamento eventualmente necessari.
        Inoltre, sin dallo scorso anno, il Nucleo Speciale di polizia valutaria ha iniziato una nuova serie di approfondimenti, prendendo a riferimento il contenuto delle singole segnalazioni e mirando a censire le tipologie delle operazioni segnalate.
        L’analisi ha già prodotto alcuni risultati che sicuramente stimolano riflessione. Come ha ricordato questa mattina l’avvocato Granata, oltre il 90 per cento delle segnalazioni proviene esclusivamente dal sistema bancario, mentre vi sono alcuni operatori di settore che hanno inviato quantità irrisorie di segnalazioni ed alcune categorie di intermediari che non hanno mai trasmesso alcuna segnalazione dall’entrata in vigore della legge.
        Credo che sia indispensabile verificare i motivi di tale situazione ed in questa prospettiva appare auspicabile un rafforzamento dei meccanismi di vigilanza – richiamo quanto ha detto il professor Bianchi all’inizio di questa giornata – e dei rapporti fra autorità di vigilanza ed organismi investigativi (CONSOB-ISVAP-UIC).
        Ulteriore obiettivo da perseguire è il costante miglioramento della qualità delle informazioni.
        Ritengo la qualità degli inputs generati ben più importanti del loro numero. Anzi, è ragionevole supporre che una notevole massa di segnalazioni scarsamente qualificate finisca per saturare le risorse destinate al loro approfondimento, bloccando, in definitiva, il funzionamento del sistema.
        Potrebbe essere utile, in proposito, un ampliamento del feedback previsto dal decreto legislativo n. 153 del 1997, offrendo la possibilità agli intermediari di avere un riscontro delle loro segnalazioni.
        Per quanto attiene l’azione degli organi investigativi, ritengo decisivo il sostegno di una buona attività di intelligence, ma non soltanto di quella proveniente dagli organismi preposti in modo specifico alla vigilanza nel settore economico finanziario, bensì anche di quella svolta dai Servizi di Sicurezza che, da un lato, tenga in debito conto il fenomeno di globalizzazione dei mercati finanziari e la crescente infiltrazione di capitali stranieri di illecita provenienza, e, dall’altro, tenda ad un migliore coordinamento con le attività dei predetti organi specialistici in materia finanziaria.
        Sempre sotto l’aspetto investigativo, torna pressante la necessità e l’urgenza dell’emanazione del decreto ministeriale di attuazione dell’articolo 20, comma 4, della legge 413 del 91, che prevede, come noto, la realizzazione dell’anagrafe dei conti e dei depositi determinando anche l’inclusione in questo archivio di "ogni altro rapporto continuativo", diverso dai conti e dai depositi, idoneo a movimentare denaro, nonché dei "rapporti di garanzia", attualmente in forza delle vigenti disposizioni regolamentari.
        Attraverso l’anagrafe potrebbero essere agevolmente localizzati, in tempi ridottissimi, i conti dei soggetti indagati, senza dover interpellare l’intero sistema creditizio. In mancanza di dati centralizzati, invece, il rilevamento su tutto il territorio nazionale – certamente oneroso e complesso – viene oggi attivato soltanto in quei casi in cui la rilevanza del soggetto, le sue abitudini e le sue relazioni inducano a sospettare una "polverizzazione" delle sue disponibilità finanziarie.
        Restando in tema di rapporti bancari, un positivo contributo deriverebbe dall’emanazione di una norma che imponga l’estinzione obbligatoria dei libretti di deposito al portatore accesi in data anteriore al luglio del 1991 ed aventi tuttora un saldo superiore ai 20 milioni.
        Per una più ampia e immediata conoscenza della posizione patrimoniale e reddituale dei soggetti, appare inoltre utile informatizzare e porre a disposizione delle forze di polizia i dati raccolti dalle questure in base alla legge 12 agosto 1993, n. 310, (cosiddetta legge "Mancino") sulla trasparenza delle transazioni commerciali.
        Infine, un ulteriore indispensabile e poderoso sforzo deve essere compiuto in termini di potenziamento della cooperazione internazionale. È questo – a mio giudizio – un aspetto fondamentale, dal quale non si può assolutamente prescindere tenendo conto dell’estensione geografica dell’illecita fenomenologia dell’argomento.
        Come ha detto anche il direttore dell’Ufficio Italiano Cambi è necessario definire una normativa omogenea a livello internazionale e un fronte operativo comune.
        Per quanto attiene a tale ultimo aspetto, sarebbe certamente utile – ai fini delle indagini – l’introduzione di una norma, nell’ambito del decreto legislativo n. 153 del 1997, che consenta esplicitamente a Guardia di finanza e Direzione investigativa antimafia di scambiare formalmente dati e notizie con i collaterali esteri per lo sviluppo delle segnalazioni sospette.
        In conclusione, ritengo che le strutture esistenti siano sostanzialmente valide e che la linea da seguire sia quella della loro valorizzazione.
        L’auspicio è che vengano al più presto perfezionati gli strumenti normativi e gli altri meccanismi a supporto delle operazioni del Corpo. Questo convegno li sta mettendo in chiara evidenza e questo costituisce già un significativo risultato. (Applausi).

        PRESIDENTE. Ringrazio il generale Mosca Moschini. Ha ora la parola la dottoressa Carla Del Ponte, procuratore generale della Confederazione svizzera, che svolgerà una relazione su "Riciclaggio e cooperazione internazionale".

        Con questo intervento apriamo anche il contributo qualificato dei nostri ospiti stranieri. Con la dottoressa Carla Del Ponte dobbiamo sottolineare che ci lega un rapporto molto positivo, affettuoso, intelligente; dai tempi della sua collaborazione col dottor Falcone sino ad oggi si è creato questo rapporto e noi l’abbiamo voluta qui insieme a noi perché la sua esperienza è molto preziosa. (Applausi).

        DEL PONTE Carla, procuratore generale della Confederazione svizzera. Saluto tutti molto cordialmente e ringrazio la Commissione parlamentare antimafia e il senatore Del Turco per questo invito. È vero, sono molto legata al vostro paese, intanto dal punto di vista professionale, ormai da tantissimi anni – non dico quanti – il che mi ha permesso anche di conoscerlo.

        Il tema che mi è stato assegnato – riciclaggio e cooperazione internazionale – sul nostro territorio corrisponde ad un uso abusivo della piazza finanziaria svizzera, per la sua stabilità, per la qualità dei servizi offerti e per il suo segreto bancario. La piazza svizzera, così come altre piazze finanziarie, è utilizzata da criminali desiderosi di mettere al sicuro il denaro che proviene dalle loro attività illecite: parliamo qui essenzialmente e principalmente di droga, armi, corruzione, ma anche di frode fiscale.
        A fronte di tali minacce, sia le autorità che il sistema bancario svizzero hanno adottato tutta una serie di misure e il diritto penale ordinario è stato modernizzato con strumenti nazionali ed internazionali. Per modernizzare i mezzi di repressione si è creato un nuovo rapporto tra le autorità e gli operatori del settore finanziario; dall’aprile di quest’anno si registra una collaborazione attiva del settore finanziario nella lotta la riciclaggio. Lo sappiamo tutti, questo crimine organizzato si caratterizza per la complessità delle sue strutture, il carattere multinazionale, l’infiltrazione nei sistemi politici, economici e finanziari, la fusione tra attività illecite e attività lecite, una difficile localizzazione, una difficile definizione, una difficile repressione.
        A livello nazionale svizzero le principali innovazioni che sono state introdotte sono, intanto, la punibilità dell’associazione criminale come tale, appunto come appartenenza all’associazione criminale. Al riguardo, fino a pochi anni fa era impossibile ottenere da noi assistenza giudiziaria nell’ambito delle vostre inchieste; ma ormai è cosa fatta.
        Inoltre, nessun segreto bancario ostacola lo svolgimento delle inchieste. In questa occasione vorrei soffermarmi sul concetto di segreto bancario. Innanzi tutto, che cos’è? Come è noto, è un obbligo di discrezione dei funzionari delle banche nei confronti dei terzi. Il titolare del segreto bancario è dunque il cliente, non la banca. Il fondamento, la base giuridica l’abbiamo sia nel diritto civile ma soprattutto nella legislazione bancaria, che punisce la violazione del segreto anche con la detenzione.
        Vorrei poi sfatare un altro luogo comune; molti infatti non sanno che in Svizzera non esistono conti anonimi: tutti i conti bancari che vengono aperti devono avere un proprietario-persona fisica. C’è, sì, il conto cifrato, ma è tale, quindi sconosciuto, al di fuori dalla banca e per la maggior parte degli impiegati bancari; tuttavia, il titolare del conto cifrato è pur sempre conosciuto, sia pure da un ristretto numero di persone, all’interno della banca.
        I limiti del segreto bancario sono innanzi tutto quelli definiti dal cliente, che può autorizzare la banca a dare tutte le informazioni. Gli altri limiti, naturalmente, sono quelli definiti dalla legge; in particolare, quando si tratta di procedimenti penali, non esiste il segreto bancario. Ricordo ancora che il segreto bancario non è un istituto soltanto svizzero: esiste in diversi Stati, anche da voi. Certo, l’Austria e il Lussemburgo sono i paesi che hanno una configurazione del segreto bancario molto più vicina alla nostra.
        Un ulteriore strumento a livello nazionale che si sta rivelando di grande utilità è il rovesciamento dell’onere della prova nel caso di confisca dei beni provenienti dall’attività del crimine organizzato. Abbiamo avuto diversi casi di iniziali sequestri di fondi sulla base di sospetti concreti; tocca al proprietario del conto dimostrare allora che questi fondi sono puliti per ottenere il dissequestro e impedirne la confisca. Naturalmente, questo rovesciamento dell’onere della prova in uno Stato di diritto ha posto inizialmente alcuni problemi, che però sono stati superati quando qualche anno fa abbiamo dovuto liberare miliardi e miliardi di lire, anche su Palermo, che erano stati sequestrati ma rispetto ai quali non c’era nesso di causalità diretto tra l’attività criminale illecita e il denaro depositato da noi.
        Un ulteriore elemento valido è la punibilità, oltre che del riciclaggio come tale (che da noi è punito con una norma del codice penale), del reato di carente diligenza nelle operazioni finanziarie. Questo reato si è rivelato di grande utilità non tanto nella repressione, quanto nel fatto che le grosse banche e quelle medie hanno istituito al loro interno un’unità investigativa per evitare di ricadere sotto la norma ricordata.
        Abbiamo poi l’ufficio centrale di polizia per questo tipo di infrazioni, creato un anno e mezzo fa, che è senz’altro molto utile nell’ottica di quanto veniva detto prima, ossia dello scambio di informazioni a livello internazionale sui dati delle varie inchieste in corso.
        Per quanto riguarda la corruzione, a livello svizzero siamo soprattutto depositari di fondi legati alla corruzione avvenuta all’estero. È in atto – ma non è ancora in vigore – una revisione della legge, in quanto abbiamo la corruzione attiva e la corruzione passiva, il che in alcuni casi non concede la possibilità di individuare il reato di riciclaggio, che da noi è punito solo se il reato presupposto è previsto come crimine.
        A livello internazionale – è stato già detto, ma lo sottolineo perché è importante – spesso non si utilizza la ben nota Convenzione del Consiglio d’Europa del 1990 sul riciclaggio (sia l’Italia che la Svizzera l’hanno ratificata). Ricordo che l’articolo 10 prevede nelle procedure per il riciclaggio la possibilità per i magistrati di una trasmissione diretta delle informazioni, quindi senza assistenza giudiziaria tra i due paesi, ma in forma appunto diretta, anche telefonica, anche per fax. Ricordiamo altresì la Convenzione del dicembre 1997 sulla punibilità dei funzionari stranieri: la Svizzera ha già firmato questa Convenzione, che dovrebbe entrare in vigore prossimamente.
        Ancora due parole sull’infrazione a carattere fiscale, che è il nostro grande problema. Secondo il diritto svizzero si deve fare una distinzione – è d’obbligo – tra l’evasione e la frode fiscale. L’evasione fiscale, ossia l’omessa dichiarazione di reddito o di fortuna, non è un reato penale, è una contravvenzione amministrativa; quando viene scoperta, la sanzione irrogata consiste in una multa, senza nessuna conseguenza penale. Questo vuol dire che non c’è alcuna possibilità di assistenza giudiziaria per il reato di evasione fiscale commesso nel vostro Stato ed in molti paesi europei. Per contro, se si tratta di frode fiscale, ossia truffa fiscale, l’assistenza giudiziaria è fornita, per il particolare dell’inganno astuto, del falso documentale utilizzato per queste dichiarazioni fiscali.
        Nel corso di precedenti interventi abbiamo ascoltato che il riciclaggio di denaro consta di tre fasi. Possiamo dire che da noi non esiste più il primo gradino, ossia il placement della valigia piena di denaro contante. Abbiamo però diversi casi di riciclaggio che riguardano i due altri gradini, ossia quello del layering e dell’integrazione.
        Le banche svizzere hanno già concluso una convenzione, denominata convezione di diligenza, che impone alle banche stesse di conoscere il proprietario economico dei fondi depositati. È stata pure introdotta l’interdizione di prestare assistenza attiva alla fuga dei capitali, ma non l’assistenza passiva. L’assistenza attiva si ha quando il cliente italiano chiede di portare in Svizzera una certa quantità di miliardi di lire; la banca non lo può fare e non lo fa (almeno così speriamo!). Invece l’assistenza passiva consiste nel far arrivare al cliente straniero il denaro depositato in Svizzera: questo purtroppo è ancora possibile. Comunque, abbiamo una sorveglianza stretta e la sanzione è una multa fino a dieci milioni di franchi svizzeri, il che per alcune banche può anche essere poco.
        Dal 31 marzo 1999 avremo anche un’autorità di controllo sull’attività del settore parabancario. Voi sapete che tutte queste norme di vigilanza hanno praticamente spostato l’attività di riciclaggio non più direttamente nelle banche ma in una fase che in tedesco chiamiamo Vorstufe; ossia il riciclaggio avviene a livello di società finanziarie, società di cambio, avvocati, notai e così via, cioè in una fase che viene "prima" della banca. Dall’aprile di quest’anno è entrata in vigore la nuova legge federale sul riciclaggio di denaro che copre anche questo settore, precedentemente sprovvisto di qualsiasi vigilanza. Naturalmente la Svizzera ha partecipato alla dichiarazione del comitato di Basilea del 1998, che altro non è che un primo codice di comportamento internazionale per le banche. Inoltre la Svizzera partecipa al GAFI, con le 40 raccomandazioni (sottolineo che abbiamo superato il secondo esame pochi mesi fa, come potete leggere nel rapporto che avete ricevuto).
        Due parole ancora sull’assistenza giudiziaria, altro grosso problema. Si deve riconoscere che la Svizzera fornisce ampia assistenza giudiziaria, sia penale che amministrativa. Per quanto riguarda l’assistenza penale abbiamo avuto una revisione della legge, di cui ho già parlato, con una diminuzione dei tempi di evasione, che però sono ancora troppo lunghi. Per quanto riguarda l’assistenza giudiziaria amministrativa, quella che interessa soprattutto le autorità di sorveglianza dei mercati finanziari, banche e Borse, queste già ora possono trasmettere direttamente le loro informazioni. Su oltre 3.000 domande di assistenza giudiziaria, più di 2.000 vengono evase in tempi molto celeri, le altre hanno naturalmente tempi più lunghi. Proprio in questi giorni a Roma si sono incontrati alcuni specialisti svizzeri e italiani per elaborare una bozza di trattato bilaterale Svizzera-Italia al fine di accelerare anche questi tempi ancora troppo lunghi dell’assistenza giudiziaria; io spero che per il mese di settembre i nostri rispettivi Ministeri della giustizia possano firmare tale trattato bilaterale.
        Il problema fiscale resta; giustamente da parte italiana si diceva che si vuole l’assistenza anche nei casi di evasione fiscale, così come accade con gli Stati Uniti (che hanno firmato con noi un trattato il quale garantisce loro piena assistenza giudiziaria). L’obiezione da parte della Svizzera si riferisce al fatto che non si può stabilire un simile accordo solo con l’Italia, ma bisognerebbe farlo a livello europeo; altrimenti tutti gli Stati europei chiederebbero un trattato bilaterale. Comunque, certamente il problema andrà risolto ed è utile che se ne discuta in questo settore di trattative tra l’Italia e la Svizzera.
        Concludo con alcune considerazioni. La Svizzera dispone attualmente di un buon "arsenale" legislativo. La certezza è che privare il crimine organizzato delle sue risorse finanziarie è certamente il mezzo migliore per distruggerlo. Per questo ci vuole, soprattutto, un’applicazione rigorosa delle nostre leggi nazionali ed internazionali: solo così potremo arrivare a dei risultati concreti. Ma non ci nascondiamo gli ostacoli e le lacune che intravediamo.
        Alcune considerazione le abbiamo già sentite questa mattina, ad esempio in merito alla mancanza di un coordinamento legislativo sul piano internazionale. Ponetevi la domanda: riciclaggio di quale denaro? E troverete una risposta diversa da Stato a Stato. Questo naturalmente non va. L’ideale sarebbe poter introdurre un principio di universalità nella procedibilità per alcuni tipi di reato. Naturalmente – e l’appello di Ginevra dei magistrati europei ce lo conferma – l’assistenza giudiziaria deve essere più celere. Si dovrebbe poter arrivare a dire: libera circolazione delle merci, libera circolazione delle persone e – perché no? – libera circolazione dei magistrati.
        È vero, i paradisi fiscali – e la Svizzera non è un paradiso fiscale – dovrebbero adottare legislazioni altrettanto severe, per le società off-shore e l’utilizzo dei conti di mascheramento, perché nelle banche svizzere i soldi arrivano adesso con accredito bancario, ma da qualche parte, in qualche paese avviene tutto quello che prima si poteva fare in Svizzera, cioè arrivare con una valigia, aprire un conto anonimo e così via.
        Vorrei concludere, senza omettere di sottolineare l’importanza di questa volontà comune per risolvere i nostri problemi, dicendo che la Svizzera è seriamente intenzionata a ripulire la propria piazza finanziaria. Ci sono già tantissimi soldi puliti depositati nelle nostre banche; non abbiamo bisogno dei soldi sporchi. Questo ce lo dicono le banche; naturalmente, come sapete, non si possono ottenere risultati se non c’è un lavoro che viene realizzato a livello internazionale. Spero che Convegni come questo servano non solo a identificare i problemi, ma a trovare le soluzioni giuste. (Applausi).

        PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Carla Del Ponte e do la parola al generale Carlo Alfiero, direttore della Direzione investigativa antimafia, il quale svolgerà una relazione sul tema: "L’attuazione del decreto legislativo n. 153 del 1997: risultati operativi e prospettive".

        ALFIERO Carlo, direttore della DIA. Signor Presidente, ringrazio la Commissione antimafia per questo invito che mi permette di far conoscere uno degli aspetti forse meno noti dell’attività della DIA.

        Il tema che affronterò, come già annunciato dal Presidente, è quello dei risultati operativi e delle prospettive nell’esperienza della DIA relativi all’attuazione del decreto legislativo n. 153 del 1997. Questo decreto, al di là delle innovazioni di carattere filosofico ed etico, cioè l’applicazione dei principi di trasparenza e di collaborazione attiva che ne costituiscono la base, ha introdotto un principio di canalizzazione che è caratteristico: canalizzazione delle segnalazioni verso l’Ufficio italiano dei cambi (UIC); canalizzazione del contesto investigativo, limitato al Nucleo speciale di polizia valutaria e alla DIA; canalizzazione del destinatario finale, il Procuratore nazionale antimafia, previsto per legge.
        La parte di assoluto rilievo, per quanto ci riguarda, è l’inserimento della DIA quale organo investigativo dotato di specifica competenza nel settore della criminalità organizzata. Il Nucleo speciale di polizia valutaria, presente nella precedente disciplina, era già competente in materia. Questo può significare che il legislatore ha considerato la DIA, forse per la sua composizione interforze, per la sua organizzazione e la sua competenza nel settore sia preventivo sia giudiziario, come l’organismo più completo e più adatto a svolgere tale ruolo.
        A seguito di questa innovazione tutti gli enti interessati si sono organizzati. Cito in particolare una circolare dell’UIC sulla standardizzazione delle procedure. Ricordo una nota del Procuratore nazionale, nella quale peraltro viene riconosciuto alla DIA, proprio in virtù della sua specifica competenza, un ruolo primario nell’individuazione delle operazioni sospette attinenti alla criminalità organizzata. Ma ricordo soprattutto il protocollo d’intesa siglato a seguito dell’immediata constatazione di possibili pregiudizievoli accavallamenti, interferenze, sovrapposizioni fra i due organismi investigativi. Nello spirito di chiarezza, di cooperazione, collaborazione e coordinamento che ci deve essere tra le forze di polizia, avvertimmo il bisogno di firmare a marzo quel documento tra il vertice della DIA e quello della Guardia di finanza. In sintesi, con questo protocollo d’intesa si stabilirono i criteri per la ripartizione delle competenze e, soprattutto, fu deciso un continuo e reciproco flusso di informazioni fra le due strutture che si è rivelato molto proficuo anche sotto l’aspetto dei risultati operativi.
        Come si è organizzata la DIA in questa materia? La DIA, come sapete, è articolata in tre Reparti: investigazioni preventive, investigazioni giudiziarie e investigazioni internazionali. I primi due Reparti sono stati interessati alla materia, il terzo lo è stato, ovviamente, per tutti quei risvolti internazionali che dovessero verificarsi. Il I Reparto, quello delle investigazioni preventive, studia il fenomeno dal punto di vista delle possibilità di applicazione dei poteri speciali riconosciuti al direttore della DIA (ma di questo parleremo più avanti). Al II Reparto spetta lo screening di tutte le segnalazioni pervenute; questa seconda fase, che è poi quella propriamente investigativa, comporta due momenti fondamentali. Il primo è quello che si svolge al centro della struttura e comprende la consultazione di tutti gli archivi e i contatti con i servizi centrali delle forze di polizia per arrivare ad individuare le segnalazioni in cui può essere, in qualche modo, implicata la criminalità organizzata. In questo secondo momento, una volta individuata tale implicazione, il problema viene trasferito ai centri operativi competenti, quindi nella periferia, perché vengano approfonditi gli accertamenti. Non si tratta di una fase di accertamento giudiziario, ma della classica fase di accertamenti, di investigazioni preventive per stabilire se vi siano le premesse per avviare un’eventuale attività giudiziaria. Ovviamente, in tutte queste fasi i contatti con la Direzione nazionale antimafia sono continui e costanti, come stamattina, fra l’altro, mi testimoniava anche un autorevole rappresentante di quella Direzione.
        Ed esaminiamo cosa è stato fatto. Oggi abbiamo ascoltato tante dichiarazioni di principio; passiamo un attimo all’arida significatività dei numeri. Dal settembre del 1997 alla fine di maggio di quest’anno sono pervenute 1.231 segnalazioni, quindi una media di circa 6 segnalazioni al giorno. Su questo dato si può fare qualche considerazione. Va fatta anzitutto una premessa: queste considerazioni non possono essere definitive; sono semplicemente idee che nascono da un momento di approccio iniziale all’attuazione della legge. Ciò è dimostrato, per esempio, da un dettaglio: nei primi tre mesi sono pervenute solo 67 segnalazioni; poi, evidentemente, si è preso coraggio, si sono superate le difficoltà organizzative iniziali ed è aumentato il flusso di segnalazioni.
        Già da questo primo dato sul complesso delle segnalazioni rileviamo qualche elemento considerevole. Rispetto al passato, ad esempio, si registra un netto miglioramento. In tutto l’arco di sette anni di applicazione della legge n. 197 del 1991, solo l’1,22 per cento delle segnalazioni è stato utilizzato per l’avvio di procedimenti penali, cioè 85, e di questi solo lo 0,23 per cento per fatti connessi al reato di riciclaggio. Il nuovo regime in meno di un anno ha prodotto 52 segnalazioni, corrispondenti al 4,22 per cento del totale. Queste segnalazioni, una volta approfondite dalla DIA, saranno poi sottoposte alla valutazione dell’autorità giudiziaria, ma sono state comunque valutate come attinenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, e quindi meritevoli di approfondimenti.
        Come sono divise queste 1.231 segnalazioni? Per il 31,1 per cento provengono dall’Italia settentrionale; per il 53,3 per cento dall’Italia centrale e per il 15,6 per cento dall’Italia meridionale. Vi sono regioni che segnalano meno: al Nord, la Valle d’Aosta che non ha fatto alcuna segnalazione, e si può anche capire, viste le sue dimensioni; al Centro, Abruzzo e Sardegna; al Sud, Basilicata, Calabria e Molise. Sono le regioni che hanno fatto il minor numero di segnalazioni. In compenso, vi sono regioni che hanno fatto un numero considerevole di segnalazioni.
        Gli intermediari più solleciti sono dislocati in Lombardia (124), in Toscana, regione dalla quale proviene circa il 40 per cento delle segnalazioni, e in Campania per il meridione. Per quanto riguarda la Toscana però occorre fare un’osservazione. Un’operazione antiriciclaggio di due anni fa in un determinato settore ha probabilmente sensibilizzato tutti gli operatori di quel settore per cui il dato del 40 per cento sul totale si spiega in questo modo.
        A segnalare sono soprattutto gli istituti di credito, come è stato già messo in evidenza (il 97,5 per cento), mentre più contenute sono risultate le segnalazioni da altri uffici, in particolare dalle società di intermediazione mobiliare (SIM). Non sono pervenute segnalazioni da parte di società fiduciarie, società di gestione di fondi comuni e da società finanziarie che operano nei confronti del pubblico.
        Delle 52 segnalazioni che sono risultate di interesse della DIA, 51 sono venute da istituti di credito e 1 da una SIM. In sintesi, di queste 52 segnalazioni, 29 riguardano problemi di mafia; 9 di camorra; 6 di ’ndrangheta; 4 di criminalità pugliese. È un dato interessante, che commenterò in seguito, il fatto che delle 52 segnalazioni 28 siano pervenute dalla Sicilia, 8 dalla Lombardia, 6 dalla Campania, 4 dalla Puglia e 3 dal Piemonte. Anche questa non coincidenza delle zone a rischio con le segnalazioni può essere significativa.
        La maggior parte di queste 52 segnalazioni, che sono risultate di interesse, è stata in parte trasmessa ai Centri operativi per i successivi sviluppi; in 3 casi sono state inviate al I Reparto per ulteriori approfondimenti da attuarsi con gli strumenti di indagine propri del direttore della DIA. Ricordo specificamente l’accesso in banca per il controllo della documentazione bancaria del soggetto; su queste attività sono quindi in corso ulteriori accertamenti.
        Infine, in 15 casi l’esito delle indagini, arricchito da ulteriori riscontri ed elementi di aggiornamenti investigativi, sono confluiti in procedimenti penali già in atto presso varie DDA, e quindi hanno consentito di ampliare i contesti investigativi già in essere.
        Questi sono i dati essenziali del primo periodo di applicazione del decreto legislativo n. 153. Da questi dati possiamo trarre qualche considerazione. La prima riguarda l’immissione dei dati stessi, un punto delicato ma fondamentale. C’è bisogno di una sensibilizzazione di determinate aree finanziarie, aree locali o di settore. Come farlo? Bisognerà studiare il problema. C’è bisogno soprattutto di limitare al massimo la discrezionalità di chi fa la segnalazione e occorre operare in questa direzione. So personalmente, al di là di tutti i dati che vengono forniti ufficialmente, che in determinate organizzazioni finanziarie gli incarichi che comportano la segnalazione non attraggono. È un dato da tener presente, sia ai fini di proteggere l’anonimato del segnalatore, sia ai fini di offrirgli criteri meno discrezionali perché possa operare.
        Un problema di carattere generale riguarda soprattutto le organizzazioni finanziarie di maggiore affidabilità le quali, proprio perché si sentono tranquille, sono portate a ritenere sicuri i propri clienti. Questo è un pericolo perché è proprio attraverso queste finanziarie ritenute sicure che si possono determinare alcune attività.
        Circa la provenienza delle segnalazioni, quelle delle regioni a rischio risultano piuttosto contenute. L’interpretazione di questo dato può essere ambigua, perché da una parte può significare che vi è un condizionamento, dall’altra può essere interpretato come un segno di attività di ricerca del riciclaggio altrove. Quindi, non ritengo questo dato di univoca interpretazione.
        La lotta al riciclaggio si dimostra un campo di particolare importanza per la DIA – i dati che ho voluto fornire in proposito interessano l’opinione pubblica ma anche le istituzioni – perché sembra poter rappresentare una strada di possibile applicazione della nostra specialità.
        Sono in atto, parallelamente alle attività propositive che avanzeremo a livello centrale, delle attività di accertamento per controllare se le ipotesi che abbiamo fatto trovano dei riscontri effettivi. (Applausi).

        PRESIDENTE. Ringrazio il generale Alfiero.

        Ora do la parola al dottor Piero Luigi Vigna, procuratore nazionale antimafia, il quale tratterà il tema: "Indagini in materia di riciclaggio da parte delle organizzazione criminali".

        VIGNA Piero Luigi, procuratore nazionale antimafia. La ringrazio, onorevole Presidente, per avermi dato la parola; alla Commissione parlamentare antimafia, alla Regione Siciliana e al sindaco di Palermo un grazie per poter essere qui.

        Dato il tempo a mia disposizione, non parlerò dei contenuti della relazione di cui consegnerò una copia alla Presidenza. Chi vorrà, potrà leggere quali sono state le iniziative nel campo conoscitivo e operativo della Direzione nazionale antimafia (DNA) in tema di riciclaggio. Assumono naturalmente un rilievo preminente i rapporti con l’Ufficio italiano dei cambi (UIC), con la DIA, con il Nucleo speciale di polizia valutaria, ma sicuramente nella ricostruzione del fenomeno non si può fare a meno delle esperienze di altri organi investigativi; abbiamo sentito quanto il generale Mori ha riferito a proposito delle esperienze sul campo per la repressione di questo fenomeno. In questa sede svolgerò solo alcune considerazione di ordine generale.
        In primo luogo, è da sottolineare l’estrema capacità di ricambio che hanno le organizzazioni mafiose, nonostante i numerosi arresti che vengono compiuti. Dal 1995 al 1997 sono stati effettuati 4.500 arresti per associazione mafiosa, a testimonianza di un non abbassamento della guardia, né da parte della magistratura né da parte delle forze di polizia. Malgrado ciò, si assiste ad un fenomeno sconfortante, come quando si sta in fila davanti ad un cinema pieno nel quale si entra quando si liberano delle poltrone.
        Qual è la ragione di questo ricambio, di questa forza attrattiva delle organizzazioni mafiose? A parer mio, la risposta risiede nelle ricchezze mafiose, alimentate, soprattutto in terra di Palermo (le indagini compiute dai colleghi della Procura palermitana lo dimostrano, ma il fenomeno è largamente diffuso), dalle estorsioni. Dunque, in queste forti ricchezze che provengono da estorsioni e dalle altre fonti che conosciamo, come il riciclaggio e il reinvestimento del denaro illecito, risiede la forza attrattiva delle organizzazioni criminali, specie in regioni dove il tasso di disoccupazione è tragico. Dice il mafioso: io avevo un’azienda, venne uno a dirmi che non aveva da comprare da mangiare per i figli, chiedendo lavoro. Gli detti lavoro; successivamente, quando tornò a domandarmi come poteva ricambiare, io gli chiesi i suoi documenti. Quindi, la forza attrattiva sta proprio in questo.
        Il riciclaggio, è stato già detto, opera anche come fattore di internazionalizzazione della criminalità organizzata; quest’ultima tratta beni mobili, stupefacenti, armi, persone, bambini – anche se è dispregiativo chiamarli "beni" – e denaro. Questi beni mobili transitano da uno Stato all’altro attraverso le sinergie che i gruppi criminali dei vari paesi intrattengono fra loro, rafforzandosi reciprocamente. Il riciclaggio, secondo il profilo economico, si ha quando un potere di acquisto, che è puramente potenziale perché non può essere riutilizzato per investimento data la sua provenienza illecita, da potenziale diventa effettivo.
        Gli interessi che il riciclaggio offende non sono più quelli che un codice stantio, e non degno per tanti versi di una Repubblica, tutela con la previsione della fattispecie di "delitto contro il patrimonio mediante frode". Gli interessi offesi dal riciclaggio sono molto più forti e costituzionalmente meno protetti: in primo luogo, la "costituzione economica" del nostro Stato, segnata dall’articolo 41 della Carta costituzionale che prevede la libertà dell’iniziativa economica e dunque la concorrenza, salvo i limiti di ordine sociale che le leggi possono porre. Sicuramente questa libertà di iniziativa economica non può manifestarsi quando il mercato è alterato da posizioni dominanti dovute al reinvestimento di denaro illecito.
        Il secondo interesse è ancora più forte – è stato già ricordato dal prefetto Monaco – ed è quello della democrazia. Lo constatiamo con mano visitando i paesi dell’Est, che però sono ormai paesi che guardano all’Europa, perché quando le mani dell’organizzazione criminale sono sull’economia ciò influenzerà le scelte politiche di un certo paese; e non ho mai sentito parlare di organizzazioni criminali che vogliono regole di democrazia e di trasparenza!
        Il fenomeno è difficilmente quantificabile; da ultimo, la Commissione economica e dei diritti civili della NATO ha quantificato il PIL a livello mondiale delle organizzazioni criminali in 1.000 miliardi di dollari, la metà dei quali sarebbe poi oggetto di riciclaggio perché gli altri vengono reinvestiti nei soliti traffici illeciti.
        Le conoscenze relative al riciclaggio sono importanti per l’investigatore non solo per scoprire i flussi illeciti, ma per un’indagine ancor più complessa. Noi che ci occupiamo di indagini e con noi diversi analisti ci stiamo convincendo che Cosa nostra o le organizzazione mafiose non siano altro che un tassello di un più vasto mosaico criminale, al quale contribuiscono settori economici, finanziari, anche "politici", e dunque l’indagine sul riciclaggio riteniamo possa servire anche a descrivere compiutamente questo mosaico. I riciclatori, come voi sapete, costituiscono una vastissima categoria, e sicuramente vi sono anche paesi off-shore; certo, vi è anche la tendenza delle cosche mafiose a far diventare qualcuno della new age, della nuova generazione, riciclatore e non "mafioso di sangue": questo per ottenere anche una sorta di legittimazione sociale attraverso il denaro e il tessuto economico. Certo, ci occupiamo dei paesi off-shore verso i quali non c’è che un rimedio molto semplice. Siccome non si possono fare leggi per un altro Stato, né imporgliele, non rimangono che le sanzioni economiche, la penalizzazione delle operazioni finanziarie che questi paesi vogliono fare.
        Ma occupiamoci di cose più vicine a noi. La nostra legislazione bancaria consente che una banca straniera possa aprire conti di corrispondenza presso una banca italiana. Da recenti analisi abbiamo notato che la banca di una Repubblica circondata dal nostro territorio – ma questo avviene ovviamente anche per altre banche – ha aperto conti di corrispondenza presso nostre banche, dopo di che un funzionario va raccogliendo miliardi di lire a domicilio da varie persone-clienti, li deposita sul conto di corrispondenza e queste operazioni sfuggono di fatto ad ogni segnalazione. Quindi, guardare lontano sì, ma anche vicino.
        In questo panorama di riciclaggio, dai mezzi più raffinati a quelli – lo dice anche il GAFI – più artigianali, ma sempre in vigore, non può non suscitare in me (e lo esporrò alla Commissione affari costituzionali del Senato che ha avuto la bontà di convocarmi) un certo stupore il fatto che si pensi di istituire in territorio italiano, come da disegni di legge pendenti, 59 case da gioco, di cui naturalmente 9 in Campania. Quelle poche che sono state istituite per legge in Italia si sa quali vicissitudini hanno attraversato, ma ho l’impressione che questo numero cospicuo di case da gioco (anche se fosse solo una, considerato che ad esse si applica la legge sulla privacy, perché prima le forze di polizia potevano sapere chi erano i frequentatori dei casinò, ma naturalmente ora non più!) costituirebbe un’ulteriore grande problema per gli investigatori.
        Naturalmente, dobbiamo essere impegnati a creare quella che io vedo come una tenaglia felice, di cui un braccio è rappresentato dall’impoverimento delle organizzazioni mafiose, attraverso un’efficace giustizia, che è una delle variabili in base alle quali il moderno soggetto criminale decide se agire illecitamente o meno, e l’altro braccio, forse il più forte, è costituito da quegli interventi volti a recuperare un forte senso di legalità (c’è un bell’articolo del dottor Caselli in proposito oggi su un quotidiano) e ad incidere, come si sta anche facendo, sul lavoro, creando iniziative economiche soprattutto dal basso, creando e favorendo l’emersione del sommerso, che è un crocevia di illiceità ed illegalità. Questa tenaglia felice io penso che possa essere lo strumento più adatto per risolvere anche il problema del riciclaggio. (Applausi).

        PRESIDENTE. Grazie, dottor Vigna. Do ora la parola per l’ultimo intervento della mattinata al dottor Gian Carlo Caselli, procuratore della Repubblica presso la Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che tratterà il tema: "L’intervento giudiziario nella lotta al riciclaggio".

        CASELLI Gian Carlo, procuratore della Repubblica presso la DDA di Palermo. Ringrazio la Commissione parlamentare antimafia per avermi invitato a questo Convegno e devo aggiungere anche un grazie a quanti ci hanno aiutato elaborando alcune riflessioni e fornendoci dati e indicazioni.

        Vorrei cominciare con alcune considerazioni introduttive del fenomeno; qualcosa al proposito ha già detto poco fa il procuratore Vigna. Secondo stime recenti, le organizzazioni criminali hanno un fatturato pari al 2 per cento del PIL mondiale, circa 850.000 miliardi di lire, di cui 700.000 provenienti dal solo traffico di stupefacenti. In Italia nel 1997 il volume di affari delle organizzazioni criminali italiane e straniere, sulla base di informazioni fornite dalla Confcommercio, sarebbe stato di 130.000 miliardi di lire. Si tratta di dati attendibili, ma in questo settore, in cui altri dati si incrociano, è difficile avere certezze ed un quadro scientifico più sicuro, più concreto e più affidabile di riferimento sarebbe estremamente utile, quanto meno per tre motivi. Innanzi tutto perché una analisi dei costi e dei benefici riguardante le risorse da utilizzare nell’attività di contrasto dovrebbe correttamente basarsi proprio su credibili elementi di calcolo. In secondo luogo, perché soltanto la dimensione economica dell’economia criminale, identificata e quantificata correttamente, può permettere ragionamenti affidabili sui flussi di reddito che vengono sottratti agli investimenti, ai consumi e al risparmio; altrimenti non si può tener conto in termini affidabili del potenziale di distruttività proprio dell’economia criminale. E poi vi è l’ultimo motivo: nel 2000, nelle statistiche ufficiali europee, il peso dell’economia criminale dovrà essere inserito nell’economia legale. Secondo la Gazzetta Ufficiale della Comunità europea, rientrano nella definizione della produzione del reddito anche alcune attività proibite dalla legge, come la produzione di droga e lo sfruttamento della prostituzione.
        Ma a parte le cifre, che sono più o meno attendibili, ma comunque meritevoli di attenzione e capaci di suscitare una robusta preoccupazione, restano significative le espressioni usate dal presidente Violante per dare un’idea dell’entità globale del fenomeno. Violante ha definito gli appartenenti alle organizzazioni criminali "un esercito di persone mai esistito così numeroso nella storia dell’umanità", con una pari facilità di ricambio dei caduti e dei prigionieri (è quanto Vigna ci ha ricordato un attimo fa), con una pari capacità di armamento, con una simile disponibilità finanziaria, così capace di utilizzare mezzi, sedi, apparecchiature e servizi dell’avversario, cioè dei sistemi legali e democratici, così poco distinguibile dall’esterno.
        Per quanto concerne lo specifico dell’esperienza delle investigazioni di polizia e delle conseguenti indagini giudiziarie, giova ricordare la normativa in tema di sequestro e confisca dei beni appartenenti a soggetti indiziati di militare in associazioni criminali di stampo mafioso e poi l’articolo 12-sexies della legge n. 356 dell’agosto 1992, quello che consente la confisca penale quando la provenienza dei beni non trovi giustificazione lecita. Questi strumenti sono giudicati utili, adatti alle circostanze, ma hanno funzionato soprattutto, anche se non esclusivamente, contro i patrimoni immobiliari mafiosi, "le cose che si vedono". Contro "le cose che non si vedono", ovvero la ripulitura finanziaria, le difficoltà aumentano e i successi non sono così numerosi come sul versante immobiliare.
        Il riciclaggio finanziario delle cosche, infatti, non si ferma nelle banche italiane. Oggi, gli istituti di credito sono più prudenti. Negli ultimi tempi, per merito della legge n. 197 del 1991 contro il riciclaggio, sono aumentate le collaborazioni degli istituti bancari; ma le cosche si fidano di meno. Ora seguono l’esempio di Tangentopoli: trasferire i soldi nei paradisi fiscali (e penali), cioè a Panama, Bahamas, Isole Cayman. Si rivolgono a studi finanziari in Lussemburgo o Liechtenstein, capaci di pianificare, nel senso più ampio del termine, gli investimenti con piani elaborati su misura; e qui le indagini di investigatori e magistrati si arenano.
        Oltre alla generale difficoltà di dimostrare il collegamento tra mafioso, trafficante e riciclatore (per via di società intestate a prestanome, trucchi contabili, scarsa collaborazione, controllo e prevenzione delle istituzioni straniere), il riciclaggio telematico lascia ancora meno tracce. Carabinieri del ROS, finanzieri del GICO, poliziotti dello SCO, agenti della DIA, tutte le forze dell’ordine in generale sono impegnate nel lavoro investigativo su ripuliture internazionali, sofisticate, sfuggenti. Si tratta di colpire le nuove generazioni di mafiosi; ma possono passare anni, e talora questi casi possono anche rimanere senza risultati apprezzabili.
        C’è poi il problema del delitto presupposto: traffico di armi, traffico di droga, estorsioni, tangenti, truffe alla CEE e quant’altro. Di solito, senza il delitto presupposto la ripulitura del denaro sporco è molto difficile da dimostrare. Tant’è che sono rare le indagini antiriciclaggio capaci di vivere in modo autonomo. Esiste, infatti, il problema del collegamento tra i gruppi criminali ed i soggetti che poi pongono in essere le più sofisticate tecniche di riciclaggio. Se questo, infatti, è di tipo finanziario, la ricostruzione a ritroso dei vari passaggi di ripulitura rischia di frantumarsi e di non approdare a nulla. Sarebbe come risalire la corrente di un fiume impetuoso in piena, incontrando sbalzi e dislivelli. Migliore è l’approccio inverso: partire dal delitto presupposto (traffico di armi, di stupefacenti e quant’altro) e procedere attraverso gli snodi del riciclaggio. Anche se difficile, il percorso è almeno in discesa ed è meno problematico. Ma le indagini si rivelano sempre, anche in questo caso, tortuosissime; venire a capo dei percorsi della ripulitura del denaro sporco è arduo, anche perché sono pochi i collaboratori di giustizia in grado di fornire spiegazioni valide. Bisogna soprattutto fare conto su strumenti investigativi, non sempre efficacissimi, e di conseguenza su tempi molto lunghi.
        Dell’aspetto economico del crimine, secondo la nostra esperienza, si occupano direttamente i capi, i boss. Gli altri membri dei clan possono sapere di omicidi, di partite di eroina e cocaina, premi e punizioni; nulla o quasi nulla di solito, almeno allo stato degli atti e delle conoscenze, sanno, sono in grado di sapere e sono in grado di dire sulla fine ultima del denaro. Tanto nel caso di acquisti di appartamenti in città, quanto nelle ripuliture finanziarie, la risposta più frequente è: "non so niente". Le crepe allora si aprono soltanto dopo centinaia di intercettazioni, pedinamenti, appostamenti, certosine analisi bancarie, nelle quali le nostre forze dell’ordine sono all’avanguardia per intelligenza e capacità investigativa. Indagini però frequentemente rallentate, soprattutto in passato e anche oggi in molti casi, quando non addirittura impedite dalle istituzioni straniere.
        Avrei voluto svolgere una serie di considerazioni su quello che l’esperienza giudiziaria ha messo in evidenza, in quanto la criminalità organizzata preferisce utilizzare strutture sane dopo averne acquisito il controllo con i metodi tradizionali dell’intimidazione e del condizionamento degli assetti proprietari, avvalendosi della forza di penetrazione, apparentemente legale, che gli deriva dalla disponibilità di ingenti mezzi finanziari. Ma preferisco a questo punto saltare tutte queste considerazioni perché il comandante del ROS, generale Mori, ha già sviluppato il tema con ampiezza di dati concreti. Voglio parlare di alcuni profili che scaturiscono dall’esame della normativa vigente in campo nazionale e da alcune prassi applicative nelle strutture bancarie. Il primo profilo è la mancata costituzione di un’anagrafe dei conti bancari; infatti, il decreto del Ministro del tesoro, da emanarsi entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge n. 413 del 1991, non è stato ancora emanato. Delle conseguenze hanno già parlato il generale Mosca Moschini e l’avvocato Granata; sono conseguenze scoraggianti per il ricorso agli accertamenti bancari. La polizia giudiziaria, infatti, non potendo attingere ad una banca dati centralizzata per conoscere l’eventuale esistenza di rapporti bancari in capo ai singoli indiziati, vede allungarsi a dismisura i tempi investigativi, con conseguente spreco di risorse, dovendo interessare tutti gli istituti di credito operanti a livello nazionale. Sul piano concreto tutto ciò si traduce in un ostacolo alle indagini patrimoniali, volte ad accertare l’origine, la consistenza e l’entità dei capitali mafiosi.
        Avrei voluto svolgere altre considerazioni – ma ne manca il tempo – su certe prassi utilizzate dalle banche, con riferimento ai certificati di deposito. Anche qui un accenno importante ha già fatto il generale Mosca Moschini, e quindi posso saltare questa parte, arrivando subito alle ipotesi conclusive, che non possono non trattare il profilo internazionale del riciclaggio. Vorrei dire che per affrontare il problema del riciclaggio internazionale è necessario, secondo me, dividere gli Stati in due grandi categorie. La prima è quella degli Stati nei quali è spiccata la preferenza per l’integrità finanziaria. La seconda categoria è costituita, viceversa, dagli Stati che considerano l’integrità finanziaria uno svantaggio. Per i primi paesi, che possiamo chiamare virtuosi, avversi al riciclaggio, le transazioni finanziarie realizzate al fine di occultare l’origine di una certa disponibilità patrimoniale costituiscono un costo; generano numerose distorsioni e gravi danni, tra i quali la corruzione nel sistema politico e l’alterazione delle condizioni di concorrenza nel mercato. Gli altri Stati, invece, tendono a ostacolare molto meno il fenomeno per vari motivi. La criminalità organizzata arreca a questi paesi danni molto limitati; si tratta di paesi molto piccoli, sperduti in mezzo al mare, oppure degli Stati dell’ex blocco sovietico o, infine, di Stati nei quali la criminalità in passato ha trovato limitati spazi (ad esempio, la Svizzera). Questi paesi insensibili all’accrescimento del potere delle organizzazioni criminali internazionali non sono incentivati a sostenere alcun costo per il controllo del riciclaggio; non solo, sono incentivati a favorirlo. Non è un mistero che numerosi paesi (i cosiddetti paradisi fiscali) traggono forti vantaggi dallo svolgimento sul proprio territorio di transazioni finanziarie e altre operazioni la cui localizzazione ha come unico fine la minimizzazione degli oneri fiscali o l’aggiramento di normative di controllo altrove più stringenti. Per questi paesi l’attività di riciclaggio presenta solo effetti positivi: consente loro di arricchirsi con le commissioni sulle transazioni e con le tasse pagate dalle società che si insediano sul loro territorio onde sfuggire a normative più severe. D’altra parte va pure considerato il fatto che questi paesi non risentono degli effetti negativi dovuti alle attività della criminalità organizzata, che con un perverso patto tacitamente approvato si impegna a non infastidire questi così utili collaboratori.
        Tanto premesso, sono possibili forme di coordinamento internazionale alla lotta antiriciclaggio, forme di coordinamento effettive, sostenibili e credibili? Occorre tener conto e partire dal presupposto della diversa sensibilità delle autorità rispetto al fenomeno del riciclaggio a seconda del paese in cui questo fenomeno viene considerato, diversa sensibilità che scaturisce da svariati fattori.
        Va al riguardo sottolineato che la necessità di difendere l’integrità dei sistemi finanziari con controlli di varia natura apparentemente si muove in direzione opposta rispetto alle politiche bancarie in atto, che sono volte, per accrescere le dimensioni e l’efficienza degli scambi, a ridurre l’azione di intervento delle autorità di controllo. La diversa sensibilità provoca poi una disomogeneità dell’offerta di regolamentazione tra i diversi paesi; in alcuni di essi, pur di non introdurre "granelli di sabbia" nei movimenti di capitale, si preferisce tollerare l’introduzione massiccia di fango di altra natura.
        Tale disomogeneità, che probabilmente ha contribuito a rafforzare il fenomeno criminale, molto schematicamente può far emergere che alcuni paesi, essenzialmente industrializzati, hanno messo in moto un processo di competizione in severità, mentre altri paesi, sostanzialmente non industrializzati, hanno messo in movimento il processo opposto, più esplicito e passivo, di competizione in lassismo. Ecco un fenomeno negativo che potremmo definire di dualismo regolamentare! Pertanto le disomogeneità tra paesi o gruppi di paesi finiscono per aumentare le possibilità delle organizzazioni criminali transnazionali di giostrare tra regolamentazioni diverse, vanificando in tal modo anche gli sforzi delle legislazioni più severe.
        Partendo da questo presupposto – una categoria di paesi orientati in un senso ed una categoria di paesi orientati in senso tutt’affatto diverso – ne consegue una disomogeneità assoluta delle risposte intervenienti nei primi o nei secondi paesi; bisogna allora cercare di ottenere quell’armonizzazione delle legislazioni nazionali che è assolutamente indispensabile per non soccombere. E qui servono indubbiamente le sanzioni di cui ha parlato prima Piero Luigi Vigna, che però io credo debbano combinarsi anche con degli incentivi. I paesi meno intransigenti nell’azione di contrasto sono spesso caratterizzati da strutture economiche e finanziarie deboli; potrebbero quindi essere molto sensibili ad interventi di incentivo delle loro economie, tali da indurli a rafforzare le difese contro il riciclaggio e ad omogeneizzare la propria disciplina con quella degli altri paesi.
        È evidente – di questo siamo tutti assolutamente convinti e lo abbiamo ripetuto anche oggi – che la lotta al crimine organizzato (e il conseguente riciclaggio dei proventi illeciti) per essere efficace deve essere condotta a livello internazionale, mentre ancora oggi, purtroppo, permane la differenza tra l’internazionalizzazione delle forme più pericolose di criminalità e il carattere prevalentemente nazionale delle normative penali che sono alla base dell’azione di contrasto. Questa differenza non agevola, anzi ostacola l’efficacia degli interventi.
        Dunque occorre una strategia globale di contrasto, armonizzata a livello internazionale, per tentare quanto meno di individuare ed aggredire l’oligopolio criminale nel momento di maggiore vulnerabilità, segnato dall’immissione nel mercato di un anomalo flusso di risorse di origine illecita: ha ragione il prefetto Monaco nel segnalarci che questo non è soltanto un problema economico-finanziario, amministrativo-contabile, ma è davvero un problema di democrazia. (Applausi).

        PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Caselli. Penso che stamane abbiamo iniziato a raggiungere i due obiettivi che ci eravamo prefissi: il primo, quello di dire alle istituzioni e alla società italiana che si vuole fare sul serio nella lotta economica alle mafie partendo dal riciclaggio; l’altro, quello di enucleare le risorse che abbiamo, anche dal punto di vista tecnico-legislativo, e i limiti ancora presenti.

        Sospendiamo ora i lavori del Convegno che saranno ripresi nel pomeriggio, alle ore 15.